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Il museo delle Domus romane di Palazzo Valentin

“Colui che non sa darsi conto di tremila anni di storia rimane nel buio e vive alla giornata” [Goethe]

I musei archeologici non sono come i musei d’arte, sono prima di tutto musei di storia che comunicano attraverso le opere che espongono. Saper far parlare i beni contenuti al loro interno risulta fondamentale e allo stesso tempo affascinante. La lettura di un museo archeologico può, se non si dispone dei mezzi necessari, essere estremamente complessa.

Il museo archeologico espone, tra gli altri, reperti di uso quotidiano il cui valore risulta di difficile comprensione e propone le memorie di un tempo molto lontano da noi e il più delle volte non visibile.

Poiché la comunicazione all’interno di un museo deve primariamente far sì che si realizzi un’effettiva trasmissione di conoscenze per diversi target di pubblico; si rendono necessari interventi che agiscano sul fronte dell’allestimento museale e delle attività didattiche. Il successo di tali azioni è determinato, fra l’altro, dall’adozione delle più avanzate tecniche di comunicazione visiva, dei linguaggi specialisti e delle nuove tecnologie.

Le difficoltà di percepire le tracce archeologiche e di tradurle contestualmente in una realtà passata profila la necessità di una lettura guidata in grado di presentare al pubblico gli stimoli sufficienti a consentire la conoscenza della storia passata senza che si perda la sensazione della scoperta che gioca un ruolo fondamentale nell’interesse del pubblico verso la scienza archeologica.

I musei archeologici devono confrontarsi con la notevole difficoltà di rendere interessante ed appetibile una storia passata, molto spesso dimenticata e per i più di difficile comprensione.

L’uso delle nuove tecnologie in campo archeologico si rivela in alcuni casi indispensabile per permettere la fruizione di ciò che viene chiamato “patrimonio muto” ovvero un patrimonio che esiste ma che non è più visibile per i motivi più svariati. Un patrimonio è muto anche se è visibile ma fisicamente non è più dotato degli elementi che ne permettono la sua identificazioni o nel peggiore dei casi se esiste e non comunica più nulla al suo visitatore.

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La strumentazione tecnologica, se adeguatamente utilizzata, permette di ristabilire le connessioni e i legami con un tempo remoto che la storia ha cancellato. Si tratta di realizzazioni fondate sulle interazioni tra l’archeologo che conosce storia, contesto e funzioni della realtà da trasmettere e chi invece padroneggia “le tecniche e i formati tipici della comunicazione visiva” per rendere immediatamente comprensibili i contenuti, senza banalizzarli.

E’ da queste premesse che prende forma il lavoro intrapreso per la progettazione del Museo delle Domus romane di Palazzo Valentini a Roma.

Palazzo Valentini, sede della Provincia di Roma dal 1873, fu edificato a partire dal 1585 dal cardinale Michele Bonelli, nipote di papa Pio V.

Il palazzo successivamente venne parzialmente demolito e ricostruito da Francesco Peparelli per volontà del nuovo proprietario Renato Imperiali, che sposto nel palazzo la prestigiosa biblioteca di famiglia.

Agli inizi del XVIII secolo la dimora cambiò spesso proprietario fino all’acquisizione da parte del banchiere e console prussiano Vincenzo Valentini che diede il nome al palazzo.

Già ai tempi della sua costruzione si era a conoscenza si un substrato romano sotto il palazzo, parzialmente esso venne riportato alla luce grazie a due limitate campagne di scavo risalenti agli anni ’80.

Tali indagini avevano riportato alla luce una serie di strutture murarie antiche pertinenti a un piccolo impianto termale, appartenente ad una ricca domus romana di età tardo-imperiale.

Fu però solo in occasione del progetto di ristrutturazione e rifunzionalizzazione degli ambienti interrati del palazzo che si prese coscienza del patrimonio archeologico che ancora risiedeva nei sotterranei della dimora. Le indagini archeologiche, che hanno portato alla luce l’area archeologica delle Domus romane prese avvio nel mese di luglio 2005.

Tali lavori hanno offerto l'occasione di intraprendere un articolato intervento di scavo archeologico di rilievo e di restauro sotto la Direzione Scientifica del Prof. Eugenio La Rocca e della Dott.ssa Paola Baldassarri, Responsabile Archeologo della Provincia di Roma con il Coordinamento generale del Dirigente del Servizio 5 del Dipartimento III, Dott. Roberto Del Signore. , a partire dalla sala sottostante la biblioteca di Palazzo Valentini e confinante con gli ambienti riportati alla luce negli anni ’80.

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Nel febbraio del 2007 furono individuate da Archeometra, incaricata di condurre la prevista assistenza archeologica, altre strutture murarie verosimilmente pertinenti, per assetto e tecnica costruttiva, all'impianto termale già noto.

I dati acquisiti nel corso della campagna di scavo condotta da Archeometra hanno permesso di fare nuova luce sul deposito archeologico sottostante l'ala nord- occidentale di Palazzo Valentini, individuando un'attività antropica e occupazionale che dal II sec. d.C. arriva fino alla fine del XVI secolo, momento di costruzione del Palazzo, e oltre.

Si tratta sostanzialmente di due domus romane, generalmente invisibili nel tessuto urbano della città poiché si trovano sotto il livello stradale, appartenute a patrizi di cui noi oggi vediamo oltre le strutture murarie, saloni scale, dipinti, pavimenti e mosaici policromi, basolati suppellettili e arredi.

Il sito archeologico è stato aperto al pubblico e trasformato in un museo aperto alle visite su prenotazione a partire dal 16 ottobre 2010.

L’opera di riqualificazione, musealizzazione e ricerca, portata avanti da storici dell’arte, architetti e archeologi consente di ricostruire un importante tassello della topografia antica e medievale della città di Roma.

Il tipo di approccio che è stato scelto per permettere la fruizione dell’area archeologica si rivela innovativo ed efficace.

Il percorso di visita delle Domus patrizie è supportato, infatti, da un intervento di valorizzazione che sfrutta in modo sapiente ed intelligente le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione, curato da Piero Angela e da un équipe di tecnici ed esperti quali Paco da Lanciano e Gaetano Carpasso.

Attraverso ricostruzioni virtuali, giochi di luce, effetti sonori e proiezioni olografiche sulle pareti il visitatore vede ricomporsi le pareti e le decorazioni, le marmi e gli stucchi delle case.

Il visitatore vede lo spazio delle terme con il passaggio dell’acqua così come poteva essere un tempo, vede persino la simulazione del terremoto che nel 538 d.C. costrinse l’abbandono degli ambienti.

La visione è corredata da un racconto che permette lo spostamento autonomo da una sala all’altra, accompagnando i visitatori per l’intera durata di visita. La narrazione veicola il contenuto storico e culturale de sito e rende l’esposizione piacevole e coinvolgente.

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Il prodotto museale offerto al visitatore del Museo di Palazzo Valentini si rivela estremamente interessante.

Negli spazi dello scavo direttamente sui reperti viene realizzata in via sperimentale una forma di comunicazione sviluppata facendo intervenire diverse forme di linguaggio, prevalentemente visivo e orale.

Si tratta di un luogo della memoria dove i reperti originali prendono vita per via delle nuove tecnologie attraverso giochi di luce e proiezioni al suono di una voce che narra la storia degli scavi e delle domus di età tardo imperiale.

L’offerta museale è completa poiché coinvolge le quattro dimensioni dell’esperienza individuate da Pine e Gilmore: intrattenimento, evasione, educazione ed esperienza estetica.

Lo spettatore è coinvolto in un’esperienza unica e coinvolgente che attiva relazioni Il prodotto offerto aumenta soddisfazione del cliente, coinvolto in un’esperienza unica, coinvolgente e innovativa del patrimonio culturale. Esso rappresenta un valido strumento di comunicazione, immagine e fidelizzazione oltre che avere ricadute importanti sull’indotto turistico della città.

Ciò che manca alla visita,però, è la dimensione dell’interazione che si ferma all’esplorazione del sito attraverso le indicazioni della voce narrante. L’individuo è poco coinvolto nella creazione della propria esperienza poiché guidato e non sono molte le occasioni di dialogo e interazione con gli altri fruitori presenti durante la visita. Va comunque ribadita l’importanza e l’eccezionalità della scelta museale che introduce modalità nuove di comunicazione, come il digital story telling, di forte impatto sul visitatore.

Alla luce di quanto detto, si introdurranno nel prossimo paragrafo il concetto di interattività e i lavori di Creando e dell’Educational Manager Sarah Orlandi che al contrario propongono un approccio comunicativo più aperto.