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La percezione e la lettura dell’opera d’arte

2.7 Il processo di ricezione e di interpretazione dei significat

2.7.1 La percezione e la lettura dell’opera d’arte

Il primo livello del processo di conoscenza dell’opera prevede una lettura del suo aspetto materiale.

Si tratta di un requisito primario, poiché se viene meno questo operazione risulterà compromessa la fase successiva di interpretazione del contenuto.

Spesso un oggetto risulta compromesso poiché deteriorato: il frammento staccato di una decorazione, l’elemento architettonico, i resti di pianta di un edificio necessitano di una serie di operazioni, quali il restauro, la restituzione e la ricostruzione, che ne rendano leggibile il suo aspetto materiale.

E’ necessario specificare che ai fini della trattazione si escluderanno le azioni di restauro atte a garantire l’esistenza stessa dell’opera d’arte. Questa categoria di operazioni assolutamente fondamentale per l’esposizione al pubblico, necessitano di specificazioni ulteriori che non interessano l’elaborato.

E’ comunque utile precisare che le nuove tecnologie hanno trovato immediatamente applicazione nel campo del restauro a fini prettamente conservativi: dalla diagnostica all’intervento vero e proprio sul manufatto.

Se per la comprensione del significato di un’opera d’arte è fondamentale comprendere innanzitutto la sua dimensione fisica è necessario intervenire per consentire al contenitore del messaggio di svolgere correttamente la sua funzione. Non solo si può intervenire sull’oggetto si deve intervenire, si è obbligati a farlo [Antinucci,2004].

L’oggetto se esposto, offerto al visitatore è naturalmente oggetto delle sue interpretazioni, se l’oggetto non glielo consente o glielo consente ma fornendo contenuti falsificati, che non corrispondono alla realtà, egli sbaglierà

93 inevitabilmente.

Non intervenire non è una scelta neutra, quest’azione conduce a due possibili risvolti negativi: o l’oggetto cessa di essere segno comunicante o il messaggio che trasmette per via delle sue condizione compromesse è sbagliato.

Solo una restituzione dell’oggetto come era originariamente permette di conoscerne la storia.

La restituzione si effettua nei casi in cui la sappia e la si possa fare sia dal punto di vista concettuale che dal punto di vista tecnico.

Dal punto di vista concettuale significa avere le informazioni necessarie per risalire allo stadio originario da ripristinare. Questo non significa rifare l’originale ma significa intervenire sui tratti rilevanti dell’oggetto che, se modificati, comportano una variazione di significato.

Dal punto di vista tecnico significa identificare le tecnologie che permettono o per le loro caratteristiche non permettono di effettuare scientificamente l’operazione. Una vasta gamma di possibilità è offerta in questo campo dalla nuove tecnologie. Esistono due classi di modalità per compiere un lavoro di restituzione:

- intervenendo direttamente sull’originale - intervenendo su un simulacro dell’opera

Allo stato attuale va ricordato che la tecnologia non è in grado di offrire una copia esattamente identica, per cui il risultato conseguibile sulla riproduzione sarà comunque inferiore.

Per alcune classi di oggetti si rivela indispensabile l’intervento sull’originale. Ci di riferisce ai dipinti in particolare: guardare un quadro non è come osservare una sua copia, qualunque sia il mezzo tecnico impiegato.

Un intervento reintegrativo può essere effettuato anche su originali di altre classi di oggetti come sculture e architetture. Dal punto di vista filologico l’accortezza è quella di rendere visibile, distinguibile la ricostruzione.

Lavorare sull’originale si rivela, in alcuni casi impossibile nonostante la varietà dei metodi di reintegrazione sia notevole.

In parte perché le ricostruzioni richiedono un delicato lavoro di studio e di esecuzione, in parte perché gli interventi sull’originale implicano una responsabilità

94 interpretativa considerevole.

Una ragione ulteriore a questo impedimento è rappresentata dal luogo dove vengono esposti i pezzi, spesso inadeguati ad accogliere le collezioni.

Lavorare sul simulacro si rivela estremamente importante in alcuni casi particolari:

- nel caso in cui le mancanze siano molto estese e cioè quando ciò che si deve ricostruire è molto superiore a quanto resta dell’oggetto

- nel caso in cui il luogo dove vengono esposti i pezzi risulti inadeguato o per mancanza di spazio nel caso in cui la restituzione avesse bisogno di apparati di grandi dimensioni, o per quello che viene chiamato il problema dello “spazio dell’opera”38

.

Nonostante le gravi mancanze, quasi sempre si è in grado di formulare ricostruzioni ipotetiche con minore o maggiore accuratezza e quindi utilmente operare la riproduzione. Il vantaggio di lavorare sul simulacro permette in questo caso di attenuare il problema interpretativo a monte della ricostruzione; con una copia, se non si detengono informazioni dettagliate e precise, si possono presentare simultaneamente più ipotesi di come l’oggetto potesse configurarsi in passato invece che privilegiare una sola visione.

Si utilizzano riproduzioni fisiche o digitali.

In molti casi l’elaborazione di una copia digitale è oggi più vantaggiosa sia sotto il profilo dei risultati sia sotto il profilo dei costi.

La priorità è il rispetto dei dettagli e della risoluzione.

La restituzione deve presentare la stessa scala dell’originale in particolar modo se viene esposta con essa [Antinucci,2004].

Quando si utilizza l’immagine elettronica si tende a riportare tutto alle dimensioni dello schermo del computer.

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Il problema dello “spazio dell’opera” è motivo di riflessione dell’opera museologica di Carlo Ludovico Ragghianti. L’opera d’arte dovrebbe essere esposta allo spettatore nelle stesse condizioni di visibilità stabilite per esse dall’autore. “Perciò lo spazio esterno associato alla pittura o alla

scultura dell’artista all’atto della concezione e dell’esecuzione dell’opera deve essere identificato ed assunto come condizione prioritaria della percezione”. Le parole di Ragghianti sottolineano

l’importanza del “contesto” dell’opera nella misura in cui questo aspetto rientra nell’intenzionalità comunicativa dell’artista: pertanto si rende necessario ripristinare le condizioni primarie, iniziali dell’opera così come concepita dal suo creatore per permettere la trasmissione del messaggio al suo interlocutore principale, il fruitore dell’opera d’arte.

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Il cervello umano è in grado di operare il rapporto di scala, ma l’effetto percettivo immediato non è lo stesso. Per svolgere questo compito di ridimensionamento della copia sull’originale viene attivata una parte del cervello che è “incompatibile” con quella che invece percepisce immediatamente l’opera. Il risultato è che i due oggetti verranno percepiti come diversi e difficilmente comparabili.

La soluzione migliore, quindi, quando si utilizzano immagini digitali sarebbe quella di un appropriato sistema di delivery in grado di presentare al meglio l’opera: le proiezioni ad alta luminosità e risoluzione direttamente sull’originale o i pannelli interattivi o di dimensioni appropriate permettono di far raggiungere all’immagine la dimensione necessaria per una corretta lettura.

I pannelli interattivi permettono, pur essendo altro dall’oggetto originale, di manipolare l’immagine consentendone una visione a 360 gradi. Con dispositivi di questo tipo è possibile cogliere elementi e particolari che l’occhio umano non è in grado di percepire complessivamente sull’opera d’arte.

Un sistema efficace in grado di offrire la prestazione migliore, in quanto opera incorporando l’originale , consiste nell’effettuare la ricostruzione sull’originale in forma virtuale mediante sofisticate tecnologie di proiezione ad alta risoluzione che proiettano l’ipotetica ricostruzione direttamente sull’originale.

Soluzioni di questo tipo consentono anche di illustrare l’opera d’arte nel corso dei secoli

Nei casi in cui gli oggetti necessitano di apparati di grandi dimensioni per essere “letti” si deve intervenire nuovamente con una copia. Appartengono a questa categoria numerosi manufatti archeologici o oggetti monumentali in cui si debba ricostruire il contorno di appartenenza non più esistente39.

I metodi tradizionali che sono stati utilizzati per cercare di ovviare alla ricostruzione fisica di un monumento di dimensioni imponenti o di un complesso monumentale sono:

- il disegno ricostruttivo

- il modellino plastico tridimensionale in scala ridotta.

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I casi come il Pergamonmuseum di Berlino sono eccezionali, presentando le ricostruzioni di alcuni fra i più importanti monumenti dell’antichità in scala 1:1: l’altare di Pergamo, la porta romana di ingresso al mercato di Mileto, la porta di Ishtar…

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Questi due sistemi presentano però controindicazioni importanti nel raggiungimento del cosiddetto “inganno percettivo” necessario per l’iniziale comprensione di come era fatta l’opera d’arte.

Nuovamente si ripresenta il problema della scala, prima analizzato, un’operazione mentale riflessa opposta a quelle di tipo automatico e inconscio su cui si basa la percezione [Antinucci, 2004].

I disegni, poi, a differenza dei modellini tridimensionali presentano lo svantaggio di essere proiezioni esclusivamente bidimensionali dell’opera d’arte.

Anche in questo caso è richiesta, al nostro sistema cognitivo, un’operazione di ricostruzione mentale per ricavare l’oggetto tridimensionale a partire da un oggetto bidimensionale.

I disegni prospettici, perciò, sono superati dai modelli plastici tridimensionali in questo aspetto che nonostante questo vantaggio si rivelano carenti in altri elementi. La percezione di un oggetto, di grandi dimensioni soprattutto, non si esaurisce solamente con la percezione visiva dello stesso ma manufatti di grandi dimensioni si percepiscono con tutto il corpo, cioè percorrendoli.

La “percorrenza motoria” per un oggetto architettonico, monumentale è parte integrante e fondamentale e dell’apprezzamento diretti dell’oggetto.

Le tecnologie interattive sembrano rappresentare la giusta soluzione ai problemi fino ad ora delineati.

Quella che viene definita “realtà virtuale”, termine che deriva dalla terminologia tecnica della scolastica mediovale “virtus, virtualis” che significa potenziale, è una tecnologia elaborata allo scopo di simulare la realtà in modo da ingannare la percezione visiva, in modo da far credere reale quanto rappresentato [Antinucci,2004 ].

Il suo schema di funzionamento è relativamente semplice, benché tecnicamente complesso.

Si costruisce digitalmente un modello in tre dimensioni dell’ambiente da percepire così come se si dovesse costruire il modellino fisicamente.

Il modello viene elaborato dal computer che applica ad esso un algoritmo, che garantisce la visione del modello a partire da qualsiasi punto di vista.

L’intera elaborazione avviene istantaneamente, come se fossimo al cinema, la realtà visualizzata si muove con il nostro corpo e cambia al nostro spostarci.

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scala 1 a1 in funzione dei movimenti del corpo del soggetto fa si che la percezione visiva dell’ambiente risulti teoricamente indistinguibile da quella che avremmo se l’ambiente ricostruito fosse reale.

Se la costruzione del modello e la sua resa grafica sono accurate e di elevata qualità l’approssimazione alla percezione reale è notevole, in queste condizioni si realizza anche la percezione corporea dell’ambiente, poiché insieme alla visione dell’oggetto nelle sue dimensioni reali è garantito anche il movimento nello spazio ambientale.

Questa peculiarità della realtà virtuale viene chiamata “immersività”.

Speciali dispositivi ottici, quali occhialini o caschi elettronici, permettono di raggiungere questa caratteristica. Tuttavia in un contesto museale questa strumentazione non è quasi mai applicabile per via dei costi troppo alti, della delicatezza del dispositivo, della difficoltà nella gestione e nella manutenzione. Il modello virtuale conserva un elevato valore anche se non è dotato di un sistema di delivery che garantisce la totale immersione nella realtà virtuale. Gli strumenti digitali che sfruttano le potenzialità della realtà virtuale sono superiori a qualunque altri sistema di riproduzione.

Il livello di dettaglio che si ottiene con la modellazione virtuale tridimensionale non ha limiti poiché lo spazio del modello è percorribile e analizzabile in ogni singolo dettaglio avvicinandolo o spostandolo a piacere, anche se il punto di vista non coincide con i propri occhi non avendo la totale sensazione di immesività.

Anche nel caso in cui l’opera d’arte non venga presentata al pubblico nelle stesse condizioni di visibilità al pubblico si rende necessario l’intervento di sistemi che mettano il luce anche questo aspetto.

Ragghianti40 scriveva a tal proposito:

“Con quali mezzi visivi stabilire una compresenza criticamente necessaria? In una costellazione organica, disgiungere o eliminare i termini di continuità o di inerenza significa alterare e ridurre la comprensione”

40

Carlo Ludovico Ragghianti nel 1974 scrive “Arte, fare e vedere” . Il libro, con ricco apparato iconografico, nasce dalle lezioni di Museologia tenute da Ragghianti all’Università Internazionale dell’Arte tra il 1970 e il 1972. Esso costituisce un momento di sintesi, anche con revisione di giudizi, di riflessioni dello studioso sui musei e la museologia.

Una delle idee cardine di tali riflessioni, importanti ai fini del nostro discorso, è la critica al fatto che ai visitatori sia sufficiente esporre le opere affidandosi ad una loro totale e scontata capacità di comprensione e interpretazione dell’opera.

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Le numerose pale d’altare nella prima sala delle Gallerie dell’Accademia di Venezia sono esposte talmente vicine l’una all’altra che quelle adiacenti entrano nello stesso campo visivo. La pala d’altare è pensata per un preciso spazio nella Chiesa e non è previsto da nessun autore che essa sia vista in contemporanea ad altre pale d’altare. Ragghianti nel suo scritto porta l’esempio del David di Michelangelo, esposto nelle Gallerie dell’Accademia di Firenze non svolge la stessa funzione che svolgeva (e che ora svolge la sua copia) contro la parete esterna di Palazzo Vecchio, di fianco al portale.

“Ciò perché la scalinata da salire ne assicurava e ne permette la visuale ascensionale e spiralata da destra, la buona distanza dalla muraglia arnolfiana consentiva e consente la visuale tergale e la rotazione sino al lato sinistro, mentre la visuale frontale trovava e trova, all’altezza assegnata, la giusta distanza nella piazza”[Ragghianti, 1974]

Le tecnologie della realtà virtuale consente di riprodurre anche il contesto ambientale rilevante per le singole opere, che per le dimensioni non possono essere fisicamente riprodotti nello spazio di un museo.

Disporre di un modello virtuale comporta vantaggi che vanno oltre la percezione fisica dell’oggetto, esso si può rivelare utile per le successive fasi di interpretazione e comprensione dell’opera d’arte.

Nonostante i costi ancora abbastanza elevati, rappresenta un investimento strategico per l’azienda che opera nel settore culturale e che intenda rinnovarsi.

E’ importante riporre la massima cautela nell’utilizzo di tali sistemi, non si intende sostenere la virtualizzazione di tutto il patrimonio culturale.

La realtà virtuale non sostituisce la realtà, è bene sottolineare che però rappresenta il mezzo a disposizione migliore quando della “realtà” si è costretti a farne a meno. Molto della sua efficacia dipende dall’accuratezza del modello digitale e soprattutto dai sistemi di delivery utilizzati per la sua presentazione, altrimenti questo strumento può diventare l’opposto di quello descritto.