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IL "NEW5PEAK"

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1978 (pagine 66-69)

Claudio A. Mossetii

In questo caso basta l'immagine.

Il « NEWSPEAK » è uno dei tanti vo-caboli nuovi della lingua inglese d'og-gi, adottata, parlata, sfruttata e com-presa in tutto il mondo. Gli studiosi affermano che « newspeak » è soprat-tutto un moderno neologismo che offre una sintetica spiegazione di un modo di

discorrere e di comunicare diverso e

aggiornato, rispetto alla tradizione, con precipue differenziazioni e somiglianze nei vari linguaggi in uso nei territori più civilizzati, socialmente ed indu-strialmente. È oggetto di indagine e di studio nell'ambito della « pubblicità » cosi come lo è — sembra però con minore impegno e seguito — per le più o meno palesi interferenze nei fatti e nelle situazioni dell'economia mondiale degli anni settanta. Con quali motiva-zioni e premesse?

La gente in questi diffìcili tempi di cri-si vivrebbe una realtà prevalentemente di tipo conflittuale, da un lato sospinta a tener conto dell'austerità e della re-strizione dei consumi, dall'altro — no-nostante molti richiami ad una etica di sacrificio e di prudente risparmio — non sorda agli inviti della pubblicità; una pubblicità che, quasi proterva, se-condo i più accesi detrattori, conserva inalterato, come modello di riferimen-to, una « società » del benessere, inden-ne da malesseri, turbamenti e recessio-ni.

Dunque sociologi e « puristi », non so-lo di parte angso-losassone, denunciano le loro preoccupazioni, identificano minac-ce in quelle che indicano come delle « subdole trasformazioni di una lingua e della sua stessa cultura ».

Alcuni si rifanno a George Orwell (al suo romanzo « 1984 ») e temono l'af-fermarsi d'una società che applichi i principi del totalitarismo dove ogni sfera di attività sociale, politica, econo-mica e culturale non abbia più una pro-pria autonomia, ma dipenda dalla vita unitaria e totale dello Stato. Nello sta-to di Orwell il « Big Brother » impone, per rinforzare la propria autorità, un nuovo linguaggio: una lingua con una struttura interna che obbliga il pensie-ro ad adeguarsi ad una ideologia uffi-ciale — di potere — ed a indebolirsi nell'obbedienza, sino a perdere ogni possibilità di critica perché gli è nega-ta ogni altra opportunità di esprimersi:

l'autore scrive « La rivoluzione riuscirà ad essere perfetta quando il linguaggio sarà altrettanto perfetto ed inequivoca-bile ».

Situazioni e testimonianze inquietanti ed angoscianti, ma ancora paradossali, dalle quali ci possiamo discostare se più da vicino proviamo ad analizzare cam-biamenti e / o trasformazioni nelle for-me più attuali dell'informazione e del-la comunicazione, sia essa tecnica, eco-nomica o pubblicitaria (evitiamo, volu-tamente d'occuparci del rapporto che potrebbe stabilirsi con i temi della pro-paganda e delle dottrine politiche). Con il « NEWSPEAK » si arricchisce il vo-cabolario internazionale (un docente universitario londinese manifesta inve-ce l'opinione personale che si tratti di un ennesimo oltraggio

d'esemplificazio-ne grammaticale) ed al tempo stesso

si possono eliminare alcune altre allo-cuzioni, più tradizionali, oppure attri-buire loro un significato molto più rigi-do e vincolante.

Iniziamo dalla pubblicità: un insieme di cognizioni, di erudizione, di creati-vità ed anche di formule di cui è

sem-pre di moda occuparsi; che sa

determi-nare delle mode, ed è dunque facile

calembour affermare che è sempre di moda discuterla e criticarla.

Essa vive un periodo, secondo una cer-ta corrente critica, nel quale i suoi « creativi » cercano una controprova dei propri messaggi nelle indagini di mercato oppure, lungi dal cercare di apparire razionali, con molto entusia-smo lasciano libero sfogo alle fantasie di un linguaggio desueto e persino in-fantile.

Ed a quale uditorio essa si rivolge? Diciamo pure che il discorso pubblici-tario non chiede di rivolgersi ad una éli-te, ma punta alle masse, proponendosi di convertire il benessere consumistico in un sano principio democratico ed egualitario. Può succedere, invece, che allorquando propone bisogni non indi-spensabili, ossia il rinnovo di determi-nati beni attraverso nuovi e più aggior-nati modelli, essa inneschi motivi di

in-soddisfazione, di ribellione e di ansie-tà in buona parte di coloro che non

so-no in grado di rispondere positivamen-te a tale invito « a comprare » e deb-bono rinunciarvi oppure, per « tenere il

passo », indebitarsi. Da un egualitari-smo di tendenza emergono, qua e là, vere e proprie piccole barriere di sepa-razione fra chi è in condizione di com-piere un acquisto e chi non ne ha la possibilità.

Per fortuna possiamo tener conto del fatto che le masse, pur considerate sin-golarmente con l'etichetta del « consu-matore in potenza », risultano oggigior-no assai distratte, poco attente, limita-tamente disposte a consumare oltre quanto è loro indispensabile. Alla pro-va dei fatti, tuttavia, sembrano preferi-re — dichiarano i critici — inviti con-vincenti, formulati in modo corretto e garbato, magari con un poco d'allegria. Reagiscono diversamente, con sempre maggiore fastidio, ai richiami ossessivi, dozzinali, pretenziosi. Efficacia e

deon-tologia debbono dunque formare

l'uni-co, valido, binomio professionale: ba-sta con quelle formule esplicitamente semplici e sintetiche che finiscono con l'assomigliare al segnale od al suono d'un codice, certo internazionale, desti-nato a uomini-robots.

Intanto, nelle nazioni più ricche, lad-dove un alto tenore di vita appare me-glio ripartito fra gli abitanti, la presen-za della pubblicità si fa notare in mo-do consistente ed abbondante. Negli Stati Uniti la pubblicità è considerata una componente della garanzia

del-Yamerican life, è fondamentale nei

det-tagli del suo stesso paesaggio, è parte del « sogno americano di progresso e di conquista », è segno inequivocabile di una particolare prosperità economica. Tale presenza è quotidiana dimostra-zione dello spirito USA di rinnovamen-to, di competizione, di « performance », di vitalità, diviene prova concreta che ogni comparto produttivo e commercia-le « tira » e non dorme sugli allori. Al-lora, la pubblicità è una conseguenza o una causale del benessere?

SOCIOGRAMMA DELL'ASCOLTO E DELLA FORMULAZIONE DELLA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA

« Appare davvero curioso — ha scritto di recente un sociologo intervenendo nel sempre aperto dibattito sulla

validi-tà e sul ruolo della pubblicivalidi-tà — che come vera e propria espressione del ca-pitalismo, in tema di consumismo, es-sa partecipi all'accumulazione della sua ricchezza e del suo benessere come for-ma costante di spesa ».

In realtà dobbiamo ammettere che sono poi i prodotti per i quali si impegnano i maggiori e più continui investimenti pubblicitari, quelli che più a lungo re-sistono alle periodiche sollecitazioni ge-nerali del rialzo dei prezzi. La loro « do-manda », in più d'una circostanza, ha assunto e assume ancora proporzioni co-si vaste che, di riflesso, co-si manifesta persino una tendenza al ribasso dei lo-ro prezzi: valgano, in plo-roposito, gli esempi determinatisi nell'andamento del mercato dell'automobile, degli elet-trodomestici, delle apparecchiature ra-diotelevisive, ecc.

La pubblicità esercita ed esprime un ve-ro e pve-roprio « potere » ed è quindi au-spicabile e doveroso che, democratica-mente, esso possa risultare « controlla-to » e « controllabile » da altre forme di potere democratico: in primis, da quelle legislative, poi da quelle rappre-sentate dagli stessi mass-media, dalle associazioni dei consumatori, dalle au-tonomie, in tema di preferenza e di scel-ta, dei singoli consumatori.

Il « potere » e la « spesa », croce e

de-lizia d'una materia che può anche

tra-sformarsi in dottrina, o in un suo pro-logo. Al capitolo « spesa » la si accusa di rappresentare una componente del-la corsa all'infdel-lazione ed uno sperpero sia nelle fasi di un opulento benessere sia nei momenti di crisi. La pubblicità divora denaro (ne fabbrica anche), ma può rivelarsi uno strumento, costoso, di lavoro.

Una società appartenente al sistema eco-nomico cosiddetto occidentale, a dif-ferenza di quanto avviene in una appar-tenente all'area socialista, non ne fa a meno, riconosce in essa una « chiave » che facilita l'accesso al benessere. Nel-la giusta logica dell'imprenditore che aspira ad aumentare il proprio « giro d'affari », « per guadagnare dei soldi bisogna anche avere il coraggio di spen-derne ». E la pubblicità ne diviene il « mezzo » più logico. Un « mezzo » che si fa ascoltare e vedere, che comunica, con un linguaggio più o meno veritiero

Ancora pubblicità d'altri tempi.

che non si cura, sovente, di attendere una risposta. Essa preferisce la retori-ca, anche con le immagini (sotto forma, ad esempio, d'una fotografia che dia ri-salto agli aspetti più vantaggiosi d'una proposta d'acquisto lasciando nell'om-bra quelli meno convincenti) che posso-no riuscire talvolta ad alterare le reali proporzioni di un soggetto e farlo rite-nere più importante di quanto non ri-sulti in realtà.

Al di là d'ogni schieramento ideologico pro-o-contro il « potere » e la « spesa » pubblicitaria, ci sembra giusto ricono-scere che in tale tipo di comunicazione il nesso fondamentale è dato dall'esor-tazione a consumare, a preferire qual-cosa in luogo di qualqual-cosa d'altro. Come persuasione' occulta potrà ricorrere an-che a proiezioni sublimali, ma soprat-tutto insisterà sull'imperativo: prova,

scegli, tenta, compra, compi. Indurrà

talvolta ad un quieto conformismo:

tra-scorri queste vacanze; scegli questa mi-nestra; vesti questi indumenti;

compor-tati come i tuoi vicini, i tuoi amici, i tuoi simili, perché vuoi essere diverso? Sono gli atteggiamenti più discutibili d'una certa pubblicità: non vuole la-sciarci scelta, tende a codificare il no-stro modo di vivere, vuole imporci le proprie ideologie e far credere che sono le migliori. Qui fa capolino un tipo di comunicazione che mira a scomporre ogni forma di individualismo per deter-minare un consenso globale e passivo. Ritorna in discussione la valutazione di questo « potere » che non si propone necessariamente di « informare » per far sapere e conoscere meglio.

SINTESI DELLA RICERCA

Ripensando alle idee, alle teorie ed al-le tentazioni che sino a questo punto hanno arricchito e caratterizzato questo excursus (con molti temi d'obbligo) ci sembra di aver dato uno spazio insuffi-ciente ai molteplici aspetti dei temi ba-silari connessi ad alcune valutazioni del fenomeno pubblicitario. Non è anch'es-so mutato con i tempi e si è immedesi-mato a varie epoche?

Prima degli anni '50 prevalevano gli

slogans ed i discorsi fortemente

ripeti-tivi d ' u n marchio o di una etichetta. Dopo tale periodo si assiste ad una pro-gressiva intrusione della psicanalisi nel concetto propagandistico: il suo culmi-ne si raggiunge forse culmi-nel momento in cui ci assicurano di poter « mettere un

tigre nel motore »; ed arriviamo agli

anni a noi più vicini, dove si produce un quasi-inquinamento

pseudo-cultura-le e pseudo-cultura-le formupseudo-cultura-le sono tante ed il piacere della « furbizia » prevale sulla logica. Ad uso dei nostri lettori ci soffermiamo su molti aspetti « codificabili » di un certo linguaggio pubblicitario attuale: si è liberato da ogni limitazione sintat-tica, non si preoccupa di risultare pre-ciso e definitivo, dilatandosi attraverso un giuoco di analogie e di associazione di immagini, di termini o di parole. Co-si posCo-siamo provare a scoprire, inCo-sieme, le forme di linguaggio che più di fre-quente compaiono negli annunci della pubblicità italiana (forme ampiamente raccolte ed analizzate con dovizia di esempi da Franco Bonazzi nello studio, edito dalla CERCOMiNT/Emilia-Roma-gna, « Sociologia dei consumi »):

Allitterazione (ripetizione degli stessi

suoni vocalici o consonantici in parole successive); Allusione riferimento ad espressioni famose, o a titoli di libri o di opere, per prodotti da reclamizzare);

Anacoluto (figura sintattica che consiste

nel cominciare la costruzione di una frase in un modo per poi terminarla in un altro); Anadiplosi (ripetizione di uno o più segni per rincalzo); Anafora (ripetizione di uno stesso segno o di una stessa frase in principio di verso);

An-titesi (figura retorica che contrappone

segni di significato contrario);

Antono-masia (sostituzione di un nome comune

invece che proprio e viceversa);

Asin-deto (omissione o abbondanza di

con-giunzioni); Bisticcio (giuoco di parole che risulta dalla vicinanza di segni si-mili nel suono, ma diversi nel signifi-cato); Ellissi (omissione di qualche se-gno che viene sottinteso); Epifora (ri-petizione di uno o più segni alla fine di periodi successivi); Esclamazione (l'uso d ' u n tono imperativo per suscitare rea-zioni emotive); Eufemismo (figura reto-rica per la quale si velano le idee spia-cevoli, mitigando le espressioni);

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1978 (pagine 66-69)