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Nel clima che abbiamo fin qui descritto, le esperienze sperimentali in atto finirono per essere in un certo senso “espulse” dal dibattito. Tra 1980 e 1982 di esse si parlò poco, e il più delle volte per rimarcarne la natura certo generosa ma “selvaggia”, guastata in fondo

Centro di iniziativa democratica insegnanti (Cidi) per la scuola elementare: L’istruzione “laica”

proposta dal CIDI, ivi, 133, 16 dicembre 1981, p. 23.

333 M. Vinciguerra, Migliorare la qualità del servizio educativo, ivi, 117, 18 marzo 1981, pp. 37-8; cfr.

C. Santonocito, Perché si sceglie la scuola privata, ivi, 190-191, 4-18 luglio 1984, p. 15.

334 Saresella, Cattolici a sinistra, cit., p. 161 e sgg.

335 «I cattolici preferivano l’azione agli equilibrismi del potere, mostrando analogie con la pratica

della Teologia della liberazione, alla quale molti guardavano con interesse»: ivi, p. 172.

336 Giovagnoli, Cattolici e politica, cit., pp. 203-4.

337 Sul concetto di “bene comune” come luogo d’incontro tra diversi ideali in un «comune credo

umano» (riprendendo Maritain) e del «diritto cosmopolitico» degli individui di matrice kantiana, si veda De Giorgi, L’istruzione come bene comune, cit., pp. 9-10.

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dalle peggiori derive che avevano caratterizzato il decennio appena concluso; oppure, al contrario, per utilizzarle contro il governo e gli organismi che avrebbero dovuto coadiuvarle, come gli Irrsae, “colpevoli” di non averle sostenute338.

Pochi sembravano interrogarsi sul significato concreto che le esperienze sperimentali in atto avevano intanto assunto. D’altronde, in realtà ad essere in questione erano le convinzioni da cui erano scaturite, disegnandone l’impianto generale: e, nella nuova fase di ricerca di nuovi modelli di governance della scuola che si stava sviluppando, anche la sperimentazione poteva acquisire un altro valore. Lo sottolineò Luciano Benadusi, per il quale il rapporto tra riforma e sperimentazione era stato fin dall’inizio «sostanzialmente scorretto», acquisendo di fatto il valore di «mera legittimazione politica di una riforma generale» oppure, più spesso, dissolvendosi «senza lasciare traccia dietro di sé»339. Ciò che

andava fatto, invece, era reimpostare il processo sperimentale sulla linea dell’innovazione, intendendo questa come «ricomposizione tra riforma e sperimentazione».

Su questo punto sembrò esserci sufficiente accordo. Un po’ per tutti la sperimentazione lasciata all’iniziativa dei singoli istituti non aveva funzionato e, anzi, aveva dimostrato tutti i suoi limiti fallendo il suo obiettivo principale: sviluppare modelli ordinamentali realmente generalizzabili all’intero sistema scolastico. Si era invece di fronte ormai alla frammentazione della struttura ordinamentale voluta da Gentile, per effetto di un processo che si era diffuso seguendo pericolosamente le fratture storiche dello sviluppo italiano.

Lo dimostrarono anche i dati ufficiali sullo stato delle sperimentazioni agli albori degli anni Ottanta, che possiamo ricavare da due pubblicazioni degli «Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione» curate dalle Direzioni Generali per l’istruzione liceale e tecnica, uscite nel 1984 per fare il punto sullo stato della sperimentazione nei propri

338 La redazione di «Scuola e città» lamentò il mancato avvio degli Irrsae, consigliando alle forze

politiche di riprendere la discussione sulla riforma e di fare una «leggina» per «la sperimentazione delle ipotesi di fondo riproposte alla discussione parlamentare, secondo un piano che ne preveda l’incentivazione in modo tale da evitare ogni tipo di sperequazione, da collegarla a piani distrettuali e regionali, da impegnarvi adeguatamente gli IRRSAE, anche in fatto di aggiornamento degli insegnanti, da assicurare un ragionevole finanziamento ed un serio controllo a livello nazionale, tramite una commissione di esperti impegnati a pieno tempo»: Né assurda né impossibile, cit.; un parere simile lo espresse anche «Tuttoscuola»: F. Santonocito, Come si potrebbe sperimentare oggi, «Tuttoscuola», 118, 1 aprile 1981, 7.

339 L. Benadusi, Riforma della secondaria: le ragioni del consenso e del dissenso, «Scuola democratica», 3-4,

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specifici settori340. Da esse risultò che nell’a.s. 1981-82 erano attivi 358 progetti

sperimentali: di essi, ben 191 erano nel Nord del paese mentre il Mezzogiorno ne contava una cinquantina al massimo. Il grande divario stava lì a dimostrare l’evidenza: nonostante l’avvicinamento complessivo tra le diverse zone del paese avvenuto nel ventennio precedente, le “tare” originarie che avevano fatto della questione meridionale il centro delle politiche di sviluppo del dopoguerra non erano scomparse, anzi. Come ha scritto Emanuele Felice,

La crescita esogena basata su grandi impianti industriali, e sull’illusione che il Sud potesse essere cambiato «dall’alto» senza preventivamente modificare «dal basso» la sua struttura sociale e la sua vita civile, non solo non riesce a risolvere i problemi che si credeva - per quella via - di poter eludere, ma, al contrario, probabilmente li acutizza. Quando la crescita economica si arresta, le dinamiche regressive riprendono terreno in molti campi della sfera sociale341

Sfuggirono alla visuale dell’epoca dinamiche di sviluppo che proprio allora cominciarono ad essere studiate come quelle che stavano generando i “distretti industriali”342: l’impianto

interpretativo generale rimase quello che aveva guidato le politiche di sviluppo fino ad allora, incentrato sul tradizionale dualismo del paese, che identificava nel Mezzogiorno un’area tutto sommato omogenea su cui operare.

La sensazione di aver perso un’occasione storica fu amplificata dal pesante clima sociale e politico che contraddistinse l’inizio del decennio: fu in questo quadro che l’Amministrazione scolastica decise di riprendere in mano il processo sperimentale. Come ha scritto in occasione del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia Sergio Scala, funzionario del ministero per quarant’anni, «la parola d’ordine degli anni Ottanta» divenne «quella di concentrarsi sul governo e sul controllo dei processi sperimentali come modo per ammodernare e riformare la scuola superiore per via amministrativa e non parlamentare»343.

340 Ministero della Pubblica Istruzione, Una nuova metodologia nella formazione tecnica, «Studi e

documenti degli Annali della Pubblica Istruzione», 29, 1984 e Id, L’istruzione classica scientifica e

magistrale in Italia, Ivi, 30, 1984.

341 Felice, Divari regionali e intervento pubblico, cit., p.

342 A cominciare da A. Bagnasco, Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo italiano, Bologna,

Il Mulino, 1977.

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Paiono allora giustificate le accuse mosse allora sull’utilizzo scorretto che fu fatto del concetto di “sperimentazione” dai governi e dalle forze politiche della maggioranza. Che si trattasse di una strategia strumentale interna all’«ostruzionismo della maggioranza», oppure di un sintomo dell’inefficienza nelle metodologie e nelle strumentazioni di analisi e intervento, su cui più di una voce aveva richiamato l’attenzione nel corso degli anni, resta il fatto che il processo sperimentale nel complesso può a ragione essere considerato una peculiare via italiana al rinnovamento della scuola alternativa alla riforma. Certamente, lo snodo che si stava allora attraversando contribuì a rendere più vera quest’ultima affermazione: se ne rese conto nel 1990 il Censis che, nel suo rapporto annuale sulla situazione sociale del paese, identificò nel decennio appena passato il momento in cui si era evidenziato «un mutamento significativo della sperimentazione» sorta negli anni Settanta:

Quella che in origine era nata come un segnale di vitalità da parte delle periferie, che avvertivano il rischio di scollamento tra la realtà sociale e culturale e i programmi formali mai riformati, si è gradualmente trasformata in canale privilegiato per anticipare vere e proprie “riforme di fatto”344.

È bene sottolineare ancora una volta che non si trattò di un processo lineare e progressivo. L’intrecciarsi della spinta locale e dell’intenzionalità del legislatore e dell’amministratore – l’«ellisse» del sistema educativo, per usare l’immagine di Pruneri345

- continuò a caratterizzare i fenomeni sperimentali e, probabilmente, va considerata una caratteristica ineliminabile dei processi educativi. Ciò nonostante, il particolare approccio con cui l’Amministrazione scolastica - e le Direzioni generali in primis – si gettarono nel campo della sperimentazione agli inizi del decennio, può essere considerato uno snodo importante di quella trasformazione descritta dal Censis.

In realtà, fino a quando i fondi del ministero della Pubblica Istruzione (e in particolare quelli delle Direzioni generali, dell’Ufficio Studi e Programmazione e del Comitato tecnico per la sperimentazione) non saranno disponibili alla consultazione, l’indagine non potrà che fermarsi ad un livello di analisi, per dire così, fenomenologico dell’intenzionalità del Ministero, nonostante gli studi prodotti dal ministero e dai suoi funzionari sembrino confermare una certa consapevolezza del proprio agire.

344 Censis, XXIV Rapporto 1990 sulla situazione sociale del paese, Milano, Franco Angeli, 1990, p. 105. 345 Pruneri (a cura di), Il cerchio e l’ellisse, cit.

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Come abbiamo visto, la crisi di fine decennio innescò un generale ripensamento delle forme della governance politica e amministrativa, e il sistema scolastico non fece eccezione: annoiate dai “giochetti” della politica, e infastidite dalla generosità troppo spesso caotica dimostrata dagli operatori scolastici impegnati fino ad allora nelle sperimentazioni, le Direzioni generali decisero di chiudere il periodo di «libertà vigilata» concesso alle scuole con l’emanazione dei decreti delegati346.

Non che fino ad allora la vigilanza fosse stata “morbida”. Lo abbiamo visto: Come abbiamo visto, però, le maglie di tale libertà vigilata furono in realtà fin dall’inizio assai strette.

Nel corso di tutti gli anni Settanta gli istituti sperimentali soffrirono il rapporto con un ministero che si rendeva reperibile solo per questioni burocratiche e normative, ostacolando il lavoro portato avanti dalle sperimentazioni ed evidenziando le difficoltà di lungo periodo dell’amministrazione scolastica a fidarsi dell’azione spontanea. Ma proprio gli anni di esperienza avevano dimostrato anche alle Direzioni generali che il primo problema riscontrato con le sperimentazioni era quello dei piani di studio, che troppo spesso uscivano dalle indicazioni ministeriali: una tendenza che comprometteva il ruolo del ministero come custode del valore legale dei titoli di studio.

All’impostazione di una nuova strategia del ministero contribuì anche un ricambio ai vertici delle Direzioni che, in linea con quanto successo per i responsabili delle politiche scolastiche dei principali partiti, portò in campo nuove energie e diverse visioni riformatrici rispetto a quelle che avevano contraddistinto il decennio precedente, anche se ancora legate ad una visione tradizionale del funzionario statale e dei compiti dell’Amministrazione scolastica.

Con Valitutti ministro nel ‘79 divenne Direttore generale per l’istruzione liceale Romano Cammarata. Nato in Sardegna da famiglia siciliana, funzionario di lungo corso nel ministero, Cammarata aveva vissuto anche un’esperienza “politica”, entrando a far parte dell’Ufficio scuola del Pri, scelto – pare - più per la sua «laica inclinazione naturale» che per una salda posizione politica347: con l’arrivo a Trastevere dei primi ministri

346 Così definisce il periodo il già citato Scala: una «sorta di ‘libertà vigilata’ che nel mentre faceva

originalmente perno su proposte innovative provenienti dall’interno del sistema e non calate dall’alto, magari con la compartecipazione culturale e propositiva delle Università, subordinava l’effettiva attuazione dei progetti elaborati all’autorità ministeriale». Scala, Storia d’Italia attraverso

l’istruzione, cit., p. 98.

347 Allo stesso tempo, come sembrano confermare le fonti e le testimonianze raccolte negli istituti

stessi, egli rimase in fondo convinto che le riforme scolastiche fossero da sempre di competenza delle Direzioni generali.

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dell’istruzione laici della storia repubblicana (Spadolini e Valitutti), concluse quindi il suo percorso professionale alla guida della Direzione generale Istruzione Classica, a cui impresse subito nuovi connotati. A quanto pare, egli fu tra i primi «a riconoscere l’importanza dell’informatica per sveltire e razionalizzare i processi amministrativi», pur rimanendo nel profondo «un (moderno) “licealista”»348.

Nella Direzione generale istruzione tecnica, invece, al vecchio Direttore generale Guido D’Aniello era subentrato quell’Emanuele Caruso che legherà il ricordo del suo operato all’elaborazione della strategia dei “progetti assistiti” e che aveva maturato le sue convinzioni sulla sperimentazione operando come ispettore centrale del ministero nella seconda metà degli anni Settanta, entrando in contatto con istituti tecnici sperimentali come il Cobianchi del preside Rattazzi349.

Con questi nuovi protagonisti, e nel clima generale che abbiamo fin qui descritto, le Direzioni generali cominciarono un intenso lavoro di raccolta dati sull’esistente e di scambio di informazioni attraverso seminari, studi, ecc350.

Fu lo stesso Cammarata, in accordo con Caruso, a promuovere fin dal ‘79 incontri periodici con i presidi degli istituti sperimentali: incontri che dovevano servire per risolvere le molte questioni sollevate dalle sperimentazioni, tra cui anche quelle inerenti agli esami di maturità sperimentali e alla formazione di apposite commissioni d’esame351.

Al di là della formalità delle occasioni, essi rappresentarono comunque momenti di

348 Ivi.

349 Intervista a Ettore Perelli, Verbania, 20 dicembre 2018.

350 Come l’indagine effettuata nell’a.s. 1979-80 dal Centro nazionale italiano tecnologie educative

(Cnite) sul profitto scolastico nelle scuole secondarie superiori sperimentali, fatta pubblicare dal ministero su «Documentazione educativa», o l’incontro di studio promosso nel gennaio del 1982 dal Comitato nazionale per i problemi della popolazione e organizzato dall’Ufficio Studi e Programmazione del Ministero della P.I.: Indagine sul profitto scolastico nelle scuole secondarie superiori

sperimentali, «La documentazione educativa», 1 (serie quarta), aprile 1981; Ministero della Pubblica

Istruzione, Evoluzione demografica e sistema scolastico. Problemi e prospettive, «Studi e documenti degli Annali della P.I.», 21, 1982. Il Cnite, fondato da Visalberghi, era allora presieduto dal professor Mauro Laeng.

351 Ufficio Studi e Programmazione del Ministero della P.I., Calendario riunioni presidi e professori

Esami di maturità sperimentale 1979/80, 8 marzo 1980, ASI-IRRE Molise, b. “Progetti sperimentali,

comunicazioni, circolari (1980-1982)”, fasc. “sperimentazione. Note, documenti, circolari. Cartella 1/SPE” (d’ora in avanti 1980-1982, Sperimentazione 1/SPE). In un altro fascicolo della stessa busta è conservato materiale vario (appunti, invito, ecc.) su un incontro analogo svoltosi a Montecatini Terme (PT) dal 3 al 6 marzo del 1982: ivi, fasc. “sperimentazioni + circolare mensile 1982”.

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confronto e conoscenza tra esperienze che, altrimenti, raramente riuscivano a conoscersi e interagire.

Allo stesso tempo furono organizzati seminari insieme alle associazioni professionali, per definire singoli indirizzi ormai ampiamente sperimentati e le relative figure professionali da essi formate: come quello biologico-sanitario, lo psicopedagogico, il linguistico, scienze delle costruzioni e del territorio, elettronico ed elettrotecnico, informatico, economico-aziendale, meccanico, ecc.

Per favorire la diffusione di dati e informazioni sulle sperimentazioni - e per ricondurre ad un certo ordine il processo sperimentale - si cercò di rendere operativi e funzionali gli Irrsae. Istituiti con i decreti delegati, tali enti entrarono in funzione soltanto alla fine del marzo 1979, e subito suscitarono polemiche. Pesò la questione del rapporto pubblico- privato acceso dall’avvio del dibattito sulla revisione del Concordato, e incentrato sulla scelta dei criteri in base a cui decidere con quali scuole avrebbero dovuto rapportarsi i nuovi enti per promuovere le iniziative di sperimentazione, di aggiornamento e di organizzazione della documentazione e dell’informazione che competevano loro per legge. Solo con le scuole statali? Oppure anche le private andavano considerate facenti parte del sistema?

Molti all’interno del fronte laico temettero che il governo volesse sfruttare i nuovi enti per l’ennesima svolta centralistica, funzionale alla tradizionale «politica pro scuole private» portata avanti dalla Dc e dagli ambienti più tradizionali e oltranzisti del Vaticano352.

Secondo Santoni Rugiu, ad esempio, la Dc aveva sempre «giocato di fino»: a cominciare proprio dalla natura compromissoria dei decreti delegati e in particolare del DPR 419, in cui si faceva riferimento alla scuola in generale, senza specificare “statale”. Ora poi, che i mutati equilibri politici del paese avevano portato maggioranze cattoliche anche all’interno dei distretti scolastici e dei consigli scolastici provinciali, guarda caso venivano infine resi operativi anche gli Irrsae. In Toscana, continuava il pedagogista, ciò aveva portato addirittura alle dimissioni di una parte del Consiglio direttivo dell’Irrsae locale,

352 Così Santoni Rugiu, per il quale i cinque anni trascorsi dall’emanazione dei decreti delegati ne

erano la prova inconfutabile: A. Santoni Rugiu, La scuola privata, gli Irrsae e la “Scuola italiana”, «Scuola e città», 4, aprile 1980, pp. 160 e sgg. Si veda anche T. Marradi, Gli I.R.R.S.A.E. e gli

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segnale del nuovo clima che si respirava a livello nazionale353: in fondo, non era proprio

quello il luogo da cui stava partendo «il rilancio di un nuovo integralismo, auspice il card. Benelli, nel campo della scuola, come in quello dell’assistenza pubblica, dei beni culturali, dell’aborto?» 354.

Per quanto il problema potesse essere grave non tanto in sé, quanto come precedente esportabile in altri settori355, il dibattito, appiattito sulle vecchie logiche dello scontro tra

laici e cattolici, non aiutò a cogliere un punto essenziale: la percezione sempre più diffusa dell’istruzione come “servizio” annacquava agli occhi degli studenti e dei loro genitori le differenze tra pubblico e privato di fronte alla necessità di un titolo di studio realmente spendibile sul mercato del lavoro. La crescente attenzione e apprezzamento di famiglie e studenti per la scuola privata segnalata da «Tuttoscuola» agli inizi del decennio, ad esempio, era messa in correlazione alla necessità di intraprendere percorsi di studio in linea con i mutamenti del mercato del lavoro, cercando nel settore privato ciò che nel pubblico risultava assente. E d’altronde, «l’analisi qualitativa della domanda d’istruzione secondaria» rivelava quanto fosse forte nei giovani la necessità di frequentare una scuola «capace di far lavorare, possibilmente il giorno successivo a quello dell’esame di stato»: il pessimo stato delle scuole statali però, spinse molti giovani a cercare chance diverse in quelle private, che «non a caso» crebbero «proprio dove quella pubblica [era] più congestionata»356.

353 Alcuni consiglieri dell’Irrsae Toscano si erano dimessi per protesta contro la decisione presa

del Consiglio direttivo in merito alla possibilità di finanziare anche le scuole per l’infanzia private, almeno nei casi in cui il servizio statale fosse risultato assente o insufficiente, creando una frattura tra chi si considerò al servizio della scuola in genere e chi esclusivamente della statale. Su «Scuola e città» furono pubblicati il documento con cui il gruppo di minoranza del Consiglio spiegò le ragioni del loro gesto e la risposta del Presidente del Consiglio direttivo Mario Mencarelli, che volle riportare «alle giuste proporzioni» un fatto a suo parere decisamente «gonfiato»: i consiglieri dimissionari erano solo cinque, e non undici come era stato scritto; inoltre, si dichiarò stupito della loro scelta, visto che al dibattito per presentare lo Statuto dell’Irrsae nessuno aveva sollevato il problema. Dimissioni al Consiglio direttivo dell’Irrsae toscano, «Scuola e città», 2, febbraio 1980, p. 90; M. Mencarelli, A proposito di dimissioni al Consiglio direttivo dell’Irrsae Toscana, ivi, 6-7, giugno-luglio 1980, p. 314.

354 Santoni Rugiu, La scuola privata, gli Irrsae, cit., p. 162. Il cardinale Benelli aveva sostituito nel

1977 il predecessore Florit, che già aveva avuto modo di scontrarsi con la comunità cattolica dell’Isolotto, per l’allontanamento del loro parroco, don Mazzi.

355 «Può darsi che alla scuola privata arriverebbe poco del poco: non per questo sarebbe meno

allarmante il positivo collaudo di un modello che domani può essere applicato ad altri campi, non solo scolastici»: Ivi.

356 Spinaci, Perché ho scelto di diventare perito, cit., p. 20. Stesso discorso vale per la diffusione di

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Ma non solo i cattolici risultarono aperti verso un’apertura alla scuola privata: un convegno organizzato a Roma dal circolo “Anna Kuliscioff” - espressione del Psdi-Uil scuola - documentò un’attenzione diversa di una parte almeno del mondo laico nei confronti delle scuole private e del ruolo che esse avrebbero potuto giocare all’interno di un sistema educativo rinnovato357. Non è un caso che in questo clima, accanto al progetto

di riforma della secondaria in discussione, la Dc decidesse di “forzare la mano” presentando una proposta di legge sulle scuole non statali che non ebbe però alcun seguito358.

L’esigenza di non basarsi su una concezione troppo rigida e limitata di servizio pubblico fu espressa, per l’appunto, anche dagli Irrsae, e non solo da quello toscano. Anche quello emiliano ricordò come i compiti dell’ente potessero essere portati avanti solo con l’appoggio di un fronte ampio: altrimenti le loro possibilità d’intervento e programmazione, come quelle delle stesse Regioni, avrebbero potuto risultare compromesse. Se le risorse economiche a disposizione diminuivano e la richiesta formativa dell’utenza si faceva sempre più differenziata e complessa, a fronte di una scuola superiore ancora non riformata e lontana dalle esigenze della società, rimanere in una logica strettamente binaria non avrebbe giovato a nessuno, e avrebbe reso più difficile «coinvolgere, in un quadro articolato e rispettoso delle diverse autonomie, tutte le potenzialità istituzionali della regione». Casomai, si auspicò il «superamento di una divisione storica fra scuola di Stato e contributo proveniente dai diversi Enti territoriali»,