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Un ministro decisionista

3. TRA STATO E CHIESA

Il movimento dell’’85 e la riforma amministrativa

Partiamo dal cosiddetto “movimento dell’’85”. La scintilla iniziale delle proteste fu l’innalzamento delle tasse universitarie (e in parte, anche di quelle delle superiori) previsto dalla nuova legge finanziaria approvata in febbraio: essa, a fronte della progressiva riduzione delle spese in istruzione che aveva caratterizzato le ultime finanziarie a cominciare dal «bagno di lacrime» imposto dai tagli alla spesa pubblica del 1983, prevedeva infatti un consistente rincaro delle tasse scolastiche e universitarie, con ricadute evidenti, a detta degli studenti stessi, sul «diritto allo studio» dei giovani446.

In realtà, più che un movimento vero e proprio fu un insieme di mobilitazioni studentesche, sorte in diversi contesti e su diverse tematiche, che trovarono un trait d’union nel sostegno alle proteste degli studenti del II Liceo artistico di Milano447, impegnati a

richiedere una sede adeguata, e nell’espandersi delle proteste degli studenti universitari: se nel mese di ottobre le agitazioni rimasero circoscritte a poche città448, a partire da

novembre la protesta si diffuse su tutto il territorio nazionale, anche se non raggiunse mai la capillarità che caratterizzò i movimenti studenteschi del ‘68 e degli anni Settanta449. In

novembre e dicembre furono organizzate anche mobilitazioni nazionali, che portarono

446 Una rivista della sezione universitaria di Dp parla di un aumento di non meno di 100.000 lire

a studente nelle scuole superiori, sommando tassa d’iscrizione e aumenti dei costi dei trasporti:

Essere giovani costa caro, «Contro. A cura della sezione universitaria di Dp», ottobre 1985, conservato

presso l’Archivio della Nuova Sinistra “Marco Pezzi” di Bologna, fondo Franco Fiore, b. 4 “Movimento studentesco Bologna 1983-1987”, fasc. 3 “Movimento studentesco Bologna 1985” (d’ora in avanti ANS Fiore, Bologna 1985).

447 Gli studenti del liceo artistico protestavano da inizio anno scolastico per ottenere una nuova

sede adeguata: il crescere dell’attenzione cittadina e del sostegno di altre scuole milanesi portarono già in ottobre alla creazione di un coordinamento scolastico cittadino: che si fece poi promotore delle successive mobilitazioni, cercando di raccordare le iniziative che intanto cominciarono ad emergere in varie parti d’Italia. Gli studenti del secondo liceo artistico, Mobilitazione degli studenti

milanesi per il liceo artistico II, volantino a stampa, ANS Fiore 1983-1987, fasc. 4 “Movimento

studentesco Milano 1985” (d’ora in avanti ANS Fiore 1983-1987, Milano 1985).

448 A Milano, Napoli e Bologna in particolare, a quanto risulta dalle cronache nazionali.

449 In generale, le mobilitazioni degli anni Ottanta non sembrano aver mai raggiunto la capillarità

delle proteste che seguirono il Sessantotto, concentrandosi nelle città principali, oppure ruotando intorno all’organizzazione di specifici eventi dal forte valore mediatico: come le marce della pace Perugia-Assisi; oppure la Marcia per il lavoro che, partita in due tronconi da Torino e da Palermo i primi di dicembre, si incontrò a Napoli per la manifestazione nazionale del 10 dicembre. Per la marcia del lavoro, si veda Pronta la “grande marcia” dei giovani, «Repubblica», 30 novembre 1985;

Migliaia in “marcia” per scuola e lavoro, ivi, 4 dicembre 1985; G. D’Avanzo, Dieci chilometri di giovani,

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in piazza fino a 200 mila giovani450. Con l’inizio del nuovo anno solare le agitazioni

ripresero ma, a parte brevi fiammate, esse persero via via forza, mentre il dibattito pubblico e politico veniva assorbito dalle polemiche sorte sulla questione dell’insegnamento della religione cattolica e dei rapporti tra scuola pubblica e privata, relegando nuovamente la voce degli studenti in un angolo del rinnovato dibattito che si ricreò intorno al tema della riforma delle superiori451.

Lasciando per ora da parte un’analisi approfondita del movimento dell’ ‘85, delle sue origini e delle forme assunte dalla partecipazione studentesca negli anni Ottanta, su cui tornerò nel capitolo successivo, va rilevato come la maggioranza dei media e del mondo politico si mostrasse da subito ben disposto verso una protesta che sembrava aver perso quell’alto grado di conflittualità che aveva caratterizzato i movimenti giovanili degli anni Settanta: il movimento ‘85, si diceva, aveva mostrato al contrario un’ottica «pragmatica» (o per qualcun altro «corporativa») del proprio ruolo di studenti, ben riassunta da una delle richieste principali dei giovani: «vogliamo una scuola che funzioni»452. Il movimento

veniva letto, cioè, attraverso la categoria della “crisi della scuola” e della sua perenne inadeguatezza a rispondere alle esigenze della società: come «Tuttoscuola», che tese a sottolineare il valore positivo di una protesta nata da un innalzamento delle tasse forse inevitabile ma sicuramente iniquo, soprattutto a fronte del servizio reso dall’università e dalla scuola superiore ai giovani. Valentino Spinaci, ad esempio, condusse un’analisi molto critica della finanziaria: gli errori fatti dal ministero sulle tabelle delle nuove tasse universitarie, alla base dei disordini studenteschi scoppiati nelle università, risultavano eccessivamente punitive per i fuori corso, a fronte di un servizio tutt’altro che impeccabile453. Mentre Fabrizio Ferragni, riportando una breve cronistoria del

450 Le mobilitazioni nazionali si svolsero il 9 e 16 novembre e il 12 dicembre: fu con la

manifestazione del 16 novembre in particolare che il movimento assurse all’attenzione nazionale, grazie alla grande copertura mediatica che fu data dell’evento. Cfr. F. Ferragni, La protesta: diagnosi

e terapia, «Tuttoscuola», 218-219, 4-20 dicembre 1985, pp. 5-6.

451 Lo rilevò con amarezza Alfredo Vinciguerra, tirando le somme di un anno scolastico partito

sotto i migliori auspici proprio per la sferzata di energia portata dal movimento dentro la scuola, e che invece si chiuse in quel giugno dell’86 «in una normalità dipinta di grigio», senza che le domande poste dai giovani avessero ottenuto risposte concrete dal governo e dai partiti: A. Vinciguerra, Un arrivederci malinconico, «Tuttoscuola», 226, 1° giugno 1986, p. 5.

452 G. Benedetti, Il Movimento degli studenti ha scelto la via pacifica, «Corriere della sera», 10 novembre

1985.

453 «Questa volta, è il caso di dirlo, i tagli alla Pubblica Istruzione hanno provocato più malumori

del solito. […] È giusto sfoltire il numero dei fannulloni che vegetano all’ombra delle città universitarie, ma non bisogna dimenticare che in quel 30% di iscritti che hanno superato i margini

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movimento dalle origini milanesi d’ottobre alle manifestazioni diffuse in tutta Italia di novembre, evidenziava come gli studenti in piazza («principalmente delle scuole superiori») protestassero per la carenza e la fatiscenza delle strutture e delle attrezzature, ma anche per un sistema formativo che sembrava offrire loro solo «incognite per il futuro inserimento nel mondo del lavoro». Se la manifestazione milanese del 9 ottobre s’era mossa per chiedere «una scuola che funzioni», a novembre la richiesta principale era stata la riforma della scuola superiore e, in generale, la necessità che l’istituzione potesse garantire «una più spiccata valenza professionale». In generale, e al netto del timore di strumentalizzazioni (da parte di sindacati e comunisti, ovviamente), andava sfruttata e valorizzata questa «ottima opportunità messa in gioco da questa ondata di interesse per la scuola e per quanto vi accade dentro quotidianamente»454.

La Cgil scuola e il Pci apparvero da subito interessati a rilanciare il tema della riforma delle superiori, approfittando dell’inaspettato ritorno alla partecipazione degli studenti. «Riforma della scuola» si occupò in modo approfondito del movimento nel numero di dicembre455. Soffermandosi sulle differenze con la stagione precedente - come il fermo

rifiuto della violenza e l’assenza di politica – Fabio Mussi, membro della direzione del Pci, tratteggiava il quadro di un movimento giovanile segnato da «un sentimento solidaristico carico di futuro», che rivendica, attraverso l’espressione «siamo solo studenti», «una condizione, un punto di vista», per paura di possibili strumentalizzazioni456. Lina Grossi e Patrizia Politelli sottolinearono la presenza di molti

docenti nelle piazze, per riappropriarsi della parola come i loro studenti; mentre Giancarlo Benzi, segretario nazionale della Cgil scuola, riportava sulla rivista la posizione del suo sindacato, che assisteva compiaciuto al risveglio della secondaria457. D’altronde, a

chi accusava gli studenti di portare avanti istanze apolitiche e attaccarsi «con le unghie alla concretezza», Mussi rispose che, da parte sua, trovava difficile

di tempo previsti dai piani di studio c’è un buon numero di studenti che non conosce cosa sia la pigrizia. Se poi si sostiene che prendere la laurea non deve necessariamente significare avere un posto di lavoro adeguato ma semplicemente possedere un arricchimento culturale non si capisce perché la cultura debba essere pagata così cara»: V. Spinaci, A suon di miliardi, «Tuttoscuola», 216- 217, 6-20 novembre 1985, p. 11.

454 F. Ferragni, La protesta: diagnosi e terapia, ivi, 218-219, 4-20 dicembre 1985, pp. 5-6. 455 «Riforma della scuola», 12, 1985.

456 F. Mussi, Studenti in prima pagina: otto punti per discutere, ivi, pp. 6-9.

457 L. Grossi, P. Politelli, Cahier de doléances di un insegnante imperfetto, ivi, p. 7; L. Benini (a cura di),

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sostenere che sia corporativo un movimento che pone al primo posto il problema del funzionamento e della modernità della scuola, ossia di una delle strutture di base da cui dipende la possibilità di innovazioni di

sistema, di un vero salto di qualità della società nazionale […]. Ciò che

hanno incontrato, gli attuali quindicenni, è una politica di degrado e di abbandono, un governo burocratico del sistema formativo, un impoverimento della scuola laica e pluralista dello Stato, una declassificazione culturale e scientifica, cui fa da stridente contrappunto l’enorme paradossale ritardo, dell’ordine ormai di un quarto di secolo, con cui ci si appresta alla riforma.

Anche Luciano Benadusi, in un lungo articolo su «Scuola democratica», mostrò di non trovarsi d’accordo con chi vedesse nella protesta di quei mesi la riprova dell’apoliticità di una generazione: generazione che sembrava in realtà «conoscere forme di partecipazione politica più estese, ancorché più saltuarie ed occasionali ed avere preferenze partitiche più a sinistra di quelle degli adulti e della stessa generazione del ‘68». Piuttosto, i giovani degli anni Ottanta vedevano nella scuola qualcos’altro rispetto ai propri coetanei del decennio precedente: una «combinazione di usi strumentali (rispetto al lavoro futuro) e di usi espressivi (di interessi cognitivi, estetici, affettivi ecc., a gratificazione immediata), che non è di per sé stessa contraddittoria, ancorché ponga problemi non semplici di equilibrio e di arbitraggio»458. L’allora rettore della Sapienza di Roma (e futuro ministro

dell’Università e della Ricerca), Antonio Ruberti, riconobbe alla protesta il merito di aver riportato «l’accento sui fini dell’istituzione e quindi sulla formazione», dopo anni in cui l’impegno politico era rimasto circoscritto «ai problemi interni ed in particolare sull’ immissione in ruolo e sulle carriere del personale», aprendo la strada «al recupero di una dimensione strategica per il dibattito ed il confronto politici»: un risultato «molto positivo del risveglio degli studenti»459.

Se i quotidiani nazionali non si fecero sfuggire l’opportunità di seguire quel risveglio, preferendo però la ricerca dello scoop e dei temibili «autonomi» all’analisi460, la stessa

458 L. Benadusi, Movimento dell’85: un contributo all’analisi, «Scuola democratica», 1, gennaio 1986,

pp. 129-34.

459 A. Ruberti, Il risveglio degli studenti, «Repubblica», 18 gennaio 1986.

460 Il «Corriere della Sera», ad esempio, apparve molto interessato ad evidenziare le forme

pacifiche assunte da quel nuovo movimento ma, allo stesso tempo, sottolineò la presenza di «infiltrazioni» di autonomi o radicali (anche di destra) ogni qualvolta si presentavano casi di tensioni o scontri: un aspetto particolarmente evidente nell’edizione locale, che affidò la cronaca del movimento milanese ad Augusto Pozzoli, di cui segnalo Gli universitari estromessi dal

coordinamento degli studenti, «Corriere della sera», 21 novembre 1985, e Più contestatori che studenti al convegno sul «Movimento 85», ivi, 8 dicembre 1985. Ma anche «Repubblica» non nascose paure per

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sinistra radicale - o antagonista, che dir si voglia - stentò a comprendere un movimento che rifuggiva dalle categorie sociopolitiche del decennio precedente, come vedremo meglio nel capitolo successivo. Le uniche formazioni a schierarsi apertamente contro il movimento furono però il Movimento popolare e Comunione e liberazione. La mattina del 14 dicembre, giorno in cui venne poi firmata l’Intesa sull’insegnamento della religione, si tenne ad esempio al Cnr di Roma un convegno dal titolo polemico – “Non di sole aule vive la scuola” – in cui i ragazzi del movimento furono «effettivamente molto strapazzati»: Cl in particolare, abituata ad avere la «leadership» nelle scuole, si trovò infatti «del tutto spiazzata dal Movimento al quale non ha voluto aderire e che ora bolla con accenti piuttosto sprezzanti»461.

Di questo clima tentò di approfittarsi la Falcucci, per rilanciare la sua linea di politica scolastica. Tra gli ultimi mesi del 1985 e la fine del suo ministero, il ministro delineò una sorta di strategia della riforma «a blocchi», come la definì Vinciguerra462 (o «strisciante»,

come preferirono chiamarla i detrattori)463. Erede in un certo senso della politica dei

“piccoli passi” teorizzata da Valitutti nel 1979, essa prevedeva «un grappolo di provvedimenti specifici per la secondaria superiore», accompagnato da «una legge-quadro di riforma globale imperniata su pochi articoli condivisi però da tutti» e anticipati nei fatti da provvedimenti amministrativi che ne influenzassero la realizzazione464. Fu in questo

contesto, cioè, che prese forma concreta la via “amministrativa” alla riforma, poi formalizzata nel 1990 alla Conferenza nazionale sulla scuola: una strategia di superamento dell’impasse parlamentare in grado di apportare al sistema scolastico italiano le modifiche necessarie a proiettare il paese in un’ottica europea, impiantando un modello di sistema

formativo integrato465.

contrario, di aver imparato la lezione della nonviolenza. Cfr. N. Colajanni, Dopo Torino, «Repubblica», 5 dicembre 1985 e V. Barenghi, “Vogliamo fatti non parole”, ivi, 14 dicembre 1985.

461 R. Be., Con ministri e cardinali Cl all’attacco, «Repubblica», 15 dicembre 1985. 462 A. Vinciguerra, La riforma “a blocchi”, «Tuttoscuola», 221, 5 febbraio 1986, p. 5.

463 R. Della Sbarba, Superiori: in arrivo una strana riforma strisciante..., «Il Tirreno», 19 novembre 1986.

La pubblicistica specializzata comunista usava l’espressione “riforma strisciante” per lo meno dai tempi di Malfatti, indicando con essa proprio l’utilizzo che il partito di maggioranza volle fare della sperimentazione del biennio unitario: si veda ad esempio F. Zappa, Da Misasi a Malfatti, «Riforma della scuola», 5, maggio 1975, pp. 4-7.

464 Vinciguerra, La riforma “a blocchi”, cit.

465 Lo stesso Luigi Berlinguer, ministro dell’istruzione dal maggio del 1996 fino all’aprile del 2000,

partì dai risultati della Conferenza nazionale sulla scuola per l’elaborazione della sua riforma, come evidenziò il rapporto da lui predisposto per l’esame delle politiche scolastiche italiane

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La Falcucci aveva indirizzato una lettera ai presidi e docenti di scuola secondaria già nel settembre del 1985 nella quale si indicavano come obiettivi prioritari d’azione la riqualificazione del personale docente e l’innovazione didattica466. L’uso della lettera non

era nuovo e sembra caratterizzare un certo stile del ministro, sempre propensa ad utilizzare tale mezzo (anche attraverso la stampa nazionale) per rispondere a critiche o per illustrare i suoi propositi467. Nel proporre questi due rimedi, la Falcucci cercò di

trasportare sul piano della secondaria la strategia che si stava adottando per la scuola elementare e, in campo universitario, per la formazione dei futuri maestri.

Il mese successivo, mentre nelle scuole superiori iniziavano le mobilitazioni studentesche, la Falcucci annunciò alla presidenza del Consiglio dei ministri di voler preparare quel disegno di legge sugli spostamenti del personale docente che, intanto, aveva già tentato di attuare tramite circolari. Tale provvedimento prevedeva, tra le altre cose, di dare personalità giuridica a tutti gli istituti secondari superiori, all’epoca appannaggio solo degli istituti tecnici e professionali: cominciava ad emergere il tema dell’autonomia scolastica468.

Infine, nel pieno della bufera per la firma dell’Intesa sull’insegnamento della religione cattolica, cominciò ad elaborare un piano di riforma delle superiori che passasse dalla decretazione di nuovi programmi per il biennio – sull’esempio di quanto fatto per la scuola elementare – e dall’elevamento dell’obbligo scolastico a 16 anni469. Secondo il

sempre entusiasta Vinciguerra, il provvedimento messo in cantiere sui programmi delle superiori avrebbe finalmente modificato «l’assetto a “canne d’organo” della secondaria»

effettuata dall’OCSE nel 1998: Ministero della Pubblica Istruzione (a cura di), Rapporto di base sulla

politica scolastica italiana, Roma, 1998, pp. 15-8.

466 v. ba. (Vanna Barenghi), La Falcucci fa dietrofront adesso chiede più fantasia, «la Repubblica», 10

dicembre 1985 e F. Falcucci, Priorità all’aggiornamento, «Tuttoscuola», 220, 15 gennaio 1986, pp. 5- 7.

467 Ad esempio, nel 1983 aveva risposto con tono decisamente “piccato” ad un articolo del

«Corriere della sera» a firma di Adriano Baglivo, critico sulla situazione scolastica a Pozzuoli dopo il terremoto e le presunte lentezze dell’Amministrazione: F. Falcucci, La scuola a Pozzuoli, «Corriere della sera», 22 ottobre 1983.

468 F. Falcucci, Nota per l’Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio dei ministri, ASE, Falcucci, b.1,

fasc. 1.

469 A. Vinciguerra, La riforma “a blocchi”, «Tuttoscuola», 221, 5 febbraio 1986, p. 5; F. Falcucci, Atti

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e promosso la sua «sostanziale unificazione», scavalcando un Parlamento che in più di un decennio aveva affossato qualunque progetto di riforma, globale o parziale che fosse470.

Anche il CNPI sembrò apprezzare l’approccio “amministrativo” della Falcucci, come mostrò nei primi mesi dell’anno successivo il parere sostanzialmente favorevole al provvedimento sui programmi del biennio471. Al contrario, l’Uciim espresse forti dubbi

sulla riforma “a blocchi” perché, in mancanza di una legge quadro che delimitasse per lo meno gli obiettivi generali e le metodologie da attuare, lasciava nelle mani del ministero troppo potere discrezionale472.

Torniamo ora al tema dell’ora di religione. Le lunghe trattative che portarono alla firma del nuovo Concordato tra Stato e Chiesa nel febbraio del 1984 costituirono un ulteriore successo per Craxi473. L’evento in sé, in realtà, potrebbe essere annoverato come un

successo storico del fronte laico: con il nuovo accordo, infatti, la religione cattolica cessava di essere «fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica» per diventare una scelta libera e facoltativa per gli studenti e le loro famiglie; scelta che lo Stato avrebbe comunque continuato ad assicurare474.

470 A. Vinciguerra, La riforma dei programmi, «Tuttoscuola», 229, 15 ottobre 1986, p. 4. Il progetto

prevedeva un biennio di 36 ore settimanali (da 50 minuti l’una), di cui 26 di materie comuni (5 di italiano, 3 di lingua straniera, 2 di storia, 3 di educazione civica, giuridica ed economica, 4 di matematica e informatica, 3 di fisica, 3 di scienze, 2 di educazione fisica, 1 di religione); le altre 10 ore d’indirizzo, avrebbero costituito il lasciapassare per il corrispettivo triennio. R.T., L’alba

del biennio, «Tuttoscuola», 229, 15 ottobre 1986, p. 5.

471 A. Vinciguerra, Puntare ancora sui nuovi programmi, «Tuttoscuola», 235, 2 marzo 1987, p. 5. 472 F.S., Ci vuole una legge quadro, «Tuttoscuola», 229, 15 ottobre 1986, p. 11. D’altro canto, l’ex

responsabile della sezione scuola del Psi Giunio Luzzatto, introducendo un dossier sullo stato della sperimentazione pubblicato su «Scuola democratica» nel 1985, avvertiva quanto l’associazione cattolica a suo parere fosse favorevole all’autonomia sperimentale perché in essa vedeva il «surrogato» meglio controllabile di una riforma in realtà da sempre «sgradita»: G. Luzzatto, Introduzione, «Scuola democratica», 2, aprile-giugno 1985, pp. 12-4.

473 Le trattative erano iniziate nel 1976, riaprendo il dibattito sul ruolo dell’istruzione religiosa

nell’istruzione pubblica: per un quadro del tema si veda L. Pazzaglia, I cattolici e la scuola pubblica

tra conflitti e partecipazione, in A. Melloni (a cura di), Cristiani d’Italia. Chiese, Stato e società, 1861-2011,

Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 2011, pp. 685-700 e Id.,

L’insegnamento della religione nei dibattiti culturali e pedagogici dall’ultimo governo Moro alla revisione concordataria (1974-1984), in L. Caimi, G. Vian, La religione istruita. Nella scuola e nella cultura dell’Italia contemporanea, Brescia, Morcelliana, 2012, pp. 251-82.

474 Legge n. 121 del 25 marzo 1985 Ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a

Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.

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Proprio sul come continuare ad assicurarla, e quindi sulle disposizioni che avrebbero dovuto normare e regolare tale diritto, però, si scatenarono profonde polemiche che finirono per coinvolgere anche gli stessi istituti scolastici e la società civile. La scintilla fu data dal comportamento del ministro Falcucci, che in punta di piedi e senza renderne conto prima in Parlamento, firmò con il cardinale Poletti nel dicembre dell’’85 l’Intesa sull’insegnamento della religione cattolica, scatenando le proteste del fronte laico, ma non solo475.

Non è compito del presente lavoro entrare nel merito del dibattito sull’insegnamento della religione che aveva accompagnato le trattative per il nuovo Concordato, né seguirne gli ulteriori sviluppi e le successive polemiche fino alla sentenza con cui la Corte costituzionale tentò di porre fine alla questione nel 1989476. Sui contrasti che

accompagnarono tali eventi, iscrivibili per lo più nel tradizionale scontro tra laici e cattolici sulla questione dei rapporti pubblico-privato nella scuola che percorre tutta la storia unitaria, non furono estranei malumori presenti anche nella galassia cattolica per una trattativa portata avanti esclusivamente «da una élite all’interno della Chiesa, e in