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3. Il patrimonio degli arch

Le tecnologie digitali hanno avuto un notevole impatto su musei, biblioteche ed archivi spingendoli a dover ripensare completamente il loro ruolo e le loro funzioni. Secondo Ian Ruthven e Gobinda Chowdhury (2015), le tecnologie “hanno offerto nuove opportunità per la creazione di riproduzioni digitali il cui accesso è possibile da qualsiasi parte del mondo e senza causare alcun danno fisico”; i musei e le istituzioni culturali dedite alla conservazione del materiale documentario hanno infatti investito notevoli risorse nella digitalizzazione e, forse proprio grazie al cambiamento di prospettiva che ha investito tutto il vasto campo del Cultural Heritage, nella divulgazione del materiale digitalizzato. Sono infatti comparsi negli ultimi due decenni, contestualmente alla nascita ed alla diffusione di internet, moltissimi contenuti digitali accessibili online -liberamente o a pagamento- presenti sia in portali di specifica proprietà del museo o dell’istituzione di riferimento, sia in piattaforme di aggregazione di archivi diversi. Se quindi, la digitalizzazione delle proprie collezioni rappresenta un’attività propedeutica all’utilizzo di soluzioni tecnologiche dedicate alla fruizione, questa arricchisce gli archivi digitali1 ossia il “luogo” dove questi oggetti culturali digitali sono custoditi.

Si individua a questo punto la necessità di chiarire cosa sia un archivio: la parola si è nel tempo consolidata in una triplice accezione, quella di

3.1 La rivoluzione dell’archivio

2 Gli archivi sono tradizionalmente il terreno metodologico della storia, più recentemente sono diventati lo sfondo concettuale ed analitico di una serie di discipline rendendo i termini “archivio” e “archivi” notevolmente elastici. Ora sono delle parole chiave utilizzate in tantissimi domini disciplinari. Gli studiosi trattano “l’archivio” in riferimento a luoghi, istituzioni, collezioni, pratiche, tracce, metodologie, principi organizzativi, reti di informazione e quadri teorici. Questa “svolta archivistica” al di fuori del campo della storia in lettereratura si identifica in “Archival Turn” ( American Historical Association, 2015)

complesso documentario, il luogo dove viene conservato e l’istituzione dedita alla conservazione. Per archivio si intende quindi non solo il materiale o il luogo relativo all’istituzione archivistica, ma anche tutto ciò che è conservato da altre istituzioni, oggetti e/o informazioni opportunamente catalogati e strutturati in maniera tale da permetterne l’accesso.

Le tecnologie informatiche hanno provocato intensi cambiamenti anche nella scienza archivistica che potrebbero essere sintetizzati nel concetto di Archival Turn2 di cui gli studiosi di settore dibattono da circa trent’anni (Bearman, 1991, 1994, 1999; Cook, 1994; Duranti, 1997, 2001).

Nel 1994, ad esempio, Terry Cook, faceva riferimento all’uso diffuso dei computer come una “rivoluzione fondamentale” che avrebbe avuto forti conseguenze sulla “natura stessa della memoria collettiva della società”. Cook sostiene, infatti, che l’avvento dell’informatica ha richiesto un grande

cambiamento al ruolo dell’archivista: da creatore e custode delle “cose fisiche” ora è chiamato non solo a preservare ma soprattutto a dare un senso alle informazioni elettroniche in relazione al loro contesto, struttura e contenuto.

I termini principali presenti nella letteratura di riferimento risultano variegati: si parla di deposito digitale, in genere riconducibile al contenitore di informazioni e di documenti digitali di diversa natura (digital repository), di archivi digitali (digital archives) o di biblioteche digitali (digital

library). Si tratta di “un luogo” (a place of custody) dove memorizzare,

consentire l’accesso e conservare risorse digitali ed i relativi metadati che ne permettono la descrizione e la gestione.

La digitalizzazione delle collezioni conservate dai GLAMs ha consolidato la loro missione di divulgazione estendendone la presenza online e così, in Italia, ed in tanti altri paesi in particolare europei, si e` puntato alla costruzione di sistemi archivistici complessi. Come risultato si è ottenuto un variegato ecosistema di archivi che hanno l’intenzione di essere multidimensionali, dinamici, aperti, mirano a dare forma ad una vasta rete di riferimenti contestuali, connessioni storiche o concettuali con altre risorse culturali, anche attraverso l’interoperabilita` con altre banche dati, sviluppate in vari ambiti di ricerca e produzione culturale (Vitali, 2011). Lo scenario cui siamo di fronte è quello di un archivio vivo, animato

(Schnapp, 2013) che porta un cambiamento profondo di pratiche e priorità: l’attenzione infatti si sposta sull’accesso e sull’utilizzo del materiale digitalizzato da parte di un pubblico molto vasto: l’utente remoto.

La pubblicazione online degli archivi digitalizzati ha quindi messo in crisi la tradizionale concezione degli strumenti di ricerca in campo archivistico: trattandosi di materiali principalmente conosciuti e consultati da esperti ne era sufficiente una rappresentazione oggettiva, capace proprio per questo di rivolgersi ad un tipo di pubblico indifferenziato. Appare, invece, sempre più evidente che la pubblicazione online ha permesso l’accesso effettivo e potenziale ad un tipo di pubblico non specialistico, a specifiche tipologie di utenti alle quali dovrebbero corrispondere strumenti di ricerca appositamente progettati che tengano conto del loro background culturale, degli interessi e delle motivazioni che li muovono.

L’applicazione dell’informatica al mondo degli archivi fisici e alle collezioni di altre istituzioni ha dunque permesso che il tradizionale ruolo dell’archivio subisse due tipi di trasformazioni sostanziali: la

prima quantitativa, riguarda l’abbattimento dei vincoli spazio-temporali che permettono l’accesso a determinati tipi di informazioni in breve tempo e anche in remoto; la seconda invece è squisitamente culturale, dal momento che poter consultare gli archivi per via digitale modifica “le forme di produzione della conoscenza” (Vitali, 2011). La crescita degli

archivi digitali, infatti, incide enormemente sul modo in cui è possibile avvicinarsi al passato, esplorarlo, conoscerlo elaborarlo e trasmetterlo.

Sulla scia quindi della grande attenzione all’accesso e all’utilizzo al patrimonio culturale di cui abbiamo discusso nella parte 1, le attività di digitalizzazione e archiviazione si sono diffuse in maniera consistente non solo all’interno delle istituzioni ma soprattutto al di fuori di esse grazie all’iniziativa di molteplici soggetti pubblici e privati. Progressivamente

sono stati costruiti sistemi archivistici territoriali e nazionali, consultabili on line, alcuni dei quali permettono ricerche trasversali sulla documentazione, a prescindere dall’archivio, istituto o soggetto privato che la conserva.

Successivamente, precisamente nel primo decennio degli anni Duemila, sono nati progetti significativi relativi alle “reti di archivi” o a quelli

3 La definizione coniata da Roy Rosenzweig è stata fatta propria da molti autori, in molteplici circostanze

4 European Fashion Heritage Association è un aggregatore tematico per la moda storica Europea. www.fashionheritage.eu

5 Culturaitalia è l’aggregatore nazionale del patrimonio culturale italiano. www.culturitalia.it

6 Europeana è l’aggregatore multi- tematico del patrimonio culturale europeo. www.europeana.eu

che molti studiosi di archivistica definiscono “archivi inventati”3: gli aggregatori. Si tratta di una sorta di raccolta di materiale proveniente da diversi archivi sotto un unico portale, talvolta tematico4 (EFHA) o legato ad un contesto territoriale5 (Culturaitalia), talvolta multi-tematici come ad esempio Europeana6, esperienze delle quali approfondiremo lo studio nella parte successiva.

Ma qual è il significato degli archivi? nell’immaginario comune gli archivi sono luoghi in cui si custodiscono “cose vecchie”, spesso introvabili, impolverate e dimenticate; in realtà non sono rivolti al passato, ma

rappresentano essenzialmente una risorsa per il futuro. A questo

punto della ricerca per noi è ormai consolidato che se abbiamo conservato testimonianze del passato è per poterle non solo ricordare, ma soprattutto per poterle usare. In Archive Fever Jacques Derrida scriveva infatti che:

“The question of the archive is not, we repeat, a question of the past.[...] It is a question of the future, the question of the future itself, the question of a response, of a promise and of a responsibility for tomorrow. The archive: if we want to know what that will have meant, we will only know in times to come. Perhaps” (Derrida, 1995).

L’archivio non è quindi da intendersi come un catalogo, un magazzino o un museo ma è ciò che rende possibile la sopravvivenza dei documenti ed il fatto che questi si possano trasformare senza doverli sacrificare, l’archivio

digitalizzato rappresenta la possibilità di nuove aperture, di poter cercare nuovi significati o diversi utilizzi del materiale che custodisce.

L’archivio non è un luogo di conservazione e accumulazione, ma di produzione “non sono un punto di arrivo, un approdo, magari sereno, un rifugio e una garanzia, ma sono lo spazio instabile e insicuro di una continua creazione” (Zuliani, 2014).

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