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The Yellow Milkmaid: il caso della Lattaia gialla La reperibilità online di immagini relative al Cultural Heritage ha causato

THE INTERNET HAPPENED

3.2 The Yellow Milkmaid: il caso della Lattaia gialla La reperibilità online di immagini relative al Cultural Heritage ha causato

il comune fenomeno della difformità tra le riproduzioni digitali disponibili online, sia sui siti web appartenenti ai GLAMs, sia su siti non istituzionali7. Talvolta accade che sugli stessi portali dei GLAMs ci siano riproduzioni digitali della stessa opera con sostanziali differenze cromatiche, molte delle quali sono segnalate sul blog the yellow milkmaid sydrome8. Quella che in letteratura è identificata come “la sindrome della lattaia gialla” fa quindi riferimento all’evidenza aneddotica delle differenze tra le immagini disponibili online, che possono spingere chi le osserva ad avere dubbi su quale sia la versione originale.

La problematica ha origine proprio dalla Lattaia di Vermeer da cui prende il nome: durante una indagine interna il Rijksmuseum scoprì che ben diecimila siti web proponevano l’immagine della Lattaia, la maggior parte delle quali era sorprendentemente gialla rispetto all’originale (Verwayen et al, 2011). La presenza così diffusa dell’immagine gialla portò i visitatori del Rijksmuseum a mettere in dubbio l’autenticità di quella riportata sui prodotti in vendita presso lo shop del museo:

“people simply didn’t believe the postcards in our museum shop were showing the original painting. This was the trigger for us to put high-resolution images of the original work with open metadata on the web ourselves. Opening up our data is our best defence against the ‘yellow Milkmaid’.” (Dibbits, 2011)

Il caso della lattaia gialla è particolarmente significativo per aver spinto il museo olandese ad adottare ingenti cambiamenti nelle proprie politiche di gestione; il Rijksmueum infatti è stata la prima istituzione culturale europea (Verwayen et al, 2011) a cambiare radicalmente le sue politiche digitali. Durante il lungo periodo di chiusura per ristrutturazione (2005-2013), il museo ha infatti digitalizzato tutta la collezione e nel 2013 ha deciso di pubblicare online, con licenza CC0-public domain9, più di 200 mila immagini ad alta risoluzione tramite un portale denominato Rijksstudio, di fatto rappresentando una best practice di riferimento internazionale10.

Sarah Stierch, attiva sostenitrice del movimento Open Culture, ha dato vita al blog The Yellow Milkmaid Syndrome dove sono sia individuate che confrontate le varietà di versioni di una stessa opera che possono essere reperite online. Ciò a cui mira il blog è sostenere che quando una istituzione culturale non pubblica online le sue collezioni, oppure quando le riproduzioni sono di scarsa qualità in termini di risoluzione, è probabile che altre versioni dell’opera possano essere trovate altrove nel web. In questo scenario l’istituzione non ha alcun controllo sull’utilizzo dell’immagine. La strategia migliore per combattere il fenomeno, secondo la Stierch, è proprio quella adottata dal Rijksmuseum, ossia non “nascondere” le collezioni ma prenderne il controllo e pubblicare in Open Access, immagini di alta qualità. Quello che in questo quadro emerge è un problema relativo all’autenticità e all’autorevolezza dei contenuti veicolati tramite canali web.

La radice della scelta di molte istituzioni di mettere in Open Access le proprie collezioni, di “liberarle” risiede infatti nella volontà di offrire un contenuto autorevole e autentico.

>Fig. 2 Esempi delle diverse immagini reperibili online della Lattaia di Vermeer.

>Fig. 3 Sei differenti versioni dell’Autoritratto di Vincent Van Gogh (1889). L’Originale è conservato

nel Musèe d’Orsay. Public Domain.

>Fig. 5 Due differenti versioni di Composizione IX di Vassily Kandinsky (1936). L’Originale è

11 https://www. rijksmuseum.nl/en/ rijksstudio

12 Ad esempio sia lo Statens Museum for Kunst

di Copenhagen che il Metropolitan Museum di New York nominano Rijksstudio quando annunciano la decisione di pubblicare le proprie collezioni in Open Access. https://medium.com/ smk-open/open-access- can-never-be-bad-news- d33336aad382

13 Il Cultural Commons si riferisce a culture situate nel tempo e nello spazio - sia fisiche che virtuali - condivise ed espresse da una comunità. Un sistema di risorse intellettuali disponibili in una determinata area geografica o virtuale (Santagata et al. 2015)

14 Quando si condivide un oggetto materiale non lo si possiede più e non lo si può tutelare mentre invece in ambito digitale la condivisione crea un numero infinito di duplicati sempre condivisibili.

Rijksstudio

Rijksstudio11 è il portale attraverso il quale il Rijksmuseum mostra online le immagini in alta risoluzione della collezione digitalizzata. Il sito rappresenta una best practice internazionale per gli archivi e gli aggregatori di istituzioni appartenenti ai GLAMs. L’iniziativa del Rijksmuseum è diventata un baluardo del movimento Open Glams e citato come caso esemplare da tutte quelle istituzioni che hanno compiuto una scelta simile successivamente12.

Nel 2011 il museo ha pubblicato tutta la collezione online, con licenza CC-By SA ossia la licenza che ne permette il riuso ma con attribuzione. Nel 2013 la collezione del Rijksmuseum diventa di dominio pubblico e quindi ogni immagine può essere non solo scaricata ma anche rielaborata e utilizzata per qualsiasi scopo (anche commerciale) senza nessuna attribuzione. Rijksstudio nasce proprio con l’intenzione di permettere agli utenti di creare i “propri capolavori”(Rijkmuseum, 2013) tramite il riutilizzo di immagini ad alta risoluzione messe a disposizione dal museo. La decisione, guidata dal caso della Lattaia gialla (Europeana white paper n.2, 2011), si fonda sulla convinzione che i materiali custoditi dai musei, quando non sono più protetti da copyright diventano cultural commons13; appartengono quindi a tutti e tutti hanno il diritto di accedervi e usarli come meglio credono. Inoltre, questo tipo di strategia è stata adottata anche con l’obiettivo di riprendere il controllo della propria collezione tramite la sua condivisione e non la protezione14.

La nuova presenza digitale del museo si incentra su una visione di pubblico che ora vive una vita digitale: contenuti generati dagli utenti, interoperabilità e facilità di accesso digitale alle informazioni (Engberg, 2016).

Il Rijkstudio mira quindi a costruire un luogo d’incontro tra il museo ed i suoi visitatori anche in remoto, permette di registrarsi sulla piattaforma con un profilo personale e dare forma al proprio “studio” partendo dal materiale del museo. Nello specifico, le collezioni personali degli utenti possono essere create raccogliendo non solo le immagini delle opere conservate, ma anche selezionandone delle porzioni. Questo tipo di contenuti user

generated ha riscosso un grande successo in termini di utilizzo (Gorgoles,

protagonista è attribuito all’immagine - o alla sua porzione - che l’utente può quindi scaricare (download), apporre su una serie di prodotti gadget che è libero di acquistare online dalla stessa piattaforma (cover per smartphone, borse shopper con stampa, poster, mousepad ecc).

L’aspetto più interessante però, al di là dei gadget, risiede nelle collezioni

user-generated che con azioni diacroniche raccolgono porzioni di opere e

legano materiale di epoche e contesti diversi, trovandone un filo conduttore. Ogni utente può quindi stabilire i suoi propri percorsi, costruire la propria narrazione secondo un portale che non è costruito per trasmettere conoscenza ma per invece costruirla spingendo all’esplorazione, alla scoperta.

In una pubblicazione del 2018 Peter Gorgles espone quelli che dopo cinque anni di presenza online sono i risultati qualitativi e quantitativi di Rijksstudio.

Quantitativi:

- Immagini ad alta risoluzione pubblicate online 383.646

- Numero di utenti di Rijksstudio 374.219

- Registrazioni con account Facebook 95.037

- Registrazioni con indirizzo email 279.182

- Numero totale di collezioni user-generated 302.872 - Download di immagini ad alta risoluzione: 5.255.658

Qualitativi:

- Il motivo che spinge gli utenti a sfogliare Rijksstudio spesso non ha nulla a che fare con l’arte o la storia dell’arte (Gorgles, 2018).

- Rijksstudio promuove la creatività ed il riuso fornendo gratuitamente opere d’arte digitali sia per uso privato che commerciale.

-La gamma di applicazioni è molto ampia: dai gadget, agli hotel, alla Street

Oltre ai risultati espressi da Gorgles, ai fini della nostra ricerca tre sono le iniziative finalizzate al riuso che riteniamo importanti segnalare: