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Dopo tre mesi dal lancio di Rijksstudio:

3.3 Open heritage: scenari di cambiamento

Nella parte 1 di questo studio si è approfondito come il processo sociale di identificazione e selezione del patrimonio trae la sua essenza vitale, ma soprattutto la sua motivazione, dal presente e coinvolge tradizione, memoria e identità (Troilo 2005). Ogni generazione, ogni società si identifica negli oggetti culturali del passato che seleziona per tramandarli ai posteri. Secondo questa visione dinamica, infatti, ogni generazione attiva nuovamente il processo di produzione, identificazione e selezione del patrimonio. Secondo Tunbridge e Ashworth (1996):

“L’interpretazione del passato nella storia, i manufatti e gli edifici sopravvissuti, le memorie individuali e collettive vengono tutti utilizzati per rispondere a bisogni attuali sia sociali-identitari che economici. Così il patrimonio culturale da una parte è il materiale indispensabile per costruire e definire l’identità sociale, etnica e territoriale degli individui dall’altra è una risorsa che può essere utilizzata all’interno degli schemi di produzione e commercializzazione delle industrie creative”.

In un quadro di sempre più diffusa digitalizzazione, che grazie ai progressi dei GLAMs è diventata quasi sistematica, si assiste ad una forte crescita delle riproduzioni digitali fornite dalle istituzioni culturali attraverso i propri siti web. Infatti

“The digitization of cultural heritage collections has been going on for several decades now, promising unprecedented potential for libraries, museums and archives to fulfil their public mission of spreading knowledge and culture to the benefit and enjoyment of all citizens. Over the years, we’ve digitized millions of books, paintings and (audio-visual) archives to preserve them for future generations, develop new insights and allow others to create new works using all the advantages of new (digital) technologies” (Verwayen et al. 2017, p.4).

I numeri degli oggetti digitali disponibili online sono cresciuti notevolmente negli ultimi anni: il Metropolitan Museum di New York propone una collezione di oltre 500 mila immagini, oltre 600 mila quelle proposte invece dal Rijksmuseum di Amsterdam tramite Rijksstudio, mentre l’aggregatore Europeana attualmente ne conta 58 milioni. Così è accaduto che insieme al rapido sviluppo delle ICT, le istituzioni hanno iniziato a domandarsi se internet potesse diventare uno strumento di diffusione e democratizzazione per i GLAMs e di conseguenza, ad interrogarsi sull’opportunità di offrire, quando possibile, i propri archivi digitali in Open Access.

Con il diffondersi di internet e dei social media, infatti, è avvenuta la “rivoluzione degli archivi” che ha ridotto sensibilmente le differenze tra le istituzioni culturali, in particolare quando si tratta della loro presenza online, fino a renderle quasi impercettibili (Gibbons, 2014). Con la comparsa dell’utente remoto assistiamo ad uno spostamento da pubblico ad utente, ciò sottende non solo una più specifica segmentazione di bisogni e desideri rispetto ad un pubblico visitante, non caratterizzato, al quale sottoporre contenuti culturali. Quello che in effetti suggerisce è un cambiamento sostanziale di approccio: dalla passività all’attività. Il pubblico assiste ad una rappresentazione, una messa in scena, uno spettacolo; l’utente usa un servizio, partecipa, ne fa parte. L’utente non è soddisfatto dal ricevere passivamente informazioni e contenuti culturali ma desidera essere attivo, produrre la sua stessa conoscenza, costruire opinioni proprie ed esprimere la propria creatività (Sarendhoff, 2013).

“As more people enjoy and become accustomed to participatory learning and entertainment experiences, they want to do more than just ‘attend’ cultural events and institutions. The social Web has ushered in a dizzying set of tools and design patterns that make participation more accessible than ever. Visitors expect the ability to respond and be taken seriously. They expect the ability to discuss, share, and remix what they consume” (Simon, 2010).

15 Open Knowledge è una fondazione globale focalizzata sulla realizzazione del valore dei dati aperti per la società, mira ad essere un supporto per la società civile ad accedere e utilizzare i dati per agire sui problemi sociali, creare e condividere conoscenze.

www.okfn.org

16 Open Culture propone media culturali ed educativi disponibili sul web in public domain. Corsi online, audiolibri, film, lezioni di lingua, lezioni tematiche e libri.

www.openculture.com 17 Open GLAM è un movimento della Open Knowledge foudation sostenuto da un network globale di persone ed istituzioni che lavorano per aprire dati e contenuti custoditi dai GLAMs. www.openglams.org

18 www.opendefinition. org

ha la necessità di essere messo in circolo ed usato, e se le riproduzioni digitali hanno il diritto di essere identificate come heritage, anche queste per avere senso devono essere vissute e soprattutto usate.

Potrebbe a questo proposito risultare adeguato un rimando alle “cinque leggi della biblioteconomia” (1931) di S.R. Ranganathan, nelle quali l’autore sostiene che i libri devono essere usati se vogliamo che svolgano un ruolo attivo nella nostra comunità. Estendendo il concetto, lo stesso principio potrebbe considerarsi fondato per le risorse digitali, emerge quindi la necessità di guardare gli archivi digitali secondo nuove prospettive, quelle dell’utilizzo.

In materia di utilizzo delle risorse digitali ha avuto un ruolo molto importante la tendenza Open segmentata nei diversi settori merceologici o concettuali, in particolare, nel nostro campo di indagine ci si riferisce ai movimenti Open Knowledge15, Open Culture16 e Open GLAM17. I contenuti digitali o i dati sono “aperti” quando sono allineati con la Open

Definition ossia:

“A piece of data or content is open if anyone is free to use, reuse, and redistribute it — subject only, at most, to the requirement to give credit to the author and/or making any resulting work available under the same terms as the original work.”18

Sostanzialmente, dal momento che grazie ad internet e alla digitalizzazione abbiamo la possibilità di condividere e distribuire contenuti in maniera più rapida e senz’altro più facile, la comunis opinio è che la distribuzione avvenga in maniera gratuita e non protetta da diritti di proprietà intellettuale. Le opportunità fornite dall’open content (Anderson, 2009), grazie al contributo del movimento Creative Commons, sono ormai diffuse e coltivate nell’opinione pubblica.

In effetti in contesti digitali le immagini, i documenti e i file, non sono solo trovati, raccolti e pubblicati ma soprattutto sono manipolati. I GLAMs conservano una enorme quantità di immagini non protette dal diritto d’autore, sia perché prodotte in tempi precedenti alle odierne leggi sul copyright, sia perché molto spesso tali diritti sono scaduti (Smith 2013).

La questione del copyright è attuale quanto controversa dal momento che di frequente le istituzioni vendono i diritti di utilizzo delle immagini degli oggetti che conservano detenendo i diritti di non dell’opera originale bensì della sua riproduzione fotografica.

Alcune istituzioni infatti, hanno espresso preoccupazioni sul dare accesso libero alle proprie collezioni, anche in merito alla possibilità di un presunto utilizzo illegittimo ed improprio delle immagini. Dall'altro lato però c’è chi sostiene che il libero accesso alle immagini sul web è caratteristica irrinunciabile al giorno d’oggi oltre che una intrinseca manifestazione della cultura contemporanea (Barranha, 2018).

L’ Unione Europea ha posto notevole attenzione alle politiche dell'Open

Access, invitando le istituzioni culturali a “liberare i propri dati” e le

riproduzioni digitali di opere di pubblico dominio per renderle facilmente accessibili e riutilizzabili. Infatti, l’ Agenda Digitale Europea 2020 identifica "l'apertura di dati e risorse pubbliche per il riutilizzo" come un'azione chiave a sostegno del Digital Single Market.

Lo scenario quindi sta cambiando grazie all’avvento del movimento Open

GLAMs e soprattutto grazie a pionieristiche iniziative come quella del

Rijksmuseum. In tempi recenti, infatti, l’idea che i dati ed i contenuti provenienti da istituzioni pubbliche devono essere rese disponibili senza alcuna restrizione, si è diffusa nell’intero settore culturale (Europeana public domain charter, 2010; Europeana pro, 2017).

“dominio pubblico significa che il pubblico li possiede e ha il legittimo diritto di creare e utilizzare le riproduzioni delle opere per qualsiasi scopo”. (Sarendhoff, 2013)

Sintesi dei 5 principi del movimento OpenGLAM: