• Non ci sono risultati.

Il principio del reciproco riconoscimento

Ammissione alle trattative: la persistenza delle vecchie criticità in un nuovo sistema

2. Il principio del reciproco riconoscimento

10).

2. Il principio del reciproco riconoscimento

In mancanza dell’attuazione dell’articolo 39 Cost. il sistema delle relazioni industriali è stato fondato sul principio del reciproco riconoscimento, in base al quale le parti sono libere di negoziare con gli interlocutori che scelgono; in altre parole la parte datoriale decide di negoziare con quelle associazioni sindacali che riescono ad instaurare un rapporto di forza con cui imporre la propria presenza al tavolo delle trattative (11

(9) C. cost. n. 231/2013, cit.

).

(10) P.BELLOCCHI, op. cit.

(11) F.CARINCI, Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, Working Paper CSDLE “Massimo D’Antona” – IT, 2011, n. 133, secondo il quale «il vuoto giuridico lasciato dal mancato varo di un intervento attuativo dei co. 2 ss. sarebbe stato colmato dal “pieno fattuale” governato dal principio di effettività, tanto da far “ritenere per comune e consolidata convinzione, a) l’ordinamento sindacale come

La ratio di tale sistema, quindi, si fonderebbe sull’assunto che il datore di lavoro non sarebbe libero di scegliere le parti da ammettere al tavolo delle trattative, bensì che sarebbe indotto a negoziare con quelle effettivamente rappresentative, che potrebbero garantire da un lato una più probabile riuscita della negoziazione e dall’altro il mantenimento della pace sindacale.

La dottrina ha così rilevato che, in ogni caso, il datore di lavoro ben potrebbe rivolgersi a quei sindacati che, pur non potendo essere definiti compiacenti o di comodo, mantengano un atteggiamento più morbido nei confronti della parte datoriale e rifiutando il dialogo con quelle ritenute più aggressive (12

Le associazioni sindacali, infatti, non possono invocare alcun diritto ad essere ammesse al tavolo delle trattative, non sussistendo alcun principio di parità di trattamento tra le varie organizzazioni sindacali né alcun obbligo del datore di lavoro di trattare con tutte le organizzazione per la stipula di contratti collettivi (

).

13

originario, in quanto prescinde dal riconoscimento di quello statale, fondandosi esso sulla reciproca legittimazione e cioè sul reciproco riconoscimento tra organizzazioni sindacali dei prestatori e dei datori, costituente la Grundnorm del medesimo»; R. DEL

PUNTA, Del gioco e delle sue regole note sulla “sentenza fiat”, in RIDL, 2011, n. 4, II, 1421.

).

(12) P.ICHINO, Rappresentanze sindacali aziendali: la Consulta non risolve il problema, commento a C. cost. n. 231/2013, cit., in www.pietroichino.it: «Se si intende il criterio enunciato dalla Corte nel senso che a un qualsiasi sindacato, per essere qualificato come “partecipante al negoziato”, basti presentare una piattaforma rivendicativa, allora il risultato è che quel criterio perde qualsiasi valore selettivo: anche il più insignificante dei sindacati, infatti, potrà accedere ai diritti di cui al titolo III dello Statuto col semplice presentare una propria proposta/richiesta all’imprenditore. Se invece si intende il criterio enunciato dalla Corte nel senso che non basti la presentazione di una piattaforma rivendicativa, ma occorra anche un’effettiva partecipazione al tavolo del negoziato, allora la sentenza perde ogni effetto pratico apprezzabile, lasciando sostanzialmente le cose come stanno: all’imprenditore basterà, infatti, respingere in limine la rivendicazione, rifiutando anche solo l’inizio di una discussione in proposito, per escludere quel sindacato – per quanto numerosi siano i suoi aderenti o sostenitori in seno all’azienda – dai diritti di cui al titolo III dello Statuto».

(13) Cass. 10 giugno 2013, n. 14511, in MGC, 2013; C.ZOLI, Gli obblighi a trattare nel sistema dei rapporti collettivi, Cedam, 1992, 240, secondo il quale il nodo della questione è da ritrovarsi nel rispetto per «gli equilibri scaturenti dalla dialettica sindacale», per cui il datore «gode di una libertà che incontra limiti speculari all’effettività delle potenziali controparti».

La stessa Consulta nella conclusione del suo ragionamento esclude l’esistenza di un obbligo a trattare del datore di lavoro, auspicando anzi un forte intervento del legislatore che potrebbe «consistere tra l’altro, nella valorizzazione dell’indice di rappresentatività costituito dal numero degli iscritti, o ancora nell’introduzione di un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento, o nell’attribuzione al requisito previsto dall’art. 19 dello Statuto dei lavoratori del carattere di rinvio generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nell’unità produttiva vigente, oppure al riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Compete al legislatore l’opzione tra queste od altre soluzioni» (14).

2.1. La linea di confine tra autonomia negoziale e condotta antisindacale

Nel nostro sistema ricopre un ruolo centrale il principio dell’autonomia negoziale, in base al quale la parte datoriale ha sempre la possibilità di sottoscrivere un nuovo contratto collettivo con le organizzazioni sindacali anche se diverse da quelle che hanno trattato e sottoscritto il precedente.

Il datore di lavoro, di conseguenza, non può essere sanzionato per la sua scelta di escludere uno, o più, sindacati dalle trattative a meno che il suo comportamento non possa essere ricondotto alle fattispecie previste dagli articoli 17 e 28 Stat. lav.

Il comportamento datoriale integra la fattispecie della condotta antisindacale solo nel caso in cui il rifiuto ad ammettere alle trattative alcune sigle sindacali sia posto in essere attraverso modalità che indicano un «comportamento globalmente tenuto dall’imprenditore nei riguardi di dette organizzazioni – in condotte oggettivamente discriminatorie, atte ad incidere negativamente sulla stessa libertà del sindacato e sulla sua capacità di negoziazione, minandone la credibilità e l’immagine anche sotto il profilo della forza aggregativa in termini di acquisizione di nuovi consensi» (15

(14) C. cost. n. 231/2013, cit., § 9.

).

In altre e più semplici parole si può affermare che non è sanzionabile il datore di lavoro che non ritenga di condurre una trattativa nei confronti di un’associazione o che non sia intenzionato ad applicare contratti collettivi, ma solo ma nel momento in cui il suo comportamento causi un oggettivo impedimento per il sindacato di operare nel contesto aziendale con le iniziative volte a riaffermarvi il proprio ruolo di controparte contrattuale; il comportamento, infatti, deve essere oggettivamente lesivo degli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, condizione che non si concretizza nella semplice non ammissione di un sindacato al tavolo delle trattative (16).

3. Il protocollo d’intesa del 31 maggio 2013 nella contrattazione