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Il problema dell’altro in Fanon e Sartre: l’impronta d

1 INTRODUZIONE

4.1 Il problema dell’altro in Fanon e Sartre: l’impronta d

A oggi non abbiamo notizia che Fanon conoscesse personalmente Sartre prima di incontrarlo a Roma nell’agosto del 1961 51 .

Quando Fanon si accinge a scrivere “Pelle nera, maschere bianche. Il nero e l’altro”, l’opera più importante di Sartre ancora in voga è “L’essere e il nulla” (anche se sono già apparse “Riflessioni sulla questione ebraica”, “Che cos’è la letteratura” e “Materialismo e rivoluzione”).

Per quanto riguarda il rapporto tra la lettura sartriana e quella hegeliana, il fattore più importante viene

affrontato nell’analisi dell’ argomento riguardante l’ esistenza di altri, l’alterità.

51 Notizia riportata da Simone de Beauvoir in La Forza delle Cose, Einaudi, Torino, 2008

Per Sartre: << (Q) l’apparizione di altri non è più indispensabile per la costituzione del mondo e del mio “ego” empirico, ma per l’esistenza stessa della mia coscienza di sé. (Q) l’intuizione geniale di Hegel è di farmi dipendere dall’altro nel mio essere. Io sono, egli dice, un essere per sé che non è per sé, se non per mezzo di un altro >> 52. E’ soprattutto la seconda citazione ad avere un’importanza rilevante all’interno del rapporto tra Sartre, Hegel e Fanon: importanza della teoria del riconoscimento.

Nella terza parte dedicata all’analisi del per – altri de “L’Essere e il nulla” Sartre si pone come scopo iniziale quello di dimostrare l’esistenza di altri soggetti superando il tradizionale scoglio metafisico del solipsismo, cioè quell’ atteggiamento filosofico secondo il quale il soggetto pensante non può affermare che la propria individuale esistenza in quanto ogni altra realtà si risolve nel suo pensiero. L’ostacolo da superare dunque è quella condizione di ipseità 53 della quale Sartre della quale Sartre ci parla in un passo in particolare : << L’altro appare insieme con me perché la coscienza di sé è identica a sé stessa per l’esclusione di ogni altro (ipseità). Per il fatto stesso che io sono io, escludo l’altro; e ciò che è altro da me si presenta come oggetto inessenziale, con un carattere di negatività >> e ancora << (Q) proprio nell’opporsi

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Sartre J.P., L’Essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano 1997, cit., pp 280-282 53

In filosofia è il principio che afferma l’identità dell’essere individuale con sé stesso, detto soprattutto di esseri dotati di coscienza (fonte: AA.VV., Il

dizionario di filosofia. Gli autori, le correnti, i concetti e le opere, BUR Edizioni,

all’altro, ognuno è assolutamente per sé. Poiché io non posso essere oggetto per me, se non laggiù, nell’altro, devo ottenere dall’altro il riconoscimento del mio essere >> 54. Da queste parole si evince la volontà di Sartre di superare l’ostacolo “me stesso” attraverso il processo di riconoscimento, il quale necessita dell’interlocutore. Senza l’ “altro” che mi riconosce come uomo, io non potrò mai uscire dall’individualità, da me stesso.

Notiamo qui una certa influenza che Hegel ha esercitato sul pensiero di Sartre. Come abbiamo visto nel primo capitolo, seguendo il ragionamento kantiano espresso in “Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?, a proposito del rapporto autonomia/minorità, Hegel afferma che c’è bisogno dell’altro, del riconoscimento di un altro soggetto, altrettanto autonomo (e cioè in grado di uscire dallo stato di minorità), per divenire autonomi. Andando un po’ più a fondo, per Hegel lo schema del riconoscimento si forma di tre livelli: l’autocoscienza esce da sé stessa, l’autocoscienza rimuove l’altra autocoscienza e infine l’autocoscienza ritorna in sé stessa. Questi tre livelli, tra di loro complementari, permettono il riconoscimento dell’altro. Per Hegel è solo dopo che l’autocoscienza riesce ad eliminare il suo “essere altro” ed a tornare in sé stessa che essa riesce a concepire non solo se stessa, ma anche l’altra: << (Q) una autocoscienza arriva a concepirsi come tale in quanto concepisce come tale l’altra autocoscienza;

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così conosce se e l’altra come uomo, come spirito. Questo riconoscimento di sé e dell’altro come autocoscienza è il primo passo sulla via che conduce l’autocoscienza a riconoscersi in tutte le forme della vita spirituale (famiglia, popolo, arte, filosofia) >> 55.

Ma perché il riconoscimento sia tale, è necessario che sia reciproco: la reciprocità del riconoscimento è un punto su cui Hegel, Sartre e Fanon pongono l’accento più volte, il che accomuna ancora di più i tre filosofi. Per Hegel l’uscita dell’autocoscienza da sé stessa porta la creazione di un’altra autocoscienza (che è per sé, è un oggetto autonomo); il comportamento delle due autocoscienze è identico, nel senso che ognuna fa la stessa cosa dell’altra. Alla luce di tutto ciò il riconoscimento dell’altro non può essere che reciproco: << (Q) I due estremi si riconoscono come reciprocamente riconoscentisi >> 56.

Arrivo ora a sottolineare l’importanza che Sartre e Hegel danno alla lotta, sempre all’interno del processo del riconoscimento.

Fanon, ne “I dannati della terra”, scrive che un riconoscimento senza lotta non può essere considerato tale (per questo il colonizzato rimarrà sempre legato alla sua situazione di schiavo, non ha lottato ma è stato solo “definito” così dal colono): l’elemento della lotta caratterizza anche il pensiero Hegel e di Sartre, a conferma del fatto, se ce ne fosse ancora il bisogno,

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Hegel F., La Fenomenologia dello Spirito”, Rusconi Libri, Milano 1999, cit., p. 40

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che per i due filosofi francesi la lettura hegeliana è stata di fondamentale importanza.

Nella “Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio” Hegel ripone un’importanza determinante nell’elemento lotta; va oltre al valore che sia Fanon sia Sartre hanno affidato ad esso.

Per Hegel riconoscersi significa ingaggiare una lotta a morte con l’altro : << (Q) Si ha una lotta. Io non posso sapermi nell’Altro come me stesso finché l’Altro è per me solo un Esserci immediato: Io sono pertanto diretto

alla rimozione di questa sua immediatezza.

Analogamente, io posso essere riconosciuto non come un io immediato, ma solo nella misura in cui io, in me stesso, rimuovo l’immediatezza e conferisco così un esserci alla mia libertà (Q) >> 57. In cosa consiste allora la lotta? Dalle parole di Hegel notiamo innanzitutto la volontà innata dell’uomo di farsi riconoscere: l’uomo brama il riconoscimento, vuole sentirsi chiamare uomo da un altro uomo, solo che talvolta è l’indifferenza che regna tra gli esseri umani. L’uomo spesso non nutre interesse nel riconoscere l’ “altro”.

L’ esistenza immediata di cui ci parla Hegel non è altro che l’indifferenza e l’ostilità dell’uomo di fronte al desiderio di riconoscimento di un suo simile. La lotta consiste dunque nel distruggere questa esistenza immediata dell’ “altro”: per Hegel dobbiamo quindi distruggere l’ “altro”, se questo non mostra interesse per il riconoscimento.

57 Hegel F., L’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Bompiani, Milano 2000 cit., p. 58

Il discorso di Hegel però non si risolve così facilmente. Per il filosofo tedesco infatti anche l’ “altro” vede in me indifferenza riguardo alla volontà di riconoscerlo: per l’ “altro” io sono esistenza immediata, sono un qualcosa da eliminare proprio perché non mostro volontà di riconoscerlo: << Analogamente Io posso essere riconosciuto non come un io immediato >> 58. Dunque la lotta in Hegel ha un ambito trasversale e reciproco, nel senso che io lotto per distruggere l’indifferenza dell’altro, l’altro lotta per distruggere la mia indifferenza nel riconoscerlo.

La lotta per il riconoscimento è per Hegel basata su un

fraintendimento: gli uomini pensano che il

riconoscimento si fondi sull’ esclusione dell’altro, in realtà non c’è riconoscimento senza l’altro, senza l’interlocutore. Nonostante gli uomini possano rifiutarsi di conoscere l’altro, possano cioè restare indifferenti nei confronti delle pressioni dell’altro per farsi riconoscere, l’altro stesso è incluso in questo processo. La sua presenza è fondamentale: non ci potrà mai essere riconoscimento se, oltre all’ “io”, non c’è l’ “altro”.

Ciò che Hegel vuole far capire è che la nostra struttura antropologica, cioè il nostro essere uomini, coincide con l’irrefrenabile desiderio di riconoscimento. Gli esseri umani sono da considerarsi tali solo in relazione con altri esseri umani.

La lettura da parte di Jean-Paul Sartre dei testi hegeliani presi in considerazione in questo capitolo (“La

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Fenomenologia dello Spirito” e “L’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio”), ha senza dubbio lasciato un segno indelebile nello sviluppo del pensiero dello scrittore parigino.

L’influenza hegeliana su Sartre la si può notare proprio a proposito della lotta all’interno del processo del riconoscimento.

Scrive Sartre: << (Q) il riconoscimento si avrà nel momento stesso in cui rischierò la mia vita, perché, nella lotta contro l’altro, faccio astrazione del mio essere sensibile rischiandolo; l’altro invece, preferisce la vita e la libertà mostrando così che non ha potuto porsi come non-legato alla forma oggettiva >> 59.

L’elemento di ribellione e di lotta caratterizza dunque anche il pensiero di Jean-Paul Sartre: il lottare e il rischiare la vita sono gli elementi essenziali per arrivare a considerare l’ altro come un mio simile e per riconoscerlo come tale.

Passando ora a Frantz Fanon, in uno dei capitoli finali di “Pelle nera, maschere bianche. Il nero e l’altro” dall’emblematico titolo “Il Negro e Hegel”, Fanon affronta proprio tutta la tematica del riconoscimento facendo chiaramente riferimento al pensiero di Hegel. Fanon riprende il discorso dell’importanza della reciprocità all’interno del processo del riconoscimento: << Alla base della dialettica hegeliana c’è una reciprocità assoluta che bisogna mettere in evidenza >> e ancora << È in quanto io supero il mio essere

immediato che realizzo l’essere dell’Altro come realtà naturale e più che naturale. Se fermo il circuito, se rendo irrealizzabile il movimento a doppio senso, mantengo l’Altro all’interno di sé >> 60. Fanon sottolinea qui l’importanza dell’ “altro”: esso è importante soprattutto per l’autorealizzazione di me stesso. La figura e la presenza dell’ “altro” accanto a me è indispensabile poiché senza di lui e del suo riconoscimento nei miei confronti, io non potrò mai sentirmi un uomo.

La lotta con la quale il nero colonizzato avrebbe dovuto “emanciparsi” non appare nel discorso di Frantz Fanon. Per l’intellettuale antillano il riconoscimento del nero colonizzato non è mai stato attuato in quanto è il bianco che ha “creato” il nero. Fanon spiega bene questo concetto sempre nelle pagine del capitolo “Il Negro e

Hegel”: << Storicamente, il negro tuffato

nell’inessenzialità della servitù, è stato liberato dal padrone. Non ha sostenuto una lotta per la liberta. (Q) Il capovolgimento ha raggiunto il Nero dall’esterno. Il Nero è stato “fatto”. (Q) Il capovolgimento non ha differenziato il negro. E’ passato da un modo di vivere a un altro, non da una vita a un’altra >> 61. Come possiamo intuire dalle parole di Fanon, egli si rifà in maniera molto chiara alla teoria hegeliana della lotta ma, secondo lui, nel caso del processo coloniale francese in Algeria, la dialettica del riconoscimento non

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Fanon F., Pelle nera, maschere bianche. Il nero e l’altro, Marco Tropea Editore, Milano 1996, cit. pag. 189

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si attua nella maniera corretta a causa del mancato combattere da parte del nero colonizzato per migliorare la sua posizione sociale e liberarsi dall’oppressore.

4.2 Negare l’ “altro”: l’origine del razzismo

“Pelle nera, maschere bianche”, una delle opere più importanti e studiate di Frantz Fanon, è stato pubblicato in francese nel 1952, prima di essere ristampato per l’Italia dalla casa editrice Il Saggiatore di Milano nel 1965 con il titolo “Il Negro e l’Altro”.

Il tema principale di questa opera di Fanon è il razzismo inteso come negazione assoluta dell’uomo come tale. Essere razzista per Fanon significa per prima cosa

negare umanamente l’ “altro” imponendogli

forzatamente l’ “io”. Negare l’ “altro” equivale a non riconoscerlo come uomo, accanendosi contro di lui attraverso un processo di disumanizzazione.

Sappiamo dalla storia che in qualunque paese occupato da altre potenze, europee e non, il processo della colonizzazione non è caratterizzato solo da violenza fisica nei confronti delle popolazioni natie, ma anche, forse soprattutto, violenza dal punto di vista psicologico, tale è la sua forza e la gravità delle sue conseguenze. Annientare una persona psicologicamente significa soprattutto negarla come tale, disumanizzarla quasi completamente a scapito di una sempre maggiore presa di potenza dell’ “io colono”.

I libri di storia ci riportano soprattutto le distruzioni di villaggi, le uccisioni dei capi tribù, gli stupri delle donne effettuati dai colonizzatori ecc. Eppure è anche la più subdola e nascosta violenza psicologica, della quale voglio approfondire gli aspetti e le conseguenze, a causare danni indelebili.

Ho già detto della vicinanza del “Fanon francese” alle teorie fenomenologiche di Hegel: tale avvicinamento si rende concreto attraverso la teoria del Riconoscimento. Dice Hegel: << L’autocoscienza è in sé e per sé in quanto e perché essa è in sé e per se per un’altra; ossia essa è soltanto come in qualcosa di riconosciuto >> 62.

Parafrasando la definizione di Hegel, Fanon ci spiega che un uomo non può essere inteso come tale fino a che l’ “Altro” non lo riconosce. Fino a quando non viene riconosciuto dall’ “Altro” l’uomo rimarrà sempre subordinato alle azioni e ai giudizi dell’ “Altro” stesso. Ed è qui che emerge la netta differenza tra la dialettica hegeliana e quella di Fanon.

Nella dialettica del riconoscimento spiegata nella “Fenomenologia dello Spirito” << (Q) c’è una reciprocità assoluta che bisogna mettere in evidenza >> 63. Ciò sta a significare che nel rapporto padrone-schiavo la sintesi dialettica tra le parti è completa, nel senso che il riconoscimento della posizione sociale viene effettuato

62

Hegel, Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, Firenze 1960, p. 153, cit. da Fanon in Pelle nera, maschere bianche. Il Negro e l’Altro, Marco Tropea Editore, Milano 1996, cit., p. 188.

63 Fanon F., Pelle nera, maschere bianche. Il Negro e l’Altro, Marco Tropea Editore, Milano 1996, cit., p. 189

positivamente su tutti e due i livelli presi in considerazione, quello del padrone e quello dello schiavo. Il padrone sa di essere padrone, lo schiavo sa di essere lo schiavo.

Prendendo spunto da tutto questo Fanon arriva alla

conclusione che il rapporto bianco/nero

(colonizzatore/colono) non arriva ad una sintesi dialettica esaustiva come nel caso di Hegel. Questo perché << (Q) il negro, oppresso, sfruttato, schiavo è stato un giorno “riconosciuto” dall’altro (il padrone) senza lotta, quando l’altro ha unilateralmente affermato l’uguaglianza e la dignità d’ogni uomo >> 64: come precedentemente sottolineato, senza lotta per essere riconosciuti non ci potrà mai essere un riconoscimento inteso in senso lato.

Il razzismo dunque è per Fanon l’annullamento e la negazione dell’ altro. Ma cosa significa annullare e negare l’altro?

<< Per render conto delle differenze esistenti nella realtà occorre distinguere almeno tre assi, intorno ai quali ruota la problematica dell’alterità. C’è in primo luogo un giudizio di valore (piano assiologico): l’altro è buono o cattivo, mi piace o non mi piace, o meglio, come si diceva allora, è mio pari o è un mio inferiore (perché ovviamente, il più delle volte, io sono buono, ho stima di me stessoQ). Vi è, in secondo luogo, l’azione di avvicinamento o di allontanamento nei confronti dell’altro (piano prasseologico): io abbraccio i valori

dell’altro, mi identifico; oppure assimilo l’altro a me stesso, gli impongo la mia propria immagine; fra la sottomissione all’altro e la sottomissione dell’altro vi è anche un terzo termine, la neutralità o indifferenza. In terzo luogo io conosco o ignoro l’identità dell’altro (piano epistemologico) (Q) >> 65: Todorov nel, capitolo intitolato “Tipologia dei rapporti con l’altro” inquadra il rapporto io/altro attraverso tre punti centrali.

1) l’altro è buono o cattivo, piace o non piace, è pari o inferiore

Questo punto di vista è, secondo il sottoscritto, l’atteggiamento, la maniera di approcciarsi al problema, più utilizzato ai giorni nostri. La tendenza è oggi quella

di “minimizzare” la problematica immigrazione

attribuendo le “etichette” buono, cattivo, pari, inferiore ecc. Come se un aggettivo (l’ “etichetta”) potesse sostituirsi a una considerazione e a un’analisi più completa di ciò che stiamo osservando.

Quando, per esempio, ci troviamo dinnanzi alle notizie degli sbarchi di migliaia e migliaia di migranti, oppure assistiamo passivi alle immagini dei corpi che il Mar Mediterraneo rigetta, è come se la nostra mente combattesse tra la tendenza alla compassione e la volontà non considerare il dolore degli altri, la cosiddetta disempatia.

2) identificandomi nell’altro, faccio i miei i suoi valori, la sua cultura; oppure, al contrario, lo sottometto.

65Todorov T., La conquista dell’America. Il problema dell’ <<altro>>, Einaudi Editore, Torino, 1992, cit., p. 225

Disempatia. È proprio questo atteggiamento che compromette un giusto equilibrio tra l’io e l’altro. La rottura dell’atteggiamento empatico, ovvero il fare nostri i sentimenti, le gioie e le sofferenze degli altri, favorisce la sottomissione dell’altro e, nel nostro caso, la denigrazione dell’altro.

Tornare al metterci nei panni dell’altro, a empatizzare con chi ci sta davanti, al contrario, favorisce

l’accettazione dell’altro e l’allontanamento della

possibilità di atteggiamenti razzisti.

3) Conoscenza e volontà di non essere al corrente dell’altro

Anche questo terzo punto messo in evidenza da Todorov è riscontrabile al giorno d’oggi.

La tendenza a informarsi sul perché avvengono determinati fenomeni e da cosa siano effettivamente causati è un qualcosa che viene a mancare sempre di più: molto più semplice fare finta di niente, girarsi dall’altra parte e ignorare l’identità dell’altro.

In conclusione Tzvetan Todorov non fa altro che dipingere un affresco del modo di pensare di noi esseri umani alle soglie del 2017. Da non sottovalutare il fatto che “La conquista dell’America. Il problema dell’ <<altro>> è un testo del 1984Q

4.2.1 Oppresso/oppressore: un meccanismo psicologico. Importanza del linguaggio in Sartre e Fanon

Il rapporto tra Jean-Paul Sartre e Frantz Fanon offre, a mio avviso, uno dei suoi spunti più interessanti a proposito della tesi del linguaggio.

Sartre ha sempre dato un’importanza rilevante al

linguaggio. Per lui il saper parlare significa

sostanzialmente esistere non solo per sé stesso, ma anche e soprattutto per l’altro. L’esistenza è data dalla parola e il riconoscimento dell’altro avviene grazie ad essa. Sartre definisce il linguaggio una “esistenza-per-

altri” sottolineando il fatto che per mezzo di esso << (Q) una soggettività si sente oggetto per l’altra (...) >> 66. La soggettività dunque entra in

contatto con un’altra soggettività solo ed

esclusivamente per mezzo della parola. La conoscenza d’altri affonda le radici nell’importanza del linguaggio. Fanon, rifacendosi a ciò che scrive Sartre, dedica a questo argomento il primo capitolo della sua opera “Pelle nera, maschere bianche”, intitolato proprio “Il Nero e il linguaggio”.

Sulla scia del maestro parigino Fanon insiste sul discorso della parola intesa come esistenza per l’altro, ma ne potenzia la definizione. Scrive Fanon: << Parlare significa essere in grado di usare una determinata

66 Clemente P., Frantz Fanon tra esistenzialismo e rivoluzione, Laterza, Bari 1971, pag. 27 cit. da Sartre J.P., L’Essere e il Nulla, cit. pag. 456

sintassi (Q), ma significa soprattutto assumere una cultura, sopportare il peso di una civiltà >> 67 .

Abbiamo qui a che fare con un grande salto in avanti rispetto alla visione di Sartre. Con questa definizione Fanon inquadra il problema razziale dal punto di vista del linguaggio.

A questo proposito l’intellettuale antillano ci parla di una biforcazione del linguaggio del nero e del bianco: il nero possiede un linguaggio per gli altri neri e per i bianchi, il bianco ne possiede uno per i suoi simili e uno per i neri. Questa biforcazione è dovuta in prima istanza a quello che Fanon chiama complesso psicoesistenziale del rapporto tra bianco e nero dovuto soprattutto al colonialismo e al conseguente razzismo 68. Ed è proprio questo complesso che viene qui analizzato.

Il nero colonizzato si trova davanti a due mondi e quindi a due lingue: quella del suo vivere arretrato e sottosviluppato e quella della “metropoli” civilizzata e