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Il razzismo ai giorni nostri

1 INTRODUZIONE

4.4 Il razzismo ai giorni nostri

<< Chi vuol conoscere manifestazioni spaventose della natura umana, può trovarle in Africa. Le più antiche notizie su questa parte del mondo dicono lo stesso: essa non ha dunque, propriamente, una storia. Perciò noi lasciamo qui l’Africa, per non più menzionarla in seguito. Essa infatti non è un continente storico, non ha alcun movimento e sviluppo da mostrare: se qualcosa in esso, nella sua parte settentrionale, è propriamente accaduto, esso appartiene al mondo asiatico e europeo. Cartagine vi costituì un momento importante e transitorio, ma come colonia fenicia appartenente all’Asia. L’Egitto sarà considerato a proposito del trapasso dello spirito umano da Oriente a Occidente, ma non appartiene allo spirito africano (Q) >> 89. Mentiremmo a noi stessi se non affermassimo che le

inferiorizzazione in Frantz Fanon in La follia dei dannati. Frantz Fanon e la

psichiatria. Tra potere e dolore, cura e rivoluzione, IPOC, Milano 2012

89

Hegel G.W.F, Lezioni sulla filosofia della storia, La Nuova Italia, Firenze, 1981, vol. 1, p. 262 cit. in Iacono A.M., Storia, verità e finzione, Manifesto Libri, Roma, 2006, cit. pp. 71-72

parole di Hegel non siano attualizzabili ai giorni nostri. La compulsiva tendenza a non voler ammettere, di chiudere gli occhi e di girare la testa dall’altra parte di fronte al fatto che si sta male e si muore in zone del mondo non troppo lontane dalla nostra quotidianità sembra essere la conseguenza di un pensiero non distante dall’idea hegeliana dell’Africa intesa come un non continente storico. La mancanza di storia non è più grave della mancanza di identità: sono due fattori legati tra di loro. Chi non ha storia difficilmente potrà avere identità e viceversa.

Seguendo il ragionamento che John Locke fa nel suo “Saggio sull’intelletto umano” a proposito della distinzione tra uomo e persona, ci rendiamo conto di come il nostro modo di vedere e di interpretare determinate problematiche sia retrogrado. Per Locke con il termine uomo si può intendere un corpo vivente in cui si manifesta la << partecipazione alla stessa vita continua di particelle sempre fuggevoli di materia, unite allo stesso corpo organizzato in una successione vitale >> 90, mentre una persona è nell'uomo quando egli sia in grado tramite la coscienza e la memoria di credere nella sua identità tale da differenziarsi da tutti gli altri così che << fin dove questa coscienza può essere estesa indietro ad una qualsiasi azione o pensiero del passato, fin lì giunge l'identità di quella persona >> 91.

90

Locke J., Saggio sull’intelletto umano, Utet, Torino, 1971, cit., libro secondo, c. 27 “Identità e diversità”

91

Se è vera la suddetta distinzione lockiana dunque cos’è che ci spinge ad annientare l’identità altrui a tal punto da negarla completamente e quindi dal considerare l’altro una non-persona?

Oggi non vogliamo riconoscere gli altri come identità vere e proprie, con una loro storia e una loro tradizione. L’altro non esiste e quando esiste viene denigrato. Questo è il razzismo: la denigrazione dell’altro, il diverso da noi, dell’altro che non corrisponde alle caratteristiche che noi stessi ci autoimponiamo e imponiamo agli altri per essere come noi, per far parte della categoria persone.

Wallerstein scrive che << nulla sembra più ovvio dell’identità e della natura di un popolo. I popoli hanno nomi familiari e sembrano avere lunghe storie >> 92: è vero che i popoli hanno dei nomi familiari, è altrettanto vero che hanno storie lunghe, ma sono proprio queste storie che noi non vogliamo ne tenere in considerazione ne tantomeno accettare.

Questa nostra scarsa capacità di tenere in

considerazione le storie degli altri popoli è la causa che genera fenomeni di razzismo, tanto cari, ahimè, anche nel XXI secolo.

Il dizionario di filosofia Treccani definisce il razzismo un’ << ideologia fondata sull’arbitrario presupposto dell’esistenza di razze umane biologicamente e storicamente superiori destinate al comando e al dominio, e di altre inferiori, destinate alla sottomissione;

92Wallerstein I., Alla scoperta del sistema mondo, Manifesto Libri, Roma, 2003, cit., p. 322

anche, teoria e prassi politica intese, con discriminazioni e persecuzioni, a conservare la ‘purezza’ e ad assicurare il predominio assoluto della pretesa razza superiore >> 93. Io non applicherei alla lettera questa definizione (centrale in movimenti politici come fascismo e nazismo) alle correnti razziste odierne. Oggi non è una questione di razza superiore o conservazione della purezza della razza stessa, oggi tutto si basa sulla paura, sul timore di chi è diverso, sulla xenofobia. Questa paura e questo timore sono in qualche modo giustificati da una situazione geo-politica che non lascia sperare niente di buono: le sempre più presenti guerre e i sempre più accesi conflitti sociali non possono che preoccuparci a questo riguardo.

E’ importante il legame tra il fenomeno razzista e la guerra. Prendiamo come esempio la guerra che, negli ultimi mesi, sta logorando paesi come la Siria e la Libia (paesi dai quali proviene la maggior parte dei profughi al centro della cronaca). Senza entrare nel merito dei vari schieramenti e delle varie alleanze, le guerre, storicamente, inducono all’emigrazione (e dunque all’immigrazione, seguendo lo schema si Abdelmalek Sayad); ed è proprio l’emigrato/immigrato che viene discriminato, in quanto diverso (etichettato come diverso). Logicamente parlando vi è una relazione neanche troppo velata tra la guerra e i movimenti razzisti e xenofobi: guerra -> emigrazione/immigrazione -> razzismo e xenofobia, ovvero la guerra genera

93Fonte www.treccani.it

emigrazione e gli immigrati sono coloro che vengono poi discriminati.

La soluzione a questa situazione potrebbe essere quella di cessare le guerre, di mettere l’altro nelle condizioni di non partire dal proprio paese in cerca di quel qualcosa che si chiama sopravvivenza e di cercare

di prendere in considerazione l’altro senza

necessariamente bombardare la sua casa perché a farne le spese sono e saranno sempre i civili, coloro che non c’entrano niente con le motivazioni per cui una guerra può nascere e svilupparsi. Sono consapevole del fatto che questa ipotesi di soluzione è pura utopia: troppi gli interessi economici e politici che formano il sostrato di ogni guerra.

Ogni guerra genera razzismo.

Étienne Balibar sottolinea come il razzismo sia

strettamente legato al nazionalismo: << Le

organizzazioni razziste rifiutano, nella maggior parte dei casi, di essere designate tali, rivendicando il loro nazionalismo e asserendo l’irriducibilità delle due nozioni. È solo una tattica di copertura o è invece il sintomo di una paura delle parole inerente al comportamento razzista? In effetti, i discorsi di razza e nazione non vengono mai distanziati a sufficienza, se non in forma di diniego: così la presenza di “immigrati” sul territorio nazionale sarebbe causa si un “razzismo antifrancese”. Proprio l’oscillazione del vocabolario ci suggerisce allora che, perlomeno in uno stato nazionale che non deve più costituirsi, l’organizzarsi del

nazionalismo in movimenti politici particolari nasconde inevitabilmente razzismo >> 94.

Anche Benedict Anderson scorge il legame tra razzismo e nazionalismo: << Nei capitoli precedenti, ho cercato di delineare i processi tramite cui le nazioni vengono immaginate e, in seguito, modellate, adattate e trasformate. Quest’analisi si è concentrata soprattutto sui cambiamenti sociali e sulle diverse forme di coscienza. È difficile però capire come cambiamenti sociali e coscienze trasformate possano spiegare, da soli, l’ attaccamento che le persone provano per i frutti della propria immaginazione o - per riproporre una questione sollevata all’inizio di questo testo – perché le persone siano pronte a morire per essi. In un’epoca in cui così spesso intellettuali progressisti e cosmopoliti (soprattutto in Europa?) insistono sul carattere quasi patologico del nazionalismo, sul suo radicarsi nella paura e nell’odio per l’ <<Altro>>, e sulle sue affinità con il razzismo, è bene ricordare che le nazioni

suscitano amore, e spesso amore pronto al

sacrificio (Q) >> 95. Le parole di Balibar e Anderson colgono completamente nel segno e possono essere rapportate alla più stretta quotidianità: al giorno d’oggi tutti i movimenti politici di estrema destra fanno leva sull’idea di nazione e la vicinanza tra nazionalismi e razzismi non è mai stata così forte. Basti pensare, per esempio, a Italia e Stati Uniti d’America. In Italia le

94

Balibar E., Razzismo e nazionalismo, in Balibar E., Wallerstein I., Razza

nazione classe. Le identità ambigue, Edizioni Associate, Roma, 1991, cit., p. 49

95 Anderson B., Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi, Manifestolibri, Roma, 2009, cit., p., 151

posizioni di movimenti come Casa Pound e Cuore Nero, ma anche di veri e propri partiti come Forza Nuova e Lega Nord pongono l’accento sul “prima l’Italia, prima gli Italiani!”, dunque non nascondono il loro nazionalismo. In queste parole, più volte esclamate contro provvedimenti di accoglienza e aiuto nei confronti di profughi e immigrati, si può leggere, senza alcuna difficoltà, una forte deriva nazionalista. Dire prima l’Italia significa sostanzialmente isolare la propria nazione dal resto del mondo e da tutto ciò che è intorno. << Ho scritto al presidente di Atm (Azienda Trasporti Milanese, N.d.R.) perché valuti la possibilità di riservare le prime due vetture di ogni convoglio alle donne che non

possono sentirsi sicure per l’invadenza e la

maleducazioni di molti extracomunitari. E andando avanti così le cose saremo davvero costretti a chiedere dei posti da assegnare ai milanesi: sono davvero una minoranza e come tale va tutelata >>: queste le parole del leader della Lega Nord Matteo Salvini (rilasciate in una recente intervento sul social network Facebook), mettono in evidenza proprio la volontà di isolarsi, di pensare solo al proprio senza mai preoccuparsi di chi ci sta intorno, di dividere il “Noi” dal “loro”.

A proposito di isolamento posso citare un altro personaggio molto noto alle cronache degli ultimi mesi: << Costruiremo un grande muro di confine per fermare l'immigrazione clandestina, per fermare le bande armate e la violenza, per fermare l'afflusso di droghe nelle nostre comunità. Mettendo fine alla politica di

catture e rilasci sui nostri confini, fermeremo il ciclo della tratta di esseri umani e della violenza. L'attraversamento illegale dei nostri confini diminuirà. La pace verrà restaurata. Mettendo in atto le regole per i milioni di coloro che si trattengono oltre la scadenza del visto, le nostre leggi avranno infine il rispetto che meritano. Saremo comprensivi e compassionevoli verso tutti. Ma la mia maggiore compassione andrà a tutti i nostri cittadini che lottano. Il mio programma è l'esatto opposto della politica migratoria radicale e pericolosa di Hillary Clinton. Gli americani vogliono essere liberati

dall'immigrazione senza controllo. Le comunità

reclamano sollievo. Hillary Clinton propone amnistia di

massa, immigrazione di massa e illegalità di massa >> 96. Queste sono le, dal mio punto di vista,

preoccupanti parole del nuovo Presidente degli Stati

Uniti d’America Donald Trump, pronunciate in

occasione delle recenti elezioni presidenziali durante uno dei dibattiti televisivi con la candidata democratica Hillary Clinton: come si può notare torna ad essere di moda il concetto di muro come sia come oggetto di divisione sia come metafora di isolamento.

Il razzismo di oggi mira all’isolamento, punta il dito contro il diverso inteso come l’intruso all’interno di una cornice che va liberata e, una volta liberata, va tenuta illibata da contaminazioni esterne.

Ma come nasce il fenomeno del razzismo? O meglio, che interpretazione possiamo dare oggi a tale

96Fonte www.ilmanifesto.info

fenomeno? Una delle tante letture può essere quella del rapporto tra il razzismo e l’etnocentrismo.

Pierre-André Taguieff sottolinea il fatto che razzismo ed etnocentrismo non sono universi distanti tra di loro anzi sono elementi strettamente collegati: << Il fatto di definire se stessi come rappresentanti dell’umanità, ad esclusione di tutti gli altri, di erigere il “Noi” (io e i miei simili, i miei prossimi, ecc.) come l’Uomo stesso, in opposizione ai “non-Noi”, corrisponde all’atteggiamento che classicamente viene definito come etnocentrico. Esso consiste nel porre una distinzione fondamentale tra due categorie opposte e di valore diverso: “Noi i civilizzati” contro “loro, i selvaggi” (Q) >> 97. Questa affermazione riporta alla luce il vecchio argomento della disumanizzazione: nel termine loro è presente tutto

l’odio che il civilizzato ripone nel selvaggio.

Civilizzati/selvaggi: una dicotomia su cui Lévi-Strauss afferma << (Q) questo punto di vista ingenuo, ma profondamente ancorato nella maggior parte degli uomini è universale: il rigetto dell’alterità culturale al di fuori della cultura, nella natura, ossia il gesto etnocentrico, è la più antica attitudine, che poggia probabilmente su fondamenti psicologici solidi, poiché tende a riapparire in ognuno di noi quando ci troviamo dinanzi a una situazione inattesa >> 98.

Tutto questo è esattamente quello che purtroppo succede nella modernità: oggi il capro espiatorio è il

97

Taguieff P-A., Il razzismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti, Raffaello Cortina Editori, Milano, 1999, cit. p. 11

profugo, il prigioniero-migrante, il selvaggio, che proprio per la sua diversità viene ripudiato e, spesso e volentieri, escluso dal normale e più umano processo di integrazione.

<< Nella modernità, la disumanizzazione dell’altro si compie attraverso la creazione politico-scientifica di categorie di “sottouomini”, cioè di quasi-bestie >> 99: il filosofo e politologo francese Taguieff coglie nel segno proprio quello che è il punto nodale della questione razzismo moderno, ovvero il concetto di etichettare l’altro come il diverso da perseguire e discriminare. Eccetto in alcune realtà ancora radicate nel passato (caratterizzate da una profonda ignoranza, intesa dal ponto di vista latino ignarus, essere ignari di, non conoscere) è finita l’era dell’idea di una razza superiore, della volontà di purificazione e di mantenimento della razza che veramente conta. Oggi il razzismo, per certi versi, è anche peggiore. Siamo davanti a un razzismo subdolo, mascherato. Quante volte assistiamo a commenti del tipo “io non sono razzista, maQ”. E’ proprio quel ma che spaventa. E’ dietro quel ma che si insinuano tutte le mie paure. Non si può essere antirazzisti a metà. O ci scagliamo con convinzione contro il razzismo e prendiamo una netta posizione nei suoi riguardi, oppure non riusciremo mai a debellarlo definitivamente.

Secondo il mio punto di vista la non accettazione dell’altro, l’etnocentrismo e il razzismo sono tutte facce

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Taguieff P-A., Il razzismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti, Raffaello Cortina Editori, Milano, 1999, cit. p. 12

della stesa medaglia causata da una profonda diseducazione. Come arginare il problema? Anche se sarebbe meglio chiedersi se sia possibile arginarlo. Una migliore educazione deve avere inizio dalle scuole, sin da quelle dell’infanzia, d’altronde Roma non è stata costruita in un giorno!