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CAPITOLO 2 Il piano di city branding

2.1 Il processo di branding

Dopo aver esaminato da diverse prospettive i concetti attinenti al city branding, il processo deve essere reso concreto e attuativo.

Tradizionalmente il piano strategico di un territorio si basava sul rafforzamento dei suoi aspetti tangibili (design urbano, infrastrutture, servizi e attrazioni). Tuttavia, oggi vi è consenso nell’affermare che nel processo di pianificazione e gestione strategica del city brand bisogna ricorrere esplicitamente anche ai fattori intangibili che lo costituiscono (valori, relazioni sociali, conoscenza, informazione, immagine). Gestire un piano strategico è molto più difficile per un ente pubblico, rispetto che per un’impresa privata. Il piano strategico non può infatti avere successo se non viene raggiunto il consenso. Per implementare un buon piano, il management cittadino deve creare dei sistemi in grado di raccogliere informazioni, pianificare le attività di mercato in base alle risorse e ai target e monitorare l’intero processo di city branding. Di conseguenza, possono essere analizzati opportunità e rischi del settore al fine di creare una

unique selling proposition adatta alla città.

Accorpando diversi studi, è chiaro che il processo di city branding, come nel piano di marketing tradizionale, si suddivide in fasi così distribuite:

• Analisi del territorio.

• Individuazione degli stakeholder e segmentazione del mercato. • Definizione della vision.

• Definizione degli obiettivi.

• Definizione delle strategie di branding. • Definizione di un piano operativo. • Implementazione e controllo.

Il piano di city branding, come avviene generalmente in ogni classico piano di marketing, deve partire dall’analisi del territorio urbano. Questa fase richiede la mappatura del patrimonio culturale e imprenditoriale, delle risorse attrattive, dell’offerta di eventi, delle infrastrutture turistiche o meno, dei servizi presenti sul territorio, delle strutture ricettive e ricreative, dei flussi turistici e di investimenti, delle attività di comunicazione precedentemente svolte, dei trend

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politici ecc. Secondo Foglio (1999) i contesti d’indagine del mercato urbano-territoriale sono: economico, sociale, tecnologico, culturale-professionale, giuridico-legislativo, di mercato, geografico-territoriale, demografico e politico.

L’analisi del territorio prevede anche le ricerche di carattere quantitativo e qualitativo e la raccolta di dati ufficiali sulla percezione della città da parte dei residenti e dei visitatori in primis. Le indagini conoscitive sulla percezione della città vanno condotte sul maggior numero possibile di portatori di interesse e servono per definire l’identità della città, ovvero la sostanza primaria del brand. Le analisi si svolgono principalmente attraverso gli strumenti digitali. La sentiment analysis, ovvero l’analisi delle opinioni degli utenti nel web, è fondamentale per capire la brand image della città in rete. Invece, tra le tecniche qualitative più usate ci sono i focus group sui testimoni rappresentativi delle varie categorie (associazioni economiche e culturali, albergatori, imprenditori, guide turistiche, esperti, docenti, studenti, ecc.).

Le percezioni raccolte sono oggetto di discussioni tra i vari stakeholder e sono prese in considerazione all’interno delle scelte del piano di sviluppo cittadino, perché forniscono informazioni centrali sul posizionamento attuale della città e indirizzano un eventuale riposizionamento di successo. La pluralità delle narrazioni implicite ed esplicite sulla città rappresenta una parte della materia prima da interpretare per costruire una comunicazione credibile, efficace e pertinente. I risultati delle ricerche portano all’individuazione dei tratti identitari in cui la città si riconosce. Le informazioni ricavate sono per di più utilizzate successivamente per indirizzare la comunicazione e la gestione del brand. Va sottolineato che la ricerca e l’analisi interna ed esterna vanno portate avanti per tutto il processo per creare e mantenere una connessione con tutto il pubblico di riferimento.

L’analisi del territorio urbano permette di mettere nero su bianco le peculiarità del luogo e il contesto competitivo in cui è inserito. Per scegliere le attrazioni della città su cui concentrarsi viene svolta una SWOT analysis. Essa mira a sostenere le scelte e razionalizzare il processo decisorio. In più, nei regolamenti comunitari viene richiesta nelle diagnosi territoriali per la valutazione dei programmi. L’esame della posizione occupata dalla città all’interno del mercato competitivo e dei suoi fattori di attrattività rispetto alle città rivali viene svolta attraverso un’analisi di benchmarking. Tra i criteri di confronto maggiormente esaminati ci sono il livello di efficienza dei servizi e delle infrastrutture, i costi di utilizzazione del territorio urbano, le condizioni dei fattori produttivi, lo stato dell’offerta territoriale e il livello delle condizioni di vita. In questa fase iniziale, inoltre, bisogna puntare sulla differenziazione per creare la propria offerta attrattiva. I prodotti offerti dalla città devono essere creati da zero o migliorati in modo

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da soddisfare i bisogni degli utilizzatori; è questo uno dei momenti in cui la realtà deve combaciare con l’aspettativa.

Contestualmente, è necessario stabilire quali siano i segmenti di utilizzatori e portatori di maggior interesse della città in modo da farli intervenire e partecipare direttamente al processo. Dopodiché si può procedere con la definizione della vision. La vision nel place marketing rappresenta come la città intende posizionarsi nel lungo termine nel mercato competitivo territoriale. La vision richiede la consapevolezza di ciò che la città desidera, deve essere stabilita dall’insieme di tutti gli stakeholder e deve essere proiettata nel lungo termine. È il traguardo che la città vuole raggiungere e per questo deve essere oggettivamente raggiungibile. Va evidenziato che la strategia e gli obiettivi del city brand non vanno confusi con la vision politica della città; a differenza di questa, i city brand non hanno la possibilità di cambiare in base alle amministrazioni cittadine.

La sequenza che prevede la definizione della vision e successivamente quella dei progetti, per alcuni autori, non è necessariamente unidirezionale e sequenziale. Ad esempio, i piani strategici di Lodi, Piacenza e Cremona hanno dato priorità alla progettualità e successivamente hanno ricostruito la vision e gli obiettivi che giustificano i progetti riscontrati. A prima vista questa sequenza sembra portare alla confusione, ma in realtà permette di assumere una duplice connotazione bottom-up: nasce dalle necessità degli stakeholder e deriva dai progetti concreti. Ciò permette di far emergere un alto grado di partecipazione e coesione (Rizzi, 2008).

Una volta stabilita la vision della città, è possibile definire i vari obiettivi da perseguire. Essi possono avere orizzonti temporali, importanza e specificità differenti. Il piano dovrebbe spingere verso l’efficienza e la gerarchizzazione dei bisogni e degli obiettivi sui quali dovrebbe prioritariamente intervenire. L’obiettivo primario in genere è quello di soddisfare tutti i gruppi di utilizzatori della città.

Ne segue la formulazione di un’adeguata strategia di marketing e branding che esprima ogni aspetto delle leve del marketing mix. Ogni alternativa strategica deve essere ben esaminata per capire se ci siano effettivamente le risorse e le capacità organizzative per attuarla o meno. Va scelto con attenzione il posizionamento e il settore di mercato in cui la città vuole competere collegando i bisogni degli utilizzatori alle capacità della città di soddisfarli. Questa scelta inciderà molto sul successo della città, perché ad ogni nicchia di mercato corrispondono strategie competitive differenti.

La governance a questo punto è pronta per la stesura di un piano operativo con la definizione delle modalità, delle attribuzioni ai responsabili idonei, delle tempistiche e delle risorse economiche necessarie per il raggiungimento degli obiettivi. Deve essere svolto, infatti, uno

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studio di fattibilità operativa del piano, che contenga la stima dei costi di realizzazione dei progetti e le possibili fonti finanziarie da cui reperire le risorse. Tra le fonti finanziarie più utilizzate si possono trovare le tasse di soggiorno, i finanziamenti da parte delle amministrazioni pubbliche e delle camere di commercio, le sponsorizzazioni e le royalty del merchandising. In questa fase operativa si procederà con la progettazione concreta attraverso gli strumenti operativi di cui dispone la città. In particolare, viene elaborata e trasmessa l’immagine visiva del city brand attraverso gli strumenti di comunicazione. È arrivato quindi il momento di avviare il piano, cosicché le attività di city branding possano iniziare.

Il piano operativo richiede un costante controllo, che permette di misurare i risultati ottenuti e aggiustare la strategia. Alcuni indicatori di controllo dei risultati attesi dei progetti potrebbero essere: la diffusione del logo (numero di operatori che lo utilizzano, numero di iniziative in cui è presente), la rilevazione della presenza sul web del city brand, i profitti di merchandising, l’incremento delle narrazioni, la diffusione del city brand da parte dei media, l’aumento del numero e della durata dei soggiorni nelle strutture ricettive e l’aumento del numero delle iniziative e degli eventi. La governance deve essere in grado di valutare le prestazioni in un’ottica di miglioramento continuo delle politiche intraprese e di formazione di report dei risultati ottenuti.

Una visione più operativa e strumentale del piano di city branding si trova nello studio di Kavaratzis del 2007, in cui l’autore cerca di ricostruire un quadro generale sul city branding citando i ricercatori più influenti del campo. Ogni autore, come è stato già spiegato, ha guardato l’argomento dal proprio punto di vista; nonostante ciò, è possibile assimilare diversi elementi degli studi, che sono stati riassunti da Kavaratzis sotto forma di otto fattori. Se si osservano bene, questi elementi possono essere visti come le fasi del processo di city branding:

1. Vision e strategia, di cui è già stato precedentemente scritto.

2. Cultura interna, ovvero viene diffuso l’orientamento del brand attraverso gli strumenti di marketing interno e gli altri strumenti posseduti dal management della città.

3. Comunità locale. In questa fase si dà priorità ai bisogni locali, si coinvolgono i cittadini, gli imprenditori e le attività nello sviluppo e nella diffusione del brand.

4. Sinergie, che significa accogliere il consenso e il supporto da parte di tutti gli stakeholder e offrire loro strumenti di partecipazione bilanciati.

5. Infrastrutture. Con questa fase la città deve essere in grado di provvedere alla soddisfazione almeno dei bisogni primari dei propri utilizzatori. Se ciò non avvenisse, la città non potrebbe appagare le aspettative espresse dal brand.

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6. Paesaggio urbano e porte di accesso. In questa fase bisogna lavorare sull’ambiente fisico urbano, che deve essere capace di rappresentare la città e influenzare positivamente il city brand.

7. Opportunità. È il momento di sfruttare le opportunità che possono presentarsi per gli individui, come il lifestyle o la possibilità di fruire di determinati servizi, e per le imprese, come quelle organizzative e finanziarie. Le opportunità offerte dal luogo rappresentano le sue potenzialità.

8. Comunicazione del city brand, che si discosta dalla semplice promozione, perché agisce in una logica bidirezionale e interattiva in grado di ottenere feedback e instaurare un dialogo con i destinatari. La comunicazione nel processo di city branding è stata ampiamente analizzata dallo stesso autore (2004), che ne distingue tre livelli:

• il primo livello è rappresentato da azioni che non hanno primariamente e intenzionalmente uno scopo comunicativo, ma che hanno conseguenze comunicative che influenzano l’immagine della città. Questo livello è costituito da quattro aree di intervento: strategie paesaggistiche (urban design, architettura, ampliamento delle aree green) e patrimonio artistico, progetti infrastrutturali (progetti di costruzione, miglioramento o riposizionamento di infrastrutture varie, miglioramento dell’accessibilità ed esistenza di servizi), struttura organizzativa e amministrativa (modifiche alla strutture di governo, misure di partecipazione degli stakeholder) e atteggiamento generale (vision, strategia adottata, incentivi agli stakeholder, servizi offerti, organizzazione di eventi); • il secondo livello è costituito dalla comunicazione formale e intenzionale,

ovvero dai classici strumenti di marketing, come campagne promozionali, PR, logo e presenza sui media. Viene regolarmente confusa con l’intero processo di branding. Due elementi sono fondamentali: il fatto che ci sia qualcosa di interessante da comunicare e che la città abbia le competenze per comunicarlo; • il terzo livello si riferisce al passaparola, rafforzato dai media e dai competitor.

Il concetto chiave del passaparola è che non può essere controllato e governato dai marketer. In questo caso i residenti sono il pubblico più importante e i veri marketer del processo. Vi rientrano le storie raccontate dai media, dai visitatori e dai residenti, le campagne di comunicazione delle città concorrenti, i giudizi degli opinion leader e degli influencer e il passaparola. Ogni processo di city branding dovrebbe svilupparsi recuperando le narrazioni raccontate dalle persone interne ed esterne alla città stessa. Spesso si parla di narrazioni implicite

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negli atteggiamenti e nei comportamenti verso e nella città, se sono raccontate dai residenti e dagli utilizzatori, mentre di narrazioni esplicite se fatte dai visitatori.