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CAPITOLO 2 Il piano di city branding

2.5 Come misurare i risultati

Dato che l’oggetto del city branding non è la città stessa ma la sua immagine, si rende necessario misurare quanto essa risulti attrattiva, sia a livello generale che a livello di percezione dei singoli fattori.

Il più famoso degli indici utilizzati per misurare la forza di un city brand è il GMI City Brand

Index di Anholt (2006). L’autore parte dal presupposto che quando le persone pensano alle città,

considerano inizialmente gli aspetti pratici della vita urbana e si concentrano su problemi come i trasporti, il traffico, l’inquinamento, il clima, il costo della vita, i servizi, le attività ricreative, la sicurezza e le attività culturali. Il GMI City Brand Index si basa sulla figura di un esagono, i cui angoli corrispondono ad un componente del city brand (Figura 7).

Figura 7: l'esagono alla base del GMI City Brand Index. Fonte: Anholt (2006)

I componenti dell’esagono sono:

• la presenza, ovvero il posizionamento e lo status del city brand a livello internazionale. Rappresenta la familiarità delle persone verso la città, il motivo per cui essa è

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riconosciuta famosa, il contributo da essa fornito in termini culturali, scientifici o governativi;

• il posto, ossia la percezione degli aspetti fisici della città, la bellezza estetica e la piacevolezza del clima cittadino;

• il potenziale, cioè le opportunità economiche e educative che la città offre ai visitatori, alle imprese e agli immigrati. Questo fattore esprime quanto sia facile o difficile trovare un lavoro o quanto sia profittevole insediarvi un’azienda. Inoltre, rappresenta la possibilità per i suoi cittadini di ottenere un’educazione di alto livello;

• l’impulso (o il battito), ovvero l’attrattività del lifestyle cittadino. Questa componente considera quanto sia eccitante vivere in una determinata città e quanto sia facile trovare cose interessanti da fare;

• le persone, perché le persone fanno la città. Questo elemento riguarda la calorosità e la disponibilità dimostrata dagli abitanti, la facilità da parte di un estraneo di entrare nella comunità e il senso di sicurezza che si riscontra in città;

• i prerequisiti, cioè la percezione che hanno le persone dei servizi base offerti dalla città. Vi rientrano le aspettative sulla qualità della vita, sul costo della vita e sugli standard dei servizi pubblici.

Se anche uno solo degli aspetti dell’esagono non è in sinergia con gli altri, l’intero processo di city branding potrebbe risultare vano.

Anholt (2006) ha condotto una ricerca su trenta città del mondo, in modo da testare il suo GMI City Brand Index. Lo studio ha portato ad alcuni risultati interessanti in merito alla forza di alcuni city brand e agli stereotipi di cui soffrono alcune città. Londra si classifica al primo posto del ranking. Nonostante la città sia famosa per gli affari finanziari, poche persone la associano ad essi; piuttosto riconoscono l’importanza della famiglia reale. Viene considerata una città in cui è facile ottenere un lavoro, portare avanti un’azienda, ricevere un’ottima educazione, essere inseriti nella comunità, usufruire di ottimi servizi e vivere un lifestyle eccitante. Londra risulta scarsa solamente nel costo della vita, nel clima e nell’ospitalità delle persone. Nel suo insieme, la capitale inglese è abbastanza sopravvalutata, sintomo di un brand molto forte. Tra le altre aree urbane della classifica meritevoli di una menzione c’è Amsterdam, una delle città maggiormente vittima dei suoi cliché (prostituzione, droga, tulipani, mulini). Allo stesso modo, Berlino è famosa per le sue infrastrutture all’avanguardia, ma lo è altrettanto per l’inospitalità dei suoi abitanti e per la figura di Hitler. Le città americane, come New York e Los Angeles, hanno un brand più forte di quello della nazione, grazie anche all’immaginario trasmesso dai

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media e dai prodotti che le rappresentano. Parigi, la seconda classificata, viene associata alla moda, ma non al cibo e la sua icona più famosa è la Torre Eiffel. Per quanto concerne l’Italia, Roma e Milano si collocano in modo coerente con il posizionamento della nazione (bene nel

soft side, peggio nelle infrastrutture, nella politica e nella finanza). Milano è principalmente

famosa per il fashion e Roma per il Vaticano. Per quanto riguarda le infrastrutture, i servizi e la finanza, Milano è molto sottovalutata, sintomo di un brand debole. Le città italiane hanno le potenzialità per occuparsi maggiormente del city branding, ma non si impegnano nel farlo. Infine, Lagos (capitale della Nigeria) risulta essere tra le peggiori città della classifica in tutte le categorie. Questo avviene perché è la città meno conosciuta delle trenta considerate e soffre del cosiddetto “continent brand effect”, ovvero è associata al debole brand Africa.

Da questi risultati si evince che le città indagate possono prendere spunto dalla classifica per correggere la traiettoria dei loro progetti di city branding e per capire quanto sia ancora lunga la strada da percorrere per conquistare una buona immagine.

La società di consulenza Resonance ha stilato il proprio sistema di misurazione dei brand cittadini, il Place Equity Index, che si basa su sei parametri. Anche qui entra in gioco il luogo, un fattore che comprende l’inquinamento, il clima, la disponibilità di aree green, la sicurezza e le attività ludiche. Il secondo elemento è la programmazione; l’attenzione è rivolta sulle attività culturali, artistiche e ricreative (shopping, ristoranti, vita notturna). Il terzo parametro è la prosperità, ovvero il benessere economico dei cittadini, il tasso di disoccupazione, il numero di aziende di successo e tutti quei fattori che influenzano lo stato economico della città. Il quarto elemento della misurazione è il prodotto, inteso come l’insieme delle infrastrutture e delle istituzioni cittadine (università, musei, aeroporti, ecc.). Il penultimo parametro riguarda le persone; nell’indice stilato da Resonance prende in considerazione la percentuale di residenti nata all’estero. Infine, l’attenzione si sposta sulla promozione, considerata come la capacità della città di raccontare la propria storia. Il ranking che ne risulta è basato su una combinazione di statistiche internazionali e sulla sentiment analysis dei contenuti online. Da questa classifica emerge che la top 3 delle città con almeno un milione di abitanti è formata da Londra, Singapore e New York. Fanno parte della top 100 anche tre italiane: Roma (ventesima), Milano (ventiseiesima) e Napoli (ottantatreesima) (Sannino, 2017).

Anche Rainisto (2003) ha creato il proprio Place Marketing Capacity Index, nel quale i suoi fattori di successo (citati precedentemente) vengono combinati con quattro variabili di capacità (obiettivi raggiunti, implementazione strategica, capacità organizzativa e misure di controllo). Attraverso l’assegnazione di un punteggio viene calcolato l’indice. Da esso, Rainisto è riuscito a stilare una lista delle differenze sulle pratiche di place marketing messe in atto dalle città degli

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Stati Uniti e del Nord Europa. La prima differenza sta nel fatto che i principali Paesi europei dispongono di agenzie nazionali di investimento, che possono aiutare e coordinare le attività di attrazione degli investimenti. Il place marketing europeo è inoltre meglio finanziato, poiché i governi sono più inclini a concedere finanziamenti rispetto alle controparti statunitensi, sostenitrici dell’ideologia del libero mercato. Poche organizzazioni statunitensi hanno le risorse necessarie al marketing internazionali e i progetti vengono coordinati dagli uffici di sviluppo statale. Nonostante ciò, negli USA, le città si sono accorte prima dell’importanza dell’immagine come strumento di comunicazione. In Europa è stata data maggiore importanza ai contenuti pubblicizzati, piuttosto che alla costruzione dell’immagine, e la privatizzazione delle industrie ha rallentato spesso lo sviluppo economico. Nonostante ciò, l’espansione europea ha dato vita a nuove dinamiche di competizione, che hanno avvantaggiato chi ha saputo rispondere ai cambiamenti. In Europa i fattori di attrazione soft, come imprenditorialità e educazione, sono diventati più importanti di quelli hard. In più, essa si concentra sull’attrazione di investimenti diretti esteri, mentre le città statunitensi si concentrano soprattutto sul mercato domestico, vista la grande dimensione. In generale, data la grande diversità di cultura, mobilità e risorse, le città europee affrontano sfide su scala e portata maggiori di quelle statunitensi.

È chiaro dunque che una gran parte degli esperti abbia cercato di dare il proprio contributo nella costruzione di un proprio indice di misurazione. Anche qui, come nell’intero campo del place branding, le prospettive e gli scopi di indagine sono stati vari. C’è chi ha inserito nel proprio indice dei parametri di misurazione maggiormente sociali, come l’assistenza sanitaria, l’assistenza agli anziani e la fiducia nelle istituzioni. Nel 2013, Zenker, Petersen e Aholt hanno costruito il Citizen Satisfaction Index, che misura la percezione di una città attraverso l’urbanistica, la diversità, le opportunità di lavoro, l’economicità, la natura e il divertimento. Numerose politiche hanno una visione più orientata alla qualità della vita (abitazioni di buona qualità, politiche ambientali riguardanti cibo, acqua, inquinamento e protezione paesaggistica, politiche legate alla sicurezza e al lavoro). Altri hanno preferito costruire indici di misurazione basati sul livello di capitale intellettuale, andando ad analizzare la quota di conoscenza sulla crescita della città. Altri ancora si sono focalizzati sull’aspetto turistico del city branding. Malgrado la numerosità di tutti questi indici di misurazione della forza dei city brand, in accordo con Fiocca et al. (2011), i sistemi di ranking hanno dimostrato nel tempo i loro limiti. Sebbene il loro scopo sia quello di formulare una classifica in grado di evidenziare i fattori di eccellenza e di miglioramento di una città, l’estrema variabilità dell’ambiente competitivo, l’utilizzo di numerose variabili e la mancanza di standard di misurazione tra le città, li rendono uno strumento non ancora capace di fornire una descrizione precisa del posizionamento di una città.

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Se si prendono in considerazione le classifiche annuali stilate da Italia Oggi, da Il Sole24Ore, da Mercer o da Cushman & Wakefield, è possibile notare che il posizionamento di una città come Milano risulti disomogeneo. Per di più, come è stato ampiamente esposto, i fattori di eccellenza e criticità variano da ranking a ranking, soprattutto se si confrontano classifiche nazionali e internazionali.

I limiti di tali classifiche non devono tuttavia indurre a pensare che il confronto tra città e territori sia inutile, soprattutto dal punto di vista della pianificazione di interventi di miglioramento e correzione dei progetti di city branding. È più logico affermare che i ranking debbano essere migliorati con l’aggiunta di altri elementi, come l’importanza della percezione e degli stereotipi, le motivazioni di confronto e i segnali di miglioramento che emergono dai confronti.

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