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3.5 Partecipanti

3.5.2 I non-interpreti: considerazioni generali

3.5.2.1 Il pubblico

Per quel riguarda il nostro studio, come abbiamo già detto, la definizione dei ruoli è determinata dalla situazione comunicativa e dalla prospettiva dell’interprete. Questa precisazione ci consente di poter definire in maniera precisa una categoria di partecipanti altrimenti vaga e dai contorni sfumati, ovvero il pubblico. Se per pubblico, infatti, consideriamo gli utenti del servizio di interpretazione al pari di tutte le altre persone che sono in grado di comprendere il TP, allora per pubblico avremo tutte le persone presenti all’interno della situazione comunicativa. Un conferenziere inglese, per esempio, una volta conclusa la sua relazione potrebbe dover usufruire del servizio di interpretazione per seguire ciò che il moderatore italiano dice subito dopo, seguito da eventuali domande in italiano da parte di altri partecipanti. Il conferenziere diventerebbe utente, e quindi pubblico. Il cambiamento dei ruoli nel corso della situazione comunicativa è una dinamica assolutamente normale, basti pensare alla possibilità che chi modera una sessione sia poi chiamato a partecipare in veste di conferenziere ad un’altra sessione all’interno dello stesso convegno. Allo stesso modo, un conferenziere che ha terminato la sua relazione e ha risposto a tutte le domande poste nel corso della sessione in cui ha presentato il suo lavoro, successivamente può sedersi tra il pubblico e seguire le presentazioni di altri conferenzieri al pari di coloro che sono presenti solo ed esclusivamente per ascoltare. Detto questo, la nostra doppia prospettiva nel determinare i ruoli dei partecipanti al convegno ci impone di mantenere l’attribuzione di determinati ruoli nei momenti fondamentali dello svolgimento della situazione comunicativa, momenti che abbiamo individuato in ogni singola sessione. Per esempio, questo significa che se un conferenziere ha terminato la sua

relazione e a questa segue la presentazione di un’altra relazione da parte di un secondo oratore coinvolto nella stessa sessione, il primo oratore pur avendo svolto completamente il suo ruolo e diventando in un certo senso parte del pubblico (mentre ascolta il secondo), agli occhi degli altri partecipanti, tra cui gli interpreti, e nell’ambito della stessa sessione di quel convegno (talvolta anche per l’intera durata di tutto l’evento comunicativo) manterrà comunque la propria veste di conferenziere nel momento in cui riprende la parola. Con buona probabilità, anzi, rimarrà tale agli occhi degli altri partecipanti anche quando segue gli interventi di altri oratori prima e dopo di lui. Per esempio, questo è dimostrato dal fatto che nel corso delle sessioni di discussione potrebbe essere invitato a esprimere un parere su quanto ascoltato, perché a un suo eventuale commento non sarebbe assegnato lo stesso status che è invece assegnato all’intervento di un partecipante “qualsiasi” che non è “identificato” per quell’occasione all’interno del programma (fa parte cioè del pubblico generale).

Ciò che abbiamo appena discusso rimanda al tema della composizione del pubblico e, più in generale, ai diversi tipi di diacultura eventualmente presenti tra i partecipanti al convegno. A seconda del tipo di conferenza e convegno, infatti, avremo diverse possibilità di comunicazione: comunicazione tra esperti appartenenti alla medesima comunità scientifica (una sola diacultura), oppure tra esperti appartenenti a diverse comunità scientifiche, ognuna caratterizzata da una propria diacultura; comunicazione tra esperti e non esperti, caratterizzati da differenze non solo sul piano della diacultura, ma anche sulle possibilità di accesso e sulle modalità di trasmissione dei contenuti. In realtà, anche nella comunicazione tra esperti di una stessa diacultura, di norma le conferenze e i convegni costituiscono occasioni per tutti di “imparare qualcosa di nuovo”, cioè di venire a conoscenza di altri lavori e, per lo meno, di sentire il punto di vista dell’altro. Certo è che il tipo di pubblico è un fattore che dovrebbe orientare tutti coloro che si trovano a produrre eventi linguistici ratificati nell’ambito del convegno. Di rifilesso, questo vale anche per gli interpreti, come segnala Snelling (1989, p. 142): «A target text must be targeted upon a specific audience and it is, therefore, necessary to involve, as a variable in the interpretation equation, the audience and the specific qualities of that audience». A ben vedere, questa considerazione dovrebbe essere valida anzitutto per chi produce il TP se si vuole che la comunicazione funzioni in maniera efficace, ma sappiamo anche che è l’interprete ad essere un professionista della comunicazione, e come tale è tenuto a far arrivare il messaggio ai destinatari nel migliore dei modi. Il pubblico, inteso come destinatario dei testi trasmessi dall’oratore (e dall’interprete), è definito da Snelling (ibid.) come “beneficiary” più che “recipient”, sottolineando così la funzione di “ponte” dell’interprete, il cui obiettivo è far sì che la comunicazione avvenga con successo. Snelling illustra come il tipo di pubblico beneficiario del servizio di interpretazione possa orientare la produzione dei testi in lingua di arrivo da parte dell’interprete. Sono presentati, a questo proposito, tre esempi. Nel primo è ipotizzata una comunità linguistica composta interamente da esperti della materia oggetto della conferenza. Sia coloro che prendono la parola, sia coloro che ascoltano condividono lo stesso

livello di preparazione, ovvero appartengono alla stessa diacultura. Come già segnalato, l’unico soggetto che potrebbe discostarsi dal gruppo è lo stesso interprete, in quanto difficilmente avrebbe la possibilità di condividere lo stesso livello di esperienza e preparazione degli altri partecipanti, pur preparandosi adeguatamente all’incarico assegnato. In questo caso, l’interprete prediligerebbe il più possibile un uso tecnico e specifico della lingua; eventuali lacune sarebbero generalmente compensate dalla conoscenza degli ascoltatori. Un secondo esempio è dato da una situazione di conferenza in cui chi parla non condivide lo stesso patrimonio culturale, o la stessa diacultura, di chi ascolta, mentre sarebbe l’interprete ad essere altamente consapevole di come far trovare punti di congiunzione alle due diverse comunità. Questo sarebbe possibile agendo direttamente sul testo, esplicitandone le parti che risulterebbero oscure o inserendo riferimenti culturali diversi ma “tarati” sul filtro di percezione degli ascoltatori. Infine, un terzo caso esemplificativo riguarda la possibilità di avere una lontananza considerevole tra tutte le diaculture coinvolte, cioè tra i partecipanti in veste di conferenzieri, gli ascoltatori nel pubblico e l’interprete stesso. In tali casi, favoriti spesso dall’uso della lingua inglese come lingua veicolare tra persone di paesi e culture differenti e il più delle volte non anglofoni, all’interprete spetterebbe il compito di individuare il denominatore comune su cui basare le proprie scelte linguistiche per la trasmissione del messaggio nel TA.