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Le modalità di interpretazione in differita si differenziano dalle modalità in simultanea in quanto il TP e il TA sono prodotti separatamente l’uno dall’altro e in successione, con un’alternanza di turni oratore-interprete. Molto probabilmente, rientrerebbero in questa tipologia le primissime forme di interpretazione, utilizzate fin dall’antichità. In senso lato, potremmo affermare che l’interpretazione è tanto antica quanto la storia dell’umanità, poiché da sempre gli esseri umani hanno avvertito la necessità di comunicare, nonostante sia impossibile individuare un momento e una civiltà precisi a cui attribuire la nascita della comunicazione mediata dall’interprete. Vi sono comunque testimonianze concrete che ne attestano l’esistenza già nella civiltà egizia del III millennio a.C., così come nell’Impero romano e, soprattutto, nel corso di gran parte delle imprese di esplorazione scientifica, di espansione commerciale o militare, di evangelizzazione e di colonizzazione (Hermann 1956/2002, Kellet Bidoli 1999, Merlini 2005, pp. 19-26).

Saint Paul advised the Corinthians to have recourse to [the interpreters]; in the beginning of the XII century a French lawyer advised his King to set up a school of interpreters for use in the Middle East and more particularly in the Holy Land during the Crusades, and he even criticized Pope Boniface VIII for not speaking foreign languages. Two centuries later, Christopher Columbus sent young Indians to Spain to be trained as interpreters, and all Embassies in foreign countries have always had dragomen or other interpreters to make contacts possible with local people.

(Herbert 1978, p. 5)

Riprendendo uno degli esempi elencati nella citazione sopra riportata, cioè quello della conquista del Nuovo Mondo, possiamo affermare che una delle figure di interprete più note , per certi versi leggendaria, è quella della Malinche (conosciuta anche come Doña Marina, Malintzin, Malinalli, Malineli Tenepatl), l’interprete-amante di Hernán Cortés senza la quale probabilmente la storia del continente americano avrebbe seguito un corso molto diverso da quello che conosciamo oggi (Alonso & Baigorri 2004, Esquivel 2007).

Sappiamo che è solo dalla seconda metà del XX secolo, tuttavia, che il mestiere dell’interprete si afferma in quanto tale, ed è proprio a partire dalle modalità in differita che questa figura professionale nasce e si sviluppa.

9 Per la stessa espressione “interpretazione simultanea” Pöchhacker (2004, p. 19) segnala che questa «is often

used as a shorthand for spoken-language interpreting with the use of simultaneous interpreting equipment in a sound-proof booth». Precursore della classificazione delle modalità in simultanea è Herbert (1952, citato in

Generalmente, tra le modalità in differita viene fatta una distinzione tra consecutiva “classica” e consecutiva “breve”, quest’ultima anche conosciuta come interpretazione di trattativa o dialogica (sulla questione terminologica, si veda Mack 2005; Hale 2007, pp. 27-30). La linea di confine tra le due tecniche non è sempre facile da demarcare, ma vi sono alcuni elementi distintivi che caratterizzano maggiormente l’una o l’altra tecnica, quali la presa di note, il tipo di interazione comunicativa tra i partecipanti (monologica o dialogica) e la direzionalità (§4). In generale, a seconda della lunghezza del testo di partenza, della densità degli interventi da tradurre e del livello di stanchezza, l’interprete può decidere se utilizzare o meno la presa di note. Tendenzialmente, l’uso delle note è più frequente, se non obbligatorio, nella consecutiva “classica”, mentre è più limitato nella consecutiva “breve”.

1.1.1 Consecutiva “classica”

In questa prima forma di interpretazione consecutiva, la durata dei singoli brani di cui si compone il TP è tale per cui l’interprete deve utilizzare una tecnica apposita di presa di note, in modo da poter poi ricostruire fedelmente il brano appena ascoltato. Le note servono all’interprete per richiamare alla memoria il testo di partenza. Pur essendo basate su un repertorio di simboli e abbreviazioni, non esiste un unico stile di presa di note. Ogni interprete sviluppa e consolida uno stile strettamente personale (a tal riguardo, si vedano, tra gli altri, i contributi di Garzone 1990, Allioni 1997, Iliescu Gheorghiu 2001, Gillies 2005, Russo 2005a).

Nel caso dell’interazione monologica, l’interprete deve gestire l’intervento di un unico oratore che si interromperà di volta in volta, dividendo il proprio discorso in brani di diversa lunghezza, a seconda dell’estensione totale dell’intervento, per consentire all’interprete di tradurre quanto detto. Dopo che l’interprete ha completato la traduzione del brano pronunciato dall’oratore, questi riprende il discorso dal punto in cui era stato interrotto e produce un altro brano che sarà poi tradotto dall’interprete. La lunghezza dei brani prodotti dall’oratore può essere molto variabile, da due-tre minuti fino a cinque, dieci minuti o perfino oltre. Anche la durata totale dell’intervento da parte dell’oratore varia a seconda dei singoli casi. Vale comunque la pena sottolineare che con questa modalità di interpretazione i tempi di parola sono pressoché raddoppiati, il che comporta una certa limitazione nell’impiego di questa tecnica nelle situazioni in cui sono coinvolte molteplici combinazioni linguistiche. In linea di massima, nel caso in cui sia necessario tradurre il TP in più lingue di arrivo, è preferibile rendere disponibile il servizio di interpretazione simultanea.

La direzionalità in questo tipo di interazione si mantiene costante, poiché l’interprete è tenuto a tradurre l’intero discorso a partire dalla lingua del TP nella lingua di arrivo. Se pensiamo al discorso tenuto da un oratore nell’ambito di una conferenza, è anche possibile che siano poste alcune domande da parte del pubblico al termine del suo intervento, le quali imporrebbero un cambiamento di direzione linguistica nella traduzione dell’interprete. Tuttavia, a questo punto è

molto probabile che l’interprete traduca le domande con la tecnica dello chuchotage o senza presa di note, per poi tradurre la risposta dell’oratore nuovamente in consecutiva con presa di note.

1.1.2 Consecutiva “breve”

Il passaggio di parola da un oratore ad un altro ci porta ad approfondire l’altro tipo di interazione comunicativa a cui abbiamo accennato, ovvero l’interazione dialogica. Questo tipo di interazione vede la partecipazione di almeno due (o più) partecipanti che interagiscono tra loro. In genere, gli interventi sono di breve durata. Si avvicinano, talvolta, alla conversazione spontanea, ma sono spesso ricondotti ad ambiti di tipo istituzionale, sanitario e commerciale (Gentile et al. 1996, Collados & Fernández 2001, Russo & Mack 2005, Hale 2007, Valero & Martin 2008).

Proprio la durata inferiore degli interventi ha probabilmente dato il nome alla tecnica che abbiamo presentato come consecutiva “breve”. Per lo stesso motivo, l’uso delle note è molto meno diffuso per gestire questo tipo di interazione. Inoltre, gli scambi interazionali tra i partecipanti, parlanti ovviamente di due lingue differenti, comportano un passaggio continuo da una direzione linguistica all’altra da parte dell’interprete (si parla, infatti, di “bidirezionalità”). Il più delle volte, questo avviene con una marcata prossimità fisica tra gli interlocutori e l’interprete, il quale si trova non solo a gestire il flusso comunicativo in termini linguistici e culturali, ma anche le dinamiche interazionali stesse. Infatti, le modalità in differita sembrano permettere una maggiore partecipazione diretta dell’interprete anche alla gestione dei turni di parola, a differenza di quanto avviene per le modalità in simultanea.