III. Il superpartito di Salvo Lima, 1963-1968
2. Il rapporto Bevivino e le ripercussioni sull’uomo sbagliato
Mentre continuavano le operazioni antimafia in tutta la provincia, nell’estate 1963 la discussione sul programma del governo D’Angelo si apriva tra vivaci incidenti. Quando il comunista Feliciano Rossitto, segretario regionale della CGIL, si rivolgeva ai democristiani invitandoli a smascherare i rapporti di alcuni di loro con la mafia, Dino Canzoneri, neoeletto e avvocato di Luciano Leggio, incautamente definiva il suo assistito un «perseguitato dai comunisti».408 Sul Corriere della sera, pochi giorni prima, Gianfranco Piazzesi aveva scritto invece che, se avesse operato con la necessaria energia, l’Antimafia avrebbe potuto raggiungere «spettacolari e nemmeno difficili conclusioni»: bastava esaminare con attenzione i voti di preferenza di molti deputati che non si erano nemmeno disturbati a fare comizi e che, comunque, avevano ottenuto migliaia di voti nei paesi e nelle borgate dove gli “intesi” erano sovrani.409 Perfino la prefettura riconosceva che «il merito principale» all’impulso dato alla campagna di sensibilizzazione antimafiosa andasse ascritto ai comunisti siciliani, che «per primi» avevano auspicato l’estirpazione del fenomeno.410
Mentre il governo riaffermava pertanto la volontà di combattere la mafia, in ottobre l’Antimafia apriva un fascicolo su Vassallo. Intrecciata con quella del Piano regolatore e degli improvvisi arricchimenti cittadini, la sua storia era arrivata alla commissione perché, tra il 1955 e il 1962, gli erano stati concessi dalle banche ben 4 miliardi: 1 miliardo e 629 milioni dal BdS; 1 miliardo e mezzo dalla BNL; 928 milioni dalla Sicilcassa e 6 milioni dal Credito fondiario sardo. Questi finanziamenti, comprendenti
406 ARS, Leg. V, Resoconti parlamentari, 30 luglio 1963, pp. 44-45.
407 F. Farkas, La mafia delle case a Palermo, in «Rinascita», 10 agosto 1963. 408 ARS, Leg. V, Resoconti parlamentari, 23 agosto 1963, pp. 170-181.
409 Gianfranco Piazzesi, Il mafioso in giacchetta, in «Corriere della sera», 6 agosto 1963. 410 ACS, MI Gab. 1961-1963, Relazioni trimestrali, b. 309, f. Palermo, Nota prefettizia, 3
110 tutti aperture di credito ipotecario e mutui di credito fondiario, dato che generalmente le banche richiedevano una garanzia di almeno il doppio del mutuo significavano che il patrimonio del costruttore raggiungeva già i dieci miliardi. Vassallo era un imprenditore affermato, eppure fino a pochi anni prima le sue disponibilità economiche non andavano oltre qualche milione. Non aveva ricevuto condanne né gli erano mai state applicate misure di prevenzione, tuttavia era sospettato di mafia e con alcuni boss era anche imparentato: aveva sposato Rosalia Messina, figlia di Giuseppe Messina e sorella di Salvatore e Pietro, uccisi il 6 luglio 1961 e il 16 maggio 1962 in una faida tra clan.411 Prima della guerra Vassallo era un carrettiere e venditore di cereali, mentre il battesimo da imprenditore era avvenuto nel 1951, quando il Comune gli aveva concesso l’appalto per la costruzione della rete fognaria nelle borgate di Tommaso Natale e Sferracavallo. La chiave di volta della sua ascesa – indicava l’Antimafia – stava nel suo rapporto con Enrico Ferruzza, l’ingegnere a guida della SAIA, una delle due municipalizzate dei trasporti, che gli aveva aperto le porte degli ambienti politici. La carriera si era quindi perfezionata con l’ampliamento di questo sistema relazionale: Vassallo era in ottimi rapporti con Cusenza, genero di Gioia, e con lo stesso Lima. Se non è mai esistita l’impresa “VA.LI.GIO.”, dalle iniziali dei componenti, la sigla rappresentava quantomeno i loro rapporti.412 Era certo, infatti, che l’appartamento in via Marchese di Villabianca, dove Lima risiedeva per ben 18 anni, era stato regalato al sindaco proprio da Vassallo.413 Nel momento in cui i “giovani turchi” si affermavano al potere, il legame diveniva dunque così organico che praticamente non era più possibile «distinguere l’una o l’altra parte, chi fosse il politico (e pubblico amministratore) e chi fosse il mafioso».414
Per meglio identificare l’associazione a delinquere, il PCI palermitano pubblicava quindi su Rinascita il suo Memoriale sulla mafia (poi acquisito dall’Antimafia). I comunisti sottolineavano che la lotta non avrebbe dovuto affrontarsi esclusivamente come un problema di polizia, ma era necessaria una profonda moralizzazione della vita pubblica. Bisognava respingere l’interpretazione che la mafia fosse una mera «questione di costume», perché non potevano esistere due mafie, una cattiva e tesa alle 411 Antimafia, Documentazione allegata alla relazione conclusiva, Leg. VIII, Doc. XXIII n. 2, IV,
t. 10, 1979, pp. 274 sgg. Sulla famiglia cfr. anche U. Santino - Giovanni La Fiura, L’impresa mafiosa. Dall’Italia agli Stati Uniti, F. Angeli, Milano 1990, pp. 128-145; V. Coco, La mafia palermitana. Fazioni, risorse, violenza (1943-1993), Centro di studi e iniziative culturali Pio La Torre, Palermo 2010, p. 25.
412 Di tale impresa parlarono negli anni numerose fonti a stampa, contro cui Gioia e Lima
sporsero varie querele finché, il 27 settembre 1980, una sentenza del Tribunale di Roma dichiarò che non esisteva alcuna prova circa la costituzione di una detta società. Cfr. U. Santino (a cura di), Un amico a Strasburgo 5 anni dopo, Centro siciliano di documentazione «G. Impastato», Palermo 1989, pp. 19 sgg.
413 Tribunale di Palermo, Requisitoria PM al processo contro Andreotti, Le mani sulla città,
cit., p. 29
414 Raimondo Catanzaro, Il delitto come impresa. Storia sociale della mafia, Liviana, Padova
111 attività criminali e una buona e circoscritta ad atteggiamenti folkloristici. Esisteva una sola mafia, che si manifestava a vari livelli e che era strettamente interdipendente. Se la commissione parlamentare non avesse colpito i mafiosi di alto rango per mandare in galera soltanto quelli di basso rango, tutto sarebbe rimasto come prima. Quanto era avvenuto al Comune, con la formazione della «legione straniera» di Lima, era la rappresentazione sintomatica di come un gruppo di uomini di qualsiasi provenienza politica fosse tenuto insieme da un’unica prospettiva, quella del potere e di come mantenerlo.415
All’ARS la discussione veniva subito resa incandescente da Enzo Marraro, che nel suo intervento sosteneva che il PCI avrebbe rigettato ogni conclusione ambigua e che non sarebbe stato disposto a «voti unitari generici» che non avrebbero aggredito concretamente le cosche nella loro compenetrazione con alcuni gruppi dirigenti. Si appellava per questo «al senso di responsabilità dei settori e degli uomini più sani della DC». Negli anni, infatti, erano stati ammazzati numerosi sindacalisti di sinistra, mentre i democristiani avevano sempre negato la stessa esistenza della mafia, impedendo per primi quell’unità morale e politica capace di produrre interventi risolutivi. Il loro era un rifiuto permanente ad affrontare in termini di chiarezza la questione, anche al Comune dove Lima era peraltro parso obbligato a votare una mozione contro il fenomeno. Se la DC avesse voluto dare un reale contributo, incalzava il comunista catanese, l’ex sindaco poteva dire le tante cose che sapeva. In difesa di Lima interveniva Rosario Nicoletti, assessore regionale al Turismo e figlio del capo dell’Ufficio tecnico comunale, che condannava il tentativo di ridurre l’azione antimafia in uno strumento di polemica politica: le accuse nei confronti dell’amministrazione di Palermo si riducevano al linciaggio morale di quegli uomini che invece avevano «ben meritato». Dato il disaccordo, D’Angelo era quindi costretto a rinviare il voto contro la mafia.416
Nello stesso frangente il Consiglio comunale riprendeva i lavori dopo tre mesi di inattività. Leggendo i risultati per l’elezione del presidente dell’AMAP, dove la DC aveva candidato Carmelo Dino, il sindaco Di Liberto non si rendeva conto di essere preso in giro dai consiglieri del PCI. Nel momento in cui pronunciava «…Dino 32, Nottola 4…», il noto personaggio del film Le mani sulla città di Francesco Rosi, simbolo del malcostume politico, entrava concretamente in un’aula consiliare.417 Con un colpo di coda l’Assemblea regionale riusciva ad approvare una mozione il mese seguente, 415 Memoriale sulla mafia, in «Rinascita», 12 ottobre 1963. Il testo è anche in Francesco
Petruzzella (a cura di), La posto in gioco. Il PCI di fronte alla mafia, La Zisa, Palermo 1993, La prima antimafia, II, pp. 14-39.
416 ARS, Leg. V, Resoconti parlamentari, 17-18 ottobre 1963, pp. 409-452.
417 Il DC Cusimano presenta il nuovo presidente dell’Acquedotto di Palermo, in «L’Ora», 23 ottobre
1963. Il protagonista, Eduardo Nottola, rappresentava il tipico politico che, con la forza del denaro, riusciva a imporre la speculazione edilizia. Il film vinse il Leone d’oro al Festival di Venezia del 1963.
112 quando all’unanimità ribadiva la volontà di collaborare con l’Antimafia. In cambio dell’eliminazione dei riferimenti ai rapporti con la politica la DC accettava di impegnare la giunta a disporre sollecite ispezioni presso le amministrazioni comunali di Palermo, Trapani, Caltanissetta e Agrigento.418
Dopo una gestazione di sei anni, nel dicembre 1963 il PSI entrava frattanto a far parte del governo e Moro veniva chiamato a presiedere il primo centrosinistra organico.419 Data l’immobilità della politica italiana e la sensibilità verso gli sviluppi internazionali, decisivi erano stati il sostegno di Kennedy e gli interventi del suo consigliere Arthur Schlesinger. Sostenuto dell’amministrazione americana, infatti, Nenni aveva potuto affrontare con successo la trattativa sul programma di politica estera e vincere, in ottobre, il congresso socialista.420 L’ingresso nella “stanza dei bottoni” provocava la scissione in casa socialista, perché l’ala sinistra, nel gennaio 1964, usciva dal partito per fondare il PSIU.421
Pasquale Garofalo, PG presso la Corte d’appello di Palermo, negli stessi giorni inaugurava l’anno giudiziario rivolgendo l’attenzione principale al problema mafioso. Descrivendo come i clan operavano nei diversi settori economici, per il magistrato gli strumenti di cui erano dotati organi giudiziari e polizia erano assolutamente inadeguati: bisognava approntare nuovi provvedimenti legislativi.422 Insediatisi i commissari dell’Antimafia a Palazzo dei Normanni, Nisticò gli ricordava quindi che C’è modo e modo di restare nella storia. Tentare di afferrare la mafia solamente nei suoi addentellati delinquenziali era come inseguire le proverbiali farfalle sotto l’arco di Tito. Ci voleva poco per rendersi conto che il problema stava soprattutto nel malgoverno, perché senza il ministro compiacente, il deputato o l’assessore compromesso, il funzionario connivente o corrotto, il magistrato pavido o accomodante, la prepotenza mafiosa non sarebbe riuscita né a mortificare né a intralciare o condizionare i pubblici poteri dominando l’economia palermitana. Dall’Antimafia ci si attendeva dunque il coraggio di mettere una buona volta le mani sugli ingranaggi della politica e della
418 ARS, Leg. V, Resoconti parlamentari, 15 novembre 1963, pp. 701-703.
419 Per il discorso programmatico di Moro cfr. AP, CD, Leg. IV, Discussioni, 12 dicembre
1963, pp. 3952-3963.
420 Cfr. Mimmo Franzinelli - Alessandro Giacone, Il riformismo alla prova. Il primo governo
Moro nei documenti e nelle parole dei protagonisti (Ottobre 1963 - Agosto 1964), Feltrinelli, Milano 2012; sulla posizione italiana nel sistema politico internazionale cfr. G. Formigoni, Storia d’Italia nella guerra fredda. 1943-1978, il Mulino, Bologna 2016; sulle posizioni dell’amministrazione Kennedy cfr. Leopoldo Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra. Importanza e limiti della presenza americana in Italia, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 537-665; sul dibattito a Washington cfr. Spencer M. Di Scala, Renewing italian Socialism: Nenni to Craxi, Oxford University Press, New York 1988.
421 Nel corso della sua breve storia (1964-1972) il partito della sinistra socialista avrebbe
sempre oscillato fra la volontà di salvaguardare i legami col PCI e la tentazione di darsi una propria autonomia. Cfr. Aldo Agosti, Il partito provvisorio. Storia del PSIUP nel lungo Sessantotto italiano, Laterza, Roma-Bari 2013.
422 Cfr. Discorso per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 1964 pronunciato dinanzi all’Assemblea
113 pubblica amministrazione.423 A tal proposito, il PCI proponeva al Senato una modifica del Codice penale per introdurre l’associazione a delinquere degli indiziati di attività e connivenze mafiose. Per essere colpiti da questa imputazione, fino a quel momento, occorreva la prova materiale di un reato specifico. La proposta comunista intendeva invece considerare la sola associazione con dei mafiosi come reato in sé, poiché i mezzi della mafia arrivavano fino al crimine ma non consistevano solo in questo. Particolarmente importante era l’emendamento secondo cui le persone riconosciute come mafiose avrebbero dovuto essere private di quei beni, mobili o immobili, procurati tramite attività illecite.424 Come è noto, il reato di associazione a delinquere per il solo fatto di essere mafioso sarebbe stato introdotto il 13 settembre 1982, con 18 anni di ritardo e solamente in seguito agli omicidi di La Torre e Dalla Chiesa. Nuovi strumenti sarebbero stati istituiti con la legge 31 maggio 1965, n. 575, intitolata Disposizioni contro la mafia. Uno strumento legislativo che però avrebbe accentuato il carattere repressivo delle misure di prevenzione, non accompagnandosi ad alcun provvedimento patrimoniale capace di incidere sulle radici economico-sociali della mafia. Lo Stato, in sostanza, ancora una volta si sarebbe presentato in Sicilia con il “volto del carabiniere” e le nuove misure avrebbero colpito i “manovali” e non i “pezzi da novanta”. Non avendo determinato le caratteristiche del soggiorno obbligato, inoltre, nella maggior parte dei casi il ministero dell’Interno avrebbe scelto località a ridosso delle grandi aree metropolitane del Nord con il risultato che i mafiosi avrebbero esportato le proprie attività su tutto il territorio nazionale.425 A dare la misura di come il problema sia stato svalutato dagli organismi responsabili, nelle relazioni inaugurali degli anni successivi gli accenni alla mafia, in armonia con il clima generale del Paese, sarebbero stati fugaci e del tutto rassicuranti. Nella relazione del 1967, ad esempio, si asseriva che il fenomeno era in fase «lenta ma costante» di eliminazione, mentre in quella del 1968, a proposito dell’adozione del soggiorno obbligato, per il procuratore Antonio Barcellona il mafioso fuori dal proprio ambiente era «pressoché innocuo».426
La minimizzazione del problema coincideva con la nomina di Rumor a segretario politico della DC, il 28 gennaio 1964, quando prendeva avvio la lunga gestione dorotea del partito.427 Le spinte riformatrici del centrosinistra, ha ammesso più avanti Pumilia, si sarebbero attenuate anche nella lotta alla mafia.428 Ignorando l’arresto di Genco Russo (5 febbraio), all’apertura del congresso provinciale, il 9 febbraio, Lima rivendicava i 225.036 voti delle politiche e i 227.421 delle regionali (39,6% e 42,1%)
423 V. Nisticò, C’è modo e modo di restare nella storia, in «L’Ora», 15 gennaio 1964.
424 AP, Commissioni bicamerali di inchiesta, Leg. IV, Documenti, 29 gennaio 1964, p. 143. 425 Sull’elaborazione giurisprudenziale cfr. Gherardo Colombo - Luigi Magistro, La
legislazione antimafia, Giuffrè, Milano 1994.
426 Franco Marrone, Come ti pratico l’omertà, in «Segno», n. 13, gennaio-febbraio 1981, pp.
44-52.
427 AILS, FDC, Direzione nazionale, sc. 37, f. 450, 28 gennaio 1964. 428 C. Pumilia, La Sicilia al tempo della Democrazia cristiana, cit., p. 65.
114 come il contributo della DC palermitana al consolidamento delle istituzioni nazionali e locali. Nonostante fosse sottoposta alle più aspre polemiche, Palermo confermava la propria fiducia allo scudocrociato. «Ormai da troppo tempo», contrattaccava il segretario locale della DC, gli amministratori erano però oggetto di attacchi provenienti da certi ambienti politici e di stampa che avevano «caratteristiche di estrema genericità» e che, quando raramente scesi nel particolare, erano andati incontro a secche smentite. I comunisti, in particolare, seguivano «uno schema precostituito, ormai monotono e ripetuto, sino ai particolari di certa facile terminologia», presentando la situazione come se loro sollecitassero la chiarezza mentre la DC cercasse di «coprire la propria attività con un velo di silenzio». La DC palermitana, sosteneva invece Lima, si era dichiarata favorevole a ogni indagine sull’operato dell’amministrazione e aveva partecipato senza tentennamenti alla battaglia contro la mafia. Condannando «ogni tentativo di strumentalizzazione della lotta alla mafia per fini di parte o di polemica politica», concludeva che coloro i quali percorrevano questa strada dimostravano «una insincerità di intendimenti» che li disonorava e che peraltro avrebbe dirottato l’opinione pubblica su «false direttrici». La nota stonata del congresso era rappresentata ancora una volta da Restivo, che, ponendo l’esigenza di una maggiore chiarezza interna, dichiarava che la DC non poteva limitarsi a essere «un partito di tessere». Per il vicepresidente della Camera la DC era ormai un partito di «carbonari»: la Direzione avrebbe quindi dovuto pubblicare gli elenchi dei soci, perché solo così la maggioranza interna sarebbe stata conquistata senza l’apporto di «anime morte». Al termine dei lavori, confermata la prevalenza fanfaniana nel nuovo comitato (25 su 42), Lima rovesciava comunque il discorso affermando che la DC si era mostrata unita, forte e idonea a sostenere le battaglie contro le minoranze eversive: aveva anzi manifestato vitalità, slancio e freschezza.429
Contestualmente il prefetto Bevivino consegnava a D’Angelo le risultanze dell’ispezione presso il Comune. Poiché anche il PSI chiedeva che fosse reso pubblico l’esito delle indagini, la DC respingeva ogni accusa, accusando il PCI di compiere ogni tentativo per colpire «in modo fazioso e prevenuto» i propri uomini. Secondo Mario D’Acquisto, vicesegretario provinciale, i democristiani avevano sempre ribadito la necessità di combattere la mafia, e «senza bisogno di alcuna sollecitazione esterna» avevano voluto accertare per primi la verità. Il metodo perseguito dai comunisti, che senza prove pretendevano di anticipare giudizi e condanne, era «immorale ed inqualificabile».430 Scatenando ulteriormente le polemiche, prima che giungesse nelle sedi appropriate L’Ora riusciva a pubblicare il rapporto nella versione integrale. La commissione ispettiva, composta dal prefetto Tommaso Bevivino, dal viceprefetto 429 Si apre in un clima di entusiasmo il Congresso della DC palermitana; Il Congresso DC di Palermo
ha eletto il nuovo comitato provinciale, in «Il Popolo», 9-11 febbraio 1964.
115 Giovanni Santini, dall’ispettore regionale Gaetano Alastra e dall’architetto Rosario Corriere, capo della sezione Urbanistica presso il Provveditorato, aveva suddiviso la relazione in quattro parti (edilizia, appalti, licenze commerciali e concessioni amministrative). L’indagine, avviata dal 20 novembre 1959, a partire cioè dall’adozione del PRG, rilevava che i membri della commissione edile del Comune, costituita il 5 luglio 1956, dopo sette anni non erano stati ancora rinnovati. Eppure, avrebbero dovuto restare in carica tre anni. Nicoletti, capo dell’Ufficio tecnico, al riguardo aveva dichiarato di aver sistematicamente avanzato la proposta per il rinnovo, senza che il Consiglio provvedesse. Dall’esame dei verbali risultava che 20 sedute su 144 si erano svolte senza la presenza del numero legale e che, tranne in pochissimi casi, non erano mai state verbalizzate le divergenze nelle decisioni non adottate all’unanimità. Dall’esame delle licenze di costruzione risultava quindi che cinque costruttori – Salvatore Milazzo, Michele Caggegi, Francesco Lepanto, Lorenzo Ferrante e Giuseppe Mineo – avevano firmato l’80% delle licenze. Nessuna procedura era stata seguita dall’Ufficio tecnico per accertare i requisiti di idoneità, sebbene costoro avessero firmato licenze per costruzioni anche di grande mole. Dall’esame delle disponibilità finanziarie risultava per di più che essi erano in realtà un ex venditore di carbone, un muri-fabbro, un manovale, un guardiano di cantiere e un ingegnere diffidato nel 1957 per aver firmato progetti senza averli né redatti né diretti. La commissione, pertanto, non solo ammetteva di essersi trovata di fronte a un evidente fenomeno di prestanome, ma anche che edifici incompleti erano stati dichiarati abitabili, numerosi palazzi costruiti senza regolare licenza, pratiche irregolari concluse con la concessione della sanatoria e che la commissione edilizia aveva approvato progetti il giorno stesso della loro presentazione senza porre alcuna condizione. Il rapporto, infine, esprimeva riserve pure sulla concessione degli appalti, perché erano stati rilasciati sempre alle stesse società, e sulla commissione per la disciplina del commercio, anch’essa non rinnovata dal 1958. La pubblicazione aveva chiaramente un effetto esplosivo. Vittorio Lo Bianco faceva titolare su l’Avanti!, a grandi caratteri e in prima pagina, che il Piano regolatore era stato di fatto annullato e che Palermo era Una città nelle mani della mafia.431
Secondo i quotidiani vicini alla giunta, i risultati dell’ispezione costituivano semmai la conferma che nessun rapporto esisteva tra gli esponenti della DC e il mondo mafioso. Si trattava di una speculazione politica lesiva del decoro dell’amministrazione, non a caso la giunta querelava il quotidiano del PSI.432 Telestar parlava di un «pallone
431 L’ottanta per cento di 4mila licenze rilasciate a soli cinque prestanome, in «L’Ora»; Vittorio Lo
Bianco, Palermo: una città nelle mani della mafia, in «Avanti!», 12-13 marzo 1964.
432 Il comitato provinciale della DC la considera una speculazione comunista, in «Giornale di
Sicilia»; La Democrazia cristiana respinge la calunniosa campagna del PCI, in «Il Popolo», 14 marzo 1964.
116 nettamente sgonfiato», perché il fatto che si fossero rilasciate licenze a dei prestanome era una situazione antica che risaliva all’applicazione di un regolamento edilizio del 1889: obtorto collo, i “rossi” avrebbero dovuto rassegnarsi.433 Poiché la stampa ne aveva dato notizia quando era ancora segreto, Di Liberto inviava poi una lettera di protesta