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Le opposizioni all’assalto

II. Il sindaco degli anni violenti, 1958-1963

2. Le opposizioni all’assalto

Nel settembre 1958 Lima aveva dato nel frattempo notizia di alcuni provvedimenti adottati in materia di finanza locale dal Consiglio dei ministri. Il governo stanziava 650 milioni per la Pubblica istruzione e 150 milioni per i contributi antincendi. Quasi un miliardo, anche se di fronte alle esigenze di uno dei comuni più dissestati d’Italia sarebbero stati necessari ben altri finanziamenti. Non solo a Palermo era impossibile la minima programmazione economica, ma l’ordinaria amministrazione era di fatto paralizzata. I nodi venivano al pettine a novembre, in occasione della discussione sul bilancio. La Torre rendeva subito incandescente il dibattito, perché la situazione era cambiata rispetto a quella che aveva consentito pochi mesi prima l’insediamento della giunta: l’operazione Milazzo, sosteneva il comunista, doveva avere ripercussioni anche al Comune. Il socialista Purpura ammetteva perfino di essere stato in dubbio se partecipare o meno al dibattito, dato che da anni si andavano ripetendo sempre le stesse critiche senza che mai si modificasse alcuna impostazione. All’annuncio del voto contrario anche di MSI e PNM, Lima andava dunque in apprensione. La stessa assenza in aula di alcuni consiglieri della maggioranza, il 13 novembre, per il socialista Natale Di Piazza era la prova che l’amministrazione non poteva continuare su quella strada. In un inaspettato colpo di scena, il 15 novembre, Lima rinviava così la seduta senza preavviso: Alfonso Di Benedetto (PLI) aveva comunicato all’ultimo momento

230 Sul ruolo di icona antimafia guadagnato dall’esponente comunista cfr. Massimo Asta,

Girolamo Li Causi, un rivoluzionario del Novecento. 1896-1977, Carocci, Roma 2017, pp. 281-304.

231 S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 233.

64 che non avrebbe votato a favore, perciò, per evitare che la giunta venisse messa in minoranza, rimandava i lavori di una settimana. La comunicazione provocava l’immediata reazione delle opposizioni, che evidentemente avevano tutto l’interesse a votare subito. Per il missino Angelo Nicosia il sindaco non poteva sospendere a piacimento i lavori del Consiglio, solamente perché mancava un consigliere. In un clima di confusione, con una votazione per alzata e seduta e in assenza degli scrutatori (quindi senza la necessaria verifica e controprova dei voti), Lima confermava ad ogni modo la sua decisione.233 Le opposizioni stilavano immediatamente un ricorso al presidente della Regione, all’assessorato agli EE.LL. e alla CPC contro l’illegalità. La motivazione del rinvio non trovava riscontro in alcuna legge o regolamento, pertanto, in violazione dei diritti del Consiglio comunale, che non poteva essere impedito alla votazione solamente perché alla giunta era mancata la maggioranza, a norma dell’art. 91 dell’ordinamento amministrativo chiedevano che la giunta fosse diffidata a compiere l’atto dovuto o che fosse inviato un commissario per presiedere il Consiglio già convocato. Lima era alla fine costretto a dare le dimissioni, la settimana successiva, quando ammetteva che alla maggioranza era venuto a mancare l’appoggio di tre consiglieri. Oltre al liberale Di Benedetto, anche i democristiani Gioacchino Germanà e Vincenzo Sinagra avevano dato defezione.234 Il caso Milazzo, in tutta la sua evidenza, era ormai arrivato anche a Palazzo delle Aquile. Ribattezzati I caporalini di via Principe di Belmonte (sede della segreteria DC), Nisticò invitava a questo punto Fanfani a non insistere su quei proconsoli che continuavano a «infestare» Palermo. Utilizzando i pubblici poteri come strumenti personali, Gioia e Lima si erano insediati in tutti i posti-chiave della città, tradendo le esigenze di rinnovamento che avevano animato i democristiani al congresso di Napoli. La loro «ingordigia di potere» umiliava e mortificava la città, imponendo prima un sindaco senza prestigio e poi la sua reinvestitura. Era un’offesa alla stessa DC nazionale che a Palermo il partito non avesse di meglio da offrire.235

Il comitato provinciale, l’8 dicembre, invitava comunque Lima a ritirare le dimissioni. Avrebbe dovuto procedere a un rimpasto e sostituire i due assessori con un liberale e un socialdemocratico. All’atto costitutivo dell’USCS, lo stesso giorno, il deputato regionale Ludovico Corrao affermava che il secondo partito cattolico si sarebbe ispirato a De Gasperi e Sturzo e che la rottura con la DC non avrebbe spezzato ma rafforzato i vincoli di fedeltà alla Chiesa. La scissione era causata da una disciplina di partito ormai diventata «esercizio di caporalismo»: per questo Milazzo era insorto,

233 ASMPa, DCC, Bilancio per il 1958, 5-6-7-13-15 novembre 1958.

234 ACS, MI Gab. 1944-1966, Amministrazioni comunali, b. 94, f. Palermo, Telegramma del

prefetto, 22 novembre 1958.

65 per respingere gli orientamenti e le decisioni in contrasto con gli interessi siciliani.236 Il nuovo assessore regionale agli Enti locali, l’indipendente di sinistra D’Antoni, invitava contestualmente Lima a convocare per il 13 dicembre il Consiglio comunale con l’obbligo di includere nell’o.d.g. la votazione sul bilancio. Dall’ultima seduta, infatti, nessuna convocazione era seguita entro il decimo giorno, in violazione dell’art. 47 dell’ordinamento degli EE.LL. In caso d’inosservanza del suo invito formale, minacciava l’assessore, la Regione si sarebbe avvalsa dei suoi poteri sostitutivi.237 Il clima veniva ulteriormente riscaldato dal dissidente Sinagra, uno dei dimissionari, che al Giornale di Sicilia dichiarava che, invece di rinverdire la linea tracciata da De Gasperi, dopo il congresso di Napoli la DC si era andata «impantanando» in situazioni che tradivano la natura democratica e cristiana del partito. I giovani fanfaniani avevano creato condizioni che escludevano ogni possibilità di convivenza civile e politica: non solo erano privi di un sufficiente corredo di cultura e d’esperienza, ma erano degli stessi fattori spirituali su cui doveva reggersi un partito veramente cattolico. Dopo aver imposto un’amministrazione incapace a risolvere i problemi, si erano poi ostinati a mantenere quell’«amministrazione delittuosa»: ritirando le dimissioni, in ultimo, Lima aveva assunto un comportamento poco serio e non confacente allo spirito pubblico.238 Le dimissioni, incalzano in aula i comunisti, altro non erano che un pretesto per sfuggire al voto negativo sul bilancio. Si procedeva quindi con scrutinio segreto all’elezione dei nuovi assessori, e per un solo voto lo schieramento milazziano non riusciva a eleggere Pio La Torre (29 voti contro 30 a Di Benedetto).239 Sebbene fosse la prima sconfitta del fronte autonomista, la mancata conquista del Comune avrebbe di fatto impedito un’ulteriore sottrazione di consiglieri alla DC. Salvata la giunta, infatti, il 20 dicembre il sindaco procedeva al rimpasto: venivano eletti i monarchici Ignazio Griffo, Antonino Sorci (PNM) e Vito Giganti (PMP).240 Per questa maggioranza nettamente anticomunista, nella sua duplice veste di vicesegretario e sindaco Lima manifestava così tutta la propria soddisfazione. La coesione dei consiglieri democristiani, infatti, aveva impedito il ripetersi dell’operazione Milazzo a Palazzo delle Aquile.241

Dopo aver partecipato alla cerimonia d’inizio lavori per la costruzione dell’aeroporto internazionale di Punta Raisi – il cui progetto, con il concorso dello 236 ACS, MI Gab. 1944-1966, Partiti politici, b. 102, USCS, f. Palermo, Nota prefettizia, 8

dicembre 1958.

237 Ivi, Amministrazioni comunali, b. 94, f. Palermo, Diffida pervenuta al sindaco di Palermo

(e per conoscenza al presidente della CPC) dalla presidenza della Regione siciliana, Nota prefettizia, 11 dicembre 1958.

238 Il Prof. Sinagra illustra i motivi delle sue dimissioni, in «Giornale di Sicilia», 13 dicembre

1958.

239 ACS, MI Gab. 1944-1966, Amministrazioni comunali, b. 94, f. Palermo, Telegramma del

prefetto, 13 dicembre 1958.

240 ASMPa, DCC, Nomina degli assessor effettivi, 20 dicembre 1958.

66 Stato e della Regione, aveva un costo di 11 miliardi –242 il sindaco indirizzava i primi provvedimenti della nuova giunta verso le proroghe degli appalti dei servizi comunali. Iniziava dalla nettezza urbana. Avvicinandosi alla scadenza il contratto con la ditta del conte Romolo Vaselli (stipulato il 27 marzo 1950, per la durata di 9 anni), proponeva di rinnovarle la concessione per altri nove anni per un canone annuo fissato a 1 miliardo e 650 milioni. La proposta veniva approvata con 35 voti. Subito dopo proponeva la proroga dell’appalto per il servizio sulle riscossioni delle imposte. In seguito a licitazione privata, nel 1950 era risultata vincitrice la società Trezza, con la quale era stato stipulato un contratto di cinque anni fino al 31 dicembre 1955. Prorogato fino al 31 dicembre 1956, poi fino al 31 dicembre 1957, nessuna deliberazione era stata però presa per il periodo successivo, durante il quale la Trezza aveva comunque continuato a gestire l’appalto. L’incasso era stato di 1 miliardo e 549 milioni nel 1956, 1 miliardo e 565 milioni nel 1957 e 1 miliardo e 619 milioni nel 1958. Il Consiglio approvava il rinnovo sino al 31 dicembre 1960.243

A Roma, nel frattempo, Fanfani aveva subito altri agguati dai franchi tiratori. A dicembre era stato battuto tre volte: sulla tassa del gas liquido per le auto, sulla soprattassa per la benzina e sulla legge che liberalizzava i mercati. La crisi si era trascinata fino al 26 gennaio 1959, quando il ministro del Lavoro Ezio Vigorelli (PSDI) e il ministro dei LL.PP. Togni (DC) avevano rassegnato le dimissioni. Costatato il dissenso, Fanfani si era dunque dimesso sia da capo del governo che, in polemica con il suo partito sulla responsabilità dei deputati negli incidenti avvenuti, da segretario. Malgrado la successiva riunione della Direzione nazionale, il 1° febbraio, respingeva all’unanimità le dimissioni, non recedeva dalla posizione.244 In vista del Consiglio nazionale, si determinava così una spaccatura tra chi gli rimaneva vicino e chi lo sfiduciava: per essersi riuniti nel convento delle suore di Santa Dorotea, sul colle del Gianicolo, Mariano Rumor, Paolo Emilio Taviani ed Emilio Colombo venivano ribattezzati “dorotei”. Il gruppo si raccoglieva attorno ad Antonio Segni, che, accantonata ogni ipotesi di apertura a sinistra, il 16 febbraio veniva posto a capo di un monocolore appoggiato dai liberali e dalle destre. Al Consiglio nazionale del 15-18 marzo, malgrado il tentativo in extremis di Gioia di respingere le dimissioni di Fanfani

242 Realizzato dal Consorzio per l’aeroporto internazionale formato da Regione, Comune,

Camera di Commercio, BdS e Sicilcassa, la scelta di Punta Raisi (a 30 km da Palermo) era stata, oltre che lunga e laboriosa, al centro di molti sospetti. Sulla costruzione dello scalo e la sua funzione propulsiva nei traffici mafiosi cfr. Alessandra Dino, La mafia in aeroporto. Punta Raisi: cronaca di una speculazione annunciata, in «Historia Magistra», n. 2, 2013, pp. 16-34.

243 ASMPa, DCC, Riappalto servizio Nettezza urbana; Provvedimenti per il servizio riscossione delle

imposte di consumo, 3-14 febbraio 1959.

67 tramite presentazione di un o.d.g., la maggioranza dei democristiani sceglieva come nuovo segretario Aldo Moro.245

Sebbene i suoi fedelissimi – Arnaldo Forlani, Franco Maria Malfatti e lo stesso capocorrente palermitano – si raggruppassero nella nuova corrente di Nuove Cronache, Fanfani meditava in un primo momento di abbandonare la politica per tornare all’insegnamento universitario. Appreso del suo rientro alla Camera, il 3 marzo Lima gli indirizzava quindi questa breve lettera:

Caro Presidente,

una notizia mi ha riempito il cuore di gioia: l’apprendere dai giornali che rientrando alla Camera è andato a sedersi «in montagna». Dalla montagna già altra volta dopo la crisi di uno dei gabinetti del compianto on. De Gasperi, dopo aver strenuamente combattuto, Lei è ritornato al «Piano» insediandosi al ministero dell’Agricoltura dove la sua attività ha lasciato orme indelebili in quell’importantissimo settore.

Ed allora mi auguro che ancora una volta oggi Lei ridiscenda al piano e stavolta per assumere ancora la direzione del partito che, mi creda illustre Presidente, ha bisogno del suo polso fermo, del suo dinamismo, della sua feconda attività.

Questo, mi creda, non è solamente desiderato dai suoi fedeli amici DC, ma da tanti e tanti buoni italiani che ancora vedono in Lei il faro a cui dirigersi nella difficilissima navigazione del Paese.246

Al segretario dimissionario giungeva anche la lettera del presidente dell’ARS, che il 23 febbraio gli esprimeva la speranza di un suo repentino ritorno in seno al partito. Invitandolo a non compromettere la linea su cui aveva ottenuto il consenso, Carollo gli ricordava che i siciliani non erano stati fanfaniani per il «desiderio di protezione», ma per scelta politica e «con sincerità di cuore e di mente». Era perciò necessario che Fanfani tornasse in «trincea»: in caso contrario, il destino della DC sarebbe stato compromesso sia nel Paese sia – e lui sapeva con quali «conseguenze amare» – in Sicilia.247

Al momento delle dimissioni del suo leader, il 31 gennaio, Gioia si trovava comunque a Palermo. In vista del successivo precongresso di ottobre, infatti, il comitato provinciale si stava già impegnando in un’intensa attività. Le turbolente vicende precedenti, dall’operazione Milazzo alla costituzione dell’USCS, avevano reso d’altra parte parecchio delicata la situazione. Per capire cosa stesse accadendo nella sede dei fanfaniani tornano utili le ricostruzioni di Anselmo, che raccontava come dopo la perdita della Regione e i barcollamenti della giunta comunale la DC

245 Ivi, FDC, Consiglio nazionale, sc. 30, f. 53, atti del Consiglio nazionale del 14-17 marzo

1959. Sulla riunione alla Domus Mariae e l’avvio della segreteria Moro cfr. Guido Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, il Mulino, Bologna 2016, pp. 116-128

246 ASSR, FAF, Attività politica, Segretario politico DC, Lima a Fanfani, 3 marzo 1959. 247 Ivi, Carollo a Fanfani, 23 febbraio 1959.

68 palermitana aveva deciso di mettere a punto la proprio macchina organizzativa. Era noto che il partito non avrebbe potuto reggersi senza il posto da promettere in banca o alla Regione, la gara d’appalto da far vincere a questa o quella ditta e, soprattutto, la pioggia di sussidi e di piccoli favori. Il confidente spiegava però che la DC non andava identificata esclusivamente con il suo apparato, tutti quegli uomini impegnati cioè nell’organizzazione degli uffici, gli attivisti retribuiti o i dirigenti di sezione che, mettendosi a disposizione di questo o quel dirigente «bazzicando continuamente nelle sedi di partito» e nel milieu che si formava intorno, a poco a poco facevano carriera. La «tecnica» delle carriere era molto complessa e prevedeva due schemi principali: il recupero e il tesseramento. Il recupero consisteva nel distribuire favori e piccoli privilegi per tenersi legato un certo numero di persone da immettere in posti minori come longa manus per poi convertirli ed evitare che manovrassero contro. Quando qualche piccolo gerarca parlava male di Gioia, ad esempio, non bisognava illudersi, perché non si trattava di critiche sincere ma di «riccattucci» per poter essere, appunto, «recuperati»: c’era chi aspirava al posto fisso, chi alla casa popolare, chi ad essere «distaccato» o «comandato» per non andare in ufficio, e allora Gioia e Mattarella diventavano l’«incarnazione del demonio» se non facevano quel determinato favore, «angeli scesi in terra» se ne permettevano la realizzazione. La tecnica del tesseramento, invece, era simile alla ripartizione di un pacchetto di una società azionaria: se il segretario di una sezione avversa andava in Direzione a chiedere un numero di tessere superiore a 50 o 100, si sentiva rispondere che non ce n’erano abbastanza o comunque gli si imponeva una lunga trafila fatta di piccole operazioni che, in apparenza, rendevano tutto perfetto e regolare, ma in realtà erano dirette a contenerne il numero. Le tessere negate venivano poi abbondantemente redistribuite a quelle degli «amici», dove figuravano centinaia e talvolta migliaia di «pseudo-iscritti» che spesso non sapevano nemmeno che il proprio nome figurasse nelle liste della DC. In alcune sezioni di paese si copiavano degli estratti opportunamente scelti dall’anagrafe, mentre in città si prendevano gli elenchi di chi aveva fatto richiesta della casa popolare, di un sussidio e via dicendo. Era proprio il tesseramento lo strumento principale attraverso cui Gioia, Lima e Lo Forte tenevano legata ai propri interessi la struttura «formalmente» democratica del partito.

Mentre Fanfani dava le dimissioni, Gioia rimproverava quindi Lima per aver distribuito più tessere del dovuto, quando, in base agli accordi, avrebbe dovuto rilasciarle solamente ai vecchi iscritti. Le tremila tessere già assegnate in bianco venivano così suddivise in un migliaio ciascuno tra Gioia, Lima e Lo Forte, che a loro volta le assegnavano a piacimento tenendo fuori dai giochi gli avversari. Nel febbraio 1959 il tesseramento della DC palermitana subiva così «un gonfiamento spaventoso», fino a raggiungere le 40mila tessere rilasciate. Duemila erano state date da Lima alla

69 sezione De Gasperi, di cui era segretario il fratello.248 Non era un caso che, il 7 febbraio, si registrava la crisi presso la amministrazione comunale di Isola delle Femmine, dove era sindaco proprio Giuseppe Lima.249 Scoppiava la rivolta contro i fanfaniani, che dopo le dimissioni del leader nazionale sembravano aver perso la loro compattezza, mentre la quasi totalità dei dirigenti si riuniva attorno a Lo Forte. Sfiduciati e messi in minoranza, il comitato provinciale provvedeva al rinnovo della giunta esecutiva rimuovendo dai rispettivi incarichi Gioia, Lima e Ciancimino. La loro politica stava facendo acqua da tutte le parti. Avvicinandosi il congresso, commentava Fidora, la contesa tra i democristiani sembrava un thriller di Hitchcock: come in una scuola di suspense, a Palermo si sarebbe potuto scatenare «un tifone in un ditale d’acqua», come anche usare «tutto il mare semplicemente per lavarsi i piedi».250

Poco dopo, inaspettatamente, il prefetto Carlo Gerlini proponeva Lima per il conferimento di un’onorificenza importante come quella dell’Ordine Al merito della Repubblica Italiana. La stessa richiesta veniva fatta per il fratello Giuseppe, segnalato dall’on. Bontade. Entrambi si vedevano respinto il conferimento perché non avevano ancora raggiunto i necessari 35 anni d’età.251 Il 25 aprile il sindaco partiva quindi per Roma, dove, ricevuto da Segni, presentava le richieste della popolazione palermitana e le sue urgenti esigenze di carattere sanitario, risanamento edilizio e di riassestamento del bilancio. Faceva presente che il disavanzo del Comune era aumentato fino a 14 miliardi per il solo esercizio del 1959. L’amministrazione doveva provvedere all’immediato pagamento di 6 miliardi e mezzo per debiti vari, versare alla Regione 11 miliardi di anticipazioni e non disponeva di alcun cespite di entrata. Lima chiedeva perciò l’assegnazione di un mutuo di 9 miliardi, pari al 20% non corrisposto dei mutui a pareggio dei bilanci relativi agli esercizi 1954-1959. Affinché studiasse opportuni provvedimenti, lasciava un dettagliato promemoria a Segni, che assicurava il suo interessamento.252 Gioia presentava contestualmente alla Camera un paio di interrogazioni: la prima, rivolta al ministro dell’Interno, per conoscere quali provvedimenti intendesse adottare per risolvere la situazione finanziaria del Comune; il cronico disavanzo aveva indebitato l’amministrazione per oltre 50 miliardi, la cui gravità poneva l’intervento fra i più importanti tra quelli di carattere interno; la seconda, posta al ministro dei Lavori pubblici, per conoscere con quali provvedimenti

248 AIGS, FET, Materiale su Lima, febbraio 1959.

249 ACS, MI Gab. 1957-1960, Amministrazioni provinciali Palermo, b. 523, f. Amministrazione

comunale Isola delle Femmine, Nota prefettizia, 7 febbraio 1959.

250 E. Fidora, La rivolta di palazzo, in «L’Ora»; Interamente rinnovata la giunta provinciale DC,

in «Giornale di Sicilia», 14-15 febbraio 1959.

251 ACS, MI Gab. 1952-1959, Onorificenze, Al merito della Repubblica Italiana, b. 193, f. Lima

dott. Salvatore di Vincenzo, Segnalazione del prefetto, 20 marzo 1959; b. 124, f. Lima dott. Giuseppe di Vincenzo, Nota della Presidenza del Consiglio al ministero dell’Interno, 9 aprile 1957.

252 L’interessamento del presidente Segni per gli assillanti problemi della città, in «Giornale di

70 intendeva risolvere il problema del risanamento edilizio dei quattro mandamenti, le cui condizioni igienico-edilizie erano ormai insostenibili; in 265 ettari vivevano 240mila abitanti, con una densità demografica di 700 abitanti per ettaro con punte che arrivavano a 2.700; in particolare, chiedeva a Togni se intendeva ancora risolvere il problema mediante una convenzione che impegnasse lo Stato e la Regione con un contributo ciascuno di 10 miliardi.253 Insieme a un gruppo di parlamentari siciliani della DC, Gioia presentava quindi a luglio 6 proposte di legge: la prima verteva sulla Costituzione dell’Ente autonomo del porto di Palermo e i provvedimenti per l’esecuzione del piano regolatore delle opere portuali, necessità indilazionabili per il rilancio dei traffici dello scalo palermitano – sempre più in uno stato penoso di depressione e inferiorità rispetto agli altri scali marittimi del Paese –, per cui chiedeva un contributo complessivo di 10 miliardi (equamente suddiviso in 5 miliardi tra Stato e Regione); la seconda riguardava il Completamento dei lavori previsti per la circonvallazione ferroviaria di Palermo, la cui mancata realizzazione stava ritardando lo sviluppo urbanistico della città per i numerosi passaggi a livello e le interruzioni stradali conseguenti; la somma occorrente doveva essere stanziata dal ministero dei LL.PP. in 200 milioni per l’esercizio 1959- 1960, 1 miliardo e 800 milioni per gli esercizi 1960-1961 e 1961-1962.254 Il 24 luglio presentava altre quattro proposte: le prime due riguardavano i Provvedimenti per il