I. I «giovani turchi» alla conquista di Palermo, 1948-1958
3. La speculazione edilizia
Nella sua relazione al ministro dell’Interno, il 14 febbraio 1956, il prefetto Migliore riferiva che fin dal suo insediamento il commissario Salerno aveva preso in esame la situazione dei vari servizi comunali con l’intenzione di indire nuove gare e procedere agli appalti. I contratti di servizi fondamentali come la manutenzione delle strade, la riscossione delle imposte e l’illuminazione elettrica erano infatti scaduti o stavano per farlo. La DC faceva tuttavia pressioni affinché le concessioni venissero rinnovate senza procedere alle gare, mentre le opposizioni la accusavano di aver volutamente promosso lo scioglimento del Consiglio comunale così da influenzare le scelte del commissario.126 La precedente amministrazione era accusata, inoltre, di non avere
123 AILS, FDC, Segreteria Fanfani, sc. 65, f. 2, Telegrammi, 26 novembre 1955. 124 J. Chubb, Patronage, Power and Poverty in Southern Italy, pp. 62-67.
125 ACS, MI Gab. 1944-1966, Amministrazioni comunali, b. 94, f. Palermo, Nota prefettizia, 7
dicembre 1955; La nomina del commissario prefettizio confermata stamani, in «Giornale di Sicilia», 7 dicembre 1955.
126 ACS, MI Gab. 1944-1966, Amministrazioni comunali, b. 94, f. Palermo, Nota prefettizia, 14
36 seguito l’indirizzo stabilito dal Piano di ricostruzione del 1947, abilitato quasi esclusivamente alle distruzioni causate dalla guerra.127 Le aree previste per le nuove residenze erano rimaste non impegnate dalle iniziative immobiliari mentre, favorite dal reticolo di viabilità quasi sempre pilotato dai grandi proprietari, nella confusa e tumultuosa crescita della città altre aree periferiche avevano costituito l’indirizzo prevalente. La lottizzazione, sia pubblica che privata, nella prassi era diventata l’unico strumento urbanistico a disciplinare l’espansione edilizia. I finanziamenti dell’INA- Casa avevano portato alla realizzazione dei primi nuclei di case popolari in zone dove già ne esistevano altre, come in via Pitrè e in Corso Pisani, in zone del tutto nuove, come per il complesso Malaspina-Notarbartolo, o ampliamenti nella borgata Arenella. La Legge Tupini (2 luglio 1949, n. 408) aveva poi avviato la costruzione del quartiere della Rosa, inserito in un vasto piano d’iniziativa privata del fondo Resuttana di cui era proprietaria la famiglia Terrasi e che, in minima parte, ricadeva nell’area di espansione prevista dal Piano di ricostruzione. Come nelle altre grandi città italiane, anche a Palermo il problema della casa finiva dunque per convogliare i capitali privati di persone estranee all’imprenditoria edilizia. Agli inizi degli anni Cinquanta si era cominciato così a distruggere ampie zone di verde, preludio alla speculazione favorita dal reticolo di strade costruite poi dall’amministrazione comunale. Con il passare del tempo, la viabilità e l’edilizia privata avevano preso il sopravvento sulla ricostruzione, dato che, per l’alto costo raggiunto dai terreni e per le norme edilizie ritenute troppo restrittive, erano preferite le aree fuori dal Piano dove si poteva costruire ancora nell’ambito del regolamento edilizio del 1889. Consentendo la creazione di un’edilizia molto compatta e alta sino a 32 metri, il vecchio piano ottocentesco era molto più redditizio per i proprietari e i grossi speculatori che avevano acquistato vasti appezzamenti di terreni, perché consentiva di raggiungere una densità superiore a 25 mc/mq. Esercitando un loro diritto, in assenza di nuovi piani regolatori, i privati presentavano quindi dei singoli piani di urbanizzazione che finivano per favorire le lottizzazioni, il sistema cioè delle pattuizioni con l’amministrazione pubblica attraverso lo strumento della convenzione privata.128
Mettendo a disposizione le risorse del bilancio pubblico e dei contributi regionali per attrezzare vaste zone periferiche, si era finito così per favorire l’indebito arricchimento di singoli proprietari e società immobiliari. Portando i servizi in quei terreni, infatti, i prezzi si gonfiavano di quaranta-cinquanta volte. Sul La Voce della Sicilia, periodico comunista, Alessandro Ferretti lamentava così che, anche quando si 127 Il primo a deliberare sul PRG era stato Lucio Tasca, il 6 aprile 1944. Dato il persistere
della guerra nel resto del Paese, l’elaborato era il primo a essere redatto secondo le normative della legge urbanistica del 1942. In seguito al DM dei LL.PP. 29 maggio 1945, Palermo veniva compresa tra le città aventi obbligo di adottare un Piano di Ricostruzione: deliberato dalla giunta, il 7 ottobre 1946, era stato poi approvato con D.P.R.S. l’8 luglio 1947.
37 provvedesse a predisporre urgentemente il Piano regolatore, questo avrebbe operato in un territorio ormai compromesso dalla speculazione privata. Per il capogruppo consiliare del PCI, ingegnere e proprietario di alcune imprese di costruzione, il metodo usato non solo era stato frammentario e privo di una visione organica di pianificazione, ma aveva consentito che le mire di determinati gruppi prevalessero sugli interessi della collettività. La sua impressione era che a condurre le operazioni erano personaggi dietro le quinte e che la compilazione del PRG sarebbe servita solamente a legalizzare gli abusi già avvenuti.129
Nel frattempo, Fanfani chiamava Gioia a dirigere la sua segreteria politica. Pur andando a Roma per un incarico così importante, non si dimetteva da segretario provinciale della DC perché a curare i suoi interessi a Palermo restava il fido Lima, che trovava campo libero per indossare i panni di segretario in pectore. Che il vice crescesse, d’altronde, era suo interesse, perché per essere eletto alle politiche del 1958 sapeva che dal lavoro sul territorio avrebbe ricavato parecchi voti. Per entrare in Consiglio comunale, nel 1956, Lima sapeva dal suo canto che senza i riflessi del potere di Gioia non avrebbe fatto molta strada. Entrambi, dunque, facevano l’uno il gioco dell’altro.130
Per presentare il programma, nell’aprile 1956, il comitato provinciale della DC promuoveva un convegno su I problemi dello sviluppo economico e sociale della città. Al tavolo della presidenza c’erano Mattarella, ministro per il Commercio con l’Estero, Restivo, presidente del gruppo democristiano all’ARS, Lo Forte e Lima, vicesegretari provinciali. Quest’ultimo interveniva sul problema del turismo – uno dei temi più affascinanti, essendo per molti aspetti ancora inedito – indirizzando gli sforzi della futura amministrazione verso un incremento dell’afflusso dei visitatori. In una panoramica dei problemi che la città presentava nel settore delle opere pubbliche, rilevava che nel dopoguerra era stata svilita l’importanza del porto, che era necessario realizzare un secondo binario ferroviario da Palermo a Messina e che, oltre all’aeroporto, da non trascurare era la costruzione di strade panoramiche nei luoghi più suggestivi. Nella storia del Comune Lima entrava così ufficialmente come il candidato numero 34 della lista democristiana, presentata alla cancelleria del Tribunale il 28 aprile 1956.131
La campagna elettorale veniva aperta da Mattarella con una dichiarazione che scatenava subito le proteste dei comunisti. Il ministro affermava che la DC stava consegnando ai palermitani una città-gioiello, una vera perla. Dato il controllo
129 Alessandro Ferretti, Urgenza del Piano regolatore, in «La Voce della Sicilia», 24 marzo 1956.
Nato come «quotidiano del popolo siciliano» (1945-1947), dopo una lunga interruzione la tipografia de L’Ora aveva ripreso a pubblicare il foglio nella veste di «quindicinale democratico per l’autonomia, la rinascita e il progresso della regione» (1956-1958).
130 V. Vasile, Salvo Lima, cit., pp. 195-197.
131 Proficui i risultati raggiunti dal convegno sulla città di Palermo, I candidati della DC al Comune
38 mafioso dei mercati e le poche famiglie arricchitesi con la compravendita delle aree edificabili e degli appalti, il PCI diffondeva in risposta un opuscolo di tutt’altro tenore, intitolato La perla e i ladroni. Ritenuti responsabili del caos municipale, dopo aver trascorso dieci anni all’insegna dell’«allegra finanza», democristiani e monarchici erano accusati di aver accumulato miliardi di debiti senza trovare una soluzione ai problemi della casa, dell’acqua, del carovita, del risanamento dei vecchi quartieri e della speculazione edilizia.132 Non sapendo parlare alla folla, la campagna elettorale di Lima veniva orchestrata dai suoi capi elettori che, seguendo alla lettera le indicazioni per la propaganda fornite dalla SPES, davano molta importanza ai comizi di rione.133 Nel rievocare il proprio vissuto personale, molti anni dopo, Buscetta avrebbe descritto queste dinamiche, spiegando di avere conosciuto Lima quando era ancora giovanissimo dietro presentazione di prestigiosi uomini d’onore. Il rapporto di buona frequentazione tra i due non sarebbe scemato con la progressiva ascesa politica di Lima, che anzi, puntualmente, in occasione dell’apertura della stagione delle opere presso il Teatro Massimo ogni anno non mancava di fargli avere un abbonamento all’intero ciclo di spettacoli. Le mosse politiche di Lima venivano quindi decise collegialmente, in riunioni alle quali partecipava il meglio dell’intellighenzia mafiosa del tempo. Nei suoi tour elettorali veniva attorniato da un “codazzo” di uomini d’onore che, con la loro semplice presenza, comunicavano alla gente dei quartieri popolari, conoscitrice del linguaggio dei simboli e dei comportamenti mafiosi, che quell’uomo era l’espressione dei boss di Cosa nostra. Alla sezione DC della Rocca, una borgata di periferia, Lima giungeva ad esempio seguito da vetture nelle quali c’erano – tra gli altri – i fratelli Mancino, i fratelli La Barbera, Gioacchino Pennino, Ferdinando Brandaleone e lo stesso Buscetta, tutti importanti uomini d’onore. Nell’occasione Lima prendeva la parola per pochi minuti, per poi essere proposto dai capimafia come il candidato da votare.134 Lo stesso avveniva all’inaugurazione dei locali della sezione di Brancaccio, dove aderivano centinaia di abitanti, molti dei quali ex militanti di altri partiti. Poiché le sinistre polemizzavano che non si era fatto nulla, alla sezione di Villa Tasca Lima invitava gli abitanti del quartiere a notare che, dove fino a qualche anno prima c’era un prato brullo, adesso c’era «un simbolo di civiltà democratica». In un altro comizio, al quartiere Noce, richiamava quindi l’attenzione sulla necessità di eleggere cittadini che amministrassero con saggezza la cosa
132 ACS, MI Gab. 1953-1956, Elezioni amministrative 1956, b. 439, f. Palermo, Nota prefettizia,
11 maggio 1956.
133 Democrazia cristiana - SPES (a cura di), Indicazioni e linee d’orientamento per l’attività di
propaganda: elezioni amministrative 1956, AGI, Roma 1956, p. 21.
134 Tribunale di Palermo, Requisitoria PM al processo contro Andreotti, Le mani sulla città:
39 pubblica.135 La campagna elettorale veniva infine chiusa da Fanfani, che nei suoi Diari annotava di aver trovato un pubblico freddo ma che, comunque, le prospettive erano buone.136
La DC registrava infatti una netta avanzata, passando dal 25% del 1952 al 35,8%. Lima veniva eletto consigliere comunale con 8.012 voti. Sia per l’aumento dei seggi, da 15 a 23, sia per il ritiro dalla scena del gruppo di Scaduto, da quel momento i fanfaniani avrebbero occupato tutti gli spazi del potere. Insieme al vicesegretario entravano a Palazzo delle Aquile giovani di estrazione piccolo-borghese allora sconosciuti, che, benché grintosi, non avevano alcuna esperienza amministrativa. Tra questi Francesco Barbaccia, un medico di Godrano (un piccolo paese nel corleonese) che era stato il primo degli eletti con 9.375 voti. Quando Buscetta si sarebbe deciso a parlare dei rapporti tra mafia e politica, nel 1993, avrebbe ammesso che era un uomo d’onore e suo candidato personale alle elezioni:
Non sono in grado di dire quanti voti io potessi controllare in quel periodo. Basterebbe vedere quanti voti ha preso Barbaccia. E senza fare nessun discorso in piazza. Era uno sconosciuto, nel senso che non ha mai dovuto andare in piazza a promettere questo o quello.
Ammesso di aver conosciuto Gioia e tutta una serie di altri esponenti DC in municipio o a casa di Lima, aggiungeva che Barbaccia aveva sposato la nipote di Pennino, capomafia di Brancaccio, la cui casa era «la sede naturale della DC».137 Lima veniva subito scelto come capogruppo consiliare, anche se, per arrivare all’elezione della giunta, servivano comunque diversi giorni. La commissione generale, nel frattempo, aveva espresso il parere favorevole all’approvazione del Piano regolatore, adottato con la delibera di Salerno l’11 giugno 1956. Al momento di lasciare l’incarico, il commissario leggeva una relazione sull’attività svolta: il suo incarico non era stato quello normale della gestione straordinaria, con l’esercizio delle funzioni del sindaco e della giunta, ma quello eccezionale di sostituzione del Consiglio comunale. Per rendersi conto della stasi amministrativa e della mole degli affari che non erano stati trattati in precedenza, se in tutto l’esercizio del 1955 erano state adottate solamente 24 delibere, nei sei mesi della sua gestione Salerno ne aveva adottate 474 con i poteri del Consiglio e 2812 con i poteri della giunta. Poiché il Piano di ricostruzione del 1947 si avvicinava alla scadenza, prevista il 7 luglio 1957, Salerno aveva deciso inoltre di
135 Inaugurata a Brancaccio una sezione della DC; Inaugurata dal dottor Gioia la nuova sezione DC
«Ezio Vanoni»; Lima e Caravello applauditi in piazza Noce, in «Sicilia del Popolo», 5-9-13 maggio 1956.
136 Amintore Fanfani, Diari, III, 1956-1959, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012, p. 42. 137 Tribunale di Palermo, Requisitoria PM al processo contro Andreotti, Le mani sulla città,
cit., pp. 17-19. Nel 1958 Barbaccia veniva eletto alla Camera. Abbandonata la politica per i sospetti sul suo conto, tornava a esercitare la professione presso l’infermeria dell’Ucciardone.
40 accelerare l’iter di approvazione del PRG. Ai sensi dell’art. 55 dell’ordinamento degli EE.LL., il provvedimento doveva passare a ratifica del nuovo Consiglio comunale che, se lo avesse ritenuto, poteva apportare qualsiasi modifica o anche annullarlo. Senza vincolare la nuova amministrazione, la delibera del commissario poneva la prima pietra del nuovo ordinamento urbanistico di Palermo.138
Volendo escludere i transfughi dagli altri partiti e gli amici di Restivo ormai ai margini, la scelta della DC per il nuovo sindaco ricadeva su Luciano Maugeri, un anziano ingegnere di origine catanese che era stato il terzultimo degli eletti. Gli accordi per la formazione della giunta erano trovati sulla base di un tripartito DC-PLI-PSDI, che, non avendo numeri sufficienti (28 su 60), si sarebbe retto sui monarchici. Avendo Maugeri 68 anni, era comunque intuibile che avrebbe svolto le funzioni di un passacarte: per capire dove stavano le reali leve del comando, dunque, bisognava aspettare la nomina degli assessori. A Lima veniva affidato l’assessorato ai Lavori pubblici, mentre a Ciancimino le Aziende municipalizzate.139
Accompagnando il nuovo sindaco alla redazione della Sicilia del Popolo, nella sua duplice veste di vicesegretario e capogruppo consiliare Lima dichiarava che il significato politico della composizione della giunta era inequivocabile: il centro prendeva la guida dell’amministrazione, e la DC era fiera di assumerne la responsabilità insieme al PSDI e al PLI.140 Senza nemmeno aver fatto anticamera in Consiglio comunale, entrava così nella vita amministrativa di Palermo in una calda mattinata del luglio 1956, a soli 28 anni. Presentandosi ai funzionari dell’assessorato, non mostrava neppure un sorriso di cordialità alle persone cui stringeva la mano; tenendo un’espressione dura, parlava dei compiti del buon amministratore e della sua determinazione nel riorganizzare l’ufficio. Il vero obiettivo, in realtà, era quello di fare «terra bruciata» delle vecchie clientele per poi, dopo qualche mese di «regime di terrore», sostituirle con delle altre. Appena una settimana dopo la commissione provinciale di controllo annullava infatti la delibera Salerno. L’approvazione del PRG da parte del commissario veniva ritenuta illegittima perché lesiva del prestigio e delle funzioni del Consiglio comunale, i cui membri dovevano essere gli unici responsabili dello sviluppo urbanistico della città. Era quello il momento iniziale da cui Palermo avrebbe conosciuto «una nuova leva di padroni», famelica, agguerrita, disposta a violare leggi e regolamenti, a stringere compromessi con le forze della vecchia mafia e del nuovo gangsterismo. In sintonia con Gioia, che dal suo ufficio romano puntava sul risanamento del centro storico e sulle opere pubbliche, Lima intuiva che l’unica fonte
138 ASMPa, DCC, Relazione del commissario straordinario Giuseppe Salerno sull’attività svolta
durante il periodo 7 dicembre 1955-18 giugno 1956; Approvazione del Piano regolatore, 18 giugno 1956.
139 V. Vasile, Salvo Lima, cit., pp. 199-201.
41 di reddito stava nell’edilizia e che, quindi, la sua gestione avrebbe significato il controllo delle maggiori leve finanziarie.141
Il giorno dell’insediamento, il 27 giugno, il Comune aveva comunque dovuto affrontare il pagamento degli stipendi al personale senza che vi fosse la sufficiente disponibilità di cassa. Solo l’amichevole intervento del BdS, sotto la presidenza di Carlo Bazan, permetteva il superamento dello stallo.142 Di fronte alle difficoltà finanziarie, solamente adeguati provvedimenti da parte dello Stato avrebbero potuto portare a un risanamento del bilancio comunale. La giunta si sarebbe quindi concentrata sul sostegno alla proposta di legge avanzata dall’ARS al Senato, la cosiddetta “Legge speciale” per Palermo.143 Trasmessa il 2 agosto 1954, consisteva in vari provvedimenti per un onere complessivo, a carico dello Stato, di 100 miliardi. Il progetto era la sintesi di due proposte di legge precedenti, presentate alla Camera all’inizio della II legislatura da Anna Grasso Nicolosi (PCI) e Antonino Pecoraro (DC).144 Nello specifico prevedeva: 1 miliardo annuo per la copertura dei disavanzi degli esercizi finanziari del 1943-1954; un contributo annuo di 1 miliardo e 500 milioni per gli esercizi finanziari 1° luglio 1954-30 giugno 1958; l’autorizzazione al Comune a contrarre mutui da ammortizzare per 30 miliardi il risanamento igienico-edilizio della città e delle borgate con l’assistenza dello Stato nel pagamento degli interessi nella misura del 5%; 10 miliardi per la costruzione di fabbricati popolari; 2 miliardi per gli edifici universitari; 2 miliardi per il porto; 2 miliardi per la costruzione dell’aeroporto civile; 4 miliardi per la costruzione della litoranea Palermo-Aspra; 5 miliardi per la sistemazione di impianti e servizi ferroviari. La commissione Finanze e Tesoro ne aveva appena iniziato la discussione, ma data l’ostilità del governo Segni la sua approvazione si sarebbe presto rilevata lunga e travagliata.145
Mentre prometteva che a Roma la DC avrebbe fatto di tutto per approvare la legge, l’8 agosto 1956 Lima illustrava in Consiglio comunale le linee del nuovo PRG. Palermo non aveva mai avuto un piano urbanistico nel senso moderno del termine, e fra le grandi città italiane soltanto Milano era riuscita nel 1953 ad averne uno, mentre
141 Lima dà il via al grande arrembaggio, in «L’Ora», 25 gennaio 1963.
142 Il ricorso all’Istituto di credito sarebbe divenuto una prassi ricorrente. Per una
ricostruzione della gestione Bazan cfr. P. F. Asso, Storia del Banco di Sicilia, cit., pp. 215-272.
143 ASMPa, DCC, Dichiarazioni programmatiche del sindaco, 6 agosto 1956.
144 AP, CD, Leg. II, Documenti, proposta di legge n. 310 presentata da Pecoraro, Cortese,
Bartolomeo Romano, Giovanni Petrucci, Bontade, 28 ottobre 1953; proposta di legge n. 424 presentata da Anna Nicolosi Grasso, Giacomo Calandrone, Luigi Di Mauro, Antonio Giacone, Michele Sala, Virginio Failla (PCI), Giosuè Fiorentino, Francesco Musotto (PSI), 27 novembre 1953.
145 Ivi, CD, Leg. III, Documenti, proposta di legge n. 2268 presentata da Giuseppe Speciale,
Girolamo Li Causi, Nicolosi Grasso, Guido Faletra, Pancrazio De Pasquale, Salvatore Di Benedetto, Giuseppe Pellegrino, Francesco Pezzino e Salvatore Russo (PCI), Francesco Mogliacci e Musotto (PSI), 22 giugno 1960. Veniva poi ritirata, il 22 novembre 1961, perché assorbita dalla proposta di legge presentata da Gioia il 24 luglio 1959.
42 a Bologna si era ancora in fase istruttoria.146 I consiglieri dell’opposizione manifestavano ciononostante varie perplessità per la limitatezza del tempo a loro disposizione per un esame approfondito, ammonendo che si stava procedendo a una modifica sostanziale che avrebbe cambiato la fisionomia della città per i successivi decenni. Espresso il dolore per la sciagura nella miniera belga di Marcinelle (262 vittime, tra cui 136 italiani), il 10 agosto il Consiglio perveniva alla votazione finale. Vincenzo Nicoletti, direttore dell’Ufficio tecnico comunale, offriva una panoramica del Piano portando a Sala delle Lapidi un grande quadro raffigurante la topografia della nuova città. Dietro ai banchi, come scolari, amministratori e consiglieri che poco dopo lo approvavano all’unanimità.147 Composto da una dettagliata relazione sulle norme tecniche di attuazione, il 5 settembre veniva affisso a Porta Felice: i cittadini avrebbero avuto 30 giorni per fare le loro opposizioni, dopo di che sarebbe tornato all’esame del Consiglio che avrebbe dato inizio alle opere previste. Iniziava così l’«operazione terra bruciata», quando Lima, data l’opportunità di assumere un procuratore legale per la valutazione delle opposizioni, faceva assumere l’avvocato Giovanni Matta.148 Da allora e per diversi mesi l’Ufficio tecnico dei LL.PP. sarebbe divenuto inaccessibile non solo ai piccoli costruttori, ma soprattutto alla grande casta