I. I «giovani turchi» alla conquista di Palermo, 1948-1958
4. Il rinnovo degli appalti e la mancata Legge speciale
Il Piano regolatore conteneva alcuni errori fondamentali. Innanzitutto, oltre che in sede di Consiglio comunale, era stato poco dibattuto in sede di commissione generale,
157 Le azioni della Società generale immobiliare erano per metà del Vaticano, dato che uno
dei principali consiglieri, il principe Marcantonio Pacelli, era nipote di Pio XII. Per un approfondimento cfr. Paola Pozzuoli (a cura di), La Società Generale Immobiliare. Storia, archivio, testimonianze, Palombi, Roma 2003.
158 A differenza delle opere svolte in città come Roma, Milano o Napoli, la Società generale
immobiliare non operava a Palermo in maniera diretta, ma attraverso tre controllate: la Società edilizia Villa Sperlinga, l’Istituto per il rinnovamento edilizio e l’Istituto per la bonifica edilizia. Cfr. F. Pedone, Esportare l’alta civiltà edilizia in una città mediterranea: la Società Generale Immobiliare a Palermo, in Angelo Bertoni - Lidia Piccioni (a cura di), Raccontare, leggere e immaginare la città contemporanea, Olschki, Firenze 2018, pp. 47-57.
159 Roberto Ciuni, Il sacco di Palermo; Il boom dei trenta miliardi, in «L’Ora», 23-27 giugno
45 quando avrebbe dovuto avere, fin dalla prima impostazione, una maggiore discussione. Si decideva in pochi mesi dell’avvenire di una grande città, e per risolvere gli errori commessi nell’impostazione di opere, vincoli e trasformazioni varie previste, a poco sarebbero servite le opposizioni e osservazioni che si andavano presentando. Rispondendo unicamente alle esigenze del momento, il PRG ignorava di fatto l’assetto economico e sociale che la città avrebbe avuto in futuro. Non andava dunque imposto, ma condiviso e accettato dalla maggioranza dei palermitani. La situazione, inoltre, avrebbe dovuto essere quantomeno coordinata con la Regione. Il recente esodo di migliaia di contadini dalle campagne stava lì a testimoniarlo, perché anche allora un maggior coordinamento avrebbe potuto attenuare le conseguenze negative della riforma agraria. I problemi fondamentali di Palermo, la cui popolazione era molto cresciuta negli anni, erano stati per di più completamente elusi. Senza una vita produttiva propria, la città si sarebbe presto ridotta al ruolo di capitale amministrativa e residenziale, autosufficiente soltanto nei servizi e con un avvenire poco promettente. Anche il sindacato degli ingegneri, alla cui guida era Ferretti, capogruppo del PCI, faceva il suo esposto: sembrava quasi, dicevano gli esperti, che il Piano andasse imposto al più presto così come era stato predisposto.160
Parallelamente, il 23 settembre 1956 si apriva il congresso provinciale della DC, dai cui lavori sarebbero stati eletti i delegati al Congresso nazionale di Trento. Era l’ultimo scontro tra la corrente di Restivo e quella di Gioia. I più giovani avevano condotto una lotta letteralmente senza esclusione di colpi, tanto che per le ferite e le contusioni ricevute un militante della sezione Vespri si era presentato al pronto soccorso.161 I calcoli della vigilia venivano confermati, perché più di 150 delegati su 250 andavano alla corrente fanfaniana. Pur chiamato a far parte della commissione per la verifica dei poteri, nelle due giornate congressuali spiccava comunque l’assenza di Lima tra i relatori. Anselmo lamentava, non a caso, che il «corridoio» esercitava per alcuni un’attrazione maggiore del «microfono» e che l’attenzione dei convenuti si era maggiormente concentrata sui contatti individuali. Il ministro Mattarella traeva ad ogni modo due motivi di soddisfazione dall’incontro: riferendosi «alle poche teste bianche e alle molte teste nere visibili nell’uditorio», notava che il partito stava ringiovanendo; l’attivismo di molti delegati, tra cui non soltanto professionisti laureati ma anche «lavoratori del braccio», dimostrava inoltre che la DC era una «palestra viva e feconda» per gli uomini di tutti i ceti.162
160 Sulle previsioni poi disattese dal Piano regolatore cfr. Teresa Cannarozzo, Palermo. Le
trasformazioni di mezzo secolo, in «Archivio di studi urbani e regionali», n. 67, 2000, pp. 101-139.
161 AIGS, FET, Materiale su Lima, 19 settembre 1956.
162 Le prospettive e gli orientamenti emersi dal dibattito dell’VIII Congresso, in «Sicilia del Popolo»,
46 A Trento, il 14-18 ottobre 1956, la DC siciliana si presentava quindi sotto la bandiera fanfaniana. La sede era stata scelta per commemorare De Gasperi, cui veniva inaugurato un monumento in onore. Di fronte ai 611 delegati, in rappresentanza di 1.383.000 iscritti, Fanfani dedicava un passaggio fondamentale della sua relazione all’organizzazione. Ribadendo che la forza di un partito era rappresentata dagli aderenti, dai propagandisti, dagli elettori che non potevano che acquisirsi tramite la circolazione delle idee e la formulazione di programmi precisi, prefigurava un partito di massa basato sulla presenza costante e capillare sul territorio: Guidato dal centro, questo non doveva restare insensibile alle richieste della base. Tutta la DC era unita al suo segretario, che ribadiva la fedeltà al centrismo. Il processo di democratizzazione del socialismo nenniano e l’ipotesi dell’unificazione socialista, in pratica, potevano essere attesi senza impazienza.163 Con il PSI non erano immaginabili accordi preventivi, semmai – scriveva Fanfani nei suoi Diari – si poteva auspicare che Nenni, dopo avere chiarito i suoi rapporti con il PCI, si presentasse «con le carte in regola per chiedere udienza».164
Partito dalla polemica contro il trasformismo e le clientele, in Sicilia il fanfanismo veniva tuttavia presto assorbito da quelle stesse clientele che prima facevano capo ad altri. Nel volgere di poco tempo, infatti, si vestivano da fanfaniani diversi esponenti provenienti dalla destra monarchica e liberale. Lima compiva la sua prima «conquista» il 6 dicembre 1956, quando Ernesto Di Fresco, suo vecchio compagno di scuola, lasciava il PNM. Ex separatista, monarchico e legato a Vassallo, era solito farsi accompagnare alle sedute del Consiglio comunale da don Paolino Bontate.165 Poiché avevano una maggioranza risicata, Gioia accettava di buon grado il nuovo amico. In questo quadro Lima conquistava presto a una nuova ondata di monarchici come Giuseppe Cerami e Tommaso Leone Marchesano, per il quale metteva anche a disposizione un’automobile con autista.166
163 A. Damilano, Atti e documenti della Democrazia cristiana, cit., I, pp. 846-851; F. Malgeri,
Storia della Democrazia cristiana, cit., III, pp. 59-71.
164 A. Fanfani, Diari, cit., pp. 81-82. Il distacco definitivo dal comunismo sovietico giunse
nel febbraio 1957, quando l’approvazione della relazione di Nenni al congresso di Venezia sancì la svolta autonomista del PSI. Cfr. Maurizio Degl’Innocenti, Storia del PSI, III, Dal dopoguerra a oggi, Laterza, Roma-Bari 1993, pp. 219-233.
165 Laureato in giurisprudenza e proprietario di alcune sale cinematografiche, Di Fresco era
segretario giovanile del MIS. Eletto consigliere comunale con il PNM, dopo tre mesi passava alla DC. Negli anni successivi diveniva vicesindaco, assessore all’Agricoltura e due volte presidente della Provincia. Alla morte di Matta, nel 1982, gli subentrava alla Camera come primo dei non eletti. Cfr. E. Del Mercato, Vita e morte di Ernesto Di Fresco il sicilianista, in «la Repubblica», 19 novembre 2002.
166 Lima dà il via al grande arrembaggio, cit. Nel 1947 Marchesano veniva eletto all’ARS nella
lista del PNM. Si dimetteva l’anno dopo per candidarsi alla Camera, dove era eletto il 18 aprile 1948. Nei suoi confronti era stato aperto un procedimento penale dopo la denuncia di Giuseppe Montalbano, deputato regionale del PCI che lo aveva accusato di essere tra i mandanti della strage di Portella della Ginestra insieme a Gianfranco Alliata e Giacomo Cusumano Geloso, anch’essi monarchici.
47 Nella seduta del 21 dicembre 1956 Lima faceva quindi deliberare il rinnovo dell’appalto del servizio per la manutenzione stradale al conte Arturo Cassina, cavaliere del Santo Sepolcro che frequentava i salotti buoni di Palermo. Premesso che il nuovo capitolato era stato già predisposto, l’assessore ai LL.PP informava che la ditta, che pretendeva dal Comune un credito di 750 milioni su cui ancora si doveva pronunciare un arbitrato, ne aveva pattuito uno nuovo al ribasso del 15% insieme alla transazione di 125 milioni. Tutto questo, a condizione della proroga dell’appalto. Sebbene sulla base di queste condizioni l’Ufficio legale del Comune avesse già espresso parere favorevole, il socialdemocratico Rocco Gullo insisteva però sulla necessità di preparare una gara pubblica: «è assurdo – sosteneva – che si parli di transazione prima ancora di approvare il capitolato. Bisogna prima preparare gli strumenti per andare all’appalto e nelle more, semmai, trattare con la Cassina». Anche per il PCI non era derogabile il principio di sana amministrazione secondo cui, una volta scaduto un contratto, esso andasse rinnovato mediante una gara pubblica; era strano, inoltre, che le richieste di Cassina venissero avanzate giusto alla vigilia della scadenza; gravi responsabilità erano anche dell’Ufficio tecnico, che, per le proprie inadempienze, aveva reso possibile la situazione. Con 32 voti su 57, la maggioranza accettava comunque il compromesso proposto da Cassina. Paradossalmente, alla fine della seduta e proprio nel momento in cui Maugeri si accingeva a parlare dell’appalto per la luce elettrica, a Sala della Lapidi veniva a mancare la corrente, tanto che la votazione veniva conclusa al lume delle candele. Con gli stessi metodi la maggioranza prorogava poi l’appalto sulle Imposte di consumo con la società Trezza.167 Non potendo far passare in silenzio tale atteggiamento, il comunista La Torre accusava la DC di ricorrere a una «politica pendolare del reggersi in piedi». Non avendo numeri sufficienti (28 consiglieri su 60), la giunta si barcamenava ricorrendo a tutti gli espedienti possibili e immaginabili: se per l’elezione del sindaco aveva avuto bisogno dei monarchici, per la nomina dell’assessore socialdemocratico Casimiro Vizzini erano stati utili i socialisti. Lo scopo dei fanfaniani era perciò quello di immobilizzare sia la destra che la sinistra, creando le premesse per l’affermazione del proprio monopolio sulla città. Fagocitando le destre, la DC iniziava peraltro a controllare ben altri posti chiave della vita cittadina: al mercato ortofrutticolo, della carne e del pesce, un conflitto armato tra la “mafia dei giardini”168 e quella dell’Acquasanta aveva già
167 ASMPa, DCC, Transazione con l’Impresa Cassina, appalto lavori manutenzione stradale;
Appalto riscossione Imposte di consumo, 4-5 gennaio 1957. La proroga alla Trezza veniva concessa alle condizioni precedenti: minimo garantito 1 miliardo e 450 milioni; aggio dello 11,5% fino a 750 milioni; 4,8% fino a 900 milioni, 5,6% fino a un miliardo, 7% fino a 2 miliardi, nessun aggio per le soglie oltre i 2 miliardi.
168 Sul passaggio degli agrumeti dalle famiglie aristocratiche alle mani dei campieri cfr. i
lavori di S. Lupo, Il giardino degli aranci. Il mondo degli agrumi nella storia del Mezzogiorno, Marsilio, Venezia 1990; Quando la mafia trovò l’America. Storia di un intreccio intercontinentale, 1888-2008, Einaudi, Torino 2008.
48 reso evidente che il potere era nelle mani di alcune “famiglie”.169 Fino a quel momento la loro forza elettorale si era orientata quasi esclusivamente su esponenti liberali e monarchici ma, spiegava La Torre, con l’avvento di Gioia molti di questi voti erano passati alla DC.170
Nei confronti della Legge speciale, contestualmente, l’atteggiamento del partito democristiano era contraddittorio. Era innegabile l’impegno di alcuni deputati nazionali, come l’onorevole Pecoraro. Tuttavia, se risultava difficile schierarsi apertamente contro una legge che avrebbe notevolmente migliorato la vita dei cittadini, per la DC palermitana era altrettanto complicato chiedere un impegno così massiccio ad un governo nazionale retto dal proprio partito, considerato anche il rischio di far passare l’eventuale approvazione come una vittoria dei comunisti.171 La strategia del PCI, infatti, mirava a presentarsi agli occhi dell’opinione pubblica come una forza propulsiva del risanamento cittadino, intendendo fare pressione sul governo attraverso la forza congiunta di tutti i partiti siciliani riuniti sotto la bandiera dell’autonomia.172 Al pari dell’antifascismo, l’autonomismo aveva assunto nelle iniziative dei comunisti il significato di un «comune denominatore» capace di stabilire un dialogo, altrimenti impossibile, tra posizioni spesso ideologicamente inconciliabili. «Purtroppo», riferiva il prefetto nella sua relazione del novembre 1956, l’iniziativa era talmente fortunata che, in questo clima, nessuno sapeva sottrarsi «alla intimidazione di sentirsi qualificato quale nemico o tiepido di fronte al dogma del regionalismo imperante».173 Nello stesso frangente, peraltro, Danilo Dolci aveva dato alle stampe la sua Inchiesta a Palermo, una ricerca condotta tra gli abitanti dei quartieri poveri e degradati della città: per richiamare l’attenzione delle autorità sull’emergenza, il sociologo digiunava per giorni nei pressi del Cortile Cascino.174 Nella sua lotta politica era sostenuto da La Torre, segretario della Camera del Lavoro, che lo sosteneva pubblicamente attaccando nel contempo la prefettura. Di poche settimane prima,
169 Nel 1955 e 1956 il mercato ortofrutticolo di Palermo era stato al centro di uno scontro
sanguinoso tra i due gruppi che controllavano la zona in cui si svolgeva l’attività, prima nel quartiere Zisa e poi trasferita nel quartiere dell’Acquasanta. Su questa serie di delitti cfr. Giovanni Chinnici - U. Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni ’60 ad oggi, F. Angeli, Milano 1989, pp. 247 sgg.
170 Pio La Torre, Unione di tutte le forze ansiose di rinnovamento per sventare il piano totalitario dei
fanfaniani, in «La Voce della Sicilia», 12 gennaio 1957. Il tema dell’assorbimento delle forze di destra da parte della DC è stato poi ripreso in Antimafia, Relazione La Torre, pp. 577-578.
171 F. Pedone, La città che non c’era, cit., pp. 33-34.
172 AIGS, Federazione PCI Palermo, b. 41, f. 19, Legge Speciale, manifesto per la Legge
Speciale.
173 ASPa, Prefettura Gab. 1956-1960, b. 994, Relazione mensile novembre 1956, 1° dicembre
1956.
174 Dell’opera di Dolci cfr. Banditi a Partinico, Laterza, Bari 1956; Inchiesta a Palermo,
Einaudi, Torino 1956; Spreco, Documenti e inchieste su alcuni aspetti dello spreco nella Sicilia occidentale, Einaudi, Torino 1960; sulla sua figura cfr. G. Barone (a cura di), Una rivoluzione non violenta, Terre di mezzo, Milano 2007; sul degrado e sulla miseria della città, infine, cfr. Goffredo Fofi, Cortile Cascino, Edizioni della Battaglia, Palermo 1994.
49 infatti, era una lettera aperta inviata al prefetto Migliore, pubblicata anche su l’Unità, dove lo accusava di aver assunto «un atteggiamento pregiudiziale contro gli interessi e le legittime aspirazioni dei lavoratori».175
In una successiva relazione, nel marzo 1957, lo stesso prefetto spiegava quindi la «trappola» che i comunisti avevano teso alla DC:
Nell’ambito comunale costituiscono motivo di particolare interesse le vicende per la Legge speciale per la città di Palermo la cui approvazione viene da tutti invocata e sulla quale il Partito comunista batte per la consueta finalità demagogica pronto a coglierne il successo dopo l’intensa sterile attività propagandistica che va svolgendo o ad accusare dell’insuccesso eventuale la DC ed in genere i partiti della maggioranza governativa.176 Quando Maugeri riferiva sui colloqui avuti, insieme al presidente La Loggia, con il ministro del Tesoro Giuseppe Medici, che rinviava tutto alla commissione Finanze e Tesoro, per i comunisti era un gioco facile polemizzare che «nessun fatto concreto» veniva prodotto. Lo stesso Domenico Arcudi, senatore monarchico e membro di quella commissione parlamentare, esprimeva d’altronde la convinzione che la legge non sarebbe mai stata approvata. Rispetto ai 100 miliardi previsti, infatti, il governo si impegnava a una spesa di 4 miliardi, perciò, nel momento in cui Lima dichiarava che era pur sempre qualcosa, attirava su di sé le veementi proteste dell’opposizione.177 Il comunista Nando Russo rincarava: «Il sindaco, senza nulla comunicare al Consiglio comunale, senza riunire i capigruppo, senza mantenere gli impegni assunti è andato a Roma accompagnato dal consigliere Lima – quindi non dall’assessore ai LL.PP pubblici in veste di consulente tecnico, ma in veste di capogruppo consiliare della DC – e dal dottor Gioia, segretario della DC». Accusato di spezzare l’unità d’intenti, condizione indispensabile per l’approvazione della legge, il sindaco veniva quindi invitato a decidere se schierarsi con il Consiglio o restare ossequiente alle decisioni della DC.178 Napoli e Roma avevano già ottenuto una legge speciale, perciò anche i socialisti esprimevano la loro amarezza perché il governo si ostinava ad attribuire i rinvii a dei conflitti di competenza con la Regione, mentre continuava a non dare applicazione all’art. 38 dello Statuto in base al quale lo Stato avrebbe dovuto fornire ogni anno, per un totale da stabilirsi in un piano quinquennale, denaro pubblico proveniente dalle altre regioni a titolo di “solidarietà nazionale”. Messo alle strette, Maugeri convocava i deputati nazionali e regionali di Palermo per costituire una 175 ASPa, Prefettura Gab. 1956-1960, b. 1091, Camera del Lavoro, La Torre al prefetto, 15
ottobre 1956; cfr. Un anno di attività antioperaia del prefetto Migliore, in «l’Unità», 17 ottobre 1956.
176 ASPa, Prefettura Gab. 1956-1960, b. 995, Relazione mensile febbraio 1957, 1° marzo
1957.
177 ASMPa, DCC, Comunicazioni del sindaco in merito alla Legge Speciale, 4 marzo 1957. 178 La Legge speciale è in pericolo, convocati i nostri parlamentari, in «L’Ora», 6 marzo 1957.
50 commissione mista di parlamentari e consiglieri comunali e trovare una soluzione. Il 10 marzo si teneva così un’assemblea a Palazzo delle Aquile, al termine della quale veniva formata una delegazione i cui membri – Lima compreso – sarebbero andati a Roma per seguire da vicino i lavori della commissione Finanze e Tesoro.179 La delegazione tornava un paio di settimane dopo largamente incompleta, perché mancavano sia il sindaco che i consiglieri democristiani. La visita era comunque utile perché finalmente era stata fornita una spiegazione: venivano accantonati due terzi del progetto, mentre il governo si impegnava a risolvere soltanto il problema igienico- sanitario:
Se il partito della Democrazia cristiana nella nostra provincia non getterà tutto il suo peso politico sulla bilancia – commentava il comunista Ferretti – la Legge speciale è da ritenersi svuotata e sepolta. Essa è stata in gravi difficoltà per quasi tre anni, e solo le nostre insistenze e la nostra azione hanno tenuto in vita un filo di speranza […] Il grande assente, negli incontri romani, è stato il partito della Democrazia cristiana. Né Gullotti né Gioia – pur presenti a Roma – si sono fatti vedere.
A Palermo persisteva nel frattempo il problema dell’approvvigionamento idrico, tanto che anche l’assessore Ciancimino era sotto attacco. Dai risultati di un’inchiesta promossa dalla stessa amministrazione, infatti, erano emerse gravi responsabilità per il deficit dell’AMAP, che correva il rischio di messa in liquidazione poiché il passivo era cresciuto fino a 1 miliardo e 850 milioni. Durante una sessione straordinaria del Consiglio comunale, le opposizioniavevano pertanto votato la sfiducia a Ciancimino. Sotto la sua gestione non si era avuto l’incremento di un solo litro-secondo, mentre il passivo era aumentato dai 160 milioni del 1952 a 850 milioni solamente nel 1957. Benché le responsabilità erano da addebitare anche alla precedente gestione, le opposizioni ne chiedevano la sostituzione perché ritenevano l’assessore inesperto e inadatto per il ruolo. Prendendo le difese di Ciancimino, Lima accusava gli avversari di speculazioni politiche. La Torre, invece, accusava la maggioranza di voler affossare l’inchiesta.180
La giunta sorvolava pure su problemi, di norma, fondamentali. Il bilancio preventivo avrebbe dovuto essere approvato già dal 15 ottobre, ma a giugno ancora non se ne vedeva traccia. Dopo dieci mesi, non solo non era stato realizzato alcun punto del programma, ma il ritardo nella presentazione del documento procurava un’ulteriore perdita di centinaia di milioni per il Comune. Ancora una volta l’amministrazione era costretta a ricorrere alle anticipazioni da parte della Regione,
179 ACS, MI Gab. 1944-1966, Amministrazioni comunali, b. 94, f. Palermo, Nota prefettizia, 14
marzo 1957.
180 ASMPa, DCC, Acquedotto municipale, relazione dell’assessore del ramo e discussione, 3-4 maggio
51 agli istituti di credito e alla Cassa depositi e prestiti.181 Se per le irregolarità all’Acquedotto venivano arrestati cinque funzionari, il 6 giugno 1957, quando veniva battuta sul bilancio la giunta era costretta alle dimissioni. In Consiglio comunale la discussione si apriva tra le polemiche dei socialisti: secondo Vincenzo Purpura, infatti, la discussione sul bilancio di previsione era in realtà un «bilancio consuntivo», dato il ritardo con cui veniva presentato. A proposito del disavanzo, giunto a 47 miliardi, Ferretti recriminava la scarsa attività della DC a sostegno della Legge speciale. L’operato dell’amministrazione era in sostanza da considerarsi nullo, rintuzzava La Torre, eccezion fatta per le proroghe concesse ai grandi appaltatori. Poiché a favore si esprimevano solamente 29 consiglieri (ne occorrevano almeno 31), la giunta era dunque costretta a dimettersi.182
Al Giornale di Sicilia, che chiedeva delucidazioni sulla crisi improvvisa, Lima dichiarava che la mancata approvazione del bilancio non aveva alcun significato politico: la maggioranza a sostegno della giunta era composta, infatti, da 32 consiglieri, e se non fosse stato per cause di forza maggiore i tre assenti lo avrebbero certamente approvato. Le dimissioni, dunque, erano state dettate da cause di sensibilità politica.183