III. Il superpartito di Salvo Lima, 1963-1968
6. Un «pacchetto» di voti poco opportuni
La situazione politica continuava a mantenere toni inquietanti. Dopo due mesi di lacerazioni e colpi di scena, fallite le trattative per la distribuzione degli assessorati, l’11 agosto 1967 l’ARS eleggeva un monocolore presieduto dal ragusano Vincenzo Giummarra. Il suo era un esecutivo di ordinaria amministrazione a tempo, una sorta di “governo balneare siciliano”. Raggiunta l’intesa per il centrosinistra, Carollo veniva quindi eletto il 29 settembre.549 Nemmeno il tempo di insediarsi, e un nuovo caso agitava le acque: Lima e Gioia si dimettevano dall’esecutivo regionale della DC, ufficialmente per la diversa valutazione nella scelta degli assessori, da cui erano stati esclusi coloro che avevano fatto parte delle precedenti giunte. Le vera ragione del contendere, tuttavia, era che l’elezione del doroteo Carollo faceva temere ai fanfaniani una loro perdita di influenza. In vista delle elezioni politiche, infatti, era già nota l’intenzione di Lima di «emigrare» e candidarsi alla Camera o al Senato, e lo stesso Gioia era interessato a garantirsi la rielezione.550
Il banco di prova per misurare i rapporti di forza tra le correnti era il congresso provinciale (11-12 novembre 1967). Nell’ultima occasione Lima aveva trionfato per una serie di operazioni spregiudicate, perché il tesseramento era stato manipolato così tanto da attribuire alla DC palermitana 43mila tesserati. Per evitare colpi di questo genere, il nuovo sistema elettorale prevedeva l’elezione dei delegati in numero proporzionale a quello degli iscritti oltre il 20% dei voti ottenuti dalla DC in ciascuna sezione. Questo sistema ancorava i delegati all’effettiva consistenza del partito e, di conseguenza, rendeva più difficile la manipolazione del tesseramento. Secondo i calcoli resi noti dall’agenzia Sicilia-base, i delegati sarebbero stati eletti da 35mila iscritti. Il rischio di perdere il dominio del partito, per i fanfaniani, era tutt’altro che teorico. Con un colpo di mano condotto con una spregiudicatezza «ai limiti del credibile», i fanfaniani impedivano quindi all’opposizione interna di partecipare al precongresso palermitano. Alberto Alessi veniva eliminato con un espediente senza precedenti: secondo i dirigenti DC, infatti, il consigliere comunale non risultava iscritto
548 Cfr. Roberto Ginex (a cura di), Quando il Banco era Cosa loro... Le ispezioni della Banca
d’Italia, due anni di indagini della Guardia di Finanza ... I politici avevano occupato l’Istituto di credito e suggerivano assunzioni ..., Arbor, Palermo 1995.
549 ARS, Leg. VI, Resoconti parlamentari, 29 settembre 1967, pp. 147-149.
550 ACS, MI Gab. 1967-1970, Partiti politici, b. 7, DC, f. Palermo, Note prefettizie, 7-14-25
147 al partito. Lima si assicurava così l’assenza di una delle voci più preoccupanti. Negli ambienti democristiani, tuttavia, alla vigilia del congresso circolava pure una lettera piena di giudizi negativi sul gruppo dirigente palermitano. Gregorio Grigoli, della sezione di Roccella, scriveva che i democristiani erano stanchi di essere rappresentati da «uomini senza scrupoli, novelli santoni e poveri Narcisi» che impoverivano il partito rischiando di corrodere il «luminoso patrimonio» realizzato da De Gasperi e Sturzo. I dirigenti periferici non servivano solamente per «essere spremuti come limoni», senza mai trovare spazio al vertice delle responsabilità politiche. Occorreva valorizzare la base e i dirigenti sezionali, non quelle cricche clientelari che, per cupidigia di potere, strisciavano «con penoso ma redditizio servilismo al solo scopo di ottenere comode poltrone». Il documento investiva direttamente Lima, accusato di essersi indifferentemente seduto, nel corso degli anni, sia con i monarchici che con i socialisti: «coerenti solo con la conquista della poltrona», per certi notabili gli ideali e la linearità dei principi contavano «solo come demagogia oratoria». Non era lecito ad alcuno, infine, «fare parte contemporaneamente al mondo della mafia e a quello dell’antimafia». Questa improvvisa ribellione era chiaramente una sgradita sorpresa, considerato che nel frattempo la sinistra DC aveva denunciato i brogli chiedendo la nomina di un commissario presso il comitato provinciale. A tal proposito, aveva anche annunciato l’intenzione di presentare una propria lista.551
Al congresso Lima apriva i lavori ricordando come al solito i successi elettorali: «l’attualità dell’ideologia e la ricchezza dell’azione politica» della DC, esordiva, avevano spinto un numero sempre crescente di cittadini verso il partito. Per il suo carattere pluralistico e «per la libertà di iniziativa» di cui godevano gli iscritti, i successi democristiani non erano di vertice ma di base, e a essi concorrevano in maniera determinante e armonica tutti i soci.552 Le sue parole erano però contrastate dai fatti: la lista della sinistra era stata esclusa perché, ufficialmente, priva del numero di firme necessario. Quando Franco Riccio accusava il tavolo della presidenza di essere composto da «assassini politici», volavano perciò insulti, fischi e grida a sommergere la voce del ribelle; alcuni invitavano la dirigenza a far tacere «lo sporco comunista». I delegati eletti al Congresso nazionale, ovviamente, appartenevano tutti al listone. Alberto Alessi esternava così tutta la propria meraviglia per il fatto che anche uomini come Restivo, in cambio di una delega, accettavano di farne parte. La brutale sopraffazione contro la minoranza finiva sotto accusa anche a Roma, dove il caso veniva discusso in seguito al ricorso presentato al Consiglio nazionale. Attacchi molto
551 D. Angelini, Stavolta non vale il gioco delle tessere; Alessi jr. secondo Lima… non è iscritto alla
DC; La sezione DC di Roccella si ribella a Lima; La sinistra DC denuncia brogli e chiede un commissario al posto di Lima,in «L’Ora», 11-30 ottobre-10-11 novembre 1967.
552 ACS, MI Gab. 1967-1970, Partiti politici, b. 7, DC, f. Palermo, Note prefettizie, 17
148 duri venivano da Granelli, Galloni e Donat Cattin, che chiedevano l’annullamento del precongresso palermitano e la nomina di un commissario straordinario al posto di Lima. A queste bordate contro i fanfaniani reagiva Gioia, minacciando di dimettersi da sottosegretario. A Palermo, in realtà, la DC non esisteva, replicava Galloni: l’attività delle sezioni era stata ridotta a zero e Lima manovrava a piacimento l’intera organizzazione. Un attacco molto duro veniva portato anche da Taviani, secondo cui la situazione palermitana necessitava di provvedimenti eccezionali per essere riportata alla normalità. Anteponendo come sempre l’unità del partito, Rumor soffocava comunque il caso: il ricorso della sinistra, infatti, veniva respinto dai probiviri DC.553
Eppure, negli stessi giorni due vicende giudiziarie avrebbero dovuto interessare la Direzione nazionale del partito. A Catanzaro si era aperto il processo contro la mafia palermitana, dove l’istruttoria del giudice Terranova più volte faceva risuonare in aula i nomi dei politici “amici”. A Palermo era in corso un altro processo, quello tra L’Ora e proprio Gioia e Lima: il 30 giugno il presidente della III sezione del Tribunale, Michele Agrifoglio, aveva chiesto l’acquisizione agli atti della relazione dell’Antimafia. Pafundi non solo si era rifiutato, ma aveva anche espresso la sua reprimenda al collegio giudicante perché la richiesta si riferiva ad un documento interno del Parlamento che non poteva essere comunicato a nessun’altra autorità.554 Direttamente coinvolto nella vicenda, il quotidiano palermitano proseguiva allora nella sua iniziativa di mettere a disposizione dei propri lettori i documenti: ripubblicava la relazione sui rapporti tra mafia e pubblica amministrazione trasmessa dall’Antimafia alle Camere nel 1965, su cui però era calata la «congiura del silenzio». In quattro anni la Commissione non aveva pubblicato neanche una delle sue inchieste, tanto che già allora si cominciava a discutere sull’opportunità di mantenere certi segreti istruttori. Contro Pafundi si levava un coro di accuse: perfino il Giornale di Sicilia sosteneva che non poteva allearsi con la mafia e contro la magistratura, accusandolo di «omertà alla rovescia».555 Ad appesantirne l’imbarazzo, al processo Agrifoglio precisava che il presidente dell’Antimafia avrebbe dovuto chiarire al Tribunale se la relazione era vincolata o meno da segreto d’ufficio, precisazione necessaria ai sensi dell’art. 342 c.p.p. La Commissione, alla fine, approvava all’unanimità una proposta avanzata dai commissari del PCI, dove si riteneva formalmente legittimo e politicamente doveroso fornire tutti i documenti, le notizie e gli elementi atti a perseguire fini di giustizia nei processi di mafia. Solamente quando L’Ora sollevava il caso, dunque, l’Antimafia accoglieva le richieste del Tribunale. Poiché la commissione 553 Niente dibattito, molti incidenti al Congresso DC; Un colpo di mano nella DC di Palermo; Ai
probiviri la decisione, in «L’Ora», 13-16-17 novembre 1967.
554 ASCD, Commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia in Sicilia (1962-1976), b. 1, serie II,
Leg. IV, f. 13, Pafundi al presidente della Corte d’appello di Palermo, 11 luglio 1967.
555 Riveliamo documenti riservati e deposizioni a porte chiuse della Commissione antimafia, in
149 parlamentare lo aveva sconfessato clamorosamente, Pafundi ammetteva di essersi sbagliato «in buona fede».556
A Milano, il giorno dopo, si apriva il X Congresso della DC. Il dibattito segnava alcuni momenti di effervescenza quando De Mita attaccava la gestione del partito e Donat Cattin ricordava che il problema principale dei democristiani era la loro credibilità. La maggioranza, anche a livello nazionale, andava a un listone (dorotei, morotei, fanfaniani e centristi) con il 64,2%.557
Oltre al malore di Rumor – che leggeva a stento la replica, stando seduto – era da registrare un episodio che coinvolgeva Lima e che scatenava un putiferio. Al momento di votare per il nuovo Consiglio nazionale, infatti, invece di ritirarsi in cabina votava scheda bianca platealmente, davanti a tutti. Forse stanco per i quattro giorni e le quattro notti di corridoio trascorsi senza riuscire a convincere i capi DC a metterlo in lista, il palermitano scambiava il Congresso nazionale per la Sala delle Lapidi. Alle proteste degli scrutatori, perfino il presidente del seggio urlava di comprendere perché i giornali scrivevano tutta «quella roba» su di lui. Personaggio troppo discusso, Lima non riusciva così a entrare al Consiglio nazionale.558
Un devastante terremoto, la notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968, si abbatteva poco dopo sulla valle del Belice, distruggendo Montevago, Gibellina e Salaparuta. I morti sotto le macerie erano centinaia, un migliaio i feriti e 90mila gli sfollati. In prossimità dell’epicentro le strade erano state praticamente risucchiate dalla terra, tanto che a distanza di 24 ore i collegamenti con i paesi colpiti erano ancora pressoché impossibili. Tra ritardi e disorganizzazione, la macchina dello Stato non funzionava a dovere.559 Le conseguenze del sisma si manifestavano pure a Palermo, dove numerosi edifici venivano lesionati e ridotti in stato pericolante, specialmente nei vecchi quartieri già compromessi dai bombardamenti. Il terremoto poneva nuovamente in evidenza il problema del mancato risanamento. Iniziavano a Palermo e in molti altri centri imponenti manifestazioni contro l’indifferenza dello Stato ai problemi della Sicilia. Un superdecreto varava in favore dei terremotati 298 miliardi, anche se la stampa locale commentava negativamente la notizia. Lo stesso Delio Mariotti, direttore del Giornale di Sicilia, manifestava scetticismo sottolineando come buona parte della recente storia regionale fosse intessuta di miliardi non spesi e di promesse non mantenute.560 Secondo
556 ASCD, Commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia in Sicilia (1962-1976), b. 1, serie II,
Leg. IV, f. 13, Pafundi a Bucciarelli Ducci, 22 novembre 1967.
557 A. Damilano, Atti e documenti della Democrazia cristiana, cit., II, pp. 2177-2264.
558 E. Fidora, I siciliani che entrano e quelli esclusi al Consiglio nazionale, in «L’Ora», 27 novembre
1967.
559 Cfr. Costantino Caldo, Sottosviluppo e terremoto: la valle del Belice, Manfredi, Palermo 1975;
Fiorella Cagnoni, Valle del Belice. Terremoto di Stato, Contemporanea, Milano 1976; Anna Ditta, Belice. Il terremoto del 1968, le lotte civili, gli scandali sulla ricostruzione dell’ultima periferia d’Italia, Infinito, Formigine 2018.
150 Pancrazio De Pasquale, capogruppo comunista all’ARS, le cose da fare erano due: adeguare i fondi a quelli disposti per il disastro del Vajont e per l’alluvione di Firenze, e non limitarsi alla semplice ricostruzione per estendere invece l’intervento al finanziamento di un piano economico capace di rinnovare una zona già nota come “il triangolo della miseria”. Il centrosinistra, tuttavia, respingeva le richieste, confermando l’«odiosa politica antimeridionalistica e antisiciliana».561 Perfino Gioia ammetteva che nel decreto c’erano cose sbagliate, mentre per Scalia la ricostruzione avrebbe ripristinato condizioni analoghe a quelle precedenti, incapaci quindi di offrire prospettive migliori e per le quali un numero sempre maggiore di abitanti sarebbe fuggito verso il Nord o all’estero. Paradossalmente, secondo il segretario della CISL, in un momento di così accertate rigidità del bilancio statale si rischiava di spendere 300 miliardi per ricostruire paesi e case che la gente non avrebbe mai abitato.562
Ad aggravare la situazione politica, l’8 marzo, due giorni prima dello scioglimento delle Camere, Pafundi presentava il Rapporto sullo stato dei lavori della commissione alla fine della IV legislatura: si trattava di un ragguaglio sui metodi adottati per le indagini e sul numero delle sedute e delle riunioni che, alla fine, ammetteva che nel corso dei lavori la Commissione aveva fermato il proprio esame sul rapporto tra mafia e politica «senza pervenire a conclusioni».563 La DC aveva bloccato ogni decisione, imponendo una conclusione che mortificava il Parlamento e che rischiava di rendere vano il lavoro tutt’altro che disprezzabile dei commissari. Lo stesso Pafundi, d’altra parte, aveva assicurato che prima della fine della legislatura gli atti sarebbero stati resi pubblici. Sulla commissione, in pratica, calava quel silenzio che per la mafia si chiama omertà, gettando un «lugubre sospetto» su larga parte della classe dirigente italiana.564
In vista delle elezioni, la DC palermitana poteva così iniziare Il ballo degli aspiranti: Gioia tentava in tutti modi di non trovarsi Lima come compagno di lista; sfumato il programma di inserirlo in Consiglio nazionale, gli proponeva di candidarsi al «tranquillo» collegio senatoriale di Partinico-Monreale. Lima però non era affatto convinto della candidatura al Senato, ritenendo di avere maggiori possibilità alla Camera.565 Il senatore Girolamo Messeri scriveva peraltro a Rumor per svelargli l’«inaudita manovra» per impadronirsi del suo collegio, minacciando di convocare una conferenza stampa dove avrebbe tracciato la posizione di quegli uomini che non potevano permettersi di esprimere il cattolicesimo politico. Rumor lo invitava a non dare corso all’iniziativa per attenersi alla disciplina di partito, perché la questione
561 ARS, Leg. VI, Resoconti parlamentari, 21 febbraio 1968, pp. 109-112.
562 Si accusano a vicenda i «big» DC per il decreto tutto fumo, in «L’Ora», 1° marzo 1968. 563 Antimafia, Rapporto sullo stato dei lavori al termine della IV Legislatura, 8 marzo 1968. 564 M. Pantaleone, Antimafia, cit., pp. 11-16.
151 sarebbe stata discussa in Direzione.566 Sebbene Moro e Taviani ne sollecitassero l’inclusione, il comitato elettorale della DC di Caltanissetta escludeva a questo punto dalla lista il senatore Alessi. L’esclusione, voluta dai fanfaniani, era la «carta di scambio» per la Direzione: era nota, infatti, l’opposizione dei tavianei alla candidatura di Lima. I casi Alessi, Lima e Messeri costituivano «autentiche grane» per la DC, perché rischiavano di avere ripercussioni sul piano nazionale. Un primo verdetto escludeva Alessi e Messeri, mentre Gioia veniva candidato al Senato e Lima alla Camera.567 Alessi riusciva poi nuovamente a convincere il partito, così il peso del dissenso si spostava ancora su Lima. Alla fine, Rumor finiva per accontentarlo: non si poteva dire di no al vicesegretario regionale, soprattutto perché, in una questione di calcolo elettorale, controllava tanti voti.568
La candidatura era comunque oggetto di reazioni negative anche a Palermo, dove particolare risalto assumeva la protesta di Voce Nostra, settimanale ispirato dalla Curia. Sotto un titolo eloquente – Certe scelte discusse sono una sfida ai cattolici – trovava spazio la lettera di un alto funzionario regionale che protestava per l’inclusione in lista di «determinati personaggi, al centro di troppi scandali» (magari innocenti, ma toccava alla magistratura giudicare) che potevano tranquillamente dirsi «poco opportuni» per dare al mondo cattolico la sensazione che gli «anni ruggenti» erano passati. La responsabilità maggiore andava ascritta alla Segreteria nazionale DC, che taceva per motivi elettorali. A testimoniare il disagio della Curia, il cardinale Francesco Carpino, imbarazzato, ammetteva che votare DC equivaleva a chiedere un sacrificio ai cattolici.569 Un sistema di potere come quello siciliano, che in cambio di poche briciole richiedeva l’asservimento totale e spesso la «prostituzione morale», metteva in scena il suo «immondo spettacolo delle botteghe del voto»: la lotta tra Lima, Gioia e gli altri notabili, scriveva Nisticò, sembrava quasi divertire i siciliani mentre puntavano «su questo o quello stallone democristiano, come in una corsa di cavalli»; il problema era che, ancora dopo quattro legislature, l’elettore non sembrava rendersi conto che «Draghi, Lime e Volpi» non potevano dargli quello che non erano riusciti a dare Restivo, Gullotti, e prima ancora Mattarella e Scelba.570
Le elezioni, il 19-20 maggio 1968, rappresentavano comunque l’ennesimo trionfo della DC, che nel collegio della Sicilia occidentale eleggeva 12 deputati. A sorpresa Lima veniva eletto primo per numero di voti (79.916), seguito da Restivo (79.538),
566 ASSR, FMR, Attività nella Democrazia cristiana, f. Elezioni e campagne elettorali, Telegramma
Messeri a Rumor, 17 marzo 1968.
567 Bruno Carbone, Battaglia a Roma sulle candidature DC; U. Ugolini, Messeri, Lima, Alessi, tre
casi che si intrecciano; Colpi di scena nella lista DC, in «L’Ora», 19-21-22 marzo 1968.
568 Enrico Basile, Risolto il caso Alessi, in «Giornale di Sicilia», 29 marzo 1968.
569 Certe scelte discusse sono una sfida ai cattolici e Votare tutti uniti, in «Voce Nostra», 31 marzo-
28 aprile 1968.
152 Volpe (79.367) e Gioia (77.632).571 Poiché aveva ottenuto le preferenze tramite un uso spregiudicato delle leve di potere, in seno al partito scoppiavano subito commenti stizzosi nei suoi confronti. Restivo, ministro e capolista, era stato scalzato dal primo posto, mentre Gioia, in calo rispetto al 1963, si vedeva scavalcato dall’ex allievo. Benché lasciasse dietro di sé ministri e sottosegretari, ex presidenti della Regione e notabili di tutti i tipi, Lima non riusciva a passare quota 100mila, come Scalia e Drago nella circoscrizione orientale. Da tempo, ad ogni modo, non era più il vice di Gioia, così con l’elezione alla Camera usciva finalmente dall’ambito municipale per andare a Montecitorio. Sapeva di arrivare a Roma preceduto dalla sua fama e che, presto scaricato da Fanfani, avrebbe dovuto procurarsi delle nuove “maniglie” cui agganciare la propria carriera. Sebbene il nome fosse fra i più discreditati, il suo “pacchetto” di 79mila voti avrebbe fatto gola a un altro dei leader nazionali della DC.
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