• Non ci sono risultati.

Capitolo 2. Sguardo e discorso

2.2 Il realismo logico di Lacan

Abbiamo detto di come Lacan opponga la psicoanalisi all’idealismo della filosofia. Quando attacca l’idealismo, di solito, si dice sostenitore di una posizione realista (la psicoanalisi non è un idealismo, perché è un realismo489):

L’idealismo […] fino a un certo punto […] non è stato rifiutato. Non è stato rifiutato filosoficamente, ma dal senso comune, che è realista, certamente, realista nei termini in cui l’idealismo pone il problema, cioè che […] non conosciamo del reale che le rappresentazioni490.

Di fronte a un filosofo (idealista) che dica: del reale conosciamo sempre e solo la rappresentazione, il senso comune risponde: no, ciò che vediamo e conosciamo è reale (le smorfie, i libri, i coleotteri e la precessione degli equinozi). Il senso comune risponde alla questione “nei termini” in cui è posta dalla filosofia. Invece, «[l]a posizione idealista, che, a partire da un certo schema è inconfutabile, è confutabile nondimeno a partire dal momento in cui non si fa più della rappresentazione un riflesso puro e semplice del reale»491. Cioè, a partire dal momento in cui si fa della psicoanalisi che, a differenza del senso comune, risponde all’idealismo filosofico cambiando i termini della questione, passando dalla rappresentazione come riflesso del reale al significante come segnaposto del reale.

Jacques-Alain Miller sostiene che Lacan fosse realista, a fronte di una filosofia a lui contemporanea prevalentemente nominalista. Quindi Lacan oppone idealismo e realismo, Miller, invece, realismo e nominalismo (e vedremo che da un certo punto di vista idealismo e nominalismo possono coincidere). Dunque l’opposizione diventa

489 Cfr. anche J. Lacan, De la psychanalyse dans ses rapports avec la réalité: «lo psicoanalista «si sa, e lo

dichiara, semplicemente “realista”… Nel senso medievale del termine? è questo che gli sembra di capire mentre mette un punto interrogativo. È il segno che ne ha già detto troppo, e che sta per sopraggiungere l’infezione di cui il discorso filosofico non può più sbarazzarsi: l’idealismo inscritto nel tessuto della sua frase» (in Scilicet, n. 1, 1968, pp. 51-59, poi in Autres écrits, pp. 351-360; tr. it. Della psicoanalisi nei

suoi rapporti con la realtà, in Altri scritti, pp. 347-356, in particolare p. 347).

490 S16, p. 279. 491 Ibidem.

112

realismo vs idealismo/nominalismo. Nell’attribuire a Lacan una posizione realista Miller non si riferisce alla centralità del registro del reale, bensì alla teoria dei significanti, di nuovo, allo strutturalismo lacaniano. La filosofia contemporanea – afferma – è nominalista, crede cioè che «la sola realtà siano le cose singolari dell’esperienza, le cose singolari che esistono fuori dall’anima, cioè fuori della sfera della coscienza». Per un nominalista (e lui suggerisce che “siamo tutti nominalisti”) «l’universale e le forme non sono allora che concetti – concetti con ciò che questo comporta di arbitrario»492. A fronte del nominalismo imperante, Lacan avrebbe scelto

«la via antica, […] la via del realismo»493. Riferendosi alla querelle sugli universali

della filosofia medievale, Miller afferma che Lacan avrebbe scelto Duns Scoto, piuttosto che Occam494, che la sua era la posizione del «realismo logico […] medievale», secondo il quale «gli universali sono una realtà», al contrario di ciò che sostiene il nominalismo: «non c’è reale che del particolare»495.

Quello lacaniano, precisa però Miller, non è un «realismo dell’universale» (gli universali sono reali), ma un «realismo logico della struttura»496 (i significanti sono reali). La struttura è reale, non gli universali. La struttura, la catena significante, è un insieme di relazioni, una forma combinatoria definita dalle funzioni dei suoi componenti, mentre gli universali sono intesi come entità, sostanze. Lacan non crede alla realtà degli universali (anzi, è lo psicoanalizzante che semmai «crede all’universale»497), ma alla realtà della struttura. Non crede, per esempio, che esista il

soggetto ma che esistano i significanti, che lo producono come effetto del loro reale concatenarsi.

Nel seminario su Extimité, a proposito del realismo lacaniano della struttura, Miller cita proprio la Vorstellungsrepräsentanz. I nominalisti trattano «i significanti come

492 Miller, J.-A., Extimité, cours du 1985-86, p. 138. 493 Ibidem.

494 J.-A., Miller, 1, 2, 3, 4. Cours du 1984-85, p. 203. 495 Ivi, p. 198.

496 Ibidem. Cfr. «La nostra pena dimostra il realismo logico (da intendere nel senso medievale), talmente

implicato nella scienza che essa omette di rilevarlo. Cinquecento anni di nominalismo si potrebbero interpretare come resistenza e sarebbero dissipati se certe condizioni politiche non riunissero ancora coloro che sopravvivono solo proclamando che il segno non è nient’altro che rappresentazione» (J. Lacan,

La logica del fantasma. Resoconto del seminario del 1966-67, 1969, in Altri scritti, p. 324).

113

rappresentazioni della coscienza», mentre Lacan «non fa equivalere il significante alla rappresentazione […] fa equivalere il significante al rappresentante della rappresentazione»498. Cioè a una funzione, un ruolo. In quanto rappresentante, e non rappresentazione, per Lacan «il significante è una cosa»499 (nel senso di die Sache, non das Ding), le strutture sono dei «neo-universali»500.Continua Miller:

Qua c’è un punto cruciale dell’insegnamento di Lacan. Altrimenti gli si potrebbe opporre la distinzione freudiana della rappresentazione della parola e della rappresentazione della cosa, per far valere che ciò che conta per Freud nell’inconscio sono le rappresentazioni delle cose. A quel punto si legge Freud come nominalista. Lacan risponde che quando Freud qua parla di cose, si tratta di significanti. L’insegnamento di Lacan verte su questo punto. È ciò che dà il suo valore al suo ritorno a Freud. Il significante non è che sembiante. Non è rappresentazione ma rappresentante della rappresentazione. Le strutture, come gli

universalia, sussistono indipendentemente. È questo il realismo501.

Lacan ha preso posizione nei confronti del nominalismo opponendoglisi decisamente: «Se io sono qualcosa, è chiaro che questo consiste nel non essere nominalista»502. Con nominalismo, Lacan intende una teoria del linguaggio come nomenclatura. È questo il nominalismo al quale si oppone: «Voglio dire che il mio punto di partenza non è che il nome sia qualcosa che si appiccica così su un reale»503. Perciò l’anti-nominalismo viene a coincidere con l’anti-idealismo. Il linguaggio non rappresenta il mondo, non è di un rapporto rappresentativo che si tratta, ma di un rapporto simbolico: «il significante, a differenza del segno, è ciò che rappresenta un soggetto per un altro significante […] è chiaro che non si tratta di rappresentazione, ma di rappresentante»504, del facente-funzione della rappresentazione.

Considerare il linguaggio come un sistema di nomenclature vuol dire credere che ci siano nel mondo le cose e poi le parole che le nominano, come dei cartellini. Ci sono i conigli e poi noi li chiamiamo “conigli” o “rabbits” ecc. È stato Saussure a chiarire che il linguaggio non è una nomenclatura:

498 Miller, J.-A., Extimité, p. 139. 499 Ibidem.

500 J.-A. Miller, 1, 2, 3, 4, p. 198. «C’est ce qui nous éloigne de tout idéalisme. Nous avons une

matérialité du langage structure qui est déjà là et qui conditionne nos constructions » (ibidem).

501 Miller, J.-A., Extimité, p. 139. 502 S18, p. 21.

503 S18, p. 21. 504 S17, p. 27.

114

Per certe persone la lingua, ridotta al suo principio essenziale, è una nomenclatura, vale a dire una lista di termini corrispondenti ad altrettante cose. […]

Questa concezione è criticabile per molti aspetti. Essa suppone delle idee già fatte preesistenti alle parole […]; non ci dice se il nome è di natura vocale o psichica […] infine lascia supporre che il legame che unisce un nome a una cosa sia un’operazione del tutto semplice505.

Lacan ha ripetutamente insistito su qualcosa di simile: «ogni significazione non fa altro che rinviare a un’altra significazione […] è ben chiaro che il linguaggio non è fatto per designare le cose»506. Per spiegare una parola, per esempio, usiamo sempre e solo altre parole. Non c’è un momento in cui finisce la catena delle parole e si approda direttamente a una cosa. Perciò non è corretto obiettare alla psicoanalisi che i suoi concetti non corrispondono a nulla di reale. I concetti non sono qualcosa di irreale, che corrisponderebbe a qualcos’altro di reale. Contro il nominalismo che abbiamo descritto all’inizio del paragrafo, le parole non sono etichette che si appiccicano dopo su un reale che viene prima. Vediamo di seguito che, se pure si può attribuire a Foucault una forma di nominalismo, non si tratta di quel nominalismo.