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Capitolo 2. Sguardo e discorso

2.1 La psicoanalisi non è un idealismo

2.1.2 Sguardo come oggetto a

Nel seminario XI Lacan introduce i concetti di “campo scopico” e “pulsione scopica”. Secondo la sua lettura, è stato Merleau-Ponty a indicare il campo scopico, a permettere di «circoscrivere la preesistenza di uno sguardo – io non vedo che da un punto ma, nella mia esistenza […] sono guardato da ogni parte», a mostrare che c’è un «vedere al quale sono sottomesso in modo originario»428. A differenza di Merleau- Ponty, però, ciò che interessa la psicoanalisi, non è la distanza tra il visibile e l’invisibile, bensì la “schisi tra l’occhio e lo sguardo”429, cioè l’elisione dello sguardo

come condizione di possibilità dell’esperienza: «[l]o sguardo a noi si presenta solo nella forma di una strana contingenza, simbolica di ciò che troviamo all’orizzonte e come arresto della nostra esperienza, cioè la mancanza costitutiva dell’angoscia di castrazione»430. Lo sguardo è oggetto a perché è escluso dall’esperienza.

427 S10, pp. 94-95. Tuttavia, Lacan lo chiama “oggetto”, lasciando le porte aperte agli equivoci. Secondo

Le Gaufey, tuttavia, Lacan avrebbe mantenuto di proposito la parola “oggetto”, per indicare proprio il fatto che l’oggetto a «sconvolge» la concezione precedente di cosa sia un oggetto (cfr. G. Le Gaufey,

L’objet a. Approches de l’invention de Lacan, Epel, Paris 2012, pp. 158-159). Non varrebbe, dunque, per

l’oggetto a quel che Lacan dice dell’inconscio, cioè che non abbiamo una parola migliore, ma dovremmo smettere di chiamarlo così (cfr. J. Lacan, Televisione, 1974, in Altri scritti, p. 507). Del “soggetto”, invece, Lacan stesso scrive qualcosa di simile a quel che Le Gaufey riferisce all’oggetto: «Se mantengo il termine “soggetto” per ciò che questa struttura costruisce, è per non lasciare nessuna ambiguità a proposito di ciò che si tratta di abolire, e affinché questo sia abolito a tal punto da poter attribuire il suo nome a ciò che prende il suo posto» (J. Lacan, Piccolo discorso all’ORTF, 1966, in Altri scritti, p. 225).

428 S11, p. 71.

429 S11, lezione del 19 febbraio 1964. 430 S11, p. 72.

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Seguiamo Miller in un articolo del 2008, per capire cosa intenda Lacan con “schisi tra l’occhio e lo sguardo” e con la definizione dello sguardo (e della voce) come oggetto a.

Già la fenomenologia aveva stabilito che il soggetto della percezione è sempre già nel mondo, che vediamo il mondo sempre da una certa prospettiva. Lacan è vicino a Husserl e Merleau-Ponty in questo caso, e insiste sul fatto che «il percipiens non è esterno rispetto al perceptum», che bisogna «pensare il soggetto della percezione nel percepito»431. Quando si occupa del campo scopico, si tratta proprio di questo:

ristabilire la presenza del percipiens. Oltre a questa presenza «in più», tuttavia – nota Miller – Lacan introduce un’assenza. Nella prospettiva di Freud – scrive – l’oggettività della realtà è garantita solo se «la libido non invade il campo percettivo». Perciò lo scienziato deve mettere da parte passioni e desideri. Lacan chiama questa condizione “estrazione dell’oggetto a”: la condizione dell’oggettività è che la realtà sia «un deserto di godimento»432. Il godimento assente, allora, «si condensa nell’oggetto piccolo a»433.

Lacan chiama “campo della visione” l’oggetto dello studio oggettivo del perceptum (è la prospettiva della medicina, dell’oftalmologia). La psicoanalisi, invece, si occupa del “campo scopico”, cioè, insieme, della realtà e del godimento434. Il campo scopico –

scrive Miller richiamando il seminario XI – è «pacificatore»435, perché in esso siamo dimentichi della castrazione. Nel campo scopico noi vediamo, senza vedere ciò attraverso cui vediamo, cioè l’oggetto a. Lo sguardo come oggetto a è come una finestra: ci permette di vedere, vediamo attraverso di essa, ma non la vediamo. È come la fessura delle palpebre, esemplifica Lacan436: inquadra la visione, ne determina l’ampiezza, ma non la vediamo. Perciò “la schisi fra l’occhio e lo sguardo”, perché

431 J.-A. Miller, Les prisons de la jouissance, in La Cause freudienne, 2008/2, n. 69, pp. 113-123,

disponibile su https://www.cairn.info/revue-la-cause-freudienne-2008-2-page-113.htm, in particolare p. 120.

432 Ibidem.

433 Ibidem. Cfr. J.-A. Miller: «si ha un godimento frammentato in piccoli oggetti a» (I paradigmi del

godimento, p. 20).

434 «c’est de la structure du sujet scopique qu’il s’agit et non pas du champ de la vision» (S13, p. 315). 435 J.-A. Miller, Les prisons de la jouissance, in La Cause freudienne, 2008/2, n. 69, p. 121.

436 «È in quanto la finestra è sempre elisa nel rapporto dello sguardo con il mondo, che possiamo

rappresentarci la funzione dell’oggetto a; la finestra, come anche la fessura delle palpebre, così come anche l’ingresso della pupilla» (S13, p. 294).

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l’occhio è organo della visione, mentre lo sguardo è condizione di possibilità della visione.

Il caso in cui l’elisione dello sguardo viene meno – scrive Miller – è il caso della psicosi: «nell’esperienza dello psicotico, la voce che nessuno può udire e lo sguardo che nessuno può vedere, trovano la loro esistenza»437. Nella psicosi si sospende l’estrazione

dell’oggetto a. Perciò può capitare un’esperienza come quella di una donna che dopo anni di mutismo si mette a disegnare una moltitudine di occhi e scrive a margine di un disegno “Sono sempre vista”. Commenta Miller: «Per un soggetto è molto importante essere non-sempre visto. Il campo della realtà in effetti trova la sua consistenza solo nella dissimulazione dello sguardo nella visione. La visione del campo della realtà nasconde lo sguardo»438. Invece, «nella psicosi […] lo sguardo diventa visibile»439 (e la voce udibile). Nella psicosi quindi, la realtà può diventare in-distinta, non inquadrata, non separata.

Infine, è proprio perché la funzione dello sguardo è esclusa può esserci coscienza riflessiva, sulla quale si attarda la filosofia. I filosofi si fermano alla coscienza riflessiva, ma la coscienza si fonda – secondo Lacan – «nella struttura rovesciata dello sguardo»440. L’analisi può ridurre «i privilegi della coscienza»441 perché la considera, da subito, misconoscimento.

Lo sguardo è oggetto a, perché è ciò che viene escluso affinché il soggetto si costituisca come soggetto della visione (colui che vede). La psicoanalisi permette una diversa elaborazione della nozione di soggetto, perché non evita la castrazione, perché invece di occuparsi della dialettica tra la superficie e ciò che c’è al di là, parte dalla frattura:

Per noi, non è in questa dialettica tra la superficie e ciò che è al di là, che le cose sono in bilico. Noi partiamo, per parte nostra, dal fatto che c’è qualcosa che instaura una frattura, una bipartizione, una schisi dell’essere alla quale questo si adatta, fin dalla natura442.

437 Ibidem.

438 J.-A. Miller, Schede di lettura, p. 93. 439 Ibidem.

440 S11, p. 81. 441 Ibidem. 442 S11, p. 105.

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La psicoanalisi assume cioè il fatto che per costituirsi come soggetti bisogna passare per il taglio che ci separa dal reale (lo sguardo del mondo, la voce della catena significante, l’indistinto, il tutto senza buchi, senza inquadratura) e esclude lo sguardo del mondo, che assume così lo status di un «quasi-trascendentale»443. La psicoanalisi, affrontando la castrazione, sa dell’elisione di quello sguardo, sa che «[l]’essenziale del rapporto tra l’apparenza e l’essere […] è altrove»444 e che il posto del soggetto non è quello di colui che vede, ma di colui che non-vede-che-è-guardato, non da un altro soggetto, ma dal mondo che guarda senza vedere445.

Riprendiamo un passaggio citato sopra: «L’occhio e lo sguardo, questa è per noi la schisi in cui si manifesta la pulsione a livello del campo scopico»446. Della schisi e del

campo scopico abbiamo detto, la pulsione è un altro dei prodotti della castrazione e un altro dei concetti fondamentali della psicoanalisi. Nel seminario XI Lacan si dedica a una lunga descrizione delle pulsioni, il cui fulcro è che la pulsione gira intorno all’oggetto a. Mentre il desiderio, pur causato dall’oggetto perduto a, è tutto interno alla catena significante, la pulsione è frutto della relazione del soggetto con l’oggetto a. Le pulsioni sono l’effetto dell’iscrizione del linguaggio nel corpo447. La pulsione, quindi,

non coincide con il bisogno, non è una funzione biologica. Ciò è evidente se si considera che, mentre le funzioni biologiche hanno «sempre un ritmo», le pulsioni sono «costanti»448, e che nessun oggetto può mai soddisfare una pulsione: «[a]nche se rimpinzaste la bocca […] non è del cibo che essa si soddisfa, ma, come si dice, del

443 S. Žižek, “I Hear You with my Eyes”; or, the Invisible Master, p. 92. 444 S11, p. 93.

445 Per spiegarsi su questo mondo che guarda senza vedere, che è sguardo, Lacan racconta il celebre

episodio della scatola di sardine. Si trovava in mezzo al mare su una barca a pescare, quando un tal Giovannino gli disse: vedi quella scatola di sardine che galleggia? «La vedi? Ebbene, lei non ti vede!». E rideva. Lacan da parte sua racconta di non essersi divertito per niente, e di essersi, invece, inquietato. Nella battuta di Giovannino, infatti, aveva letto la possibilità che la scatoletta sì, non lo vedesse, ma ciononostante lo guardasse: «se ha senso che Giovannino mi dica che la scatola non mi vede, è perché, in un certo senso, essa però mi guarda». La scatoletta guarda senza vedere, è sguardo senza occhio, non vede e tuttavia guarda, «guarda a livello del punto luminoso, dove si trova tutto ciò che mi guarda». La scatoletta non vede, ma guarda; mentre noi, per poter vedere, non vediamo il fatto che essa guarda. Si tratta sempre dell’elisione dello sguardo come oggetto a. L’oggetto a sta per un reale perduto, la cui perdita fa parte del processo di istituzione della coscienza riflessiva e dello sguardo dei filosofi (S11, p. 74).

446 S11, p. 93.

447 Cfr. C. Soler, The paradoxes of the symptom in psychoanalysis, in J. M. Rabaté, a cura di, The

Cambridge Companion to Lacan, Cambridge UP, Cambridge 2003, pp. 90-91. Cfr. § 1.2.1.

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piacere della bocca»449. O, si dice anche, dei “piaceri del palato” che evidentemente non hanno nulla a che fare con la fame, così come l’abbigliamento non ha a che fare con il bisogno di proteggersi dal sole o dal freddo. Il bisogno si soddisfa, la pulsione no. È proprio per questa impossibilità di soddisfazione che la pulsione ha a che fare con l’oggetto a: «L’oggetto piccolo a […] è introdotto dal fatto che nessun nutrimento soddisferà mai la pulsione orale, se non contornando eternamente l’oggetto mancante»450. Lacan descrive la pulsione come un movimento («non è una sostanza, ma

un vettore»451) di andata e ritorno, o di giro, verso o intorno all’oggetto a452. Oggetto a

che a sua volta non è già lì, bensì è prodotto dal giro della pulsione. I due si delimitano a vicenda. Nel seminario del 1964, Lacan introduce la «pulsione scopica», che gira intorno all’oggetto a-sguardo453. Della pulsione scopica, dice che esibisce al meglio il comportamento di tutte le pulsioni: «Non a caso – commenta Lacan – l’analisi non si fa faccia a faccia»454. Tra le pulsioni, quella scopica «elude nel modo più completo il termine della castrazione»455. Come abbiamo visto, attraverso l’estrazione dell’oggetto a, attorno al quale gira la pulsione, la realtà si inquadra, si incornicia. Ancora metafore scopiche.

2.1.3 Lacan su Las Meninas, ovvero la teoria dell’alienazione-separazione