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Capitolo 3. Verità e soggettivazione

3.3. Siamo in trappola?

La questione dei limiti interni del linguaggio ha a che fare con il problema della fine dell’analisi, della sua «fine autentica» come la chiama Miller659. Se un’analisi non è

altro che una serie potenzialmente infinita di parole quando dovrebbe finire? La sua conclusione contingente avviene il giorno in cui si interrompono le sedute660, ma l’impossibilità del metalinguaggio porta il problema su un piano logico: se il linguaggio è infinito concatenamento dei significanti (S1-S2…-Sn), come porvi fine? A questa

656 S20, p. 91.

657 Cfr. S. Freud, Über Psychoanalyse, 1909; tr. it. Cinque conferenze sulla psicoanalisi, in Opere, vol. 6,

Bollati Boringhieri, Torino 1974, p. 150, 157.

658 S20, p. 22.

659 J.-A. Miller, “Dunque, io sono questo”, quarta lezione del suo corso Donc (1993-1994), pubblicata su

La Cause freudienne, n. 27, 1994; tr. it. in I paradigmi del godimento, pp. 97-112, in particolare p. 97.

660 Come scriveva Freud in Die endliche und die unendliche Analyse, 1937; tr. it. Analisi terminabile e

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domanda se ne lega un’altra: perché un’analisi dovrebbe essere terapeutica se consistesse in una mera aggiunta di linguaggio al linguaggio?661

Entrambe le questioni hanno senso solo se formulate all’interno della prospettiva lacaniana secondo la quale il linguaggio determina integralmente la vita umana e non c’è metalinguaggio662. Inoltre, chiedersi come potrebbe essere terapeutica un’analisi se

consistesse in un mero assecondamento della catena significante ha senso solo se – di nuovo con Lacan – si considera il linguaggio non solo come «habitat» umano, ma anche come una malattia. Il linguaggio – secondo Lacan – agisce come un taglio, un marchio663, affetta la vita (nel doppio senso dell’affettare e dell’affezione):

Come mai non avvertiamo che le parole da cui dipendiamo ci sono in qualche modo imposte? Ecco dove un cosiddetto malato va talvolta bel oltre di un uomo definito in buona salute. Il problema è piuttosto quello di sapere perché mai un uomo normale, cosiddetto normale, non si accorga che la parola è un parassita, […] che la parola è la forma di cancro che affligge l’essere umano664.

Il linguaggio è parassita, è cancro. Tra le due metafore, la seconda è più efficace. Un parassita è un organismo che vive sopra o dentro il corpo di un altro, dal quale ottiene nutrimento e sul quale può avere effetti dannosi665. Il parassita resta separato

dall’organismo che lo “ospita”. Il cancro, invece, non è un organismo che si aggiunge a un altro, bensì una mutazione dell’organismo stesso666. Così è il linguaggio, che non si aggiunge all’organismo, ma costituisce il corpo umano come tale, istituendo una

661 Sulla dimensione logica del problema della fine dell’analisi e la sua relazione con la questione

terapeutica si sofferma Miller: «C’è una tensione tra la terapeutica e la logica. Nell’espressione “la conclusione della cura”, le due dimensioni sono giustapposte. […] La parola di conclusione appartiene alla dimensione logica. Una cura designa un processo terapeutico. Noi cerchiamo, zoppicando, di arrangiarci con questa tensione» (J.-A. Miller, “Dunque, io sono questo”, in I paradigmi del godimento, p. 97).

662 Cfr. F. Cimatti: «il fatto che non ci sia metalinguaggio pone un evidente problema logico alla

psicoanalisi, cioè alla talking cure: la condanna a essere un discorso senza fine» («Una “ferocia psicotica”. Wittgenstein e Lacan», in Il Cannocchiale. Rivista di studi filosofici, LV, n. 1, 2015, p. 42).

663 Sulla successione di tratto, taglio o marchio per indicare l’incidenza del linguaggio sulla vita umana,

cfr. A. Pagliardini, Jacques Lacan e il trauma del linguaggio, p. 115 ss.

664 S23, p. 91. Cfr. A. Zenoni, Il corpo e il linguaggio nella psicoanalisi, in particolare il capitolo dedicato

a “Patologia dell’essere umano” (p. 56 ss.), nel quale l’autore espone, sulla scorta di Lacan, gli effetti ineludibili del linguaggio sulla vita umana: «proprio nella misura in cui questa alienazione nel desiderio dell’Altro è qualcosa di strutturale all’essere parlante, essa è portatrice di una patologia da cui egli soltanto è affetto» (p. 59).

665 Cfr. voce Parasitism, in J. Daintith and E. Martin, a cura di, A Dictionary of Science, 6th edition,

Oxford UP, Oxford 2010, p. 600.

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mancanza ed escludendo il godimento. La parola, secondo Lacan, è una malattia che non si contrappone ad alcuno stato di salute e quindi non prevede guarigione. Avendo descritto così il linguaggio, Lacan si trova chiuso in una specie di trappola: dal linguaggio non si esce, ma essendo cancro, quindi malattia, si deve pur tentare di uscirne, eppure uscirne non è possibile. La configurazione di questa trappola lo porta a cercare un elemento di resistenza, un fuori (im)possibile e a imprimere al soggetto dell’inconscio un’ultima sovversione667.

Ci chiediamo se qualcosa di simile si trovi anche in Foucault, se anch’egli si sia scontrato con i limiti delle relazioni di potere e dei giochi di verità e si sia trovato “intrappolato”. Se Lacan afferma che non c’è metalinguaggio, con le conseguenze evidenziate, si può far dire a Foucault qualcosa di simile a “non c’è meta-potere”? A rigore, la risposta dovrebbe essere negativa e per attribuire a Foucault tale questione “lacaniana” si dovrà forzare la sua logica. Tuttavia, la domanda non è completamente peregrina. Essa sorge, per esempio, di fronte al concetto di “regime di verità”. Ci sono diversi regimi di verità, ma, come abbiamo detto, ce n’è sempre almeno uno, la verità è sempre regime. Durante l’intervista del ’76 con Pasquino e Fontana, Foucault affermava: «Non si tratta di affrancare la verità da ogni sistema di potere – sarebbe una chimera dal momento che la verità è essa stessa potere»668. Nel manoscritto del corso su Subjectivité et vérité leggiamo: «Tutta la pratica umana è connessa a dei giochi di verità»669. È raro che Foucault si lasci andare ad affermazioni così generali e il fatto che non abbia ripetuto a lezione questa frase che aveva appuntata nel manoscritto è significativo. Tuttavia, se tutta la pratica umana è connessa a dei giochi di verità e se la verità è sempre regime, allora forse dalla verità non si può uscire. È possibile vivere una vita estranea a un qualsiasi regime di verità?

Foucault non pone direttamente una simile domanda e non individua esplicitamente limiti logici affini a quelli posti da Lacan. La ragione è che i paradigmi epistemologici dei due sono diversi. Le ricerche di Foucault si muovono a partire e al livello dei singoli e diversi regimi di verità, e lì rimangono. Se Lacan definisce il linguaggio, Foucault descrive sempre e solo dei discorsi, dei giochi di verità, dei rapporti di potere. Dal

667 Della quale diremo nel § 3.5

668 M. Foucault, Intervista a Michel Foucault, 1976, in Il discorso, la storia, la verità, p. 192. 669 SV, p. 243.

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momento che deve mancare una definizione esaustiva ed univoca di questi concetti, che hanno piuttosto gli stessi «contorni sfumati» dei giochi linguistici di Wittgenstein, la questione dei limiti non si pone. Invece, si pone la questione della trasformazione dei singoli giochi, del cambiamento delle diverse regole che li governano. Tuttavia, forzando la sua logica in senso lacaniano, proviamo a indirizzare a Foucault la domanda sul limite: siamo in trappola? Altri l’hanno fatto prima di noi. Ricordiamo, per esempio, il caso di Deleuze e, successivamente, quello di Gallagher e Wilson, che intervistarono Foucault nel 1982 per conto della rivista canadese Body Politic.

Ne La vita degli uomini infami, c’è un passaggio nel quale Foucault obietta a se stesso: «rieccoci, sempre con la stessa incapacità di oltrepassare il confine, di passare dall’altra parte, di ascoltare e far comprendere il linguaggio che viene da altrove o dal basso; sempre la stessa scelta di collocarsi dalla parte del potere, di quello che esso dice o fa dire»670. Deleuze legge quell’“incapacità di oltrepassare il confine” come se Foucault si stesse riferendo ai confini del potere e, durante un’intervista, traduce: «Foucault si domanda: come oltrepassare la linea, come superare i rapporti di forze? Oppure si è condannati a un tête à tête con il Potere, sia che lo si detenga sia che lo si subisca?»671. Nel corso di un’altra intervista, ancora, suppone «che [Foucault] sia inciampato sul seguente interrogativo: c’è nulla “al di là” del potere?»672. Se questo fosse effettivamente il problema di fronte al quale Foucault a un certo punto si è trovato, in ciò la sua posizione non sarebbe poi così distante da quella di Lacan. Il primo si sarebbe scontrato con i limiti del potere, il secondo con quelli del linguaggio. Entrambi si sarebbero chiesti: c’è qualcosa al di là?

Durante l’intervista dell’82, gli viene posta esattamente questa domanda:

Lei scrive che il […] il potere è dovunque; che dove c’è potere c’è resistenza e che la resistenza non si situa mai in una posizione esterna rispetto al potere. Se è così come si può giungere a una posizione diversa da quella che consiste nel dire che

670 M. Foucault, La vie des hommes infâmes, in Les Cahiers du chemin, n. 29, 15 gennaio 1977, pp. 12-

19, poi in DE II, n. 198, pp. 237-253; tr. it. La vita degli uomini infami, Il Mulino, Bologna 1994, p. 23.

671 G. Deleuze, Pourparler, p. 132. La domanda di Deleuze è evidentemente una forzatura, dal momento

che non c’è alcunché di simile al Potere nell’opera di Foucault.

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siamo sempre intrappolati all’interno di questo rapporto, un rapporto al quale non possiamo […] sfuggire?673

La risposta di Foucault indica che non è scorretto attribuire alle relazioni di potere quella pervasività che porterebbe a chiedersi: ma allora non se ne esce?674. Tuttavia, egli ribadisce che il fatto che «siamo sempre in questo tipo di situazione», cioè coinvolti in una molteplicità di rapporti di potere, e che «non possiamo metterci al di fuori della situazione» non vuol dire che siamo intrappolati:

Non penso che la parola intrappolati sia quella giusta. […] quello che voglio dire, quando parlo di rapporti di potere, è che ci troviamo in una posizione strategica, gli uni nei confronti degli altri. […] Dunque non siamo in trappola. Ora, siamo sempre in questo tipo di situazione. Il che significa che abbiamo sempre la possibilità di cambiare la situazione […]. Non possiamo metterci al di fuori della situazione, e in nessun posto possiamo essere liberi da ogni rapporto di potere. Ma possiamo sempre trasformare la situazione. Non ho mai voluto dire che siamo sempre in trappola, ma, al contrario, che siamo sempre liberi. Insomma, che esiste sempre la possibilità di trasformare le cose675.

Qui Foucault indica la natura illimitata dei rapporti di potere, dovuto al fatto che «in nessun posto possiamo essere liberi da ogni rapporto di potere», cioè in ogni dove si gioca almeno qualche rapporto di potere. Tuttavia – come affermava anche in un’intervista rilasciata qualche anno prima – non si tratta di una trappola: «Il fatto che non si possa mai essere “fuori dal potere” non vuol dire che siamo intrappolati dappertutto»676. Non siamo intrappolati dappertutto sia perché il potere è sempre gioco e strategia e non struttura statica, sia perché non è di per sé maligno: «il potere non è il male. Il potere significa giochi strategici. Sappiamo bene che il potere non è il

673 M. Foucault, Michel Foucault, un’intervista: il sesso, il potere e la politica dell’identità, 1984, AF3, p.

300.

674 Cfr. anche J. Revel: «Foucault non cessa mai di ricordarlo: dal potere, come d’altronde dalla storia,

non si esce» (in «Tra politica ed etica: la questione della soggettivazione», versione italiana della conferenza presentata a Yale il 17 giugno nell’ambito del convegno internazionale “Michel Foucault: after 1984” – Yale University, Whitney Center for Humanities, 17-18 ottobre 2014, pubblicata su EuroNomade il 3 novembre 2014, http://www.euronomade.info/?p=3572).

675 M. Foucault, Michel Foucault, an Interview: Sex, Power and the Politics of Identity, intervista con B.

Gallagher e A. Wilson, giugno 1982, in The Advocate, n. 400, 7 agosto 1984, pp. 26-30 e 58; tr. fr. Michel

Foucault, une interview: sexe, pouvoir et la politique de l’identité, in DE II, n. 358, pp. 1554-1565; tr. it. Michel Foucault, un’intervista: il sesso, il potere e la politica dell’identità, in AF3, pp. 295-306, in

particolare p. 300.

676 M. Foucault, Pouvoirs et stratégies, intervista con J. Rancière, in Les Révoltes Logiques, n. 4, 1977,

poi in DE II, n. 218, pp. 418-428; tr. it. Poteri e strategie, in Poteri e strategie, a cura di P. Dalla Vigna, Mimesis, Milano 1994, pp. 17-29, in particolare p. 25.

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male!»677. Perciò, contrariamente a quanto scrive Deleuze, nella prospettiva di Foucault non si tratta mai di cercare un al di là delle relazioni di potere.

Anche in questo caso, la sua posizione ci sembra simile a quella di Wittgenstein, secondo il quale è il linguaggio la causa dei fraintendimenti, è il linguaggio che incanta l’intelletto e tuttavia non si tratta di trovare una via d’uscita, di sottrarvisi, piuttosto, occorre cercare di trovare una “cura” nel linguaggio stesso: «La filosofia è una battaglia contro l’incantamento del nostro intelletto, per mezzo del nostro linguaggio»678. Come

Wittgenstein non cerca una via di fuga dal linguaggio per guarire dai suoi incantamenti, così per Foucault non si tratta di cercare una via d’uscita dalle relazioni di potere, per sottrarsi ai loro effetti, anche nefasti: «non si deve […] pensare che ci si possa sottrarre alle relazioni di potere di colpo, completamente, definitivamente, attraverso una sorta di rottura radicale o grazie a una fuga senza ritorno»679.

Per tornare al confronto tra Foucault e Lacan, concludiamo che, con tutte le differenze che abbiamo rilevato, entrambi individuano l’esistenza di un limite. Tuttavia, mentre Lacan ne conclude che la vita umana si trova intrappolata e strutturalmente “malata”, Foucault no. In virtù di questa differenza le loro strategie teoriche si configurano, da ultimo, come divergenti. Lacan si dedica a cercare una strada per il reale, che è un paradossale e impossibile elemento “fuori-senso”; Foucault da parte sua descrive molti e diversi processi di soggettivazione (sempre implicati in giochi di verità e potere) cercando in essi delle possibili strategie per agire sui regimi di verità.