Nelle grammatiche del Cinquecento il relativo viene considerato per lo più
un pronome, secondo il modello latino di Donato e Probo11: questo vale per
Bembo, Dolce, Corso, Giambullari e Ruscelli12. Invece, come deduciamo
dall’e-lenco degli addiettivi imperfetti, Salviati inserisce il relativo nella categoria
no-8 Cfr. seriAnni, Grammatica, cit., pp. 299-300. Cfr. dArdAno-trifone, La nuova gramma-tica, cit., pp. 215-218.
9 Salviati precisa: «forse tra i perfetti addiettivi [...] piuttosto sien da riporre» (sAlViAti, Avvertimenti, cit., II, p. 4).
10 Lo stesso vale per le edizioni successive del Vocabolario (cfr. Lessicografia della Crusca in rete: http://www.lessicografia.it/index_esperta.jsp). Secondo il GDLI, la prima attestazione è in Gigli (Regole per la toscana favella, IV, p. 29), ma sicuramente è retrodatabile almeno a Salviati (GDLI. Grande dizionario della lingua italiana, fondato da sAlVAtore bAttAgliA, VII; XIII, Torino, UTET, 1961-2002, s.vv. imperfetto e perfetto).
11 Cfr. robert h. robins, The development of the word class system of the european gram-matical tradition, in «Foundations of Language», II (1966), pp. 3-19.
12 Alcuni grammatici si pongono però il problema. Giambullari sostiene: «Il che dunque, o nome, o pronome relativo che egli si sia» (pierfrAncesco giAmbullAri, Regole della lingua fiorentina, edizione critica a cura di ilAriA bonomi, VI, 209, p. 272, Firenze, presso l’Accade-mia, 1986), e Ruscelli: «Poteano bene i grammatici, come si disse per adietro nel primo capitolo di questo secondo libro, comprender questa parte, in quanto alle regole sotto i nomi, poiché vanno variati puntualmente come nomi» (girolAmo ruscelli, De’ commentarii della lingua italiana, II, XI, p. 126, Venezia, Zenaro, 1581). Inoltre, Liburnio tratta i pronomi e i relativi di Messer Giovanni Boccaccio separatamente (niccolò liburnio, Le tre fontane, III, pp. 245-249; p. 258, Venezia, Gregorio de’ Gregori, 1526); invece, Acarisio e Alunno inseriscono il relati-vo nella categoria pronominale (Alberto AcArisio, Vocabolario, grammatica e ortografia della lingua volgare, a cura di pAolo troVAto, p. 10, Bologna, Forni, 1988; frAncesco Alunno,
minale13, probabilmente con lo scopo di semplificare la categorizzazione e
faci-litare l’apprendimento della grammatica volgare14. Un’altra motivazione risiede
nel rapporto instaurato con la tradizione grammaticale priscianea: il modello categoriale di riferimento per Salviati è infatti Prisciano, secondo il quale è più
opportuno considerare il relativo un nome15.
Il Vocabolario non prende una posizione netta: in alcune voci viene utilizzata
l’etichetta nome relativo, secondo il modello salviatesco16, in altre quella di
rela-tivo17, senza alcuna specificazione (nome o pronome). Solo s.v. q il relativo viene
definito pronome: «come cui pronome di due sillabe».
L’oscillazione sembra riprodurre volutamente la variazione riscontrata
nel-la grammaticografia18, ma potrebbe anche essere segnale della scarsa rilevanza
13 La funzione pronominale del relativo viene comunque riconosciuta: «posciaché a niun pronome, articolo, che suo articolo dir si possa, non si diede, credo, giammai, se non quando innanzi il trasporta nel relativo» (sAlViAti, Avvertimenti, cit., II, p. 69).
14 Si veda mAssimo pAlermo-dAnilo poggiogAlli, Grammatiche di italiano per stranieri dal ’500 a oggi. Profilo storico e antologia, Pisa, Pacini, 2010, pp. 88-92. La finalità pedagogica vale soprattutto per le Regole della toscana favella (1575), in cui viene proposta la medesima ca-tegorizzazione (lionArdo sAlViAti, Regole della toscana favella, edizione critica a cura di AnnA
Antonini renieri, Firenze, Accademia della Crusca, 1991).
15 Leggiamo in Prisciano: «Proprium est nominis substantiam et qualitatem significare. [...] Ergo quis et qui et qualis et talis et quantus et tantus et similia, [...] magis nomina sunt appellanda quam pronomina» (prisciAno, Institutiones grammaticae, a cura di mArtin hertz, in Grammatici Latini, a cura di henrich keil, II, p. 55, Hildesheim, Georg Olms Verlagsbuchhandlung, 1961). Tra i grammatici del Cinquecento, inseriscono il relativo nella categoria nominale Alberti, Trissi-no e Matteo di San MartiTrissi-no (leon bAttistA Alberti, Grammatichetta, a cura di giuseppe pAtotA, 15-39, Roma, Salerno editrice, 1996; gioVAn giorgio trissino, Grammatichetta, c. 7r, in Scritti linguistici, a cura di Alberto cAstelVecchi, Salerno editrice, Roma, 1991; mAtteodi sAn mArti
-no, Le osservationi grammaticali e poetiche della lingua italiana, a cura di Antonio sorellA, con la collaborazione di Anna Leone, Stefania Martella e Leonarda Matarese, 13, p. 61, Libreria dell’U-niversità, Pescara, 1999). Il relativo viene categorizzato come nome a partire da Apollonio Disco-lo: per appronfodimenti pAul mAtthews, La linguistica greco-latina, in Storia della linguistica, a cura di giulio lepschy, I, Bologna, il Mulino, 1990, pp. 230-231; geoffrey l. bursill-hAll, Sepeculative Grammars of the Middle Ages, Paris, Mouton, 1971, pp. 180-195. Per quanto riguar-da le grammatiche odierne, quelle di impostazione post-generativista distinguono cui e il quale da che, e non considerano quest’ultimo un pronome relativo: così implicitamente guglielmo
cinQue, La frase relativa, in Grande grammatica di consultazione, a cura di lorenzo renzi, giAm
-pAolo sAlVi, AnnA cArdinAletti, I, Bologna, il Mulino, 1991, pp. 456-465. In maniera esplicita,
giAmpAolo sAlVi-lAurA VAnelli, Nuova grammatica italiana, Bologna, il Mulino, 2004, p. 288.
16 Per esempio s.v. onde: «In cambio di nome relativo» e s.v. cui: «nome relativo, vale il quale o chi». La definizione di nome relativo rimarrà fino alla quarta Impressione (infatti s.v. cui: «nome relativo»). Invece, nelle schede preparatorie per la terza edizione, conservate presso l’Archivio Storico dell’Accademia della Crusca (ACF, cod. III, fasc. 5, c. 191v), s.v. cui leggiamo: «Cui: pronome relativo». Nella quinta Impressione il relativo viene categorizzato definitivamente come pronome.
17 S.vv. che, cheché, chente, donde.
attribuita alla questione categoriale: lo scopo del Vocabolario, infatti, è l’analisi contestuale della funzione grammaticale e per problemi relativi alla categorizza-zione il rimando è alle grammatiche.
Salviati affronta in maniera approfondita la questione del relativo nel primo libro del secondo volume degli Avvertimenti (pp. 14-28); il Vocabolario, s.vv.
che, chi, cui, quale, propone l’analisi contestuale delle varie forme.
Di seguito si confronteranno le due trattazioni relative al pronome chi19: la
descrizione salviatesca è senz’altro il modello di riferimento per l’assegnazione
dei significati grammaticali all’interno della voce20.
Salviati, Avvertimenti, II, 14 [1] chi per colui che:
Ma il chi, senza aver riguar-do allo ’ndietro, insieme col relativo chiude esso nome in se stesso [...]: chi vale colui che
[2] chi per alcuno il quale: ed in Abraam giudeo: «Non credi tu trovar qui chi il battesimo ti dea?»: chi, cioè alcuno il quale
[3] chi per coloro i quali:
e nel Libro di Sagramenti: «e i tavernieri, e chi questo sostengono», ec: qui signi-fica, coloro i quali
Vocabolario 1612, s.v. chi [7] chi per colui che:
S’usa nel numero del più, e del meno, e nel masculino, e nel femminino, e vale co-lui che
[8] chi per alcunché:
Per alcunché. [...] Boccac-cio, numero 2. 6: «Non credi tu trovar qui chi il battesimo ti dea?»
[9] chi per coloro i quali:
Libro di Sagramenti: «E i tavernieri, e chi questo sostengono» [cioè coloro i quali]
pronome, che il dicano i grammatici».
19 La scelta è stata quella di seguire l’ordine di analisi di Salviati, che prevede prima lo studio di chi, poi cui, quale e che.
20 Per le citazioni testuali è stata introdotta la distinzione tra u e v e l’accento grafico è stato adeguato all’uso moderno, tranne nel caso di nè per mantenere la pronuncia fiorentina, testimoniata anche da Varchi (sull’argomento si veda piero fiorelli, Tre casi di chiusura di vocali per proclisia, in «Lingua Nostra», XIV (1953), pp. 33-36). La punteggiatura è stata mo-dernizzata in minima parte, per favorire una lettura più agevole del testo; nella trascrizione degli esempi sono stati introdotti i due punti e le virgolette e le forme grammaticali oggetto di analisi sono state messe sistematicamente in corsivo. Le abbreviazioni sono state sciolte senza fornire
[4] chi per qualsivoglia o chiunque: «parli chi vuole in contra-rio»
[5] chi per persona che:
e nel secondo proemio della Figliuola del Soldano: «tro-varono chi, per vaghezza di così ampia eredità, gli uc-cise», come se dica persona che
[6] chi per alcuni...altri:
E dico quando si reputa re-lativo, perocché del relativo indeterminato, dello ’nter-rogativo, del dubitativo, del partitivo, che sta per alcuni o per altri, ciò è manifestis-simo [...]: «E gli altri che vivi rimasi sono, chi qua e chi là, in diverse brigate, senza saper noi dove vanno fuggendo», ec.
[10] chi per chiunque:
L’usiamo anche in vece di chiunque come Boccaccio: «Parli chi vuole in contra-rio».
[11] chi per quale:
«E chi tenea con l’uno, e chi con l’altro»
Nei casi [1] e [7] il valore assegnato è lo stesso, ma le descrizioni gramma-ticali non sono del tutto sovrapponibili: il Vocabolario si sofferma, infatti, su
aspetti morfologici come la mancanza di flessione del genere e del numero21,
Salviati sottolinea alcune caratteristiche sintattiche, come la natura di frase
rela-tiva senza antecedente introdotta da chi e il valore doppio che la forma assume22.
21 Questa descrizione è già in Acarisio: «Chi in ogni numero et in ogni caso serve al ma-schio et a la femina; et quando interrogativamente non sta, dinota colui il quale, o colei la quale»
(AcArisio, Vocabolario, cit., c. 10r). Successivamente comparirà in Pergamini: «Caso retto di
amendue i numeri, e d’amendue i generi, maschile e femminile [...]. Chi vale quanto colui il quale, colei la quale». (giAcomo pergAmini, Il Memoriale della lingua italiana, p. 150,Venezia, Gio. Battista Ciotti, 1602, s.v. chi). Tra i grammatici, sul valore di chi per colui che, anche ludo
-Vico dolce, I quattro libri delle Osservationi, edizione a cura di pAolA guidotti, I, 67, p. 302, Libreria dell’Università, Pescara, 2004.
rap-Nei casi successivi, in particolare [2] e [8], [3] e [9], [4] e [10], [6] e [11] i significati grammaticali corrispondono, così come gli esempi posti, tranne che
nei contesti correlativi23. Il significato che Salviati pone in [5] di chi per persona
che non entra nella voce lessicografica probabilmente perché percepita come
sovrapponibile al valore di colui che descritto in [7]. Il Vocabolario, comunque,
si affida totalmente agli Avvertimenti24. Entrambe le trattazioni risultano
esau-rienti e il procedimento di analisi è interessante dal punto di vista metodologico: a partire dalle concordanze, infatti, viene attribuito un determinato significato grammaticale a ciascuna forma.
Il riferimento al modello salviatesco è ancora più evidente alla voce cui: Salviati, Avvertimenti, II, 15-16:
La qual voce cui, senza i segni de’ casi s’usa da noi spesse volte […]. Nel proemio di Gulfardo: «come essi da cui egli credono, son beffati». [...] Ma perciocché io dissi dianzi che questo nome con l’articolo non è giammai, e pure è pieno il Boccaccio di questi favellari: i cui amori, il cui splendore, il cui nome e mill’altri, è da sapere che ne’ cotali l’articolo non è di cui, ma del nome che viene appresso e tanto vale il cui nome, quanto il nome di cui Vocabolario 1612, s.v. cui:
Nome relativo, vale il quale o chi, e trovasi in tutti i casi25, fuor che nel primo, e sempre senza l’articolo, e alcuna volta col segno del caso, e alcuna senza [...]. E nell’ablativo, col segno del caso da: Boccaccio novella 71. 2: «Come essi, da cui egli credono, son beffati»26. [...] E talor con l’articolo avanti, ma non è suo: [...] Boccaccio, novella 13. 22: «gli cui costumi ed il cui valore». [...] Vedi Salviati Avvertimenti
Nell’analisi della costruzione casuale la voce è più ricca: negli Avvertimenti infatti non sono presenti esempi di costrutti al dativo e all’accusativo, mentre
presentano di nuovo quello di che prima s’è ragionato» (rinAldo corso, Fondamenti del parlar thoscano, cc. 38v-39r, Venezia, Melchiorre Sessa, 1550).
23 Cioè [6] e [11]. Si sofferma sul costrutto correlativo Dolce, con il seguente esempio tratto dal Decameron (X, Conclusione, 1): «La novella di Dioneo era finita: et assai delle donne, chi d’una parte, chi d’altra tirando; chi biasimando una cosa, chi un’altra intorno ad essa laudan-done, v’havevano ragionato» (dolce, Osservationi, cit., I, 68, p. 303).
24 È da precisare che alcune citazioni trecentesche sono riprese dalla tradizione, per esem-pio in Alunno: «Chi, cioè colui che, qual, alcuno etc. [...] “Non credi tu trovar chi il battesimo ti dia” [...]; “Parli chi vuol in contrario”» (Alunno, Ricchezze, cit., c. 28v, s.v. chi).
25 Tra i grammatici cinquecenteschi, Dolce: «cui, che serve egualmente ad ambi i generi, et ad ambi i numeri» (dolce, Osservationi, cit., I, 67, p. 302) e Ruscelli: «cui, che serve in tutti i casi obliqui, in ogni genere, et in ogni numero, et in ogni caso, dal primo in fuori». (ruscelli, Commentarii, cit., II, 12, p. 134)
il Vocabolario elenca i diversi casi singolarmente. Salviati è la fonte principale e questo è deducibile, oltre che dalla citazione finale, dall’articolazione della voce: vengono messe in evidenza l’assenza dell’articolo determinativo nelle
co-struzioni con cui e la possibilità di utilizzare la forma senza preposizione27. È
interessante l’importanza attribuita, in questo contesto, all’aspetto sintattico: sicuramente la trattazione salviatesca sul sintagma ‘articolo il + cui + nome’ e sul valore posizionale degli elementi è più esauriente, e per esigenze di sintesi i lessi-cografi sono costretti a concentrare la trattazione rimandando agli Avvertimenti, ma il Vocabolario dimostra di aver saputo cogliere gli aspetti salienti dell’analisi salviatesca.
Anche per quanto riguarda la descrizione grammaticale del pronome quale, l’attenzione è focalizzata sul fenomeno sintattico della presenza-assenza dell’ar-ticolo.
Salviati, Avvertimenti, II, 15-16: [1] relativo, preceduto dall’articolo:
Quale, allo ’ncontro, quan-tunque volte sia vero nome relativo, non leggerai sen-za l’articolo in sicuro scrit-tore
[2] dubitativo, senza articolo (con ecce-zione):
[...] ma essendo dubitati-vo, l’articolo comunemen-te non vi suole aver luogo. [...] E pur alle volte nelle scritture del miglior tem-po si ritruova con esso lui: [...] Livio, Marcello Adria-ni, libro primo: «e diman-dolli de’ quali gli dovesse calere, e de’ quali no»
Vocabolario 1612, s.v. quale: [5] relativo, preceduto dall’articolo:
Nome relativo non si truo-va mai senza articolo
[6] dubitativo, senza articolo (con ecce-zione):
Dubitativo, non ricerca ar-ticolo […]. Talora si ritro-va pur con l’articolo. […] Livio, Marcello Adriani: «E dimandolli de’ quali gli dovesse calere, e de’ quali no»
27 Sull’uso di cui senza preposizione si veda, in particolare per l’italiano contemporaneo, cinQue, La frase relativa, pp. 457-458.
Senza dubbio le pagine degli Avvertimenti sono il punto di partenza per la voce del Vocabolario. La presenza e l’assenza dell’articolo sono determinanti nell’attribuzione della funzione grammaticale: quale preceduto dal determinati-vo acquisisce valore relatideterminati-vo, altrimenti può assumere valore dubitatideterminati-vo,
rasso-migliativo28 o interrogativo29. Nei casi [2] e [6], [3] e [7] corrispondono anche
gli esempi, a conferma del valore paradigmatico assunto dagli Avvertimenti per quanto riguarda questioni di carattere teorico-grammaticale. L’innovazione del
Vocabolario consiste nell’analisi di quale che, preceduto dall’articolo, assume
valore sostantivale30.
Salviati si sofferma sul significato di chi attribuito a quale e su quello di
qualsivoglia / qualunque. L’attezione è sempre posta sull’assenza dell’articolo:
28 In particolare per quanto riguarda il costrutto correlativo, anche in italiano contempora-neo è possibile il sintagma quale senza articolo con l’elemento correlativo tale (si veda cinQue, La frase relativa, cit., p. 462).
29 Sulla costruzione di quale interrogativo nell’italiano antico cfr. nicolA munAro, La frase interrogativa, in Grammatica dell’italiano antico, a cura di giAmpAolo sAlVi e lorenzo renzi, Bologna, il Mulino, II, 2010, pp. 1163-1165; giAnlucA lAudA, Tipi di frase, in Sintassi dell’ita-liano antico. La prosa del Duecento e del Trecento, a cura di mAurizio dArdAno, Roma, Carocci, 2012, pp. 84-85. Per l’italiano contemporaneo elisAbettA fAVA, Il tipo interrogativo, in Grande grammatica italiana di consultazione, cit., III, pp. 88-91.
[3] rassomigliativo e [4] interrogativo: Ma quando questo nome quale di rassomigliativo ha virtù e quando ancora sta per domanda non mostra già che l’articolo a niun partito del mondo si possa accompagnar seco
Salviati, Avvertimenti, II, 4: Dico ai rassomigliativi, i quali o sieno espressi o vi si ’nten-dano per discrezione, sì come tale, tanto e sì fatti, che rendi-tivi si chiamano dalla più par-te: «Qual asino dà in parete, tal riceve»
[7] rassomigliativo, senza articolo: Rassomigliativo, non ricerca articolo: [...] E Boccaccio, novella 78. 2: «Assai de’ ba-stare a ciascuno, se quale asi-no dà in parete, tal riceve» [8] domandativo, senza articolo:
Nome domandativo, non ri-cerca articolo
[9] in funzione sostantivale, preceduto da articolo:
Divenuto sustantivo con l’ar-ticolo val qualità
E parimenti addiviene quando egli è posto in vece di chi: nel proemio della sesta giornata: «e domandato qual gridasse e qual fosse del romore la cagione». E altrettanto dove s’adopera per qualsivoglia o qualunque: Dante nel primo del Purgatorio: «nè sa nè può qual di lassù discende»31
Il Vocabolario riassume questi due valori specificando: «Invece di chi,
chiun-que, qualunchiun-que, non ricerca articolo».
Dal punto di vista terminologico, inoltre, notiamo che la nomenclatura me-talinguistica coincide con quella degli Avvertimenti, tranne che nel caso dell’e-tichetta domandativo, che corrisponde a interrogativo di Salviati o alla perifrasi
quando ancora sta per domanda.
La voce che32 del Vocabolario è quella che senza dubbio risente meno
dell’in-fluenza di Salviati. Questi gli unici contesti che corrispondono: Salviati, Avvertimenti, II, 17
[1] Definizione di che:
Che relativo in tutti i gene-ri, in tutti i casi, e nell’un numero e nell’altro, man-tien sempre la stessa voce [2] che per cui:
Petrarca: «et io son un di quei che ’l pianger giova», [...] che pare ancora più strano assai che in vece di cui sia posto dal Poeta sen-za il segno del caso
Vocabolario 1612, s.v. che [3] Definizione di che:
Relativo di sustanzia, e ri-ferisce tutti i generi, e tutti i numeri. [...]: Boccaccio, numero 1. 10: «Ser Ciap-pelletto, che scioperato si vedea»
[4] che per cui:
in vece di cui. Petrarca, canzone 8. 5: «ed io son un di que’, che ’l pianger giova»
Per quanto riguarda la definizione grammaticale all’inizio delle due tratta-zioni, sia Salviati sia il Vocabolario dichiarano in maniera esplicita l’invariabilità
della forma33. Interessante l’uso da parte del Vocabolario dell’etichetta
termino-31 sAlViAti, Avvertimenti, II, cit, p. 16.
32 Sia negli Avvertimenti sia nel Vocabolario viene presa in considerazione anche la funzio-ne di congiunziofunzio-ne.
33 Cioè [1] e [3]. Per quanto riguarda la tradizione grammaticale, Giambullari: «Che, pro-nome relativo, solo in questo varia dagli altri: che e’ non fa differenzia tra le persone; [...] ma congiugnersi indifferentemente con qualsivoglia, et tutte le riferisce» (giAmbullAri, Regole, cit., I, 26-27, p. 23) più sintetico Corso: «Che serve a tutti i generi» (corso, Fondamenti, cit., c. 43v). La definizione di Pergamini sarà simile a quella di Salviati: «Quando è relativo serve a tutti i
logica relativo di sustanzia, assente negli Avvertimenti, che designa la funzione
sostitutiva di un sostantivo e ricalca relativum substantiae di Prisciano34.
Salviati e il Vocabolario si occupano, inoltre, in [2] e [4] dell’uso di che al po-sto di a cui nel verso petrarchesco «ed io son un de’ quei, che ’l pianger giova», esempio comune a gran parte della tradizione grammaticale (Corso,
Giambul-lari e Castelvetro)35. Probabilmente in questo caso non si tratta dell’uso del che
indeclinato, ma della costruzione latineggiante del verbo giovare, con l’oggetto
diretto, sul modello di iuvare + accusativo36.
A differenza del Vocabolario, Salviati approfondisce ulteriormente la que-stione e si sofferma su altri casi di relativi utilizzati al posto delle forme
intro-dotte da preposizione37. In questo contesto, dunque, gli Avvertimenti si rivelano
più puntuali dal punto di vista descrittivo:
Che relativo posto senza il vicecaso e senza l’articolo del nome ch’e’ rife-risce, si pon talora assolutamente e gli contiene in virtù: in Ghismonda e Guiscardo: «in tutte quelle cose laudevoli che valoroso huomo dee esser commendato», detto per in che38
L’attenzione che negli Avvertimenti viene posta all’aspetto sintattico non trova corrispondenza nel Vocabolario. Salviati, infatti, prende in cosiderazione anche l’ellissi del pronome relativo:
Che relativo si lascia spesso dal parlar nostro, per sua proprietà. Nella fine della quarta giornata: «e forse più dichiarato l’avrebbe l’aspetto di tal don-na, nella danza era»39
Al contrario, il Vocabolario si dimostra molto preciso nell’individuazione del valore interrogativo, che Salviati tralascia. L’analisi viene condotta
contestual-generi, a tutti i numeri et a tutti i casi» (pergAmini, Memoriale, cit., p. 146, s.v. che).
34 Si trova anche in Giambullari: «Che, relativo di sustanzia» (giAmbullAri, Regole, cit., III, 146, p. 117). Viene utilizzato già da Guarino Veronese e Perotti (cfr. dAnilo poggiogAlli, La sintassi nelle grammatiche del Cinquecento, Firenze, Accademia della Crusca, 1999, p. 365).
35 Cfr. pAolo d’Achille, Sintassi del parlato e tradizione della lingua italiana, Roma, Bo-nacci, 1990, p. 209. Il fenomeno viene descritto successivamente anche da Gigli, che rimanda a Salviati, in particolare «al libro I della sua grammatica ne’ relativi» (girolAmo gigli, Lezioni di lingua toscana, XII, p. 64, Venezia, Bartolomeo Giaravina, 1722).
36 Cfr. d’Achille, cit., p. 209n; elisA de roberto, Le relative con antecedente in italiano