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Un’analisi della terminologia linguistica, qui abbozzata e limitatamente al

Vocabolario 1612, andrebbe naturalmente estesa alle altre edizioni della Crusca

(II: 1623, III: 1691, IV: 1729-1738, V: 1863-1923)13, sì da individuare nell’arco

di quattro secoli cambiamenti diversi, quantitativi e qualitativi, soprattutto di esplicitazione dei termini adoperati nella definizione del lemmario.

13 Tutte on line, ma con parziale normalizzazione della grafia. Della V ed. è presente in rete solo il lemmario.

I SEGNALI DISCORSIVI NEL VOCABOLARIO DELLA CRUSCA. IL CASO DELLE “PARTICELLE RIEMPITIVE”

Il presente contributo si propone di osservare il comportamento del

Vo-cabolario della Crusca nei riguardi di quelli che oggi sono detti (non senza

in-certezze e contrasti di opinioni) segnali discorsivi: un settore della linguistica

oggetto, negli ultimi decenni, di analisi, riflessioni e di accese discussioni1. Di

elementi come già, bene, ora, ecco i compilatori del vocabolario, nei vari tempi di composizione dell’opera, hanno colto l’importanza; per definirli essi ricorrono all’etichetta di particella riempitiva, volendo in tal modo evidenziare (sia pure in modo incerto) una funzione “altra” rispetto a quella meramente avverbiale. Qui di seguito si cercherà di mostrare: 1) da dove proviene la terminologia usata dai compilatori per definire tali segnali; 2) con quali criteri è stata tentata una loro classificazione; 3) come sono state spiegate le loro modalità d’uso; 4) qual è il giudizio stilistico che ha riguardato tali elementi; 5) se, relativamente ai punti 1-4, vi sono differenze tra le diverse edizioni del Vocabolario; 6) se la terminolo-gia della Crusca sia, almeno in parte, viva ancora ai nostri giorni.

Innanzi tutto è opportuno svolgere alcune considerazioni sull’atteggiamen-to degli accademici nei confronti delle questioni grammaticali. La prefazione A’

1 «I segnali discorsivi (detti anche marcatori di discorso) sono elementi linguistici (paro-le, espressioni, frasi), di natura tipicamente pragmatica, diffusi in specie nella lingua parlata, che, a partire dal significato originario, assumono ulteriori funzioni nel discorso a seconda del contesto: sottolineano la strutturazione del testo, connettono elementi nella frase e tra le frasi, esplicitano la posizione dell’enunciato nella dimensione interpersonale, evidenziano processi cognitivi in atto» (cArlA bAzzAnellA, Segnali discorsivi, in Enciclopedia dell’Italiano, diretta

da rAffAele simone, 2 voll., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, II, p. 1303). Per un

confronto con altre lingue romanze vedi Alberto gil, Textadverbiale in den romanischen Spra-chen: Eine integrale Studie zu Konnektoren und Modalisatoren im Spanischen, Französischen und Italienischen. Bonner Romanistische Arbeiten 53, Frankfurt a. Main, Peter Lang, 1995; Les marqueurs discursifs dans les langue romanes, a cura di mArtinA drescher e bArbArA frAnk-Job

lettori della prima edizione mostra chiaramente l’intenzione di non soffermarsi

in maniera approfondita su particolari concernenti le voci grammaticali: Quanto a regole, precetti, o minuzie gramaticali, non essendo questo luo-go da doverne trattare, ex professo, ce ne rimettiamo a quello, che n’ha scritto il Cavalier Lionardo Salviati, il quale, talvolta abbiamo citato nei suoi Avvertimenti della lingua: Come nella voce accento. E il medesimo dicesi delle particelle, segni de’ casi, e di simiglianti.2

Si riprende in sostanza il concetto presente nei verbali della prima Crusca: «Delle minuzie grammaticali, come nomi, verbi, tempi, casi, articoli,

proposi-zioni [sic], avverbi e simili, rimettersene al Salviati in tutto e per tutto»3.

Tutta-via, nelle edizioni successive, di pari passo con l’aumentare delle voci lessicali, le voci grammaticali crescono. Una maggiore attenzione nei riguardi della ter-minologia si avverte anche in particolari minimi. Per rimanere nella prefazione, si nota che nella terza edizione il connettivo esplicativo cioè è definito particella, e non più parola:

Prefazione I ed. Prefazione III ed.

Quando la varietà è poca, ma ricerca pur qualche distinzione, per brevità, e maggior chiarezza, e per non si poter comprendere sotto regola generale, gli abbiamo dichia-rati con la parola, cioè, posta a piè dell’e-semplo, dove è la voce, come nella voce cura...

Allora che la varietà è poca, e pur ricerca qualche distinzione, per brevità maggiore, e per chiarezza migliore, e per non si poter comprendere sotto regola generale, l’ab-biam dichiarata colla particella Cioè, posta appiè dell’esemplo, dove è la voce, come nella voce Cura, ec. [corsivo mio]

Per gli autori del vocabolario particella è quindi una sorta d’iperonimo atto a definire una parola grammaticale; nel caso specifico si tratta di un elemento

che serve a raccordare tra loro due sequenze testuali4. Come è noto, con il

2 Tutte le citazioni delle cinque edizioni del Vocabolario della Crusca sono tratte dal sito “Lessicografia della Crusca in Rete” (www.lessicografia.it), che contiene sia una versione in-formatizzata sia una riproduzione fotografica delle diverse edizioni (nel caso della quinta è disponibile solo la riproduzione fotografica).

3 seVerinA pArodi, Gli atti del primo vocabolario, Firenze, Accademia della Crusca, 1974,

p. 340.

4 L’accezione grammaticale sembra comparire la prima volta con Bembo: «Questo stesso, nell’un numero e nell’altro, è stato ricevuto ad usarsi dopo la particella Per, Per lo petto Per li fianchi» (Prose della volgar lingua, in Prose e rime, a cura di cArlo dionisotti, Torino, UTET, 19662, p. 199). Sull’uso del termine particella nella tradizione grammaticografica cfr. GDLI s.v.: «Nella trattatistica dei secoli XVI-XVIII, parte del discorso generalmente invariabile, breve o monosillabica, che ha la funzione di legare e collegare i nomi, gli aggettivi e i verbi nella frase, o di modificare una parola, o che ha valore esornativo e pleonastico (e può indicare l’articolo,

passaggio alla terza edizione si sono avuti, a più livelli, modifiche e

aggiusta-menti5, che si manifestano anche nel trattamento delle voci grammaticali6. Non

a caso una definizione di tipo grammaticale di particella compare proprio nelle

Giunte alla terza edizione; la stessa definizione entrerà poi a lemma nella quarta

edizione:

III ed. Giunte Crusca IV ed.

§. [2° defin.] Particelle: diciamo alcune che servono di legatura al discorso. L. par-ticula

§. [2° defin.] Particelle, dicono i nostri grammatici alcune Voci, che servono di legatura al discorso. Lat. particula. Salv. Avver t. I.2.4.4. Ci hanno altre particelle, come congiunzioni , o avverbj, o altre par-ti del favellare, che in assoluta guisa non si può dire, che divenute sieno una voce, ma di più voci consistono sicuramente. E 2.2.9. Nel saltare innanzi, e indietro le par-ticelle, e le parole s’accomodano al sito, e s’allargano, o si ristringono, o si trasfigura-no secondo il luogo.

il pronome, la preposizione, l’avverbio, la congiunzione, l’interiezione, il prefisso, il suffisso, l’infisso)». L’ambigua polisemia del termine non era sfuggita al Leopardi, che in una lettera del 1826 all’editore Antonio Fortunato Stella scriveva: «Il genere delle particelle, il quale compren-de, nel piano del Cinonio, le preposizioni, gli avverbi, i pronomi, i segnacasi ec., è cosa talmente estesa, che trattata massimamente al modo del Cinonio, cioè con tutte le relazioni de’ verbi e de’ nomi ai segnacasi, alle preposizioni ec., abbraccia niente meno che tutta la lingua e tutto il vocabolario italiano, poca parte eccettuata» (giAcomo leopArdi, Lettere, a cura di rolAndo

dAmiAni, Milano, Mondadori, 2006, p. 688). Tuttavia, ancora oggi tale polisemia permane: per

es. nell’Enciclopedia dell’Italiano sono considerate “particelle” quegli elementi che «non sono autonomi, vale a dire non possono figurare da soli, ma formano sempre un’unità con la parola a cui si legano» e che «sono per lo più monosillabici […] e atoni»; tuttavia sotto questa voce sono compresi, pronomi clitici, articoli, preposizioni, congiunzioni, avverbi, segnali discorsivi (riccArdo cimAgliA “Particelle” in Enciclopedia, op. cit., II, p. 1665).

5 Per il passaggio alla terza edizione si veda mAurizio VitAle, La 3° edizione del “Voca-bolario della Crusca”: tradizione e innovazione nella cultura linguistica fiorentina secentesca, in “ACME”, XIX, 1-2 (1966), pp. 109-153, poi ripubblicato in L’oro nella lingua. Contributi per una storia del tradizionalismo e del purismo italiano, Milano-Napoli, Ricciardi, 1986 pp. 273-333.

6 Nelle definizioni, il termine particella con significato grammaticale è usato 52 volte nella prima edizione, 55 nella seconda, 278 nella terza e 296 nella quarta. L’aumento della frequenza, a partire dalla terza edizione, dipenderà anche dall’apparizione delle Osservazioni sulla lingua italiana di Cinonio; la seconda parte dell’opera, pubblicata per la prima volta a Ferrara nel 1644, reca infatti il titolo Particelle (ceciliA robustelli, “Mambelli, Marco Antonio, detto

Ci-Nella quarta edizione è citata l’autorità di Salviati e sono riportati ben due luoghi, tratti dagli Avvertimenti, dove si afferma che le particelle servono a le-gare fra loro parti di un discorso. Ma il termine ricorre più volte nell’opera, accompagnandosi ad aggettivi che ne specificano il significato e la funzione; e sempre nella quarta edizione s’individuano ben ventidue tipi di particelle:

ador-tativa, ammirativa, avversativa, comandativa, cominciativa, comparativa, con-dizionale, congiuntiva, congiuntiva causale, copulativa, dubitativa, eccettuativa, esclamativa, esortativa, garritiva7, giurativa, imprecativa, interrogativa, relativa, riempitiva, risponsiva, separativa8. Questa varietà dimostra che agli accademici premeva in qualche modo trovare una definizione funzionale, anziché inquadrare il lemma in una precisa parte del discorso: in effetti, particella ricorre con maggio-re fmaggio-requenza rispetto a congiunzione, termine senza dubbio più chiaro e pmaggio-reciso.

Passiamo ora a considerare le particelle riempitive che sembrano riferirsi a quegli elementi, denominati ai giorni nostri marcatori discorsivi. La definizione grammaticale di riempitivo compare nella quarta edizione: «Riempitivo Add. Atto a riempiere, Che riempie Salvin. pros. Tosc.  1. 186.  È particella oziosa, anzi riempitiva (quì vale superflua)». Contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, è riportata un’accezione non positiva ed è citato un passo delle Prose

toscane di Salvini, che è in realtà a sua volta una citazione delle Annatozioni di

Giulio Ottonelli (pubblicate sotto il nome di Alessandro Tassoni9) che

critica-va l’attenzione dei grammatici toscani nei confronti di particelle oziose e non funzionali al discorso; così a proposito di Decameron Vi, 4 («E sì gli mandò dicendo, che a cena l’arrostisse»), proprio in principio d’opera, il modenese Ottonelli scrive: «Nel primo esemplo del Boccaccio si vorrebbe scrivere e si gli mandò dicendo: cioè, si, senza il segno di quello accento, perchè è particella oziosa, overo riempitiva, e non istà per così; né in altra guisa è nelle copie

stam-pate, ò fatte à penna»10. Tale osservazione fu prontamente respinta dal Salvini,

che argomentava distesamente il suo punto di vista sulla funzione di questo sì: quelle particelle che i Greci dicono parapleromatiche, cioè, come dotta-mente ha spiegato il Tassoni, riempitive, io non passo troppo per inutili, e per oziose, nè di puro puro [sic] ornamento, perciocchè sempre mi pare,

7 Si tratta di un termine che è attestato per la prima volta, a quanto ne sappiamo, proprio nella Crusca; cfr. GDLI s.v.: «che esprime rimprovero, biasimo o esortazione (un’interiezione, un’esclamazione)».

8 Nelle edizioni precedenti troviamo anche concenditiva, confermativa, obbligativa, ringra-ziatoria.

9 Cfr. a tal proposito gAbriellA fAnfAni bussolini, Giulio Ottonelli e le “Annotazioni al Vocabolario degli Accademici della Crusca” (1698), in «Lingua Nostra», XXXI (1970), pp. 5-12.

10 Cfr. Annotazioni sopra il Vocabolario degli Accademici della Crusca. Opera postuma di Alessandro Tassoni Modonese, riscontrata con molti testi a penna, Marino Rossetti, Venezia, 1698, p. 1.

che dien alcuna forza, e se non altro, riempiendo il numero, fan più ga-gliardo il sentimento. Ma checche sia di questo, che con molti esempi si potrebbe provare, e colla ovvia figura della repetizione, che a fare impres-sione nell’animo è, per così dire, una martellata di più; io dico assoluta-mente, che in quelle parole: E sì gli mandò dicendo, il sì non è particella riempitiva che sta per lo Latino sibi, e in conseguenza congiunta con gli, che sta per lo Latino illi, possa appellarsi oziosa e riempitiva, potendo stare il sentimento senza quella; ma è sì per lo Latino sic, e vale così. È un vezzo di nostro linguaggio, che forse corrisponde al γε de’ Greci, o ad altra particella simile, le quali essi per bellezza, per armonia, per rin-fiancamento, e per forza usamo riccamente [...] È adunque questo sì una legatura di discorso, che connette le parti dette con quelle da dire, e ciò fa graziosamente e con forza. È questo sì una particella breve, acuta, pene-trante, piena di spirito, che fa brillante, e animato il racconto, usata perciò con compiacenza, nè senza ragione da i nostri antichi, che i loro racconti a gran dovizia, e per così dire, a tutto pasto ne seminavano. Or perchè toglierla, o buon Tassoni? (Corsivi nel testo)11

La predilezione dei grammatici toscani nei confronti delle particelle

riempiti-ve, considerate un «vezzo di nostro linguaggio», è sostenuta anche dal paragone

con il latino e con il greco12; al contempo si evidenzia la funzione che esse hanno

per garantire quella che noi chiameremmo coesione testuale: «una legatura di discorso, che connette le parti dette con quelle da dire». A ben vedere, abbiamo qui una definizione, non molto lontana dalle conclusioni cui sono pervenuti i più recenti studi sull’argomento che hanno ribadito la funzione eminentemente anaforica dell’antico sì13.

Nella sua accezione grammaticale, l’aggettivo riempitivo sembra derivare da Giambullari, che però lo usa per riferirsi ai pronomi espletivi e’ ed egli:

Le [legature] riempitive, aggiunte, o levate al ragionamento, non mutano punto il senso di quello: et sono, e’, ed egli. Esempli. Boccaccio nella XII, Egli è il vero che per la lontananza di mio marito, non potendo io etc. Et nella LI, Egli non è ancor guari, che nella nostra città, fu una gentile et costumata donna14.

11 Anton mAriA sAlVini, Prose Toscane, Firenze, Guiducci, e Franchi, 1715, pp. 186-187.

12 Sull’accezione del verbo riempire e dei suoi derivati riempimento e riempitivo presso i nostri grammatici rinascimentali cfr. dAnilo poggiogAlli, La sintassi nelle grammatiche del Cinquecento, Firenze, Accademia della Crusca, 1999, p. 356.

13 Sull’anaforicità di sì in italiano antico e nelle lingue romanze antiche, si veda ora Verner

egerlAnd, La grammatica della narrazione: studio sull’uso dell’avverbiale SIC nella fase romanza

antica, in «La lingua italiana. Storie strutture testi», Viii (2012), pp. 35-52.

Esiste inoltre un’analogia tra i termini riempitivo e ripieno; quest’ultimo ri-corre sia nelle Regole di Giambullari («Il ripieno, da’ Greci periferoma et da’ Latini chiamata supplementum, aggiugne qualche particella, non necessaria al senso; ma necessaria alla misura del verso, o del suono dello orecchio, come il

gli molte volte a’ nostri», corsivi nel testo15) sia nell’Hercolano di Varchi dove c’è

anche un esplicito richiamo all’opera di Claudio Tolomei16:

conte. Non è egli più breve una lingua, cioè sprime i concetti con meno parole che un’altra?

VArchi. Senza dubbio; e Messer Claudio afferma che la romana è più

bre-ve della greca, e che la greca e la toscana, quanto a lunghezza, e brevità, vanno a un giogo.

conte. Qual cagione n’arreca egli?

VArchi. Perché quelle particelle, che alcuni chiamano puntelli o sostegni, e

altri ripieni, e noi chiameremo proprietà e ornamenti di lingue, si ritruova-no in miritruova-nor numero nella romana.

conte. Di qual particelle e ornamenti intendete voi?

VArchi. Come in greco men, e, de etc., in latino nempe, quidem, etc., in

toscano egli, e nel vero, e altri cotali (corsivi nel testo).17

A uno studioso di oggi, tale terminologia appare piuttosto vaga: un ripieno può essere un avverbio o un pronome, ma in determinati contesti diventa “proprietà” o “ornamento di lingua”, definizioni che, come si vedrà tra breve, saranno ripre-se nella Crusca (almeno fino alla quarta edizione). Il Tommaripre-seo, invece, nel suo dizionario propende per una definizione negativa sia dell’aggettivo sia del nome

riempitivo, che farà breccia nella grammaticografia tradizionale18; ecco la voce in cui si cita Salviati, intento a commentare un che rafforzativo usato da Boccaccio

(non manca un’autocitazione nella definizione dedicata alla forma nominale)19:

15 Ibid, p. 250.

16 Cfr. clAudio tolomei, Il Cesano de la lingua toscana, edizione critica riveduta e amplia-ta, a cura di ornellA cAstellAni pollidori, Firenze, Accademia della Crusca, 1996, pp. 59-61.

17 benedetto VArchi, L’Hercolano, edizione critica a cura di Antonio sorellA, Pescara,

Libreria dell’Università, 1995, p. 922.

18 Sulla funzione di tali particelle si è soffermato tra gli altri Vittorio Alfieri, il quale mo-stra sia la loro importanza sia la necessità di non abusarne nella costruzione del verso: «Quanto alla maniera di architettare il verso, si potrà con qualche ragione tacciare l’autore di volerlo far troppo pieno; e di avere ad un tal fine abusato assai delle particelle riempitive, pur, ne, si, io, e principalmente or; che questa non v’è pagina, in cui non s’incontri, e più d’una volta […] Mi lusingo bensì , che chiunque intende dell’arte vedrà codeste particelle non esservisi mai intromesse a caso ; e che quasi sempre elle operano alcuna cosa nel verso, o per l’energia, o per l’armonia, o per la gravità, o per la varietà, (più che ogni altro) per la sostenu-tezza e impedimento di trivialità e di cantilena» e altrove «Così il vezzo dei […] riempitivi l’ho diradato moltissimo» (Parere sulle tragedie e altre prose critiche, a cura di morenA pAgliAi, Asti, Edizione Nazionale delle opere di Vittorio Alfieri, 1978, pp. 164-165 e 358).

riempitivo Agg. Atto a riempiere, Che riempie. Per lo più è termine de’

Grammatici, ed è aggiunto di quelle particella che nel discorso sembrano oziose e superflue. Salv. Avvert. 2. 1. 3. (M.) Che parola riempitiva. Altra volta la detta Che, solamente come ripieno, nella tela s’intreccia de’ nostri ragionamenti.

2. A modo di sost. [T.] Rinzeppa i versi di riempitivi, che li fanno rivuoti più che mai20 (corsivo nel testo).

Le diverse edizioni del Vocabolario, fondandosi sui trattati dei grammatici fiorentini, individuano le particelle riempitive che seguono: a, be ‘bene’ (presen-te dalla (presen-terza edizione), bello (fino alla (presen-terza edizione), bene, bene sta (s.v. stare),

ce, ci, di, e’, ecco, egli, el (compare nella quarta edizione), entro, già, mi, mica, mo, ne, ora, pure, ritta (s.v. iviritta), se, sì, te (compare nella quarta edizione), ti, tutto, ve (compare nella quarta edizione), via (dalla terza edizione)21. Come appare, non tutte le particelle riempitive possono essere considerate alla stregua di segnali discorsivi. Sotto quest’etichetta rientra la folta schiera dei pronomi clitici e il pronome espletivo (o neutro) egli che, come abbiamo visto sopra, è al centro delle osservazioni dei grammatici cinquecenteschi. Più vicina invece alla nostra sensibilità moderna è la decisione di includere nel novero delle particelle

riempitive anche un elemento esclamativo come via, «usata per ornamento del

dire, o per espression di vemenza » o un elemento negativo come mica, che è «in compagnia della negazione, posta a maggiore efficacia di negare». A queste par-ticelle è riconosciuta pertanto una funzione precisa, prevalentemente stilistica. Va poi ricordato che anche i nostri dizionari più recenti non hanno ancora indi-viduato un criterio univoco per definire le funzioni pragmatiche di tali elementi. Paradossalmente si può dire che, per certi aspetti, la scelta degli accademici della Crusca, mirata soprattutto a un fine pratico-didattico, dimostra un certo grado di modernità, perché, almeno nelle intenzioni, si cercava anche allora di tenere distinti i due piani: quello stricto sensu grammaticale e quello

pragmati-co22. A tal fine si pongono in atto due diverse strategie; nel caso di già l’etichetta

1586, vol ii, p. 24.

20 niccolò tommAseo / bernArdo bellini, Dizionario della lingua italiana, Torino,

Unio-ne Tipografico-editrice, 1865-1879 s. v.

21 Nella prima e nella seconda edizione è definita «particella conceditiva e esortativa». 22 In molti dizionari recenti particelle come sì, ecco, ora, già, bene sono definite soltanto “avverbi”: una lodevole eccezione è costituita dal Dizionario Sabatini Coletti (Firenze, Giunti, 2a edizione, 2002), che usa sia l’etichetta di “segnale discorsivo” (per esempio per sì, bene, ecco) sia quella di “congiunzione testuale” (ora). Su tale problematica si veda: edgAr rAdtke, La valutazione degli indicatori discorsivi nella lessicografia dell’italiano antico, in Giornata di studi in memoria di Valentina Pollidori, Firenze, Villa Reale di Castello, 26 Ottobre 2010, «Bolletti-no dell’Opera del Vocabolario Italia«Bolletti-no», Supplementi, III (2012), p. 19: «Nella lessicografia della lingua italiana si nota sempre un atteggiamento restio nei confronti di elementi di ordine

particella riempitiva compare nella stessa voce dopo quella di avverbio; invece

nel caso di bene e sì si sceglie la soluzione dell’omografia creando un lemma a parte23:

già Monosillabo. Avverbio di tempo passato: e vale Per lo passato. Latin. olim, quondam. [...] §. Già. Talora particella riempitiva, come la quidem, e la Latin. sanè. [...] §. Già: Particella riempitiva, ma che aggiugne alquanto di forza al parlare, e dagli ornamento.

bene3 Particella riempitiva, che ben collocata accresce forza al favellare, significando tal volta Molto,

Certamente, Maisì, In circa, Nondimeno, Ma, e simili.

Si7 Particella riempitiva, posta per proprietà di linguaggio, e per leggiadria, e per maggior espressione.

La somiglianza tra le tre definizioni, ci mostra come gli accademici conside-rino dette particelle appartenenti a una stessa categoria, sebbene si faccia uso