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Di là dai risultati emersi, che possono avere una semplice ricaduta nella storia di singole parole, con la disamina proposta si è inteso mettere in luce l’utilità, anche metodologica, di un sondaggio trasversale condotto su uno spe-cifico campo lessicale attraverso fonti lessicografiche, non tanto mediante la “normale” ricerca di lemmi, già ampiamente praticata per altri domini

lessica-li39, quanto piuttosto nella prospettiva specifica, meno indagata, dei processi

derivativi.

Tale operazione - se condotta tenendo conto, simultaneamente, del livello formale e di quello (pragmatico) semantico - consente innanzitutto di mettere a fuoco tipologia e produttività di morfemi formanti, individuandone la specia-lizzazione semantica anche in rapporto al fattore diacronico, come si è potuto constare per -ezza, -ore, -ume, e, poi, di sondare eventuali sovraestensioni dei meccanismi derivazionali, come si è osservato per le produzioni nominali realiz-zate mediante i suffissi aggettivali -etto e -oso.

In secondo luogo, un simile percorso offre una visione sinottica delle fonti che permette di circoscrivere diafasicamente un campo lessicale,

individuan-37 Cfr. fresu, Neologismi a colori, cit., pp. 167-168 e bibliografia ivi indicata.

38 Si veda anche il furb. albume ‘argento; denaro’ appunto per il colore bianco delle mone-te (cfr. LEI s.v. albū men I, 1515,7-10 e 1517,37-39).

39 Cfr. ad esempio l’indagine di mAssimo ArcAngeli, Il lessico sportivo e ricreativo italiano nelle quattro grandi lingue europee (con qualche incursione anche altrove), in «Studi di lessico-grafia italiana», XXIV (2007), pp. 195-247, o ancora, settorialmente, ritA fresu, Stratificazione e tipologia del lessico italoromanzo dei giochi di carte: primi sondaggi, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari», n.s. XXVIII (vol. LXV), 2010 [2011], pp. 263-282.

done la distribuzione e/o l’addensamento in autori e generi testuali. Non sarà sfuggito, infatti, come alcuni cromonimi, e i relativi derivati, esibiscano un’alta concentrazione in taluni scriventi motivata da ragioni connesse alla settorialità della tipologia testuale (come i trattati di agricoltura e botanica o di medicina, o, ancora, le classi di testo legate alla pittura), oppure per motivi stilistici, come il caso di Pirandello e Papini, oltre al già ricordato D’Annunzio.

La proposta di ricostruzione attraverso le fonti lessicografiche applicata in questa sede a una categoria morfologica, quella nominale, e a un cromonimo,

giallo, andrà estesa ad altre basi di colore e soprattutto alle altre categorie

gram-maticali rintracciate nel corpus ricavato dallo spoglio della Crusca, alcune delle

quali particolarmente produttive, come ad esempio quella dei verbi40.

In una prospettiva futura, infine, allargata anche ad altri campi lessicali - e non strettamente connessa alla Crusca in cui la presenza di una voce dipende, come è noto, dal canone di autori accettati come fonti - una siffatta indagine può offrire un contributo alla riflessione teorica sui criteri di accoglimento e registrazione dei derivati negli strumenti lessicografici.

40 Come dimostrano i seguenti contesti: La gente, che dimora appresso questa fiumana, ver-deggiano, e gialleggiano (a. 1384, Libro di viaggi Pier del Nero); L’allume fa gialleggiare il vetro, e rosseggiare alquanto, e non fa negreggiare (1612, A. Neri); E però biancheggia l’aurora, e poi

CONTRAFFAZIONI PARODISTICHE DELL’AUREO TRECENTO: MONTI, TOMMASEO E LA CRUSCA VERONESE

La categoria più ricca di esempi nella variegata tipologia delle contraffazioni

testuali ottocentesche è quella dei falsi medievali stimolati dalla dottrina purista1.

La mimesi virtuosistica o la parodia satirica dell’arcaismo fiorentineggiante propugnato dal p. Cesari investì anche le discussioni sul Vocabolario degli

Accademici della Crusca2. Il solo nome di quel vocabolario – osservava stupito Stendhal nella Milano del 1818 – arrivava a «suscitare entro la repubblica delle

Lettere italiane pene, polemiche, risse degne di una Carta costituzionale»3.

Nella sua storia di vocabolari italiani Claudio Marazzini ha definito l’Ottocento il «secolo d’oro della lessicografia», individuando un carattere comune e di lunga durata nel «metodo delle “giunte” alla Crusca»; infatti, tutte le grandi realizzazioni lessicografiche italiane, fino alla svolta del Tommaseo-Bellini, sostanzialmente riproposero la struttura del grande vocabolario di Firenze, «seppure con l’arricchimento di giunte, o con la potatura di elementi inutili, o con la correzione di errori».

L’arricchimento – osserva ancora Marazzini – poteva essere immaginato in modo diverso, a seconda che si volesse ampliare la raccolta di parole legate all’orizzonte delle scienze e delle tecniche, secondo lo spirito

dell’Illumini-1 Cfr. sAndrA coVino, Giacomo e Monaldo Leopardi falsari trecenteschi: contraffazione dell’antico, cultura e storia linguistica nell’Ottocento italiano, 2 voll., Firenze, Olschki, 2009, I, pp. 54-138, II, pp. 227-261, con il precedente di lucA seriAnni, Italiano antico, italiano anticheggiante [1994], in id., Viaggiatori, musicisti, poeti. Saggi di storia della lingua italiana, Milano, Garzanti, 2002, pp. 38-52.

2 In particolare le edizioni IV Crusca e Crusca veronese.

3 La citazione è tratta da mAriA corti, Il problema della lingua nel romanticismo italiano, [1967], in eAd., Nuovi metodi e fantasmi, Milano, Feltrinelli, 2001, pp. 163-191: 163. Il 1818 è l’anno in cui il primo volume della Proposta montiana iniziò effettivamente a circolare, anche se il frontespizio porta la data del 1817: cfr. Vincenzo monti, Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca, 4 voll. (6 tomi), Milano, Imp. Regia Stamperia; 1817-1826

smo, o si volesse perfezionare lo spirito arcaizzante che aveva animato la Crusca, estendendo ulteriormente gli spogli degli autori antichi. La prima via fu quella percorsa dall’Alberti di Villanova, la seconda dall’abate Cesari4. Nell’articolo dedicato da Cesare Cantù nel 1836 al vocabolario del Manuzzi e al Tramater, dei quali era cominciata da qualche anno la pubblicazione, il recensore collegava – lo ha ricordato di recente Pietro Trifone – la grande fioritura di nuovi dizionari alla volontà di reagire al processo di assimilazione linguistica innescato tra Sette e Ottocento dal dominio francese in Italia «allorché la folla degli scrittori, non che la furia dei decreti, dei codici, dei proclami, dei

bullettini, degli atti ufficiali, diffondevano un sapore straniero nelle scritture»5;

a conferma di tale giudizio si può rinviare agli studi di Piero Fiorelli su italiano

e francese nella Toscana napoleonica6.

Al problema della difesa e insieme del rinnovamento della tradizione linguistica italiana, imposto dalle vicende politiche, oltre che dai fermenti culturali europei e dai progressi tecnico-scientifici del sapere moderno, la Crusca

veronese reagì, com’è noto, con una proposta di arricchimento rivolta al passato,

alle scritture dell’aureo Trecento, ritenute depositarie di una vagheggiata, quanto indefinibile, grazia aurorale, populisticamente collettiva, propria cioè non solo dei grandi autori ma dell’intero popolo toscano, ancora non corrotto

da artificiosità retoriche e morali7.

4 clAudio mArAzzini, L’ordine delle parole, Bologna, il Mulino, 2009, p. 253; le altre cita-zioni a testo sono tratte dalle pp. 247 e 260. Sui temi accennati, rimando anche all’importante monografia di mirellA sessA, La Crusca e le Crusche. Il Vocabolario e la lessicografia italiana del Sette-Ottocento, Firenze, Accademia della Crusca, 1991; a pp. 42-43 riferimenti alle ristampe non ufficiali della IV Crusca, tra cui la Crusca Pitteri, anche nota come Seconda veneta (Voca-bolario degli Accademici della Crusca. Edizione seconda veneta accresciuta di molte voci raccolte dagli autori approvati dalla stessa Accademia, 5 voll., Venezia, Pitteri, 1763-1764), che aveva saccheggiato, senza dichiarare la fonte, i lemmi delle «giunte napoletane» (cioè dell’edizione curata da pAsQuAle tommAsi nel 1746-1748, a spese di Giuseppe Ponzelli).

5 Cfr. pietro trifone, «I dizionari sono sempre un dall’altro copiati». Cesare Cantù e la les-sicografia del primo Ottocento, in Una brigata di voci. Studi offerti a Ivano Paccagnella per i suoi sessantacinque anni, a cura di chiArA schiAVon e AndreA cecchinAto, Padova, Cleup, 2012, pp. 433-441; la citazione ricavata dall’articolo del Cantù si legge a p. 433.

6 Cfr. piero fiorelli, L’italiano, il francese, la Toscana e Napoleone, in Studi in onore di Manlio Udina, vol. II, Milano, Giuffrè, 1975, pp. 1579-1602, nonché la silloge di autori vari, promossa dallo stesso fiorelli, Lingua degli uffici e lingua di popolo nella Toscana napoleonica, Firenze, Accademia della Crusca, 1985. Sull’Umbria, territorio annesso anch’esso, insieme al Lazio, direttamente all’impero francese, mi permetto di rimandare a sAndrA coVino - frAnce

-sco mArchegiAni, La stampa italiana nell’età napoleonica come collettore e canale di diffusione

del linguaggio burocratico e di terminologie speciali: il caso del «Giornale del Trasimeno» (1810-1813). Atti del XII Congresso SILFI, Helsinki, 18-20 giugno 2012, in stampa. Per una pro-spettiva d’insieme, fondamentale resta il saggio di bruno migliorini, La lingua italiana nell’età napoleonica, in id., Lingua d’oggi e di ieri, Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1973, pp. 157-180.

Netto per altro il rifiuto delle pur limitate concessioni all’uso contemporaneo e al superamento dei criteri rigidamente trecentisti-cinquecentisti dimostrate dall’Accademia della Crusca nella terza e, con qualche arretramento entro i confini del volgare letterario e dell’orizzonte toscano, nella quarta edizione del

Vocabolario8.

La celebre riedizione pubblicata dal Cesari a Verona tra il 1806 e il 1811 fu condotta sulla cosiddetta Seconda veneta; tale versione, considerata la più ampia allora in circolazione, venne integrata con più di cinquemila «giunte». Oltre agli spogli appositamente eseguiti dal curatore e dal suo collaboratore Paolo Zanotti, l’opera utilizzò, per l’ampliamento sia del lemmario sia delle definizioni, le schede del gesuita veronese Girolamo Lombardi (morto nel 1792) e gli spogli realizzati negli ultimi anni di vita (dal 1793 al 1796) dal classicista roveretano Clementino Vannetti, a cui si aggiunsero in corso d’opera i contributi

di Bartolomeo Bottari e di Giuseppe Pederzani9. Tali incrementi sarebbero

riusciti a soddisfare i bisogni dei tempi nuovi, come affermò lo stesso Cesari nel

Manifesto del 1805 e nella Prefazione al primo volume del Vocabolario.

In realtà, proprio la natura e la qualità delle aggiunte rivelano l’inadeguatezza dei fondamenti puristici di fronte alle questioni aperte dalla crisi del linguaggio letterario tradizionale e dallo sviluppo dei settori pratici e scientifici, verso cui il classicismo lombardo (in quell’ambiente dove più vivo era stato il dibattito

nella lingua. Contributi per una storia del tradizionalismo e del purismo italiano, Milano-Napoli, Ricciardi, 1986, pp. 3-115, 507-552 e alla sintesi sui principali studi relativi al purismo ottocen-tesco fornita in coVino, Giacomo e Monaldo Leopardi falsari trecenteschi, cit, I, pp. 72-78. Sulla tenace resistenza, ben oltre la metà dell’Ottocento, dimostrata dal movimento sul piano dell’in-segnamento dell’italiano, cfr. il recente intervento di fAbrizio frAnceschini, I nipotini di padre Cesari. Il purismo e la sua influenza nella scuola dell’Italia unita, in Storia della lingua italiana e storia dell’Italia unita. L’italiano e lo Stato nazionale. Atti del IX Convegno dell’ASLI, Firenze, 2-4 dicembre 2010, a cura di AnnAlisA nesi, silViA morgAnA, nicolettA mArAschio, Firenze, Cesati, 2011, pp. 295-309: in partic. §§ 2-3.

8 Cfr. M. VitAle, La III edizione del «Vocabolario della Crusca». Tradizione e innovazione nella cultura linguistica fiorentina secentesca [1966] e La IV edizione del «Vocabolario della Cru-sca». Toscanismo, classicismo, filologismo nella cultura linguistica fiorentina del primo Settecento [1971], in L’oro nella lingua, cit., pp. 273-333 e 349-381.

9 Gli spogli personali del Cesari furono condotti sugli autori del canone cruscante, ma anche su due “nuovi” testi trecenteschi: la Cronichetta di Neri degli Strinati e la Storia della guerra di Semifonte di Pace da Certaldo, ritenuta un falso dal Giordani. Cfr. VitAle, L’oro nella lingua, cit., pp. 521-522, 534-535 (alla nota 12 cenni sull’ulteriore attività lessicografica del Cesari) e AndreA dArdi, La ‘Crusca veronese’ del Cesari, in La Crusca nell’Ottocento, a cura di elisAbettA benucci - AndreA dArdi - mAssimo fAnfAni, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2003, pp. 31-35; a proposito dell’esigenza di accogliere anche le terminologie settoriali, lo stesso dArdi ricorda che Cesari credette sufficiente, a tale scopo, ristampare, in calce al tomo VII, il Vocabolario toscano dell’arte del disegno di Filippo Baldinucci (1681) e le Voci, maniere di dire, e osservazioni di toscani scrittori e per la maggior parte del Redi che possono servire d’istruzione

illuministico sulla lingua) sostenne invece un’urgente necessità di apertura, a cominciare da «quell’alleanza di scienza ed eloquenza» invocata da Monti nelle lezioni pavesi10.

Il lavoro di postillatura che, a partire dall’agosto 1813, Monti dedicherà alla Crusca veronese va tuttavia al di là dei rilievi sulla carenza di un lessico intellettuale moderno e sulla profusione di arcaismi “rancidi”, tanto che «i margini del Vocabolario divennero negli anni l’ipertrofico dossier di lavoro

del lessicografo, e anche, in parte, del filologo dantesco»11. Maria Maddalena

Lombardi nel saggio appena citato – e poi nell’Introduzione all’edizione delle

Postille montiane alla Crusca ‘veronese’ – ha evidenziato il legame tra quelle

annotazioni e le correzioni ed aggiunte che Monti inserì nella Proposta12.

10 Cfr. V. monti, Lezioni di eloquenza e prolusioni accademiche, introduzione e commento di duccio tongiorgi, testi e note critiche di lucA frAssineti, Bologna, Clueb, 2002 e A. dArdi, Introduzione a Gli scritti di Vincenzo Monti sulla lingua italiana, Firenze, Olschki, 1990, pp. 7-92: 9-17.

11 mAriA mAddAlenA lombArdi, Gli scritti lessicografici di Vincenzo Monti per l’allestimen-to della «Proposta», Firenze, Le Lettere, 2004 (estr. da «Studi di filologia italiana», LXII, pp. 225-260; poi in Vincenzo Monti nella cultura italiana, a cura di gennAro bArbArisi, Milano, Cisalpino, 2006, I.2, pp. 785-857), p. 225; a pp. 226-228 si discute il complesso problema cro-nologico delle Postille. Quanto l’attività di spoglio e annotazione condotta sulla Crusca veronese si intrecci con l’attività filologica montiana è dimostrato dal suo «frutto più compiuto e orga-nico» (come lo definisce dArdi: Gli scritti di Vincenzo Monti, cit., p. 87), cioè dall’edizione del Convivio, pubblicata nel 1826 con Gian Giacomo Trivulzio e Giovanni Antonio Maggi, e dal Saggio […] dei molti e gravi errori trascorsi in tutte le edizioni del Convito di Dante (1823), che ne costituisce la premessa (cfr. la recente edizione critica del Saggio, a cura di Angelo colom

-bo, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 2012 e l’articolo di m. m. lombArdi, Le postille di Vincenzo Monti alla Crusca ‘veronese’ e gli studi filologici sul «Convito» di Dante, in «Studi di filologia italiana», LXI, 2003, pp. 111-133). Sugli spogli relativi ai commenti della Commedia di Baldassarre Lombardi e Giosafatte Biagioli rimando ancora a lombArdi, Gli scritti lessicografici di Vincenzo Monti, cit., pp. 258-259. Notevoli anche gli oltre settecento richiami al Vocabolario degli Accademici – in realtà ricavati dalla Crusca veronese – che Giulio Perticari e lo stesso Monti vergarono nella tarda estate del 1815 sui manoscritti preparatori dell’incompiuta edizione del Dittamondo; le postille più numerose e interessanti appaiono quelle che «segnalano errori nelle citazioni dal poema inserite nel Vocabolario», la cui finalità è legata non solo «alla costituzione del testo, ma anche alla polemica contro la Crusca, che nelle intenzioni di Perticari e di Monti avrebbe dovuto trovar luogo in apposite note alla futura edizione» (La Crusca nei margini. Edi-zione critica delle postille al Dittamondo di Giulio Perticari e Vincenzo Monti, a cura di simonA

brAmbillA, Pisa, ets, 2011, pp. 23 e 27 dell’Introduzione).

12 Cfr. V. monti, Postille alla Crusca ‘veronese’, a cura di mAriA mAddAlenA lombArdi, Firenze, Accademia della Crusca, 2005, in particolare pp. LXVIII-LXXII, dove la curatrice afferma «che in sostanza i margini del Vocabolario ‘veronese’ sono il luogo in cui nasce la quasi totalità delle osservazioni e delle aggiunte della Proposta»; l’intera Introduzione, pp. V-CXIII, ripropone con sensibili ampliamenti il saggio citato alla nota precedente. L’edizione lombArdi

pubblica tutto il materiale non confluito nella Proposta documentato nei margini della Crusca veronese (la copia con le annotazioni autografe del Monti è conservata presso la Biblioteca Co-munale «Ariostea» di Ferrara); nella prima appendice (pp. 599-674) sono stampate le postille

Va precisato che, all’altezza cronologica della Proposta, l’autore era interessato soprattutto alla polemica contro l’Accademia della Crusca, non cominciata ma di certo acuitasi dopo il rifiuto nel 1816 degli accademici di collaborare con l’Istituto nazionale per la stesura di un nuovo dizionario della lingua italiana

da realizzare con la collaborazione di scienziati e tecnici, oltre che di letterati13.

Nella Proposta Monti si studiò perciò di dissimulare e alleggerire gli attacchi al Cesari, facendo riferimento nei suoi affondi critici quasi esclusivamente alla IV impressione del Vocabolario fiorentino, o meglio all’edizione Pitteri, da cui pure le sue «riflessioni linguistiche […] avevano preso avvio: il che concorreva nel contempo ad attualizzare il tiro», reindirizzandolo cioè contro la risorta

Accademia della Crusca e la sua tirannia fiorentinista14.

Non a caso, dei tre dialoghi pubblicati nel Poligrafo, tra il 1813 e il 1814, non ristampò nella Proposta proprio il secondo ed il terzo, dove i colpi sferrati contro il Vocabolarista dell’Adige erano stati espliciti e diretti. Per esprimere le sue censure, Monti aveva adottato una forma drammatica che gli era molto

congeniale, quella del dialogo lucianeo15; nella cornice dialogica agli effetti di

blanda ironia o, più spesso, di acuto sarcasmo contribuiscono esilaranti intarsi di una lingua finto-antica che ridicolizza il vocabolario veronese utilizzando i suoi stessi “fiori” di lingua. Tale tecnica verrà applicata anche nella Proposta, come nel dialogo intitolato I poeti dei primi secoli della lingua italiana, che

rielaborate nella Proposta che presentano qualche particolare motivo d’interesse. Cfr. pure A. dArdi, Postille di Vincenzo Monti alla ‘Crusca veronese’, in La Crusca nell’Ottocento, cit., pp. 37-45.

13 Cfr. m. VitAle, Lombardi e Toscani nella questione del Vocabolario (L’Istituto nazionale di scienze, lettere ed arti e l’Accademia della Crusca) [1985], in id., La veneranda favella. Studi di storia della lingua italiana, Napoli, Morano, 1988, pp. 489-563. Sull’impressione positiva suscitata in Monti dal Dizionario universale di Francesco d’Alberti di Villanova (1805) e sull’uti-lizzazione da parte sua di quello strumento lessicografico, cfr. lombArdi, Intoduzione a monti, Postille, cit., pp. XII e LXXXII-LXXXIII.

14 Cfr. lombArdi, Introduzione a monti, Postille, cit., p. XI. La studiosa fornisce esempi dell’attenuazione degli attacchi alla Crusca veronese e precisa i luoghi in cui Monti dichiara espressamente di usare la Seconda veneta; nondimeno proprio «le postille dimostrano che l’e-semplare di lavoro per la quasi totalità delle voci discusse nella Proposta fu proprio una copia del vocabolario del Cesari, anche se molti riferimenti ad esso e ai suoi compilatori, testimoniati dalle postille medesime, nel testo a stampa caddero, o vennero relegati, e molto sfumati, nel-le rapide appendici delnel-le Osservazioni sopra alcune Giunte Veronesi, e del Guazzabuglio delnel-le Giunte Veronesi [cfr. Proposta, IV. Appendice, pp. 293-340]» (ivi, pp. VII-VIII). sebAstiAno

timpAnAro (Ancora sul padre Cesari: per un giudizio equilibrato [1980], in id., Nuovi studi sul

nostro Ottocento, Pisa, Nistri-Lischi, 1995, pp. 1-29: 14-16) informa sul ruolo avuto da Pietro Giordani nel favorire la riconciliazione di Monti con Cesari, anche se i rapporti tra i due torna-rono presto a raffreddarsi, specie a causa delle divergenze sul terreno del culto dantesco.

15 Cfr. mAriA AngelA pAruccini, Vocazione drammatica di Vincenzo Monti studioso e scrit-tore di lingua, in gennAro bArbArisi et alii, Vincenzo Monti fra magistero e apostasia, Convegno

apre la II parte del III volume; nella pausa seconda il sapido polemista, facendo parlare Guittone con mons. Giovanni Gaetano Bottari, il filologo cruscante che nel 1745 ne aveva pubblicato le lettere, mette in bocca all’aretino vocaboli e locuzioni tratte da codici antichi, per prendersi gioco – come nota Serianni – non tanto, o non solo, «dei poeti predanteschi (e degli “agresti vagiti della lingua Italiana” da loro emessi), quanto dell’inattendibilità delle edizioni cui il

Vocabolario attinge[va] per citarli»16. A titolo esemplificativo, riporto un breve

passo in cui, attraverso la parodia dello stile guittoniano e l’arma dell’antifrasi, viene sferrato un pungente attacco al primato del toscano popolare, in nome di quella concezione colta e italiana della lingua comune alla quale risultava funzionale l’interpretazione perticariana del De vulgari eloquentia (si noti la perifrasi con la quale l’aretino cita Dante, prendendone le distanze):

guitt. […] Plebe in Fiorenza e di tutta terra che Mugnone bagna, plebe

non è, ma di dottori dottoressa, e di majestri tutti majestra. Ogni altro loco d’Italia è spilonca dove urla lo lione e lo lupo, ed uomini abbajano como cani. Chiarissimi d’Italia miragli semo noi soli in Toscana magni, a cui si affaitano i minori nostri, e della forma se informano nostra. Chi solo mondo è, solo mondare può. Secondo sola nobilitade nostra è tutta nobi-litade altrui. E como notabole arbore fa notabole frutto, e nobole fera fa nobole prole, così nostra sola bella Toscaneria fa parlatura bella. Eo questa doctoria ebbi: e ne insegnai catuno antico: prima che quello spatriato ch’or foe Ghibellino ed or Guelfo con sua nova vertute disvertudiasse vecchia vertute nostra (monti, Proposta, III [1824], p. XXXVI).

Ma torniamo ai dialoghi violentemente anticesariani del «Poligrafo»; tra parentesi ricordo che essi sono stati ripubblicati da Andrea Dardi nella silloge

di scritti linguistici montiani da lui allestita17. Per la loro stesura Monti fece