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IL RUOLO DEL LESSICO NELLA DIDATTICA DELLE LINGUE

CAPITOLO 1. QUESTIONI TEORICHE E TERMINOLOGICHE

2.2 IL RUOLO DEL LESSICO NELLA DIDATTICA DELLE LINGUE

notevolmente all’interno degli approcci e delle metodologie di volta in volta utilizzati. Più in generale, e per descrivere i mutamenti di questi ultimi da un periodo all’altro Marianne Celce-Murcia (1978; 1980) ha utilizzato l’‘immagine del pendolo’ le cui oscillazioni corrisponderebbero all’alternarsi di momenti di ‘formalismo’, in cui prevale l’analisi della lingua oggetto e in cui si favorisce l’apprendimento attraverso le regole, e momenti di ‘attivismo’, in cui si tende all’uso della stessa e si privilegia invece l’apprendimento mediante la pratica (Stern, 1983: 79). Della stessa idea sembra essere Paolo Balboni (1985: 35), quando scrive che “la principale opposizione che pare oscillare pendolarmente è quella che vede un continuo alternarsi di momenti in cui prevale l’analisi della lingua oggetto e momenti in cui si tende a saperla usare”. Tuttavia, Balboni ci mette anche in guardia rispetto all’immagine del pendolo

per descrivere l’alternarsi di stagioni glottodidattiche […] perché riduce la prospettiva a due sole dimensioni, l’andare e il tornare del pendolo, mentre in realtà si è in presenza di un avanzamento glottodidattico, per cui si torna sulle stesse

                                                                                                               

posizioni di anni prima ma su un piano più elevato; [e poi perché] tale immagine accresce la tendenza sia ad un agnosticismo glottodidattico sia ad un eclettismo pasticcione (anziché creativo, come nel migliore dei casi si può anche avere (1985: 35).

D’altra parte, continua lo studioso, l’immagine può essere utile “purché si tenga presente che i movimenti, le idee, gli approcci e le metodologie che figurano via via lungo l’orbita del pendolo non sono staccati, insensibili l’uno all’altro” e perché “anche dopo aver abbandonato [una certa fase] il pendolo che se ne allontana si trascina dietro alcune (e spesso consistenti) tracce che andranno ad arricchire o inquinare tutte le fasi successive su cui il pendolo sta «ritornando»” (Balboni, 1985: 35).

In qualche modo ciò è in linea con Louis G. Kelly (1969: ix), quando osserva che un aspetto che caratterizza la glottodidattica è il fatto che:

Nobody really knows what is new or what is old in present-day language teaching procedures. There has been a vague feeling that modern experts have spent their time in discovering what other men have forgotten […]. In any case, much that is being claimed as revolutionary in this century is merely a rethinking and renaming of early ideas and procedures […] (1969: ix).

Molto spesso, dunque, in molti metodi passa per nuovo qualcosa che non lo è.

Un altro aspetto da considerare quando si parla dei metodi che si avvicendano in glottodidattica viene sottolineato da Jack C. Richards (1984: 7), il quale osserva che:

while differences between methods often reflect opposing views of the nature of language and of language learning processes, the reasons for the rise and fall of methods are often independent of either the thories behind those methods or their effectiveness in practice.

Il maggiore o minore successo di un metodo rispetto a un altro, quindi, spesso non dipende dalle teorie sulle quali si fonda e sulla sua efficacia a livello di risultati, ma anche da ragioni ‘esterne’. Lo studioso infatti spiega che:

[…] methods that lead to text have a much higher adoption and survival rate than those which do not. […] Where there are student texts and the possibility of widespread adoptions and sales, there are also publishers. […] Publishers promote texts at conferences, book exhibits, and through direct visits to schools and institutions, and they finance workshops and lectures by authorities whose names lend credence to the philosophies behind the texts. The message is that anyone who has an innovative instructional philosophy to market had better make it dependent upon the use of a student text; otherwise, no major publisher will take it seriously” (1984: 14).

si possono facilmente tradurre in materiali didattici avranno meno probabilità di durare nel tempo perché non adottati, o poco, dalle case editrici. Come sottolinea Richards, però, i metodi “need more than the support of the publishing industry to gain credibility” (1984: 14).

A questo punto però è necessario un chiarimento. Cosa si intende infatti per ‘metodo’? Carlo Serra Borneto (1998: 17) osserva che in effetti “una definizione standard di cosa sia un metodo nell’insegnamento delle lingue delle straniere non è mai stata raggiunta […] in contrapposizione ad ‘approccio’, ‘procedure’, ‘tecniche’[...]”.87

Dal suo punto di vista, un metodo può essere visto come

qualcosa di più di una tecnica o di una strategia di apprendimento, poiché fa riferimento a una teoria dell’insegnamento (cioè a impostazioni, procedure e modelli di azioni ripetibili in grado di guidare l’insegnante nella sua attività didattica), a una visione o a una vera e propria teoria della lingua da insegnare, a una serie di ipotesi sull’apprendente e sulla natura dell’apprendimento. In pratica, esso implica una serie di assunzioni implicite o esplicite che ne fanno una sorta di sistema di riferimento per l’insegnante fino a toccare i problemi della scelta, articolazione e progressione dei materiali didattici da utilizzare nell’interazione con gli allievi (1998: 17-18).

Lo studioso ci spiega anche che negli anni Settanta, nel campo dell’insegnamento delle lingue straniere, si è sviluppata una campagna “contro il metodo”, si è cioè messo in discussione il suo

                                                                                                               

87 Le proposte definitorie sono state diverse. Il primo a proporre una distinzione tra ‘approccio’, ‘metodo’ e ‘tecnica’, per esempio, fu Edward Anthony (1963), e ci sono stati coloro come Richards e Rodgers (1982; [1986] 20012) che partendo dalla sua proposta, hanno introdotto una loro distinzione in ‘metodo’, ‘approccio’, ‘design’ e ‘procedure’. Nel Dizionario di glottodidattica di Paolo Balboni (1999), che riprende sostanzialmente la proposta di Anthony, si trovano le seguenti definizioni: “[l]’approccio costituisce la filosofia di fondo di ogni proposta glottodidattica. L’approccio valuta e seleziona dati e impianti epistemologici dalle varie teorie e dalle varie scienze di riferimento, e li riorganizza secondo i parametri propri della glottodidattica, individuando le mete e gli obiettivi dell'insegnamento linguistico. Un approccio genera uno o più metodi che ne realizzano l'applicazione nelle varie situazioni. Nella storia della glottodidattica alcuni approcci sono stati definiti “metodi” (Comunicativo, Formalistico, Metodo diretto, Metodo naturale, Reading method, Silent Way, Strutturalistico, Suggestopedia)” (1999: 5). Il metodo “[è] la realizzazione di un approccio in termini di procedure didattiche e di modelli operativi. Un metodo non è ‘buono’ o ‘sbagliato’, ‘vecchio’ o ‘moderno’, è semplicemente coerente o incoerente con le premesse dell'approccio che esso intende mettere in pratica” (1999: 64-65). Una tecnica è un’attività di classe attraverso cui il materiale linguistico viene presentato agli studenti e da questi analizzato, elaborato, (ri)prodotto; altre tecniche riguardano le modalità di riflessione sulla lingua o la valutazione. A differenza dell’approccio, che ha una dimensione filosofica, e del metodo, che deve realizzare in termini di progettazione curricolare e organizzazione didattica le indicazioni dell’approccio, le tecniche non ammettono giudizi di valore (“vero/falso”, “coerente/incoerente”), ma solo di efficacia/inefficacia nel produrre l’effetto voluto”(1999: 100).

carattere sistematico e tendenzialmente rigido […] anche perché ciascun metodo enfatizza solo alcuni aspetti della didattica e dell’apprendimento a scapito degli altri. Il preteso carattere generale, globale, del metodo – è stato detto – è fondato su un’illusione, un’illusione di compattezza e unità nella didattica. In realtà non può esistere un metodo che vada bene per tutte le situazioni che si presentano nella prassi dell’insegnamento, perché varie sono le esigenze e differenti gli attori che vi prendono parte (1998: 18).88

Non si potrebbe essere più d’accordo. Il problema è che insieme al ‘metodo’ viene messo in discussione anche il ruolo dell’insegnante che da ‘protagonista’ finisce “schiacciato sullo sfondo del gran teatro consumistico dell’apprendimento” (1998: 21) in cui l’apprendente è visto come completamente autonomo.

Come Serra Borneto, qui non si può condividere tale visione estrema del ruolo dell’insegnante perché

[c]hiunque abbia una qualche dimestichezza con le aspettative e le richieste di chi è interessato all’apprendimento di una lingua straniera sa bene che la figura dell’insegnante come guida è ancora ritenuta indispensabile, specialmente nelle prime fasi dell’apprendimento (ma anche nelle successive, specie se l’insegnante è bravo) (1998: 21).89

Questa premessa serviva a far cogliere alcune questioni generali che caratterizzano la glottodidattica.

La panoramica che segue, invece, si concentra nello specifico su alcuni metodi che si sono avvicendati nel corso del tempo. La rassegna non è perciò esaustiva90

perché si è scelto di dare conto solo di quei metodi e di quegli aspetti che in qualche modo fanno rilevare la visione che si ha del lessico.

I metodi possono essere classificati utilizzando diversi parametri. Per semplicità, qui si utilizzerà la classificazione operata da Rizzardi e Barsi (2005) che li distinguono a seconda che essi abbiano un orientamento linguistico, umanistico-psicologico o comunicativo.91

Come osservano le due autrici però                                                                                                                

88 Lo studioso osserva anche che in realtà quest’idea non è nuova e che già negli anni Trenta c’era chi criticava l’impostazione unilaterale della formazione dell’insegnante (1998: 18).

89 D’altronde, se non si avesse questa convinzione, il lavoro svolto per questa tesi non avrebbe motivo di esistere.

90 Per una panoramica più approfondita si rimanda ai numerosi lavori sui metodi e gli approcci in glottodidattica.

91 D’altro canto, anche “la distinzione terminologica fra ‘approccio’, ‘metodo’ e ‘tecniche’ si rivela utile qualora si desideri comprendere a quale livello di astrazione si collocano le proposte di insegnamento della L2. Può capitare infatti che la stessa proposta didattica venga presentata come metodo in uno studio e come approccio in un altro” (Rizzardi e Barsi, 2005: 15). Normalmente qui si parlerà di metodi mentre

non è sempre possibile […] classificare un metodo come appartenente in modo univoco a un orientamento piuttosto che a un altro. Frequente è il caso in cui nello stesso metodo si riscontrano tratti appartenenti a orientamenti diversi […] (2005: 20).92

Nei metodi con orientamento linguistico si considera la lingua come un sistema di regole e strutture. All’interno di questo orientamento si può operare un’ulteriore classificazione in metodi deduttivi “secondo i quali l’insegnante impartisce esplicitamente le regole della lingua che l’apprendente deve imparare ad applicare” e in

metodi induttivi, in cui “il discente è posto di fronte a una situazione in L2 da cui deve

estrapolare (in modo più o meno esplicito) le regole e le strutture che ne stanno alla base” (Rizzardi e Barsi, 2005: 20-21).93

Alla prima categoria appartengono:

• Il Metodo grammaticale-traduttivo (o grammatica-traduzione).94 Con questa

denominazione normalmente si identifica “un tipo di insegnamento della lingua straniera basato sull’apprendimento e sull’applicazione delle regole morfosintattiche, oltre che sulla traduzione di frasi dalla lingua materna alla lingua studiata” (Barsi, 2005: 27). In questo metodo si identifica la lingua con il codice scritto: lo scopo principale era quello di preparare gli studenti alla lettura dei classici in lingua straniera senza il tramite delle traduzioni. La spiegazione veniva impartita nella lingua madre degli studenti ai quali venivano fornite delle liste bilingui di vocaboli da imparare. 95 Una lezione tipica

consisteva in una lettura selezionata, due o tre colonne di nuovi vocaboli con a fianco l’equivalente nella lingua madre e un test finale. Le abilità linguistiche erano valutate secondo la capacità degli studenti di analizzare la struttura sintattica della lingua. Per quanto concerne il lessico esso era scelto in funzione della spiegazione della regola                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

si utilizzerà approccio quando gli stessi ideatori utilizzano il termine per riferirsi alla loro proposta (come per il Natural Approach o il Lexical Approach).

92 Già Balboni (1985: 35) aveva fatto un’osservazione di questo tipo.

93 In realtà, già Danesi (1988: 11-12) aveva utilizzato la distinzione in metodi deduttivi e metodi induttivi in glottodidattica.

94 Questo metodo fu introdotto per la prima volta alla fine del diciottesimo secolo per insegnare le lingue moderne nelle scuole pubbliche in Prussia diffondendosi poi in tutta Europa. Come spiega Barsi (2005: 28), esso “fu influenzato da una realtà in via di trasformazione. Da una parte si avvertì sempre più la necessità di imparare le lingue moderne sotto l’impulso dell’industrializzazione e del commercio, dall’altra si fece strada l’idea di una glottodidattica rivolta alle scolaresche, e non solo al singolo individuo che poteva affidarsi a un precettore. […] Il metodo grammatica-traduzione fu elaborato a questo precipuo scopo: insegnare in modo pratico e semplificato a un gruppo di studenti di livello culturale medio-basso”.  

95 Va anche detto che in questo periodo i dizionari bilingui divennero i più comuni materiali di riferimento.

grammaticale e se sorgevano delle difficoltà si faceva largo uso dell’etimologia.96

Barsi però osserva che (2005: 31-32)

a livello intuitivo le liste dei vocaboli da imparare a memoria sono spesso costituite attorno a un tema, ma non si procede in alcun caso a una didatticizzazione del lessico attraverso quelle relazioni semantiche che permettono al discente di costruire una rete mentale funzionale all’apprendimento e alla memorizzazione delle parole della lingua straniera. Si può tuttavia affermare che nel metodo grammatica-traduzione la prospettiva onomasiologica domina su quella semasiologica, e cioè l’apprendimento dei nomi delle cose è più importante dello studio del senso delle parole per il quale si ricorre alla traduzione in lingua materna.

Va osservato che il metodo grammaticale-traduttivo, pur essendo sicuramente uno tra quelli che ha ricevuto più critiche, non è mai stato davvero abbandonato nelle classi di lingue ed è infatti considerato il cosiddetto metodo ‘classico’ o ‘tradizionale’.97

• Il Reading Method o metodo della lettura. Elaborato da alcuni educatori inglesi e statunitensi intorno agli anni venti del secolo scorso, questo metodo costituì “una variante al metodo grammaticale-traduttivo, di cui delimita gli obiettivi, riducendo le difficoltà per gli apprendenti” (Piva, 2000: 180). Esso infatti si concentrava sullo sviluppo della sola abilità di lettura e comprensione dei testi allo scopo di conseguire successi più rapidi e generalizzati. Anche in questo caso la lingua d’insegnamento era la L1 e dal punto di vista teorico si ritrova la stessa idea che caratterizzava il metodo                                                                                                                

96 Rispetto al modo in cui viene affrontato il lessico va ricordato che “prima dell’affermarsi dello strutturalismo […] la grammatica era al centro di ogni riflessione linguistica e che lo studio dei vocaboli riguardava unicamente l’etimologia e i cambiamenti semantici sull’asse diacronico. D’altra parte, fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, il lessico era considerato, al contrario dell’ordine grammaticale, un magma poco strutturabile” (Barsi, 2005: 29).

97 Sempre Barsi (2005: 63) osserva che “la tendenza all’eclettismo che caratterizza l’insegnamento delle lingue straniere all’inizio del XXI secolo – sempre più incline a sfumare il rigorismo di un unico metodo – ha recuperato, almeno parzialmente, alcuni presupposti teorici legati al metodo grammatica-traduzione, nella convinzione che vi siano nel discente delle competenze linguistiche ed extralinguistiche sulle quali far leva per favorire la riflessione e di conseguenza la conoscenza di una lingua straniera”. Tuttavia, prosegue la studiosa, va fatta una distinzione. Ci sono infatti alcuni insegnanti che adottano il metodo grammaticale-traduttivo perché “si rifanno a principi desueti, come quello dell’apprendimento di una lingua straniera attraverso l’esercizio esclusivo dell’applicazione delle regole e della traduzione” (2005:63), e che come sottolinea Danesi (1988: 13) ripiegano su questo metodo perché è meno ‘faticoso’ di altri. Allo stesso tempo, però, alla base di diversi metodi vi sono dei “criteri di analisi contrastiva che prevede il confronto sistematico della L1 con la L2. L’insegnamento/apprendimento della L2 si fonda in questo caso sul confronto tra i due codici, effettuato con il tramite della traduzione, che si rivela una tecnica efficace non solo a livello linguistico e metalinguistico, ma anche sul piano più strettamente psicologico, poiché l’apprendente è rassicurato dal raffronto tra ciò che è conosciuto e ciò che è sconosciuto” (Barsi, 2005: 63-64). Nel terzo capitolo si vedrà come diversi manuali adottati a Leeds, e in parte anche il tipo di lezioni portate avanti dagli insegnanti si possono riportare a questa seconda categoria.  

grammaticale-traduttivo, secondo la quale la conoscenza linguistica consiste nell’implementazione di conoscenze sia lessicali che grammaticali riferite principalmente alla lingua scritta (Piva, 2000: 180) anche se, come osserva Balboni (1985: 19) “viene insegnata solo la grammatica necessaria per la comprensione della lettura” e “il vocabolario utilizzato all’inizio è limitato e si allarga gradualmente”. Nel metodo della lettura il lessico ha un ruolo più importante della grammatica e si “tende perciò ad espandere velocemente la competenza lessicale attraverso un apprendimento mnemonico e ripetitivo dei vocaboli” (Rizzardi e Barsi, 2005: 86). Gli studenti si esercitavano, in classe e all’esterno, nella lettura in L2 di testi costruiti ad hoc, cioè testi graduati sia per la quantità e difficoltà del lessico, sia per la complessità grammaticale. Si leggeva anche ad alta voce dedicando particolare attenzione alla pronuncia. Veniva fatta inoltre una distinzione tra lettura rapida ed estensiva e lettura intensiva (Rizzardi e Barsi, 2005: 86-87).98

Sono invece considerati induttivi i seguenti metodi:

• Il Metodo Diretto (o naturale). Con questa denominazione ci si riferisce a diversi metodi dalle caratteristiche comuni risultanti dal movimento di riforma della didattica delle lingue straniere avviatosi nella seconda metà del diciannovesimo secolo (Piva, 2000: 181). Il metodo diretto è associato a diversi nomi, tra cui Lambert Sauveur e Maximilian D. Berlitz. A quest’ultimo si deve l’istituzione di diverse scuole private negli USA e in Europa. L’aggettivo diretto deriva dal fatto che in questo metodo si poneva al centro della didattica il parlare ‘direttamente’ in lingua straniera senza il tramite della L1. Nei metodi che vanno sotto questo nome si “sposta l’attenzione dalla lingua letteraria alla lingua parlata di tutti i giorni […]. Le situazioni proposte sono quelle in cui i discenti potrebbero venirsi a trovare andando all’estero […] e gli argomenti trattati sono quelli della vita quotidiana” (Rizzardi e Barsi, 2005: 76-77). Utilizzando tale metodo si poneva una forte enfasi sulle attività orali e anche la grammatica va appresa non attraverso delle spiegazioni ma attraverso l’esposizione e la pratica della lingua. Inizialmente gli studenti devono imparare ad ascoltare e parlare e solo successivamente impareranno a leggere e scrivere perché si ritiene che la lingua                                                                                                                

98 Si precisa che tra i metodi deduttivi viene comunemente annoverato anche il metodo o approccio cognitivo.

scritta sia da ostacolo all’apprendimento di una pronuncia corretta. Rizzardi e Barsi spiegano che secondo Berlitz “i concetti concreti vanno insegnati attraverso object

lessons, cioè lezioni in cui i discenti sono effettivamente impegnati a esplorare i

fenomeni circostanti” mentre i concetti astratti devono essere presentati “attraverso l’associazione di idee” e la grammatica va spiegata “attraverso esempi, dimostrazioni visive e illustrazioni” e questo in base alla convinzione che “i suoni, le parole e le frasi debbano essere associati direttamente agli oggetti e alle azioni a dimostrazione del loro significato” (2005: 77-78).99 Dovendo rappresentare situazioni di vita quotidiana il

lessico era semplice e familiare. Nelle prime lezioni si proponevano i nomi degli oggetti dell’aula, dei vestiti, delle parti del corpo e gli aggettivi più comuni. Per chiarire i significati del nuovo lessico venivano usati poster e figure ma anche le stesse azioni e la mimica. Come si è detto, invece, le parole astratte venivano insegnate attraverso l’associazione di idee. Per far utilizzare agli studenti i nuovi vocaboli si sfruttava fortemente la tecnica domanda-risposta (Piva, 2000: 181-183; Zimmerman, 1997: 8-9).

• Il Metodo orale-situazionale. Questo metodo si diffuse in Gran Bretagna e in Europa dal 1930 al 1960 e oltre. Esso si basa sul cosiddetto strutturalismo britannico il cui obiettivo è “descrivere in modo sistematico, oggettivo e rigoroso la lingua parlata da individui e/o da collettività in un determinato momento” (Rizzardi, 2005: 128). In questo metodo la grammatica non è più vista come un elenco di regole ma come una lista di strutture e si pone l’accento sulla situazione e sullo scopo della comunicazione. Gli apprendenti devono quindi esercitarsi a parlare il più possibile nella L2 “utilizzando in situazioni costruite appositamente le strutture da apprendere” (2005: 130). In questo metodo l’apprendimento di una lingua viene concepito come l’acquisizione di abitudini e si ritiene che attraverso l’imitazione e la ripetizione sia possibile fissare gradualmente                                                                                                                

99 In Rizzardi e Barsi (2005: 79-81) si legge che uno dei manuali preparati da Berlitz per l’inglese è diviso in Preparatory lessons (object teaching) e in Elementary reading and conversations (dedicata alla lettura e alla conversazione) con diverse indicazioni date agli insegnanti su come procedere durante le lezioni. Al momento in cui si sta per iniziare una nuova lezione, nella prima parte si raccomanda di avere ben presenti i vocaboli già utilizzati in precedenza per evitare di usare parole sconosciute agli studenti. Inoltre, tutte le nuove parole si insegnano prima oralmente e in seguito vanno scritte alla lavagna. Nella