• Non ci sono risultati.

ILAN PAPPE: RICONOSCERE L'ALTRO

L'incipit del dibattito sulla creazione di uno Stato democratico bi-nazionale arabo-ebraico.

Capitolo 3 Il dibattito su una possibile convivenza.

3.1 ILAN PAPPE: RICONOSCERE L'ALTRO

Il dibattito contemporaneo sul conflitto israeliano-palestinese si arricchisce di contenuti volti alla riscrittura della narrazione nazionale israeliana. Si tratta di un valore aggiunto di grande importanza, soprattutto se pensiamo che tali contributi provengono proprio dal mondo intellettuale israeliano. È il caso di Ilan Pappe che nel suo Paura, vittimizzazione, sé e

«l'altro» propone un primo passo verso la composizione del conflitto arabo-

israeliano.

Sulla base del principio che «la soppressione della differenza e la costruzione dell'altro sono quindi indispensabili all'imposizione di una identità nazionale egemonica»61, Pappe attribuisce allo stato di Israele la

responsabilità di aver creato un «odiato altro» nell'identità araba. Corresponsabile di tutto ciò è la storiografia israeliana che ha partecipato alla costruzione dell'altro «come polo negativo del sé»62; difatti la storiografia

israeliana non contempla il terrorismo ebraico successivo al 1948; difatti molti dei suoi esponenti attribuiscono esclusivamente al movimento di resistenza palestinese tali atteggiamenti violenti. Per giustificare le atrocità commesse in nome del sionismo la storiografia israeliana ha attribuito la responsabilità di eventi drammatici ai danni degli arabi a gruppi estremisti, come nel caso del massacro di Deir Yassin commesso dall'Yrgun, un gruppo di estrema destra. Ma gli storici e la comunità israeliana non sono riusciti ad

61 Ilan Pappe, Paura, vittimizzazione, sé e l'altro in Parlare con il nemico. Narrazioni palestinesi e israeliane a confronto, a cura di Jamil Hilal e Ilan Pappe, Bollati Boringhieri, Torino, 2004, p.136.

ammettere le violenze commesse dalla Haganha, lo stesso movimento da cui nasceranno le future forze di difesa israeliane.

Ciò implica, secondo Pappe, il mancato riconoscimento degli arabi come vittime. Eppure in tempi recenti alcuni tentativi in questa direzione sono stati fatti; è il caso della serie televisiva Tekumah prodotta nel 1998 in occasione del cinquantesimo anniversario di Israele. Questo «è stato il primo tentativo popolare di ammettere la possibilità che gli ebrei nel ventesimo secolo non siano stati soltanto tra le vittime ma anche tra i carnefici» . In quella serie tv, ricorda Pappe, si è tentata una narrazione alternativa della storia israeliana, tentativo accolto da un clamore di fischi e indignazione da parte di tutta la comunità israeliana. Secondo Pappe si è trattato di un'occasione persa poiché, come egli stesso afferma, «ammettere le atrocità inflitte alla popolazione indigene della Palestina mandataria, atrocità che hanno portato alla futura formazione del moderno stato di Israele, è un passo necessario e vitale per la socializzazione degli ebrei di Israele, tanto quanto i viaggi dell'orrore nei luoghi dell'olocausto europeo cui sono obbligati […] gli studenti delle scuole superiori di Israele»63.

Riconoscere l'ingiustizia che sta alla base dell'uccisione e della rimozione degli arabi palestinesi da parte degli ebrei metterebbe in crisi i miti fondativi dello stato di Israele: è questa la causa principale del mancato riconoscimento degli arabi come vittime. Occorre aggiungere che tra i miti fondativi dello stato di Israele vi è la narrazione dei primi sionisti che si stabilirono in una terra disabitata facendo fiorire il deserto; anche questa vulgata verrebbe messa in discussione sostenendo la cacciata degli arabi

dalla Palestina.

D'altra parte i palestinesi, secondo Pappe, dovrebbero a loro volta riconoscere le sofferenze del popolo ebraico e lo status degli ebrei di vittime dell'olocausto europeo. Scrive Pappe che «la riluttanza palestinese a riconoscere pienamente l'olocausto e la sua importanza nella costituzione della psiche ebraico-israeliana deriva dalla paura di provare compassione per la sofferenza dell'altro, dopo averlo demonizzato e denigrato per anni descrivendosi come sue vittime».64

Pappe ricorda però che il riconoscimento della vittima nell'altro fa più paura agli israeliani. La ragione principale di ciò risiede nel fatto che l'industria culturale, che comprende scrittori, registi, poeti, musicisti e, il mondo accademico e quello istituzionale hanno raccontato una storia ben diversa. La stessa sinistra sionista ha descritto le stragi perpetrate ai danni degli arabi come il frutto delle circostanze.65

Lo stesso movimento pacifista israeliano Peace Now adotta un particolare atteggiamento, ovvero la distinzione di due periodi della storia israeliana; il primo dal 1948 al 1967 pienamente condiviso e interpretato come momento positivo; il secondo dal 1967 a oggi, quello delle occupazioni della Cisgiordania e Gaza, interpretato come momento negativo. Secondo questo approccio gli ebrei risulterebbero vittime nel primo periodo; come nota Pappe, se tale primo periodo è considerato il più importante, «essere nel giusto al momento dell'origine del conflitto giustifica infatti l'esistenza del sionismo e dell'intero progetto in Palestina. Allo stesso tempo, mette in

64 Ilan Pappe, Paura..., p.139.

dubbio il senso e la moralità del comportamento dei Palestinesi in quel periodo, sollevando molti dubbi sulle loro narrazioni nazionali e implicitamente sui loro diritti. Anche se il sionismo può essersi “comportato male” in seguito, le sue azioni non gettano alcuna ombra di dubbio sulla sua essenza e sulla sua ragion d'essere».66

Eppure non mancano le voci di importanti intellettuali israeliani in opposizione alla narrazione ufficiale; per esempio il filosofo Asa Kasher che affermò che i soldati dell'esercito ebraico, responsabili del massacro compiuto nel 1948 presso il villaggio palestinese di Tantura avrebbero dovuto essere considerati criminali di guerra. Ma Kasher venne citato per diffamazione dai veterani dell'unità israeliana che partecipò al massacro di Tantura. Allo stesso modo sui quotidiani israeliani ogni riferimento a espulsioni e violenze viene considerato dalle istituzioni come un atto di tradimento per lo stato.

Il problema, afferma Pappe, è che la volontà di una rilettura della storia e del riconoscimento della comunità araba come vittima proviene da un esiguo numero di israeliani. La via proposta da Pappe è per l'appunto il reciproco riconoscimento delle due comunità che hanno in comune una storia di sofferenze : «la richiesta che Israele riconosca il suo ruolo nella Nakba si può accompagnare a una parallela richiesta che i palestinesi dimostrino di comprendere l'importanza della memoria dell'olocausto per la comunità ebraica in Israele»67 e ancora «smettere di sentirsi vittime con tutte

le implicazioni che ciò comporta, ammettere l'altro nel discorso nazionale e

66 Ilan Pappe, Paura..., p.141. 67 idem, p. 150.

riconoscere il ruolo di persecutore di Israele sono gli unici mezzi utili per arrivare alla riconciliazione.»68

3.2 MOHAMMED ABU-NIMER: TESTIMONIANZE NON VIO-