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LA CRITICA ALL'ICHUD E LE PROPOSTE ALTERNATIVE

L'incipit del dibattito sulla creazione di uno Stato democratico bi-nazionale arabo-ebraico.

2.3 HANNA ARENDT

2.3.1 LA CRITICA ALL'ICHUD E LE PROPOSTE ALTERNATIVE

La Arendt non manifestò da subito la sua approvazione per le politiche del partito Ichud fondato da Magnes e anzi vi aderirà totalmente solamente in tarda età. Inizialmente definirà il programma del gruppo Ichud utopico e sosterrà che il motivo per cui ha avuto un così grande successo è proprio la

49 Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano, 2003. pp. 276-277.

sua inattuabilità. A suo parere la soluzione bi-nazionale, pur prendendo in considerazione i problemi reali legati al rapporto tra arabi ed ebrei, ha delle carenze notevoli; prima tra tutte il fatto che, secondo la filosofa, lo stato bi- nazionale creerebbe per gli ebrei uno «status minoritario permanente in un

grande impero arabo, collocato sotto il protettorato più o meno forte di un terzo partito, che sia l'Impero britannico o gli Stati Uniti, oppure entrambi.»50

Per Hannah Arendt la Palestina potrebbe diventare per gli ebrei un problema e non una soluzione, costringendoli a minoranza senza alcuna possibilità di sviluppo. Anche la proposta del Commonwealth ebraico in Palestina rappresenterebbe secondo la Arendt una soluzione poco conveniente per gli ebrei di Palestina perché essi rimarrebbero comunque una minoranza. Entrambi i programmi, afferma la Arendt, sostengono l'idea che i conflitti si possono risolvere attraverso i diritti delle minoranze. L'idea del commonwealth creerebbe una maggioranza di ebrei riconoscendo la minoranza agli arabi mentre, al contrario, lo stato bi-nazionale all'interno della federazione di stati arabi darebbe agli ebrei i diritti di minoranza.

Per ovviare ai problemi presentati, la Arend mette in campo più soluzioni. La prima delle quali è la creazione di una federazione:

«La verità è, parlando in generale, che la Palestina (come anche altri piccoli paesi e altre piccole nazioni), può essere salvata come sede nazionale per gli ebrei solo se viene integrata in una federazione. I sistemi federali hanno

50 Questa definizione viene riportata nello scritto Si può risolvere la questione ebraico- araba?, pubblicato su Aufbau (giornale degli immigrati tedeschi) del 1943, e tradotto in lingua italiana da Graziella Rotta in Hannah Arendt, Antisemitismo e identità ebraica. Scritti 1941-1945, Edizioni di Comunità, Torino, 2002, pp 86-87.

grandi opportunità per il futuro, perché è altamente probabile che essi risolvano i conflitti nazionali e possano, perciò, diventare le basi di una vita politica che dà ai popoli la possibilità di riorganizzarsi politicamente.» 51

Il successo di questa soluzione è dato, secondo la Arendt, dal forte stimolo che questa inietta nei popoli, che sono così guidati dalla speranza di potersi organizzare e di partecipare attivamente alla vita politica. La federazione di cui parla Arendt deve essere composta da stati con identità nazionali chiaramente distinte che non devono assolutamente avere un rapporto di minoranza-maggioranza, poiché questo porterebbe ad un inevitabile conflitto. La Arendt prende come esempio la federazione degli Stati Uniti d'America sottolineando come il successo di tale modello politico sia dato dal fatto che in esso tutti gli stati governano il paese con pari diritti decisionali. Anche l'Unione Sovietica, nata dal dissoluzione dell'impero Zarista, è un modello vincente perché gli stati a prescindere dalle loro dimensioni sono reciprocamente equiparati. Per questi motivi Hannah Arendt propone come soluzione al problema arabo-ebraico la creazione di una grande federazione nella quale il popolo ebraico e quello arabo godano di uguali diritti.

La Arendt propone anche un'altra soluzione: una federazione mediterranea; tale soluzione potrebbe avere successo in quanto gli arabi non godrebbero di una posizione di supremazia come invece accadrebbe in una federazione araba. Questa soluzione potrebbe risolvere la questione

51 Hannah Arendt, Antisemitismo e identità ebraica. Scritti 1941-1945, Edizioni di Comunità, Torino, 2002, p. 88.

coloniale di Spagna, Italia e Francia perché è chiaro, ci dice la Arendt, che nessuno dei tre stati potrebbe sopravvivere senza i propri possedimenti nelle rispettive colonie, ma «una simile federazione risolverebbe la questione coloniale di questi tre paesi in modo leale e giusto.»52 In questo caso anche i

diritti degli ebrei che risiedono nelle diverse aree sarebbe risolto con il riconoscimento di uno status politico uguale. Si potrebbe, secondo la Arendt, ampliare questa federazione al fine di creare una federazione di popoli europei sempre più ampia della quale facciano parte, inoltre, anche il Nordafrica e il Vicino Oriente; questa soluzione sarebbe ulteriormente vantaggiosa per gli ebrei perché ad essi sarebbe riconosciuto uno status politico di diritto inter-europeo. Con questa soluzione, dice la Arendt, gli arabi entrerebbero in contatto con le popolazioni europee e allo stesso tempo la Palestina sarebbe riconosciuta come patria dell'ebraismo europeo e mondiale e questo creerebbe le basi per l'eliminazione dell'antisemitismo. Il contatto tra i popoli arabi e quelli europei creerebbe un rapporto di scambio reciproco e arricchirebbe l'Europa, basti solo pensare al contributo che i paesi arabi hanno dato in ambito culturale in passato:

«Il popolo ebraico ha il diritto e il dovere di dire in che mondo vuole vivere. Senza la sua attiva collaborazione, questo è certo, non si può eliminare né il tragico problema né l'allarmante esistenza dell'antisemitismo come arma politica. Di fronte a esigenze utopistiche e a tentativi di pacificazione «realistici», nati da una giustificata disperazione, si devono sviluppare idee costruttive sul futuro del popolo ebraico che eliminino l'isolamento artificiale

52 Hannah Arendt, Antisemitismo e identità ebraica. Scritti 1941-1945, Edizioni di Comunità, Torino, 2002, p. 91.

del problema ebraico e palestinese. Entrambi i problemi saranno risolti solo in una struttura politica che garantisca anche la soluzione dei conflitti e dei problemi nazionali degli altri popoli europei.»53

Un anno più tardi Hannah Arendt si esporrà anche a proposito della costituzione di uno stato ebraico in Palestina dicendo che è inconcepibile sostenere questa idea perché l'idea di costituire una Palestina solamente ebraica non sarebbe altro che un fallimento; lo stato sarebbe precario e creatore di ulteriore instabilità se non si riuscisse a siglare prima un accordo con i popoli arabi confinanti. Questa affermazione riguarda l'idea di far migrare i palestinesi verso l'Iraq e la Siria, come proposto dall'Organizzazione sionista Mondiale; per l'organizzazione, la migrazione e l'abbandono delle proprie terre sarebbe una piccola sofferenza per i popoli arabi della Palestina rispetto a quelle sofferte dagli ebrei in anni di persecuzioni. Questa presa di posizione è fortemente criticata dalla Arendt che scrive in riferimento ai capi sionisti:

«fino ai disordini del 1936 essi hanno fatto di tutto per minimizzare la

questione araba, e solo quando, in seguito ai disordini, il governo inglese è passato a privilegiare gli arabi rispetto agli ebrei, l'Organizzazione sionista ha iniziato a scervellarsi su tale questione. Da allora sentiamo parlare di una migrazione araba volontaria in Siria e in Iraq, o di un «tragico conflitto» dei due popoli, che può essere deciso solo sul piano internazionale delle grandi

53 Hannah Arendt, Antisemitismo e identità ebraica. Scritti 1941-1945, Edizioni di Comunità, Torino, 2002, p. 92.

potenze – e qui tra l'altro si deve accettare un'ingiustizia relativamente piccola (nei confronti degli arabi palestinesi) a favore di una «giustizia superiore» per gli ebrei per i quali, a differenza che per gli arabi, non è aperto alcun altro paese che la Palestina. L'inganno di tali false soluzioni è chiaro.»54

Dal 1944 in poi la Arendt fu sempre più critica nei confronti delle decisioni politiche della dirigenza sionista, sostenendo che ormai da diverso tempo la possibilità di un accordo è stata completamente abbandonata. Si espresse invece a favore rispetto al programma della Lega palestinese per

un'intesa e una cooperazione ebraico-araba fondata da Chaim Kalvarski; il

programma della lega era quello di consentire un'immigrazione di massa e la costruzione della Palestina come sede nazionale ebraica basata su un'intesa permanente tra i due popoli e un'amministrazione bi-nazionale. La lega riuscì a parlare nel suo quotidiano il Misharmar (La guardia) di argomenti che la dirigenza sionista ebraica cercava in tutti i modi di mettere a tacere e aveva l'appoggio dei gruppi dei lavoratori di sinistra tra i quali Ha-Shomer ha-Za'ir, organizzazione di lavoratori giovanile organizzata in Kibbutz55 che poi fondò il

Mapai.

Utile per comprendere al meglio la politica nascosta dalla dirigenza sionista fu per la Arendt il bollettino del Council on Jewish-Arab Cooperation, gruppo fondato da alcuni giovani sionisti americani. Grazie al bollettino si

54 Hannah Arendt, Antisemitismo..., p. 119-120

55 Con il termine Kibbutz (in lingua ebraica: ץוביק) si indica una forma associativa di lavoratori volontari dello stato di Israele, basata su regole rigidamente egualitaristiche e sul concetto di proprietà comune.

conobbero le notizie che all'indomani degli scontri del 1936 sarebbero state celate da altri quotidiani, dietro la diceria di un tragico conflitto. Nei sui scritti, Hannah Arendt sottolinea che la Lega non è da confondersi con le «proposte suicide del gruppo Magnes»56 e che «c'è da sperare che nel corso del loro

sviluppo questi nuovi gruppi non si perdano nella confusione senza fine della ricerca sociologica».57

2.4 SCAMBIO DI LETTERE: GANDHI, BUBER E MAGNES A