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UNO STATO, DUE POPOLI. IPOTESI PER UNO STATO BI-NAZIONALE ARABO EBRAICO.

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Indice

Introduzione

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Capitolo 1: Inquadramento storico. Sulla formazione dello

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Stato di Israele

Capitolo 2: L'incipit del dibattito sulla creazione di uno

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Stato democratico bi-nazionale arabo-ebraico.

2.1: Martin Buber 37

2.1.1: Il principio dell'inclusione. 38

2.1.2:Il sionismo pacifista. 40

2.1.3:Proposta di risoluzione per la questione araba. 43

2.1.4: Brith Shalom: associazione per la pace. 48

2.1.5: Il progetto della lega per l'accordo e la collaborazione

arabo-ebraica e la fondazione dell'Ichud. 51

2.2: Judah Magnes 55

2.2.1: Magnes e il sionismo spirituale ispirato da Ahad ha-am. 57

2.3: Hannah Arendt 59

2.3.1: La critica all'Ichud e le proposte alternative. 66 2.4: Scambio di lettere: Gandhi, Buber e Magnes a confronto. 72

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Capitolo 3: Il dibattito su una possibile convivenza.

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Dalla nascita dello stato di Israele ai giorni nostri

3.1: Ilan Pappe: riconoscere l'altro 78

3.2: Mohammed Abu-Nimer: testimonianze non violente in Israele e Palestina. 82

3.3: Edward Said: riconoscere per essere riconosciuti. 91

Conclusioni

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Bibliografia

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Antologia

1. Proclamazione d'indipendenza dello Stato di Israele. I 2. Scambio di lettere tra Gershom Sholem e Hanna Arendt. III

3. Statuto dell'associazione Brit Shalom. XVII

4. Discorso di Martin Buber ai membri del Brit Shalom. XVIII

5. Programma dell'Ichud. XXXI

6. Dichiarazione di Martin Buber davanti alla commissione XXXII anglo- americana.

7. Relazione della commissione anglo-americana a favore dello XXXVI stato bi-nazionale.

8. Discorso di Martin Buber ai membri dell'Ichud all'indomani XXXVII della relazione della commissione anglo americana.

9. Risoluzione della Nazioni Unite del 29-11-1947. XLI

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Introduzione.

L'obiettivo di questa ricerca è quello di illustrare il contributo di alcuni importanti intellettuali di origini ebraiche al dibattito sulla fondazione di uno stato ebraico in Palestina; si tratta di posizioni discordanti con quello che è comunemente definito sionismo politico, sorto negli ultimi decenni del XIX secolo, che prevedeva la fondazione di uno stato ebraico senza tenere conto delle popolazioni indigene presenti sul territorio. L'approccio di quegli intellettuali, tra cui Buber, Magnes e Arendt, è caratterizzato, anche se in vario modo, da una forte attenzione per la popolazione araba palestinese e teso alla creazione di uno stato bi-nazionale nel quale possano convivere arabi ed ebrei con eguali diritti. Proprio a causa della loro fede nel dialogo e nella costruzione di una convivenza pacifica tra popoli, i loro nomi vennero presto tagliati fuori dalla scena politica sionista; difatti nonostante il loro impegno profuso nella creazione di associazioni, gruppi politici e riviste di stampo pacifista furono presto relegati ai margini del dibattito da parte della dirigenza sionista coadiuvata da grandi potenze europee ed extra europee quali la Gran Bretagna e gli USA.

Il primo capitolo di questa ricerca ha lo scopo di fornire un inquadramento storico sulle vicende, sui personaggi e sui movimenti che hanno preceduto la fondazione dello stato di Israele nel 1948, al fine di ricostruire il contesto in cui operarono gli intellettuali sopra citati.

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Magnes, Arendt sulla questione arabo-ebraica, con una particolare attenzione alle proposte concrete da loro fatte per il raggiungimento di una pacifica convivenza. Mentre per Buber e Arendt è stato possibile consultare un cospicuo numero di saggi a loro dedicati, nel caso di Magnes la ricerca bibliografica ha riscontrato alcune difficoltà; la più importante risiede nel limitato numero di studi sul rabbino ebreo-americano.

Uno dei paragrafi del secondo capitolo contiene alcune riflessioni su uno scambio epistolare a carattere pubblico tra Gandhi, Magnes e Buber avvenuto nel 1939 sul tema della questione ebraica in Europa e su quello della fondazione di uno stato ebraico in Palestina. Chi scrive ha deciso di riportare tali informazioni per mostrare un confronto tra approcci culturali diversi.

Il terzo ed ultimo capitolo prende in considerazione il contributo di intellettuali contemporanei sia israeliani che palestinesi, come Pappe, Said e Abu-Nimer i quali basano le loro posizioni sulla lezione di Buber e Magnes. Ne emerge un quadro del tutto inedito che tende ad una rilettura della storiografia ufficiale israeliana e che mette in luce particolari aspetti di opposizione interna al movimento sionista e allo stato di Israele.

Infine la ricerca si conclude con un'antologia che comprende testi pubblico- istituzionali e testi privati sui quali sono basate le riflessioni contenute nella tesi; alla prima categoria riconduciamo documenti vergati durante particolari occasioni per esempio il documento presentato dall'Ichud alla commissione anglo-americana nel Marzo 1946; alla seconda categoria invece riconduciamo discorsi e lettere redatti da coloro che contribuirono al

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dibattito sullo stato bi-nazionale e che si opposero alla fondazione dello Stato d'Israele.

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Capitolo 1

Inquadramento storico.

Sulla formazione dello Stato di Israele

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1.1 INQUADRAMENTO STORICO SULLA FORMAZIONE

DELLO STATO D'ISRAELE.

Ricostruire la storia antica del popolo ebraico risulta difficile in quanto l'Antico Testamento, come fonte primaria, presenta uno schema storico con forti implicazioni di carattere religioso. Soprattutto in riferimento al periodo delle origini occorre scindere gli eventi strettamente storici da quelli falsati dal mito. L'attendibilità delle fonti bibliche è posta in dubbio dall'inserimento di elementi di carattere letterario che non trovano riscontro nei dati archeologici ed extra biblici, inoltre in essi si verificano continue contraddizioni probabilmente dovute all'accavallarsi di più tradizioni.

Si è certi che durante il 1400 a. C si costituì una lega formata da tribù seminomadi che subì un processo di sedentarizzazione nella regione Palestinese, riuscendo a prendere il potere e a prevaricare sulla società cananea che abitava la regione.

Nel 1200 a. C le tribù di Israele erano radicate nel territorio e avevano ormai sdoganato definitivamente il precedente sistema. Un secolo dopo ebbe inizio quello che venne chiamato periodo dei giudici, personalità inter-tribali che si occuparono di amministrare la giustizia e coordinare le tribù in caso di guerra. L'esistenza di nemici esterni come i Filistei e gli Ammoniti spinse alla creazione di un governo centralizzato. Al regno di Saul seguì quello di David e con esso Israele dominò l'intera area siro-palestinese. Durante il regno l'organizzazione in gruppi etnici fu sostituita da quella territoriale.

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Successivamente con Salomone si assistette ad un rafforzamento delle strutture amministrative; difatti il sistema creato prevedeva la divisione del territorio in due distretti amministrativi nonché la tassazione dei sudditi.

Alla morte di Salomone presumibilmente nel 922 a. C. il regno venne diviso in due parti: il regno di Giuda, fortemente concentrato sulla capitale e basato sulla successione ereditaria e quello di Israele che comprendeva le tribù transgiordaniche e centro-settentrionali, maggiormente distaccate sia fisicamente che amministrativamente dalla capitale.

Durante il 700 a. C gli Assiri riuscirono a conquistare il regno di Israele mentre il regno di Giuda venne preso dai Babilonesi nel 598 a. C. Da questo momento in poi iniziò un periodo di crisi culturale ed economica dei due regni che vide oltretutto la distruzione nel 587 a. C del tempio e delle mura di Gerusalemme da parte dei Babilonesi.

Dopo il regno dei Babilonesi furono i re persiani a dare vita, a partire dal 539 a. C, ad una piccola rinascita del regno di Giuda con la ricostruzione del tempio e delle mura e la restaurazione della comunità ebraica; in ogni caso l'opera di restaurazione riguardò l'ambito religioso e culturale ma non quello politico perché il popolo ebraico si trovava comunque sotto il dominio persiano.1

Il processo di ellenizzazione forzata nel II secolo a. C portò gli ebrei ad un forte risentimento per l'imposizione di una cultura a loro estranea; scoppiarono negli anni numerose rivolte che vennero definitivamente sedate con la conquista di Gerusalemme da parte di Roma nel 63 a. C e la distruzione del secondo Tempio nel 70 d. C per opera di Tito.

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Per quanto questa data sia convenzionalmente utilizzata per collocare cronologicamente la grande diaspora ebraica è opportuno ricordare che già all'altezza del primo secolo a. C erano presenti nel territorio ellenico fiorenti colonie ebraiche che godettero di una certa autonomia sino alla promulgazione dell'editto di Costantino del 313 d. C. che imputava al popolo ebraico l'accusa di deicidio in riferimento alla vicenda di Gesù di Nazaret.2 Gli Ebrei persero l'unità nazionale; contemporaneamente videro

scatenarsi contro di loro persecuzioni di tipo religioso per opera dei cristiani. Durante le crociate fu scatenata contro di loro una vera e propria caccia che causò la morte di 500.000 israeliti. Erano imputati, oltre che di “deicidio”, di essere la causa di carestie e pestilenze e di compiere atroci crimini. Erano costretti a vivere in condizioni di grave discriminazione in quartieri sorvegliati e separati3; in molti luoghi non potevano accedere alle professioni liberali ed

era loro vietato possedere appezzamenti di terra. Inoltre furono obbligati a portare dei segni di riconoscimento come cappelli colorati, simboli di panno cuciti sugli abiti o un velo sul volto per le donne.

Nel 1348 furono perseguitati perché considerati causa principale dell'epidemia di peste nera che si diffuse in tutta Europa. Nella sola Germania furono sterminate centinaia di comunità ebraiche. Nel 1492 nella Spagna di Ferdinando e Isabella, regnanti cattolici, furono costretti a lasciare la nazione 300.000 ebrei che prima avevano vissuto sotto la protezione dei sovrani di Aragona e di Castiglia. Dopo la cacciata dalla Spagna si

2 Cfr. J. Kastein, Storia del popolo ebraico, Milano, Corbaccio, 1935.

3 I quartieri separati furono istituiti dal IV Concilio Lateranense del 1215, in Italia prenderanno il nome di ghetti. La parola ghetto nasce a Venezia dove gli ebrei furono concentrati in un'isola ospitante in precedenza un ghèto ossia fonderia ed è attestata per la prima volta nel cronista veneziano Marin Sanuto, 1516. Cfr. Grande Dizionario della Lingua Italiana, dir. da S. Battaglia e poi da G. Barberi-Squarotti, Torino, Utet, 1961-2003.

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spostarono verso il nord Africa, verso la Turchia, dove il sultano Selim li accolse benevolmente, verso l'Europa dove però vigevano per le diverse comunità forme di diritto nazionale separate, molto spesso tutte sotto il controllo dei sovrani che le manovravano a loro piacimento e secondo i propri interessi.

Nel 1555 il cardinale Carafa, capo dell'inquisizione, divenne pontefice e promulgò la bolla Cum nimus absurdum nella quale si diceva inconcepibile che gli ebrei potessero abitare nei quartieri migliori di Roma e che potessero impiegare domestici cristiani e abusare della bontà cristiana; per questo motivo promulgava una serie di norme tra cui quella riguardante la creazione di appositi quartieri separati per gli ebrei, i ghetti.

Il duca Cosimo I di Toscana, al contrario, si dimostrò aperto a questo popolo: nel 1549 emanò le lettere patenti, rinnovate poi nel 1558, con le quali si invitavano gli ebrei a trasferirsi nel territorio di Pisa che comprendeva anche la nascente Livorno, tutelandoli dall'inquisizione per dieci anni rinnovabili, inoltre diede loro una serie di privilegi che altrove erano ancora impensabili.4

Solamente nel 1781, quando fu emanata dall'imperatore d'Austria Giuseppe II la patente di tolleranza che concedeva la libertà di religione ai gruppi non cattolici tra cui gli israeliti e nel 1791 con la Rivoluzione francese che equiparava gli ebrei agli altri cittadini, il popolo ebraico fu liberato parzialmente dalle discriminazioni.

Nel 1807 a Parigi, durante il grande Sinedrio voluto da Napoleone, i

4 Cfr. Lucia Frattarelli Fischer, Vivere fuori dal ghetto, Ebrei a Pisa e Livorno (secoli XVI-XVIII), Zamorani, Torino, 2009.

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rappresentanti ebraici si dimostrarono disposti ad un'apertura verso le leggi dello stato. Tuttavia nessun principio di assimilazione ai gentili5 fu mai

applicato in quanto la religione ebraica rifiutava di fondersi con le altre comunità. Intorno alla fine del 1800, con lo svilupparsi di idee di stampo nazionalista in tutta Europa, gli Ebrei divennero nuovamente una comunità estranea. La parola antisemitismo nacque proprio in Germania nella seconda metà del 1800.

La comunità più numerosa si trovava nell'Impero Russo e viveva confinata in un territorio chiamato zona d'insediamento con il divieto d'accesso alle professioni liberali e all'istruzione. Nel 1881, alla morte dello zar Alessandro II, il malcontento popolare venne indirizzato verso gli ebrei e a questo seguirono, nel 1882, le leggi di maggio che sancirono ulteriori discriminazioni per le comunità ebraiche che vennero poi cacciate dai territori dove vivevano; da qui al 1914 prese il via la grande migrazione verso l'occidente e soprattutto verso gli Stati Uniti.

Si aggiunga che lo spirito nazionalista degli ultimi decenni dell'Ottocento fece nascere anche presso la comunità ebraica il desiderio di avere una nazione in cui riunirsi. Abba Eban, politico e intellettuale ebreo scrive a tal proposito:

«Nella storia del sionismo si riuniscono due fili. Il primo è la tenacia degli ebrei nel conservare la propria identità, che è fortemente legata ai ricordi della terra in cui, migliaia di anni prima, avevano conosciuto il loro breve ma

5 Gentili è il termine italiano col quale si traduce la parola ebraica goym o gojim (ebraico singolare goj יוג, plurale םיוג; yiddish יוג goj, plurale םיוגgojim) e indica chi non è ebreo.

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splendido momento di libertà. L'altro è l'avvento del nazionalismo europeo, che trasmise agli ebrei, perseguitati e umiliati, quello stesso sogno che stava portando molte altre nazioni alla libertà e all'autoaffermazione.

L'idea nazionale dovette subire una speciale trasformazione, per divenire operante nell'esperienza ebraica. In nessun altro caso un popolo aveva conservato la propria identità e distinzione, in tanti secoli di esilio, in maniera abbastanza vitale da assicurare la definitiva rinascita.»6

Anche gli Ebrei quindi iniziarono a coltivare il senso dell'orgoglio nazionale. Il ricordo della Palestina era sempre presente sotto l'antica speranza del ritorno a Sion e con il passare degli anni diventò sempre più urgente e concreto; difatti durante tutto il XIX secolo furono fatti diversi tentativi di insediamenti di piccole comunità ebraiche in Palestina. Tra il 1880 e il 1890 nacque il movimento Chibbat Zion, il cui nome significa “L'amore per Sion” e che contribuì alla formazione delle prime colonie ebraiche come quelle di Rishon le-Zion, Petach Tikva, Rechovot e Rosh Pina. Queste comunità agivano sotto la protezione di personaggi influenti che investirono in questo progetto:

«Ma, anche con l'afflusso di migliaia d'immigranti ebrei in Palestina, la lotta contro la natura sembrava così impari che tutto sarebbe crollato senza l'aiuto del barone Edmond de Rothschild, il quale prese sotto le sue cure alcuni dei primi villaggi e investì quasi sei milioni di sterline nell'acquisto di terreni per le prime colonie ebraiche serie e compatte. Ma anche questa benevolenza non tardò a diventare amara. I rappresentanti del barone erano guidati da un

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atteggiamento di filantropia e condiscendenza poco adatto a soddisfare una particolare gratitudine in chi ne beneficiava. Verso il 1900, la piccola comunità ebraica stanziata nel territorio d'Israele era divisa in tre gruppi: i pii ebrei ortodossi, che vivevano della carità dall'estero; un gruppo di agricoltori combattivi, ma soggetti agli autoritari e talvolta corrotti agenti di Rothschild: e, infine, alcuni uomini di spirito idealistico e di animo ardente che cercavano di sfuggire tanto alla filantropia del barone Rothschild, quanto all'oscurantismo religioso, creando villaggi a base collettivistica (quelli che dovevano diventare i kevutzot e i kibbutzim) lungo il corso superiore del giordano ».7

Le potenze europee erano ovviamente interessate ai possedimenti dell'impero Ottomano sia nel mediterraneo che in Asia e quindi spinsero perché l'impero si sfaldasse ulteriormente per poterne disporre a piacimento. Questo processo in particolare fu agevolato dalla Francia e dalla Gran Bretagna che incoraggiarono la migrazione degli Ebrei e la costruzione di colonie, probabilmente consapevoli che questo avrebbe causato ben presto dei problemi.

Il territorio non costituiva un'entità politica chiara e distinta ma faceva parte dell'Impero Ottomano ed era diviso in due parti: il sangiaccato di Gerusalemme e il vilayet di Beirut con una popolazione di poco superiore ai 600.000 abitanti, in gran parte Arabi di religione musulmana sunnita. La popolazione era rappresentata in gran parte dai fellahin, contadini che avevano un forte legame con la terra che coltivavano ma che tuttavia, in

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molti casi, non avevano diritti di proprietà su di essa. I terreni erano amministrati secondo il sistema della mesha'a che prevedeva il possesso comune delle terre che venivano ciclicamente ridivise tra gli abitanti. Il controllo delle terre era comunque legato a importanti latifondisti che possedevano nella pratica i terreni e che costituivano anche l'élite politica del tempo.

L'impero Ottomano attraversava un periodo di grave crisi alla fine del 1800 e la questione fu posta al centro dei dibattiti nei salotti e nelle cancellerie dell'Europa. Oltre al crescente nazionalismo ebraico anche quello arabo divampò con la rivoluzione turca del 1908, dopo la quale salì al potere il movimento dei Giovani turchi «il cui programma affermava il carattere turco dell'impero Ottomano, allontanandolo così dalla linea di collaborazione con le élite arabe»8; intanto i nuovi insediamenti ebraici alimentavano ancor

più la chiusura e l'affermazione del nazionalismo arabo legato al ricordo di un passato glorioso in cui il Medio Oriente arabo, l'Africa del nord e la penisola iberica con le città di Il Cairo e Cordova rappresentavano il centro culturale del mondo ed erano di gran lunga superiori alle capitali europee cristiane per qualità delle infrastrutture offerte ai sudditi e per numero di abitanti, per gli studi della filosofia e della matematica.9

Anche in Europa il clima era teso; infatti nel 1894, all'indomani della guerra franco-prussiana, in corrispondenza dell'acuirsi del sentimento antisemita, si scatenò uno scandalo che divise la Francia per diversi anni.

8 Thomas G. Fraser, Il conflitto arabo-israeliano, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 9. 9 Cfr. Ibidem.

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Alfred Dreyfus, un ufficiale ebreo dell'esercito francese, sulla base di prove alquanto vaghe, venne accusato di tradimento per aver venduto informazioni all'impero tedesco; Dreyfus venne poi degradato e condannato ai lavori forzati dopo un processo che si svolse a porte chiuse e durò quattro giorni. Il caso volle che un altro personaggio in quei giorni si trovasse a Parigi: era Theodor Herzl.

Theodor Herzl, nato nel 1860 a Budapest, si laureò in legge presso l'Università di Vienna; successivamente preferì dedicarsi alla carriera giornalistica anziché alla professioni legali. Intorno al 1890 si recò in Francia come corrispondente di un giornale e rimase particolarmente colpito dal clima teso nei confronti della comunità ebraica nonché dallo stesso caso Dreyfus che significò per lui un classico esempio di accanimento contro un ebreo. Nel 1896 Herzl pubblicò Der Judenstaat (lo stato degli Ebrei), in cui esponeva, attraverso il supporto del pensiero di diversi teorici precedenti, l'idea che il popolo ebraico si sarebbe potuto salvare solamente con la creazione stato ebraico libero e indipendente, che potesse accogliere tutti gli ebrei dispersi nel mondo. Herzl divenne così il fondatore del sionismo moderno e il suo libro si diffuse sia nelle comunità ebraiche orientali che nell'Europa Occidentale trovando comunque, al loro interno, degli oppositori come l'allora giovanissimo Martin Buber.

Nel 1897 fu convocato a Basilea il primo congresso sionista presieduto dallo stesso Herlz. Lo scopo del congresso era quello di creare in Palestina un asilo per il popolo ebraico, garantito dal diritto internazionale e

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riconosciuto come uno stato sovrano. Per fare ciò si doveva riuscire a stipulare un trattato con il governo turco; i sionisti furono irremovibili sul luogo dove far nascere lo stato, ovvero la Palestina. Herlz prima della sua morte, nel 1904, cercò di dare delle alternative come l'Argentina o l'Uganda ma fu accusato di tradimento. Dopo la morte di Herzl, il progetto sionista si concretizzò maggiormente. Chaim Weizmann, scienziato ebreo che viveva in Inghilterra e insegnava all'Università di Manchester, fu colui che contribuì maggiormente in tal senso. Pensò di creare un flusso migratorio costante in Palestina in modo da costituirvi un'importante comunità israelita come premessa del futuro stato ebraico. La migrazione, seppur ufficiosa, da un punto di vista internazionale era regolata da un piano ben delineato; infatti furono fondati a tale scopo istituti come il credito coloniale ebraico (1901) che diventerà la banca Leumi Le-Israel e qualche anno più tardi il Fondo Nazionale Ebraico, che contribuì in maniera decisiva alla migrazione degli ebrei e acquistò dai proprietari arabi locali i terreni, occupandosi del loro rimboschimento e della loro valorizzazione perché fossero pronti ad ospitare i nuovi proprietari.

Con l'entrata in guerra della Turchia nel novembre 1914 i britannici cercarono di scendere a patti con gli arabi attraverso lo sceriffo della Mecca Hussein e nel corso del 1915 si svolsero dei negoziati fra le due parti: l'alto commissario britannico al Cairo Henry McMahon, in cambio di aiuto per combattere i turchi, fece delle promesse agli arabi per la loro indipendenza.10

Le promesse contenevano una specifica clausola:

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“I due distretti di Mersina e Alessandria e quelle parti della Siria che si trovano a ovest dei distretti di Damasco, Homs, Hama e Aleppo non possono essere definiti interamente arabi, e vanno esclusi dai confini richiesti”11.

Gli arabi sostenevano che i territori da escludere fossero quelli che sarebbero diventati Siria e Libano mentre gli inglesi sostennero che si trattasse dei territori della Palestina per quanto la regione non fosse neanche citata. Da questa promessa derivò un importante controversia che in realtà affondava le sue radici nel fatto che l'Inghilterra iniziasse a guardare, nell'estate del 1917, al movimento sionista come un possibile alleato per la guerra. I sionisti potevano essere d'aiuto in due modi: potevano sostenere il fronte russo che rischiava di crollare dopo la rivoluzione di febbraio e allo stesso tempo potevano influire all'incremento dell'impegno bellico americano. A tale scopo, Weizmann, il quale era entrato in contatto con una serie di uomini politici tra cui Arthur Balfour, che era Ministro degli Esteri, riuscì a girare le carte a suo favore ottenendo una dichiarazione dall'Inghilterra il giorno 2 novembre 1917 nota come Dichiarazione di Balfour. La dichiarazione, che ebbe l'approvazione anche della Francia e degli Stati uniti, costituisce la base dei diritti degli Ebrei a occupare la Palestina.

La Dichiarazione fu scritta in forma di lettera privata indirizzata a Lord Lionel Rothschild:

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Egregio Lord Rothschild,

È mio piacere fornirle, in nome del governo di Sua Maestà, la seguente dichiarazione di simpatia per le aspirazioni dell'ebraismo sionista che è stata presentata, e approvata, dal governo.

"Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni"12.

Le sarò grato se vorrà portare questa dichiarazione a conoscenza della federazione sionista.

Con sinceri saluti

Arthur James Balfour

In realtà l'Inghilterra sapeva bene che nella pratica il progetto era molto più difficile di quello che appariva nella dichiarazione, ma in quel momento rappresentava l'unico modo per ottenere l'appoggio degli Stati Uniti, dove la comunità ebraica era particolarmente influente da un punto di vista politico.

Nel 1918 Weizmann incontrò, vicino a Aqaba, Feisal, figlio di Hussein, e insieme diedero vita al primo e unico accordo che sia mai stato realizzato tra le due parti, accordo che però non si concretizzò; il 12 dicembre 1918 Feisal rilasciò la seguente dichiarazione al Times:

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«I due rami principali della stirpe semitica, gli arabi e gli ebrei, si comprendono l'un l'altro e io spero che, come risultato dello scambio di idee da noi avvenuto alla Conferenza di pace, ciascuna nazione farà un progresso decisivo verso la realizzazione delle proprie aspirazioni. Gli arabi non sono gelosi degli ebrei sionisti e intendono lasciar loro buon gioco, ma gli ebrei sionisti a loro volta, hanno assicurato ai nazionalisti arabi della propria intenzione di badare che anch'essi abbiano buon gioco nei rispettivi territori».

Questo fu uno dei momenti fondamentali del conflitto: gli arabi non si assicurarono il loro grande stato arabo che avrebbe dovuto comprendere la Siria, l'Iraq e la penisola arabica, mentre la piccola Palestina non fu concessa agli ebrei; quindi la Francia espulse Feisal da Damasco. A questo punto il movimento nazionalista arabo richiese la completa liberazione della Siria e l'unione con la Palestina opponendosi definitivamente alla dichiarazione di Feisal.

Il 24 luglio 1922 l'Inghilterra ottenne il mandato britannico sulla Palestina, il mandato faceva anche riferimento agli impegni presi nella dichiarazione di Balfour:

« Il Mandato (…) assicurerà la costituzione del focolare nazionale Ebraico, come dichiarato nell'introduzione, e lo sviluppo di istituzioni di autogoverno, e inoltre per la salvaguardia dei diritti civili e religiosi di tutti gli abitanti della

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Palestina, indipendentemente da razza o religione»13.

Nel mandato però si faceva anche riferimento agli arabi palestinesi cercando di tutelarne i diritti. Ovviamente il complesso di promesse era inconciliabile e il malcontento si era già manifestato nel 1920 e nel 1921, quando gli arabi protestarono sia contro il governo britannico che contro le comunità ebraiche. Per questo motivo il ministro delle Colonie Wiston Churchill nel 1922 ridefinì, attraverso un memorandum, l'espressione

focolare nazionale definendolo come «un centro verso il quale il popolo

ebraico nella sua interezza, sulla base della religione e della razza, possa provare interesse e orgoglio».14

Il focolare nazionale intanto aumentò le sue dimensioni passando da 83.790 ebrei su una popolazione totale di 752.048 nel 1922 a 156.481 su 992.559 nel 1929.15A poco a poco, con la continua migrazione degli ebrei

soprattutto dall'est Europa, la popolazione araba si vedeva privata delle terre e ridotta ad una condizione di inferiorità; intanto nei territori occupati crescevano le infrastrutture e le organizzazioni soprattutto per merito di Weizmann che godeva di un notevole prestigio; infatti si costituì l'Agenzia ebraica per la Palestina che si occupava di costruire scuole e ospedali, fu costruita nel 1925 anche la fondazione, sul monte Scopus, dell'Università ebraica di Gerusalemme.

Uomo di spicco dell'Agenzia ebraica a partire dagli anni Trenta fu Ben

13 Cito il testo da T. G. Fraser, Op. cit., p. 14.

14 Cfr. Fromkin D., Una pace senza pace, Milano, Rizzoli, 1992. 15 Cfr. Anon, Great Bitain and Palestine 1915-1939, London, 1939.

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Gurion, un ebreo di origini polacche che era emigrato in Palestina e aveva collaborato, per le sue profonde ispirazioni socialiste, alla fondazione e alla direzione dell'associazione sindacale Histadrut che mirava a organizzare i lavoratori ebrei su linee socialdemocratiche e del Mapai, il partito unificato dei lavoratori. Ben Guiron sapeva bene che il territorio della Palestina non era disabitato e che la visione di Ber Borochov, che voleva incorporare marxismo e nazionalismo sostenendo che la comune condizione di lavoratori degli arabi e degli ebrei avrebbe fatto pesare meno i loro nazionalismi, non era concreta. In realtà l'Histadrut non fece altro che creare un socialismo di tipo nazionalista che prevedeva una società del tutto simile a quella capitalista e non fece niente di concreto per promuovere valori di uguaglianza né all'interno delle proprie istituzioni né, successivamente, nello stato di Israele16. L'idea di Ben Guiron era chiara già nel 1922 quando in una

dichiarazione di intenti del 1922 disse:

«Noi dobbiamo stabilire chiaramente il punto di vista iniziale dal quale possiamo giudicare il nostro lavoro in questo paese. A me sembra che il punto di vista iniziale del compagno Levkovitch sia sbagliato. Non è cercando un modo per ordinare le nostre vite attraverso i principi armoniosi di un perfetto sistema di produzione socio-economica che possiamo stabilire una linea d'azione. In cima ai nostri pensieri dovrebbe esserci la conquista del Paese e la sua edificazione attraverso una vasta immigrazione. Tutto il resto sono mere parole e fraseologia; e – non inganniamo noi stessi –

16 Cfr. Zeev Sternhell, Nascita di Israele. Miti, Storia, Contraddizioni, Milano, Baldini&Castoldi, 1999.

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dobbiamo procedere verso una consapevolezza della nostra situazione politica: vale a dire, una consapevolezza dei rapporti di potere, della forza del nostro popolo nel nostro Paese e al di fuori di esso. Come risultato di tale consapevolezza possiamo giungere a una sola conclusione: noi siamo di fronte a una catastrofe. Siamo di fronte al fallimento del movimento sionista, a una terribile crisi in atto in questo Paese. La possibilità di conquistare la nostra terra ci sfugge dalle mani. Il nostro problema concettuale è l'immigrazione... e non l'adattare le nostre vite a questa o a quella dottrina. Noi non siamo studenti di una Yeshivah che dibattono... sui punti più sottili del miglioramento personale. Siamo i conquistatori d questo Paese: ci troviamo di fronte a un muro di ferro e dobbiamo fare una breccia attraverso di esso. Dove troveremo la forza e le risorse necessarie per conquistare la nostra terra nel breve tempo che la storia ci ha concesso?

Il movimento nazionale sionista ha fallito, il tempo della crisi è giunto. Esso non ha saputo trovare in sé quella forza di volontà e quell'energia che un simile momento catastrofico richiede. Questa è la situazione che abbiamo visto nel Paese e siamo così giunti alla conclusione che il movimento è incapace di conseguire i grandi obiettivi che ci attendiamo da esso.

Ora, in tali momenti di crisi, tutti gli aspetti di questo problema emergono di fronte a noi. Come possiamo dirigere il movimento sionista in modo che diventi un movimento di grande forza di volontà e capacità, imbevuto di un senso di responsabilità storica, in grado di portare a termine la conquista della nostra terra per mezzo dei lavoratori ebrei e capace di trovare le risorse per organizzare una massiccia immigrazione e un insediamento dei

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lavoratori attraverso le loro personali capacità?

La creazione di un nuovo movimento sionista, un movimento sionista di lavoratori, costituisce il primo requisito fondamentale per la realizzazione del sionismo. Senza questo tipo di movimento, il nostro lavoro in questo paese non porterà a nulla. Senza un nuovo movimento sionista che sia interamente a nostra disposizione non v'è futuro e non v'è speranza per le nostre attività.»17

Queste furono le direttive che il movimento sionista portò avanti; come sostenuto dallo studioso Zeev Sternhell, quell'interpretazione del socialismo fu essenzialmente strumentale alla conquista del paese e alla realizzazione del sionismo.

Dal 1922 al 1928 la situazione fu relativamente calma sino a quando scoppiarono dei tumulti vicino al muro del pianto tra manifestanti ebrei e arabi. Morirono 133 ebrei e 166 arabi e l'Inghilterra dovette rassicurare gli arabi circa il fatto che si sarebbero potuti insediare in Palestina un numero massimo di altri 20.000 ebrei; ovviamente la dichiarazione da un lato rassicurò gli arabi che comunque rimanevano scettici, ma dall'altro provocò l'ira dei sionisti e dello stesso Weizmann. Weinzmann era talmente influente che nel febbraio del 1931 Ramsay MacDonald, primo ministro britannico, disse che l'Inghilterra non aveva nessuna intenzione di bloccare l'ingresso degli ebrei in Palestina.18

Il 30 gennaio 1933 Adolf Hitler divenne cancelliere e dopo soli due

17 D. Ben Guiron, Replica alle critiche al terzo congresso di Ahdut ha- 'Avodah, In Kuntras, Vol VI, CXIX (19 gennaio 1923), p. 29.

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mesi la sua dittatura era già consolidata, disseminando il panico nelle comunità ebraiche di tutta l'Europa. Gli Stati Uniti chiusero le frontiere e gli ebrei migrarono tutti verso la Palestina e in maggioranza verso le città di Gerusalemme, Haifa e Tel Aviv.

Gli Arabi non rimasero indifferenti davanti a questa migrazione: il numero degli ebrei in Palestina era, nel 1936, di 370.000 persone su un totale di 1.336.51819; inoltre gli arabi avevano avuto, nel 1931, con le

dichiarazioni del primo ministro britannico, la prova dell'altissima influenza degli ebrei sull'Inghilterra. Secondo gli arabi questo avrebbe portato in breve tempo ad un'occupazione totale della Palestina.

Nell'Aprile 1936 iniziò la rivolta araba con l'uccisione di un ebreo vicino a Nablus e l'istituzione dell'alto comitato arabo. I britannici reagirono duramente e la rivolta fu soffocata anche con l'aiuto di organizzazioni clandestine ebraiche come l'Hagana, gruppo di difesa dell'agenzia ebraica. A questo punto l'Inghilterra si vide obbligata a trovare una soluzione politica al problema, soprattutto per il clima che si respirava in Europa a causa della la tensione con l'Italia fascista, la Germania nazista e la Spagna franchista. Fu istituita una commissione denominata Commissione reale per la

Palestina, la quale avrebbe dovuto ricercare le motivazioni delle due parti al

fine di dare risposte a entrambe le minoranze. Il professor Reginald Coupland dell'università di Oxford arrivò presto a una conclusione: poiché la cultura araba era di origine asiatica mentre quella ebrea era di origine europea, i due popoli non potevano trovare dei punti d'incontro poiché troppo

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lontani culturalmente gli uni dagli altri; per questo motivo la commissione proponeva il giorno 7 luglio 1937 la spartizione del territorio in due stati, uno per la popolazione araba, l'altro per quella ebraica.

Questa proposta creò il malcontento su diversi fronti, primo fra tutti il quello arabo che si oppose fermamente. Anche diversi intellettuali ebraici si opposero, per quanto lo stesso Weizmann si fece convincere della bontà della proposta divenendone un risoluto sostenitore. Il giorno 8 settembre 1937 si riunì a Bludan la conferenza degli stati arabi che dichiarò la sua condanna alla proposta della spartizione con la motivazione che la Palestina era parte integrante del mondo arabo.

Solamente due mesi dopo, tra 8 e il 9 novembre, in Germania ci fu quella che passò alla storia come “Notte dei Cristalli” con la devastazione di negozi appartenenti ad ebrei, distruzione delle sinagoghe e migliaia di arresti. Successivamente, alla fine del 1937, l'Inghilterra, vista la situazione europea e visto il bisogno di assicurarsi il favore degli arabi per garantirsi l'approvvigionamento del petrolio nonché le vie d'accesso a stati come l'India e l'Australia, pubblicò un documento nel quale era scritto che la Palestina, passati dieci anni, sarebbe stata indipendente e che inoltre gli ebrei sarebbero rimasti una minoranza perché il limite relativo all'immigrazione sarebbe stato fissato a 75000 individui. Inoltre la Gran Bretagna dichiarava concluso il suo impegno per la creazione del focolare nazionale.20 Con

questa dichiarazione gli inglesi dichiararono apertamente la fine del sostegno alla causa ebraica, ma i rifornimenti petroliferi erano evidentemente più

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importanti per affrontare la guerra ormai imminente.

La crisi tra il movimento sionista e gli inglesi arrivò nel 1939 con la pubblicazione del Libro Bianco21 che limitò drasticamente l'immigrazione

ebraica e la colonizzazione della terra:

«Tenuto conto della crescita naturale della popolazione araba e l’importanza delle vendite di terre arabe agli ebrei, in certi punti non resta più abbastanza posto per nuovi trasferimenti di terre arabe, mentre in altri punti questi trasferimenti devono essere limitati perché i coltivatori arabi possano mantenere il loro livello attuale di vita e non sia creata nelle vicinanze una corposa popolazione araba senza terre. In queste circostanze, l'Alto Commissario riceverà tutti i poteri per proibire e regolamentare i trasferimenti di terre».22

La pubblicazione del libro bianco ebbe un effetto drastico sulla popolazione ebraica; gli ebrei che vivevano in Europa si sentirono impossibilitati a migrare verso qualsiasi parte del mondo, e quelli che vivevano già in Palestina si divisero tra coloro che volevano combattere Hitler e Mussolini e si arruolarono per poterlo fare e coloro che invece, incentivati dalla pubblicazione del Libro Bianco, volevano combattere gli inglesi e gli arabi e diedero vita all'armata antibritannica. Gli ebrei considerarono la presa di posizione della Gran Bretagna come un tradimento

21 In realtà il Libro Bianco era il terzo pubblicato, dopo quelli del 1922 e del 1930.

22 British White Paper of 1939, in http://avalon.law.yale.edu/20th_century/brwh1939.asp , consultato in data 13/07/2012.

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alla dichiarazione di Balfour e iniziarono a creare organizzazioni sparse sul territorio che cercavano di far entrare illegalmente in Palestina il maggior numero di individui.

La Germania nazista continuò la sua guerra dichiaratamente antisemita e si diede come obiettivo la riorganizzazione della Polonia Occidentale al fine di attuare una germanizzazione della zona ammassando circa due milioni di ebrei in ghetti, come accadde a Cracovia, Lodz e Varsavia. Inoltre Hitler aveva un altro piano strettamente legato agli ebrei, quello di distruggere il bolscevismo che si era legato a questo popolo nella veste di un giudeo-marxismo23. Nel giugno 1941 con l'invasione dell'Unione

Sovietica, milioni di Ebrei finirono sotto il controllo della Germania che iniziò a perpetrare uccisioni di massa come quella di Kiev nel settembre 1941 dove morirono 34.000 ebrei. L'obiettivo sembrava essere quello di eliminare il maggior numero di ebrei, qualunque fosse stato l'esito finale della guerra.

Durante l'inverno tra il 1941 e il 1942 si attuò l'ordine per la soluzione

finale della questione ebraica affidato da Hermann Goering tramite una

lettera24 al capo delle SS Reynhard Heydrich. Con la liquidazione del ghetto

di Lodz avvenne la prima applicazione dell'ordine con l'uso su larga scala delle camere a gas. Il 20 gennaio 1942 Heydrich indisse una conferenza per organizzare le varie zone del Reich per la riuscita della soluzione finale. In questa sede il capo delle SS spiegò come agire: gli ebrei dovevano essere suddivisi tra chi poteva lavorare nei campi di lavoro forzato e chi non era in

23 Cfr. Thomas G. Fraser, Il conflitto arabo-israeliano, Bologna, Il Mulino, 2004. 24 Carta di Goering, http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2c/Carta_G

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grado di lavorare: questi ultimi dovevano essere eliminati. Il numero preciso degli ebrei uccisi non si conosce ma si sa che varia tra i 5.600.000 e i 6.900.000. 25

Per gli ebrei questi numeri significarono solamente la necessità di avere uno stato in cui potessero governare ed essere sicuri della loro futura sorte, ciò che il dipartimento di stato americano descrisse come un desiderio

cosmico di assicurarsi uno stato ebraico. Anche il comportamento della Gran

Bretagna costituì un incentivo all'esasperante desiderio di uno stato ebraico; infatti nel 1941 la nave delle SS Struma arrivò ad Istanbul con a bordo 769 rifugiati ebrei, ma i Turchi vietarono lo sbarco e gli inglesi impedirono alla nave di proseguire per la Palestina causando così l'affondamento della nave e la morte dei rifugiati. Per gli ebrei fu un'ulteriore conferma del fatto che al mondo intero importasse poco o nulla della loro sorte.

Al fine di riuscire a conquistare la Palestina solamente con le proprie forze, la Hagana iniziò a raccogliere armi. Le organizzazioni che più preoccupavano gli inglesi erano altri due gruppi clandestini: l'Irgun Zvai Leumi e il Lehi. L'Irgun Zvai Leumi (organizzazione militare nazionale) nacque dalla scissione con l'Haganah che veniva considerata troppo moderata e di propensione socialista. Coloro che costituirono l'organizzazione furono i seguaci di Vladimir Jabotinskij che sosteneva che «ogni Ebreo aveva il diritto di entrare in Palestina; solo una forza armata ebraica avrebbe assicurato lo Stato d'Israele»26. Avraham Tehomi ne fu il

25 Cfr. G. Reitlinger, La soluzione finale: il tentativo di sterminio degli ebrei d'Europa, Torino, Einaudi, 1995.

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fondatore nel 1931 e mentre le sue tattiche e i metodi operativi mutarono restando comunque sempre di stampo violento, i suoi obiettivi furono sempre gli stessi: dare una linea non socialista alle organizzazioni sioniste, eliminare gli attacchi della parte araba contro obiettivi ebraici facendo seguire ad ogni attacco arabo una rappresaglia e mettere fine al mandato britannico considerato una violazione del diritto internazionale. Inizialmente l'organizzazione contava poche centinaia di seguaci, ma tra il 1936 e il 1939, durante le rivolte arabe per l'aumento del numero di ebrei, l'Irgun crebbe notevolmente mostrando anche la propria inclinazione all'uso di tecniche di stampo terrorista.

Dal 1940 al 1943 fu concessa una tregua ai britannici in virtù del loro impegno nel combattere la Germania antisemita, ma una frangia del movimento non si dichiarò d'accordo con la tregua affermando che le parole contenute nel Libro Bianco del 1939 fossero pericolose più della minaccia nazista. La frangia si staccò dal movimento dando vita al Lehi (Lohamei Herut Israel, combattenti per la libertà d'Israele). L'organizzazione fu chiamata dalle autorità britanniche Banda Stern, dal nome della sua guida Avraham Stern. Il Lehi colpì dal 1941 indiscriminatamente cittadini arabi e cittadini ebrei considerati collaborazionisti nonché ufficiali ed esponenti del governo britannico, considerato peggiore della Germania nazista, con cui l'organizzazione prendeva periodicamente accordi sostenendo di avere comuni interessi dati dall'insediamento di un nuovo ordine in Europa, in conformità con le concezioni della Germania e le reali aspirazioni nazionali del popolo ebraico. La Banda fu combattuta dal governo britannico, che tra

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la fine de 1941 e il 1942 cercò di smantellarla uccidendo lo stesso Stern, ma l'organizzazione riuscì a sopravvivere sotto la guida di Nathan Yellin-Mor e il 6 novembre 1944 alcuni membri uccisero lord Moyne, ministro britannico in Medio Oriente.

Anche la frangia ufficiale dell'Irgun dichiarò, a partire dal 1944, la sua guerra contro le autorità britanniche, sotto la guida del nuovo leader Menachem Begin. L'Irgun voleva, attraverso gli attacchi terroristici, dare un segnale del costo umano e politico della presenza della Gran Bretagna, mirando così a sensibilizzare l'opinione pubblica.

Dagli anni Ottanta dell'Ottocento sino all'inizio del primo conflitto mondiale gli Stati Uniti accolsero circa due milioni di ebrei che contribuirono alla crescita del paese e che godettero di libertà altrove impensabili. Un fattore che deluse la comunità ebraica d'America furono gli scarsi risultati ottenuti dal presidente Franklin D. Roosevelt, che inizialmente inserì molti ebrei come suoi consiglieri, ma che poi, alla fine degli anni Trenta, non riuscì a modificare le quote d'immigrazione per far entrare i perseguitati negli Stati Uniti.

Roosevelt, consapevole dell'importanza strategica del Medio Oriente e dei contatti con il mondo arabo, fece un doppio gioco; infatti da una parte appoggiò la causa sionista sostenendo nel 1942 che la Palestina sarebbe divenuta un Commonwealth ebraico27, mentre dall'altra, nel 1943 rassicurò

Ibn Saud dell'Arabia Saudita che lo status della Palestina sarebbe rimasto

27 Nel maggio 1942 si tenne all'Hotel Biltmore di New York una conferenza durante la quale il contenuto della Dichiarazione di Basilea del 1897 fu modificato notevolmente in modo tale che la Palestina diventasse, secondo le promesse, un Commonwealth ebraico, ossia uno stato.

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inalterato se non ci fosse stata prima una consultazione sia con la parte araba che con quella ebraica, intervenendo nel 1944 perché il Congresso non approvasse risoluzioni filo-sioniste. Nello stesso anno Roosevelt, per assicurarsi la quarta rielezione e assicurarsi il sostegno del Congresso, promise ad un senatore filo-sionista che la Palestina sarebbe divenuta uno

stato ebraico libero e indipendente. Nel 1945 il Presidente incontrò

nuovamente Ibn Saud confermando la sua posizione di non ostilità verso gli arabi e soprattutto disse che non avrebbe sostenuto la fazione ebraica contro quella araba.28 Alla morte di Roosevelt entrambe le parti credevano di avere

l'appoggio degli Stati Uniti che si trovavano esattamente nella stessa posizione della Gran Bretagna alla fine della Prima Guerra Mondiale.

Negli anni successivi alla fine del conflitto, la situazione divenne sempre più difficile soprattutto a causa della posizioni poco chiare sia della Gran Bretagna che degli Stati Uniti. La Gran Bretagna non aveva lasciato il territorio, anzi, proprio in questi anni la sua politica divenne ostile verso gli ebrei che cercavano di entrarvi illegalmente. Divenne chiaro che la politica del Libro Bianco era ancora nelle intenzioni della Gran Bretagna; inoltre quando Ernst Bevin divenne ministro degli Esteri, la posizione dell'Inghilterra fu totalmente svelata. Bevin sosteneva appieno l'importanza strategica del Medio Oriente per l'accesso ai pozzi petroliferi e il controllo degli oleodotti e per la ricostruzione dell'economia britannica nel dopoguerra; per questo motivo Bevin considerò che la dichiarazione di simpatia per la parte araba sarebbe stato il modo migliore di servire l'Inghilterra.29

28 Cfr. Thomas G. Fraser, The USA and the Middle East since World War 2, New York, St. Martin's Press, 1989.

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Allo stesso modo gli Stati Uniti ebbero un ruolo dominante nella creazione dello stato d'Israele. Alla morte di Roosevelt, Truman divenne presidente e già all'inizio del suo mandato cercò di dare un appoggio al sionismo. Durante la sua vita Truman era entrato più volte in contatto con ebrei, come nel caso di Louis Brandeis, un importante giurista ebreo al quale era particolarmente legato. Tra il 1945 e il 1948 Truman subì una forte influenza da parte delle comunità ebree-americane, in particolare da due uomini ad esse appartenenti: Clark Clifford e David Niles che ebbero un ruolo chiave per le sorti del conflitto.

In una prima fase Truman provò a convincere i leader del Congresso a far sì che i profughi ebrei si trasferissero negli Stati Uniti producendo, con l'aiuto del preside della facoltà di legge dell'Università della Pennsylvania, Harryson, un rapporto sulle loro condizioni di vita e sui loro desideri. Il rapporto influenzò notevolmente Truman che chiese al governo britannico di rilasciare 100.000 certificati di immigrazione per la Palestina; in ogni modo la Gran Bretagna non accettò la proposta creando negli ebrei di Palestina un sentimento sempre maggiore di ostilità.

Con queste premesse, il 1° ottobre 1945 iniziò la rivolta ebraica con l'ordine di Ben Guiron all'Hagana di dare il via alla lotta armata. Nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre 1945 l'Hagana colpì e affondò due dei battelli di pattuglia della polizia britannica che impedivano l'ingresso degli ebrei in Palestina, mise fuori uso la rete ferroviaria con cinquecento esplosioni; nel contempo l'Irgun distrusse una locomotiva e ne mise fuori uso

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altre sei. Durante l'inverno tra il 1945 e il 1946 l'Inghilterra si trovò in grave difficoltà pur avendo aumentato le proprie truppe. Il 25 febbraio del 1946 le forze armate ebraiche distrussero 20 aerei e gli attacchi contro il sistema di comunicazione e verso il personale britannico continuarono fino a raggiungere il culmine tra il 16 e il 17 giugno 1946 quando furono fatti saltare in aria undici ponti stradali e ferroviari isolando la Palestina dal resto del Medio Oriente.30

I britannici risposero con L'Operazione Agata: con una serie di incursioni prima dell'alba isolarono le aree abitate da ebrei di Tel Aviv e Gerusalemme e presero in ostaggio alcuni leader dell'Agenzia Ebraica. In risposta l'Hagana, l'Irgun, il Lehi organizzarono una contro offensiva che prevedeva di colpire tutte le sedi principali britanniche tra cui l'Hotel King David di Gerusalemme, quartier generale del governo; tuttavia Weizmann che nutriva ancora una certa fiducia nei confronti dei britannici convinse Sneh ad annullare l'operazione. Sneh, preoccupato per una sconfitta dell'Irgun, chiese di posticipare il piano, ma l'organizzazione il 22 luglio fece esplodere l'edificio causando la morte di novantuno persone. A questo punto Sneh si dimise dalla guida dell'Hagana e denunciò l'attentato. Il Lehi e L'Irgun furono abbandonati alla loro battaglia.

Da questa difficilissima situazione e dopo il fallimento del comitato di inchiesta angloamericano, il 4 ottobre del 1946 derivò la Dichiarazione di Yom Kippur con la quale il presidente Truman si dichiarò favorevole alla spartizione della Palestina in due stati indipendenti. A questo gli arabi si

30 Cfr. J Bowyer Bell, Terror out of Zion. The fight for Israeli independence 1929-1949: Irgun Zvai Leumi, LEHI, and the Palestine underground, Dublin, Academy Press, 1979.

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opposero, ma era chiaro che la situazione fosse ormai irrecuperabile.

Il 20 aprile 1947 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite creò l'UNSCOP, una commissione composta da undici stati che avrebbero dovuto indagare sulla situazione palestinese e fare delle proposte. L'UNSCOP presentò il proprio rapporto conclusivo il 1° settembre 1947 che prevedeva la fine del mandato britannico nonché la proposta della spartizione in due stati indipendenti e sovrani, uno a maggioranza araba e l'altro ebraica, legati da un'unione di tipo economica e l'amministrazione internazionale di Gerusalemme da parte dell'ONU. I governi dei paesi arabi respinsero la proposta immediatamente, ma il 29 novembre 1947, alla seconda sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il piano di spartizione fu confermato per quanto i rappresentanti arabi sostennero di non riuscire a capire per quale motivo la parte ebraica della popolazione che era il 37% avesse ottenuto il 55% del territorio.

Nell'inverno tra il 1947 e il 1948 l'Hagana divenne un vero e proprio esercito composto da 15.000 uomini affiancati dai membri dell'Irgun e del Lehi. Le linee guida dell'agenzia ebraica erano organizzate secondo il cosidetto Piano Dalet che prevedeva la difesa delle parti di territorio assegnate agli ebrei nonché degli insediamenti ebraici nello stato arabo. Gli ebrei avanzarono in molti territori attraverso attacchi terroristici, come quello nel villaggio arabo di Deir Yassin compiuto dal Lehi e dall'Irgun, dove morirono 250 persone. Le Brigate del Piano Delta continuarono ad avanzare conquistando punti cruciali del territorio come il porto di Haifa e causando

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l'esodo forzato di 70.000 arabi dalle loro terre. 31 La Lega Araba dichiarò

guerra agli ebrei l'8 dicembre 1947, ma per quanto l'esercito arabo colpisse diversi obiettivi ebraici32 non riuscì mai a raggiungere l'organizzazione delle

forze armate ebraiche.

Il 14 maggio 1948 l'ultimo governatore britannico, Alan Cunningham, lasciò la Palestina dichiarando così la fine del mandato britannico. Lo stesso giorno Ben Guiron annunciò la nascita dello stato d'Israele, la notizia fu immediatamente trasmessa a New York all'Assemblea delle Nazioni Unite e nel pomeriggio il presidente Truman, a dispetto dei delegati dell'ONU, riconobbe lo stato ebraico così come fece lo stesso giorno l'Unione Sovietica. Dal giorno dopo, 15 maggio 1948, il neonato stato di Israele era assediato dagli stati arabi.

31 Cfr. Benny Morris, The birth of the Palestinian Refugee Problem, Cambidge, Cambridge University Press, 1987.

32 Cfr. Sergio I. Minerbi, Risposta a Sergio Romano: Ebrei, Shoah e Stato D'Israele,

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Capitolo 2

L'incipit del dibattito sulla creazione di uno Stato

democratico bi-nazionale arabo-ebraico.

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2.1 MARTIN BUBER

Martin Buber, filosofo ebreo tedesco, nasce a Vienna nel 1878. Negli anni dell'adolescenza inizia ad interessarsi della cultura filosofica laica. Si dedica intensamente agli studi in filosofia a Vienna per poi proseguirli a Lipsia, a Zurigo e infine a Berlino dove segue le lezioni di George Simmel e di Wihelm Dilthey.

Nel 1898 aderisce al movimento sionista fondato da Theodor Herzl divenendone un importante membro e ottenendo la direzione della rivista Die

Welt, organo ufficiale del movimento. Ben presto Buber si distanzia dalle

posizione di Herlz e dal sionismo politico sostenendo invece un sionismo di tipo culturale e spirituale e cercando di promuovere una pacifica convivenza tra arabi ed ebrei.

Dal 1925 è professore di Scienza della religione ed etica ebraica all'Università di Francoforte. In questi anni incontra Franz Rosenzweig con il quale inizia a tradurre la Bibbia Ebraica; anche nell'opera Il problema

dell'uomo analizza nel dettaglio la crisi dell'uomo contemporaneo

occidentale.

Con l'avvento del nazismo, costretto a lasciare la cattedra a Francoforte, decide di trasferirsi a Gerusalemme dove riprende il suo programma di insegnamento agli adulti e dove gli viene offerta una cattedra presso l'università ebraica di Gerusalemme. Successivamente si dedicherà agli studi sulla concezione dialogica dell'altro e sul chassidismo concepito come dialogo tra cielo e terra e come espressione di una fede vissuta nella

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santificazione del quotidiano.

Buber come membro del partito Ychud si impegnò sino alla fine della sua vita nel dibattito sul ritorno degli ebrei in Israele e sulle possibilità di intesa tra le due popolazioni e sostenendo il suo dissenso per la proclamazione dello stato di Israele. Muore a Gerusalemme nel 1965.

2.1.1 IL PRINCIPIO DELL'INCLUSIONE

Fin dai primi anni Venti Buber si interessò alla questione arabo-ebraica e insieme ad altri intellettuali ebrei sionisti sostenne l'urgenza politica di tale questione. A tal fine essi proposero la creazione di uno stato bi-nazionale con una sovranità divisa in maniera paritaria tra la popolazione ebraica e quella araba. Buber considerava la proposta dello stato bi-nazionale non tanto per la sua concreta possibilità di attuazione, ma quanto come presupposto che la politica sionista avrebbe dovuto avere per potersi conciliare con la parte araba della popolazione.

Il principio dell'inclusione fu alla base del pensiero di Martin Buber sul problema della convivenza tra Arabi ed Ebrei. Nel considerare la relazione tra l'io e il tu è fondamentale sottolineare, in Buber, il ruolo della congiunzione

e che rappresenta il legame tra le due parti. L'io, allo stesso tempo, non nega

il tu ma cerca, al contrario, di includere la realtà dell'altro visto come soggetto ricco di una storia e di proprie speranze non in contrasto con le proprie. L'incontro e la congiunzione tra io e tu è la base del pensiero di Buber che è applicato, oltre che ai rapporti interpersonali, anche ai rapporti tra gruppi.

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Fondamentale per Buber è l'avvicinamento dei due gruppi che a suo parere dovrebbe rappresentare la priorità del movimento sionista, il quale dovrebbe allo stesso tempo riconoscere la presenza degli Arabi nella terra d'Israele e onorare le rivendicazioni nazionali e politiche in contrasto con le proprie. Ci dovrebbe essere un avvicinamento tra i due popoli tale da consentire non solo il vivere l'uno accanto all'altro, ma ancor più il vivere

insieme. In questa direzione vi sono dei passi concreti, come imparare la

lingua araba, scoprire ed apprezzare i costumi dei palestinesi e sopra ogni altra cosa coltivare una conoscenza simpatetica delle esigenze dei palestinesi.

Secondo Buber il movimento sionista ha avuto l'opportunità concreta di avviare questo processo di avvicinamento, ma, rendendosi conto che gli interessi nazionali degli ebrei e degli arabi erano molto diversi, ha preferito rinunciarvi. In ogni caso Buber ha sottolineato più volte il fallimento che sarebbe derivato dall'adozione delle misure della Realpolitik, secondo la quale, data la aspra contesa sul medesimo territorio e date le rivendicazioni nazionali di ogni gruppo, ogni nazione deve cercare di assicurare i propri interessi con la violenza e con l'inganno. Per Buber questo approccio costituisce un realismo miope che anziché cercare una soluzione al problema si arrende alle prime difficoltà.33

Buber spiega in un saggio sull'educazione il principio dell'inclusione in questi termini:

33 Cfr. Paul Mendes-Flohr, Premessa a Martin Buber, Una terra e due popoli. Sulla questione ebraico-araba, Giuntina, Firenze, 2008.

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« Sarebbe sbagliato identificare ciò che qui si pensa con il termine familiare ma non molto significativo di «empatia». Se il termine empatia vuol dire qualcosa, allora significa trasferirsi con il proprio sentimento nella struttura dinamica di un oggetto, una colonna o un cristallo, o il ramo di un albero o anche un animale o una persona, come se esso la ricostruisse dall'interno, comprendendo la formazione e la qualità motoria dell'oggetto con le percezioni del proprio corpo; ciò significa trasferire se stessi entro l'oggetto. Così tale termine implica l'esclusione della propria concretezza, l'estinzione della situazione attuale di vita, l'assorbimento nel puro estetismo della realtà di cui si è partecipi. L'inclusione è il vero e proprio opposto di questo. È l'estensione della propria concretezza, il compimento della situazione attuale di vita, la completa presenza della realtà di cui si è partecipi.»34

2.1.2 IL SIONISMO PACIFISTA

Buber si oppose fermamente al principio secondo il quale il sionismo poteva raggiungere il suo scopo esclusivamente grazie a una politica di potenza. Il suo rifiuto verso un sionismo violento e creatore di conflitti è il

leitmotiv dei suoi scritti politici; per questo insistette a lungo sul fatto che il

movimento sionista avrebbe dovuto convivere con questo problema cercando senza sosta una soluzione che potesse permettere una pacifica convivenza, con alla base un compromesso tra le aspirazione degli arabi e quelle degli ebrei.

34 M. Buber, Sull'educativo in Il principio dialogico e altri saggi, a cura di A. Poma, San Paolo, Milano, 1973.

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La questione morale doveva avere un ruolo primario nelle scelte politiche sulla questione israelo-palestinese. La critica di Buber alla dirigenza sionista riguardava il fatto che morale e politica corressero su due piani separati, che i dirigenti sionisti dichiaravano di capire le esigenze degli arabi da un punto di vista morale, ma allo stesso tempo sostenevano che la politica del movimento non potesse seguire altro principio se non quello dell'autoaffermazione che aveva come effetto indesiderato, ma ineliminabile, la violenza.

Buber, al contrario, considerava primario il problema morale sostenendo che un conflitto con la popolazione araba avrebbe rischiato di inaridire il nucleo spirituale del sionismo; sosteneva che la tensione tra le due popolazioni era causata dalla paura della popolazione araba di vedersi sottratta la propria terra e i propri diritti e dalla paura che gli ebrei, con il consenso degli inglesi, dominassero sia da un punto di vista numerico che economico la Palestina. La soluzione proposta da Buber è il cosiddetto principio del venirsi incontro, attraverso la reciproca rinuncia a quelle aspirazioni nazionali che erano inconciliabili e la promozione di interessi comuni.

Buber era consapevole del fatto che la sua visione implicasse l'esigenza di una controparte pronta all'ascolto e all'accoglienza, ma sottolineò che siccome gli intrusi erano gli ebrei, a loro spettava il compito di creare un clima di fiducia attraverso gesti apparentemente piccoli, ma importanti, come l'imparare ad apprezzare la cultura araba.

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Nell'agosto del 1925, durante il XIV Congresso Sionista, Robert Weltsch, amico intimo di Buber, scrisse un articolo che riassumeva il pensiero di coloro che come Buber condividevano un sionismo di stampo

pacifista:

«Vi è un popolo senza terra, ma non vi è nessuna terra senza popolo. […] La Palestina ha una popolazione di 700.000 anime, un popolo che da secoli abita il paese e che a buon diritto lo considera la sua casa e la sua patria. Dobbiamo tener conto di questo.[…] La Palestina sarà abitata sempre da due popoli, da ebrei e da arabi. […] Questa terra può prosperare solo se c'è un rapporto di reciproca fiducia fra i due popoli. E questo vi può essere soltanto se quelli che arrivano, cioè in questo caso noi, vengono con la leale e onesta volontà di convivere con l'altro popolo, sulla base del rispetto reciproco e l'attenzione dei diritti umani e nazionali di tutti.[…] La realizzazione del sionismo è impensabile se non riesce a inserire la sua impresa nel quadro di una coscienza sempre più forte di un mondo orientale in rapida crescita.»35

Buber considerava quindi questa visione più realistica di quella che definiva come una miope politica di potenza. In accordo con questa idea considerava impensabile la costruzione di una maggioranza ebrea ed era tra i pochi che sostennero la limitazione della aliyah36 pur di trovare un accordo

35 Robert Weltsch, Zum XIV, Zionistenkongoress. Worum es geth, in «Jüdische Rundschau» 30, 64/65, 14 agosto 1925 pp. 538 ssg.

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con gli arabi. Buber era pienamente cosciente del fatto che ciò rappresentasse una posizione radicale tale da andare contro gli obiettivi primari del sionismo tra i quali, al primo posto, c'era la costituzione di una maggioranza ebrea; al contrario considerava questa aspirazione irrealistica e irresponsabile.

2.1.3 PROPOSTA DI RISOLUZIONE PER LA QUESTIONE ARABA

Durante il XII Congresso sionista Buber venne incaricato dalla

Hitachdut, il suo partito, di presentare al congresso una risoluzione in cui il

sionismo prendesse in considerazione le aspirazioni della popolazione araba.

Il partito madre della Hitachdut, lo Hopoel Hatzair, aveva a cuore le sorti degli strati più poveri della popolazione ed essendo di ispirazione socialista considerava con maggiore attenzione l'atteggiamento ostile delle masse arabe. Dopo le agitazioni nel 1921 apparve essenziale riuscire a stabile dei rapporti migliori con gli arabi al fine di limitare scontri violenti come quelli che erano appena avvenuti.

Al contrario del movimento ufficiale sionista, lo Hapoel Hatzair era favorevole ad una prima immigrazione di un gruppo di sionisti che avrebbero dovuto creare le basi per i futuri insediamenti di lavoratori ebrei. I primi ebrei giunti in Palestina, i Chalutzim, avevano come ideale il lavoro fisico, in

nella terra di Israele. Nel 1950 è stata codificata come un diritto di ogni ebreo nella Legge del ritorno.

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particolare il lavoro agricolo che doveva costituire la base per la rinascita della nazione ebraica. Attraverso il lavoro l'ebraismo sarebbe diventato un

popolo di uomini che nei rapporti con gli altri popoli sarebbe stato guidato

solamente dall'etica.

A. D. Gordon, padre del pionerismo ebraico disse a proposito dei rapporti con gli arabi:

«Il nostro atteggiamento nei loro confronti deve essere umano, condotto dal coraggio morale, che deve rimanere alto anche quando dall'altra parte rimanga parecchio a desiderare. La loro ostilità dovrebbe essere per noi una ragione per comportarci in modo tanto più umano.»37

La proposta, letta durante il XII congresso sionista, nel suo complesso venne presentata come una risoluzione del partito Hidachtud, ma il testo deve essere ricondotto allo stesso Buber:

«In quest'ora in cui, per la prima volta dopo otto anni di divisione, i rappresentanti del popolo ebraico cosciente si sono riuniti di nuovo, dichiariamo di fronte alle nazioni dell'Occidente come a quelle dell'Oriente che il nucleo forte del popolo ebraico è deciso a tornare nella sua antica patria e a costruire in essa una nuova vita fondata sul lavoro indipendente, la quale cresca e duri come un elemento organico di una nuova umanità. Nessuna potenza della terra potrà scuotere questa decisione, generazione

37 A. D. Gordon, Dall'esterno (1919), in Opere, (in ebraico) a cura di S.H. Bergmann e E. Shochat, Gerusalemme 1952, I, p. 480.

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