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PROPOSTA DI RISOLUZIONE PER LA QUESTIONE ARABA

L'incipit del dibattito sulla creazione di uno Stato democratico bi-nazionale arabo-ebraico.

2.1 MARTIN BUBER

2.1.3 PROPOSTA DI RISOLUZIONE PER LA QUESTIONE ARABA

Durante il XII Congresso sionista Buber venne incaricato dalla

Hitachdut, il suo partito, di presentare al congresso una risoluzione in cui il

sionismo prendesse in considerazione le aspirazioni della popolazione araba.

Il partito madre della Hitachdut, lo Hopoel Hatzair, aveva a cuore le sorti degli strati più poveri della popolazione ed essendo di ispirazione socialista considerava con maggiore attenzione l'atteggiamento ostile delle masse arabe. Dopo le agitazioni nel 1921 apparve essenziale riuscire a stabile dei rapporti migliori con gli arabi al fine di limitare scontri violenti come quelli che erano appena avvenuti.

Al contrario del movimento ufficiale sionista, lo Hapoel Hatzair era favorevole ad una prima immigrazione di un gruppo di sionisti che avrebbero dovuto creare le basi per i futuri insediamenti di lavoratori ebrei. I primi ebrei giunti in Palestina, i Chalutzim, avevano come ideale il lavoro fisico, in

nella terra di Israele. Nel 1950 è stata codificata come un diritto di ogni ebreo nella Legge del ritorno.

particolare il lavoro agricolo che doveva costituire la base per la rinascita della nazione ebraica. Attraverso il lavoro l'ebraismo sarebbe diventato un

popolo di uomini che nei rapporti con gli altri popoli sarebbe stato guidato

solamente dall'etica.

A. D. Gordon, padre del pionerismo ebraico disse a proposito dei rapporti con gli arabi:

«Il nostro atteggiamento nei loro confronti deve essere umano, condotto dal coraggio morale, che deve rimanere alto anche quando dall'altra parte rimanga parecchio a desiderare. La loro ostilità dovrebbe essere per noi una ragione per comportarci in modo tanto più umano.»37

La proposta, letta durante il XII congresso sionista, nel suo complesso venne presentata come una risoluzione del partito Hidachtud, ma il testo deve essere ricondotto allo stesso Buber:

«In quest'ora in cui, per la prima volta dopo otto anni di divisione, i rappresentanti del popolo ebraico cosciente si sono riuniti di nuovo, dichiariamo di fronte alle nazioni dell'Occidente come a quelle dell'Oriente che il nucleo forte del popolo ebraico è deciso a tornare nella sua antica patria e a costruire in essa una nuova vita fondata sul lavoro indipendente, la quale cresca e duri come un elemento organico di una nuova umanità. Nessuna potenza della terra potrà scuotere questa decisione, generazione

37 A. D. Gordon, Dall'esterno (1919), in Opere, (in ebraico) a cura di S.H. Bergmann e E. Shochat, Gerusalemme 1952, I, p. 480.

dei nostri pionieri l'hanno rafforzata con la loro vita e la loro morte. Ogni atto violento che ci sarà da esse mosso porrà un sigillo di sangue all'affermazione della nostra volontà nazionale.

Ma questa volontà nazionale non è indirizzata contro un'altra nazionalità. Il popolo ebraico, una minoranza oggetto di violenza da duemila anni in tutti i paesi, nel momento in cui torna nella storia come soggetto del proprio destino, rifiuta con orrore i metodi del nazionalismo dei denominatori, di cui per tanto tempo è stato vittima. Non aneliamo al ritorno al paese a cui ci legano eterni nessi storici e spirituali per cacciare un altro popolo o dominarlo, e il cui territorio, oggi così poco popolato, una volta che venga intensivamente coltivato, offrirà spazio sufficiente per noi e per coloro che attualmente lo abitano.

Il nostro ritorno in Eretz Israel, che deve compiersi come une una crescente processo di immigrazione, non vuole danneggiare i diritti di nessun altro. In una giusta alleanza con il popolo arabo vogliamo rendere il paese comune una comunità fiorente dal punto di vista economico e culturale; la costruzione di quest'ultima assicurerà a ciascuna delle sue parti nazionali un non ostacolato, autonomo sviluppo.

Il nostro insediamento indirizzato alla salvezza e al rinnovamento del nostro popolo, non ha come obiettivo lo sfruttamento capitalistico di una regione e non è asservito ad alcun fine imperialistico; il suo senso è il lavoro creativo di uomini liberi su una terra comune. In questo carattere sociale del nostro ideale nazionale risiede la forte garanzia della nostra fiducia che tra noi e il popolo dei lavoratori arabi si rivelerà una profonda e duratura solidarietà di

reali interessi in grado di superare tutti i contrasti prodotti dalla confusione del momento. Grazie alla consapevolezza di questa alleanza si costituirà tra gli appartenenti ad entrambi i popoli nella vita pubblica e personale una attiva predisposizione al reciproco rispetto e alla reciproca benevolenza. Solo così si potrà compiere, in grandezza storica, di nuovo l'incontro tra i due popoli.»38

Successivamente la proposta venne inviata ad un comitato redazionale dal quale avrebbe dovuto ricevere la conferma di approvazione del congresso; incontrò però molte resistenze e fu modificata secondo le esigenze della dirigenza sionista. Tutti gli aspetti che Buber considerava fondamentali e decisivi per la risoluzione del conflitto furono omessi e ciò che ne derivò fu un insieme di affermazioni cariche di rancore e sdegno nei confronti della popolazione araba; infatti vennero eliminate tutte le affermazioni che potevano ricondurre all'aspetto morale del sionismo e la visione “debole” del popolo ebraico come «minoranza oggetto di violenza» vittima nella storia del «nazionalismo dei dominatori». La dichiarazione definitiva inoltre non conteneva più il desiderio di un rapporto costruttivo e duraturo tra arabi ed ebrei.

Il testo definitivo del congresso è il seguente:

«Con tristezza e indignazione il popolo ebraico ha vissuto gli eventi degli ultimi tempi in Palestina. L'atteggiamento ostile di una parte della

38 Martin Buber, Una terra e due popoli. Sulla questione arabo-ebraica, La Giuntina, Firenze, 2008, pp. 88-90.

popolazione araba di Palestina - aizzata da alcuni elementi irresponsabili- che ha prodotto sanguinosi atti di violenza, non è in grado di indebolire né la nostra risolutezza a favore della fondazione di un focolare nazionale ebraico, né la nostra volontà di vivere con la popolazione araba in un rapporto di concordia e reciproco rispetto, e di rendere insieme ad essa la terra comune una comunità fiorente, la cui costruzione assicuri a ognuno dei suoi popoli un non ostacolato sviluppo nazionale. I due grandi popoli semitici, che già in passato sono stati legati da creazioni comuni, sapranno anche nel momento della loro rinascita nazionale unificare i loro interessi vitali in un'opera comune.»39

Dopo la volontà espressa dal partito di adottare un compromesso, Buber decise di ritirarsi dall'attività politica, convinto che i principi da lui esplicitati nella proposta non potessero essere snaturati dai compromessi voluti dal partito. Pur essendosi ritirato dalla scena politica, Buber continuò ad essere attivo nel movimento sionista mantenendo sempre un ruolo molto critico sopratutto riguardo la posizione della Gran Bretagna che appoggiava la causa sionista per affermare primariamente i propri interessi imperialistici. Secondo Buber, presentarsi sulla scena medio orientale come alleati della Gran Bretagna non era politicamente auspicabile perché avrebbe portato ad uno scontro inevitabile con il crescente nazionalismo arabo.

39 Martin Buber, Una terra e due popoli. Sulla questione arabo-ebraica, La Giuntina, Firenze, 2008, pp 92-93.