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L’importanza strategica del Capitale Intellettuale nel settore Universitario

NON ACCADEMICA

7.3. L’importanza strategica del Capitale Intellettuale nel settore Universitario

A seguito di importanti processi di trasformazione sociale, politica e cul-turale, negli ultimi anni, all’interno della comunità scientifica e nella realtà operativa è cresciuta l’attenzione riservata alle risorse immateriali e al ruolo da esse svolto nell’economia aziendale delle aziende.

Dagli Stati Uniti fino in Europa, si è diffuso il concetto di capitale intel-lettuale (CI), con il quale si identifica il sistema delle risorse immateriali dell’azienda che sono alla base del vantaggio competitivo, della capacità dell’azienda di creare valore e delle performance di successo.

Il capitale intellettuale è un concetto complesso da studiare, principal-mente a causa di due fattori che lo caratterizzano: la dinamicità e la specifi-cità aziendale. L’aspetto dinamico si manifesta nella definizione degli ele-menti che compongono il CI, in quanto la classificazione degli intangibili evolve continuamente nel tempo ed è fortemente influenzata dall’interrela-zione costante dei componenti stessi. Mentre, il carattere firm-specific denota l’unicità di tali risorse. Infatti, il CI si differenzia fortemente da un’azienda all’altra, in relazione al settore, alla tipologia di azienda, alla dimensione ecc.

Dagli anni novanta del secolo scorso, nella dottrina economico-aziendale, si è assistito ad un’evoluzione degli studi sul capitale intellettuale principal-mente articolata in quattro fasi, a partire dagli studi di tipo pioneristico fino a quelli più evoluti (Dumay e Garanina, 2013). Nella prima fase si collocano gli studi di tipo “pioneristico”, volti alla diffusione e alla creazione di defi-nizioni, concetti e tassonomie utili alla visualizzazione e comprensione del

“cosa è” il CI. La seconda fase è invece centrata su “cosa fa” il capitale in-tellettuale e perché è importante gestirlo e comunicarlo. È solo nella terza fase di studi che l’attenzione si sposta dalla progettazione di un framework sul CI allo studio del CI “in practice” (Guthrie et al., 2012; Dumay e Gara-nina, 2013), focalizzando l’attenzione sugli effetti del CI sui processi mana-geriali e sulle dinamiche di mercato.

Più di recente, alcuni studiosi (Secundo et al., 2018), sostengono che gli studi sul CI siano entrati in una quarta fase, in cui l’attenzione si sposta dai confini aziendali ad un “ecosistema” più ampio, sottolineando il fatto che affinché il capitale intellettuale possa crearsi, svilupparsi e generare valore

per l’azienda e per i suoi stakeholder è fondamentale la presenza di un ade-guato contesto sociale, ambientale, culturale e informativo.

Sulla base della tassonomia più diffusa in letteratura e nella prassi, il pitale intellettuale è costituito dal capitale umano, capitale relazionale e ca-pitale strutturale.

Il capitale umano (CU) si riferisce all’insieme delle conoscenze, competenze, valori, esperienze e alle capacità di problem-solving appartenenti agli individui di un’organizzazione (Bontis, 1998). Dipendenti formati e istruiti, forniscono la principale fonte di prestazioni innovative e adattabilità ai cambiamenti strategici (Kianto et al., 2020). Il CU è, quindi, il “mezzo” che consente al sapere e alla conoscenza di creare valore (Kianto et al., 2017; Inkinen, 2015).

Il capitale relazionale (CR) include le attività di collaborazione e l’in-sieme delle relazioni di qualità che si instaurano tra le Università e i suoi stakeholder, interni ed esterni (Veltri e Mastroleo, 2016). È fondamentale per le Università curare le relazioni con i propri partner, in quanto l’instaurarsi di una relazione di qualità, contribuisce ad innescare un processo di forma-zione della conoscenza in una logica di apprendimento reciproco e continuo che favorirà il raggiungimento di migliori risultati. Inoltre, tali relazioni for-mano un network in grado di acquisire e sviluppare nuove risorse, capacità aggiuntive, migliorare la cooperazione tra gli stakeholder, condividere costi e rischi, ridurre le asimmetrie informative e migliorare le performance azien-dali (Kianto et al., 2017).

Il capitale strutturale (CS) è l’infrastruttura che consente al capitale umano e al capitale relazionale di esprimere il loro potenziale, facendo leva sulla stretta relazione di interdipendenza dinamica con gli stessi. Nello spe-cifico, assumono rilevanza la componente c.d. tecnologica che comprende forme codificate di conoscenza all’interno delle Università come sistemi in-formativi, software, manuali, database, reti intranet ecc.; e la componente c.d. organizzativa che si riferisce alla cultura aziendale, ai valori, alla tipolo-gia di leadership e al clima di collaborazione caratterizzante ogni organizza-zione. Pertanto, il CS è l’insieme di quei sistemi, strumenti e cultura azien-dale in grado di facilitare e permettere la creazione, il generare e il trasferi-mento della conoscenza all’interno e all’esterno delle Università (Inkinen, 2015; Kianto et al., 2017).

Tuttavia, come afferma Kianto et al. (2010) secondo una visione dina-mica, il CI non è inteso solamente come un insieme di risorse basate sulla conoscenza, ma coinvolge anche le attività intraprese dall’azienda per ge-stirle. Questa gestione sistematica del CI si riferisce alle pratiche di know-ledge management (KM) di un’organizzazione (Kianto et al., 2020). Tali pra-tiche corrispondono alle leve strategiche utili alla promozione e allo sviluppo

dello stock del CI. La relazione tra il capitale intellettuale e la gestione della conoscenza svolge un ruolo fondamentale all’interno di ciascuna organizza-zione. Se il CI è correttamente utilizzato e sfruttato, diventa un fattore chiave per la creazione di vantaggi competitivi e per la crescita economica e sociale (Bontis et al., 2018; Palazzi et al., 2020). Contemporaneamente, la gestione della conoscenza assume un ruolo strategico per lo sviluppo e lo sfruttamento del CI, in quanto, concentrandosi sulla gestione delle attività e delle pratiche relative alle risorse della conoscenza, si creano le basi per un ambiente in cui il CI può crescere (Kianto et al., 2020).

Pertanto, il CI e le pratiche di knowledge management sono intercon-nesse, abbracciando aspetti sia statici che dinamici: il CI è inteso come “ri-sorsa” statica, in un dato momento; invece, le pratiche di KM si riferiscono a processi in grado di favorirne il dinamismo e lo sviluppo nel tempo (Kianto et al., 2020). Giampaoli et al. (2017) hanno identificato diverse pratiche di gestione delle conoscenze utili alla condivisione e allo sviluppo di tali risorse e al miglioramento della qualità dei processi decisionali (ad es. progettazione del lavoro, formazione, cultura organizzativa, ICT e formalizzazione, svi-luppo delle relazioni; promozione e lo svisvi-luppo delle infrastrutture ecc.).

Queste attività, se implementate in modo efficace, migliorano la condivi-sione delle conoscenze all’interno dell’organizzazione che, a sua volta, au-menta la capacità dell’azienda di sfruttare il valore del CI (Kianto et al., 2020), la qualità delle decisioni prese (Heisig et al., 2016) e il raggiungi-mento di performance di successo (Kianto et al., 2020).

Diversi motivi giustificano l’adattabilità del framework CI come stru-mento di gestione strategica per le Università.

Innanzitutto, le specificità che contraddistinguono l’Università, istitu-zione sociale di lunga storia, trovano riflesso nelle tradizionali dimensioni della mission – la didattica e la ricerca (Harayama, 2007) – che poggia sui valori e i principi cardine della libertà e autonomia (“promoting academic freedom and autonomy for the researchers”), ancorati ai dettami costituzio-nali1 (Kok et al., 2010). A queste dimensioni più recentemente si è affiancata la terza missione (Romano 2008; Moscati et al., 2010), che sancisce il ruolo delle Università come attore di innovazione (Cisi, Corazza, 2016) nell’eco-sistema territoriale e il suo contributo nel trasferimento della conoscenza scientifica verso le attività sociali ed imprenditoriali, coordinandosi su scala locale, nazionale e globale con le realtà istituzionali e produttive, per inne-scare processi di crescita centrati sull’applicazione della conoscenza, ricono-sciuta come risorsa chiave del vantaggio competitivo (Vinig e Lips, 2015) e

1 In Italia sancito dall’art 33 della Costituzione.

driver del progresso economico e sociale (Fullwood et al., 2013) a livello europeo (EC, 2006, 2010; EC e OECD, 2012) e globale (UN, 2015).

Quanto detto spiega l’enfasi che il mondo scientifico, politico e istituzio-nale pone sulla capacità dell’Università, knowledge intensive organisation per eccellenza, di gestire e valorizzare il CI, che non è sempre facilmente osservabile o misurabile, mentre lo sono le risorse e le attività ad esso colle-gate (Ramírez et al. 2007; Secundo et al. 2010;). Per queste ragioni il tema dell’identificazione delle componenti del CI “accademico” (Belizòn et al., 2019) della sua misurazione e rendicontazione (Manes-Rossi et al., 2016;

Nicolò et al., 2020) trova sempre più spazio sul piano nazionale e internazio-nale nella letteratura sul CI.

Un secondo ordine di ragioni è individuabile nei profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto istituzionale e normativo, in termini di modalità interne di organizzazione e gestione delle attività svolte, sistemi contabili (ad esempio l’introduzione del bilancio unico e della contabilità economica), si-stemi di pianificazione, programmazione e controllo, e di strumenti adottati per rendicontare e comunicare all’esterno i risultati dell’attività dell’Università e coinvolgere i molteplici portatori di interessi (stakeholder).

Una terza determinante dell’attenzione verso il CI nel contesto universi-tario viene dal bisogno di rafforzare la legittimazione istituzionale in virtù del contratto sociale e multistakeholder (Cisi e Corazza, 2016; Fia et al., 2016; Pollifroni, 2016), ciò che spiega anche la progressiva diffusione di strumenti di accountability suggeriti dalla Direttiva ministeriale2, quali il bi-lancio sociale (GBS, 2008) e di sostenibilità (GRI, 2013) tesi a promuovere un processo interattivo di comunicazione tra Università e portatori di inte-resse, a fornire un quadro complessivo delle attività e dei risultati ottenuti e a supportare i processi decisionali ai diversi livelli di responsabilità tramite un sistema organico di indicatori quantitativi e qualitativi (Moggi et al., 2015; Mio e Granati, 2017; Siboni et al., 2013b).

7.4. Intellectual capital management nelle Università: una breve

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