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LE IMPOSTE DIRETTE ED INDIRETTE r~

Parte I.

LE IMPOSTE DIRETTE ED INDIRETTE r~

Fase c o n t e n z io s a a m m i n i s t r a t i v a d e l l’a c c e r t a m e n t o

V. R i m e d i di i m p u g n a t i v a : o r d in a r i e s tr a o r d in a r i .

III. - R i m e d i s tr a o r d in a r i .

1) P r e m e s s a . In base alla dottrina e alla consolidata giurispru­

denza, vengono in considerazione fra i rimedi straordinari di impugna­ tiva soltanto la r e v o c a z io n e ed il r i c o r s o di le g it t i m it à a lla C . Centrate ;

mentre la o p p o s iz io n e d i t e r z o (come del resto anche la revocazione) non è prevista nelle leggi in materia; ond’è che nonostante le profonde diversità di struttura tra l’ordinario processo civile e-quello tributario, nel silenzio della legge, il sistema di questa ultima impugnativa deve necessariamente costruirsi sulle tracce del codice di proc. civ.

2) L a o p p o s iz io n e d i t e r z o , dalla cui ammissibilità anche la dottrina

non è del tutto concorde (contrari p. e il Quarta, l’Allorio, il Pugliese, mentre l’ammettono il Clementini-Bertelli, Scandale, Tesoro, Greco, Buz- zetti) non trova riscontri in giurisprudenza, almeno in quella edita.

Data per altro la relazione fra intervento in giudizio e legittimo interesse del terzo, se i principi fondamentali nella dottrina del pro­ cesso circa i limiti soggettivi della cosa giudicata, si può fermamente ritenere che una identica ragione pratica e giuridica, legittimi tanto l’intervento principale quanto il rimedio della opposizione del terzo al giudicato la cui formazione non riuscì ad impedire per circostanze di mera contingenza processuale. E se è vero che spesso in materia fiscale si ha pluralità di soggetti passivi, ciascuno dei quali è titolare di un interesse proprio, come tale tutelabile anche in sede processuale (Pu­ gliese, I s t i t u z ., p. 245 e Bu z z e t t i, D e i r im e d i s tr a o r d in a r i d i im p u g n a ­

t iv a n e l p r o c e s s o t r i b u t a r i o , in R i v . I t a l . D i r i t t o F in a n z e , 1937, fase. 6,

pag. 9-12 estratto); ne deriva che in simili casi la tutela processuale tanto si può attuare in via di intervento diretto come in via di gra­ vame (straordinario), modi entrambi che tendono (e per quanto eserci­ tati in via alternativa ed in momenti diversi) all’identico fine di eli­ minare il pregiudizio che potrebbe derivare o che è già derivato al

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terzo da decisione, di merito. Invece neppure in tesi, per le stesse im­ possibilità di ipotizzare una problematica in materia, sembra ammis­ sibile la c.d. opposizione r e v o c a t o r i a di cui al capov. art. 401 C.P.C.. In giurisprudenza, come si è detto sopra, non ci è stato possibile trovare in argomento altre decisioni (se non forse in sede di esecuzione) dopo la contraria ed isolata pronunzia della C.C. 29-10-1902, .n 89652 (V a n

-n u c c i-n i, 4020). Ma tenendo presente i principi sopra formulati, si può

ovviamente dedurre per implicito l’ammissibilità del rimedio in esame, da quella giurisprudenza die, con criterio ormai costante, ammette la legittimità dell’intervento, come nel caso recentemente deciso del debi­ tore salvo rivalsa dell’imposta che in concreto sostiene non essere do­ vuta (C. Centi-., 3 aprile 1946, n. 81832, G i u r I m p . D i r ., 1947, n. 58). Ad ogni modo è da rilevare che nel recente progetto di riforma del contenzioso tributario, predisposto dalla Commissione nominata dal Mi­ nistro delle Finanze (v. in questa R i v i s t a , 1951, fase. 2) all’art. 38 è espressamente prevista tra i rimedi straordinari di impugnativa anche l'opposizione di terzo.

3) L a r e v o c a z io n e (v. Bu z z e t t i, o p . c it., p. 5-9; dello s t e s s o, I m p .

s u i r e d d i ti r .m ., p. 247-250; e R a s s e g n a , in questa R i v i s t a 1938, p. 5-7

estratto), è rimedio concordemente ammesso per gli stessi motivi di cui al C. F. Civ. (v art. 365) e sono passibili di revocazione non soltanto le decisioni delle Comm. Prov. e quelle della C. Centr. in funzione di giudice di appello in materia di imposte indirette (art. 29 I). L. 7 ago­ sto 1936, n. 1639, conv. in legge 7 giugno 1937, n. 1016) e quella della stessa C. C. quando in funzione di giudice di terza istanza esercita un sindacato di merito (art. 50 T. U. legge E. M.); non invece le deci­ sioni pronunziate in sede di mera legittimità. Sono pure suscettibili di revocazione le decisioni pronunciate in prima istanza, quelle cioè della Commissione Distrettuale sia nell’ipotesi prevista dall’art. 396 C. Proc. Civ. (sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello) sia di quelle emesse ai sensi degli arti. 100-101 segg. Legge E. M. In questa seconda ipotesi la revocazione è ammessa oltre che contro le decisioni della Commissione Provinciale, anche contro quelle della Commissione Centrale.

In materia non vi sono da segnalare decisioni particolarmente inte­ ressanti, forse anche per la scarsa efficacia pratica del rimedio in un sistema processuale come quello tributario in cui le ampie facoltà e possibilità di indagine riservate agli organi giudiziali, rendono assai problematiche le ipotesi previste dall’art. 365 C. Proc. Civ. come inde­ clinabili presupposti del rimedio stesso (v. da ultimo per un compiuto esame della giurisprudenza in materia e per un altrettanto compiuto richiamo della più notevole dottrina, nei modi di Al l o r io, Uc k m a r, Pu­ g l i e s e, Te s o r o, De Ca r r a r a, ecc., lo studio rigorosamente sistematico di A . Bo t o n d i, L ’I s t i t u t o d e lla r e v o c . n e l p r o c . t r i b ., in D i r . e p r a t. t r i b ., 1950, I, pag. 46 e segg.). Più interessanti invece da segnalare, alcune pronunzie vere e proprie inspiegabili deviazioni dai principi regolatori dell’istituto e che fanno sempre più desiderare la sollecita riforma del

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processo con le maggiori garanzie di specifica competenza nei compo­ nenti delle Comm. stesse, se verranno mantenute, e di una maggiore sicurezza di cognizione giuridica da parte di taluni funzionali, menti e un buon numero di essi lia pure recato e da tempo, preziosi contributi di dottrina per la sistemazione del diritto tributario. Scegliendo adun­ que fra il non troppo abbondante materiale, è anzitutto da segnalare la decisione della C. C. 3 maggio 1948, n. 97601 (G ìw r. I m p . D i r . e I n d ., 1950, 60) secondo la quale in materia di imposta di r. m. il ricorso per revocazione avverso una decisione della C. C. è ammissibile sol­ tanto alla ipotesi dell’art. 50. L’organica (e sin qui la decisione esat­ tissima come affermazione di principio trova conferma sia nei prece­ denti sia nelle successive decisioni 11 giugno 1948 n. 98865, L e g . F i s e ., 1949, 274, C.C.S.U. 22 maggio 1950, n. 13608, in R i v i s t a D i r . e p r a tic a

T r ih ., 1951, II, 131). Qualora il contribuente — continua la massima —

per una ragione qualsiasi non si presenti (per es. per la tardiva no­ tifica dell’avviso di audizione) ed il Superiore Collegio deliberi senza il di lui intervento, la decisione che viene emessa non è suscetti­ bile di ricorso per revocazione. E anche per questa seconda parte della massima, nulla da eccepire in quanto trattasi di violazione di legge, errore di diritto, denunziabile, se mai, in sede di ordinaria giuri­ sdizione.

Ma contro la prima massima, categorica come affermazione di tesi, insorge il Be r l ir i nella nota redazionale che l’accompagna e nella quale, come già in altri consimili casi, non riteniamo di poter convenire. Vi si dice che la affermata limitazione non regge in quanto la competenza della C. Centrale si estende a tutte indistintamente le questioni sia di fatto che di diritto, con esclusione soltanto delle questioni di semplice estimazione. Quindi il contrasto (vecchio contrasto che forse soltanto troverà la sua definitiva composizione nella riforma del processo tri­ butario) si risolve nel determinare il concetto ed i limiti del giudizio estimativo: su di che riteniamo inutile riprendere, sia pure per su m m a

c a p ita , gli argomenti già altre volte da noi addotti (v. nostra, R a s s e ­

g n a D i r . P r o c . T r ib ., in questa R i v i s t a 1938, fase. IV). Ma neppure ci

persuade l’ulteriore argomento addotto dal Be r i,m i a sostegno della sua tesi e ricavato dall’art. 29 D. L. 1936, n. 1639 e 44 B. I). 1937 n. 1516, perchè la possibilità di ricorso in revocazione contro le decisioni della C. C. in materia di imposte indirette, è legittimato dal fatto che qui la C. Centr. giudica per l’appunto in seconda istanza, come giudice d’ap­ pello, e la locuzione usata in concreto dalla legge, di controversie re­ lative all’applicazione della legge non significa che la Comm. stessa sia competente a pronunziare giudizi che non siano di mera legittimità: tanto è vero che per le questioni di valutazione, il giudizio in sede di appello della Comm. Prov. è definitivo (v. anche art. 2 D. L. 5 marzo 1932, n. 184). Quindi la questione anche così posta si risolve ancora nella determinazione del concetto di estimazione (o valutazione) e non pregiudica la tesi incontrovertibile della ammissibilità del ricorso in revoca contro le decisioni della C. C. in quanto giudica in sede di ap­

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pello, come avviene in materia di imposte indirette, e in quanto giu­ dica nel merito nel caso deipari. 50 T. U. imposta di E. M., caso unico nel quale la C. C. giudica in terza istanza con pienezza di giurisdizione e ciò, in via di eccezione al fondamentale principio del doppio grado di giurisdizione.

Non è invece raro il caso di ricorso in revocazione sia da parte dei contribuenti sia degli Uffici, fondato sulla mancata audizione del contribuente o sulla mancanza di motivazione dell’appello, mentre trat­ tandosi d’errores in p r o c e d e n d o die determinano la nullità della deci­ sione, vanno denunziati alla Comm. Centrale in sede di legittimità. Esattamente quindi la C. C. con decisione 29 gennaio 1951, n. 19874

( D i r . e p r a t. T r ib ., 1951, II, 220, con nota G. Buzzurri) stabilì che la

questione della nullità formale della decisione resa dalla Comm. Prov. in sede di valutazione di un trasferimento immobiliare per vizio in p r o ­

c e d e n d o , determinato dalla mancata specificazione dei motivi dell’ap­

pello dell’Ufficio, va proposto con ricorso alla Comm. C. nei trenta giorni dalla notifica della decisione stessa e non alla C. Prov. in sede di revocazione. In vero, non ricorrendo nella fattispecie alcuno dei pre­ supposti per la revocazione della propria decisione, la Comm. Prov. non potrebbe modificare il giudicato già emesso e pubblicato mediante trasmissione all’Ufficio e col quale lia esaurita la sua funzione giurisdi­ zionale (C. Prov. di Milano in data 1 giugno 1951, n. 366, in e d ita ). No­ tevole anche la decisione pure in e d i ta della Comm. Prov. di Bari in data 25 febbraio 1951, n. 88, clic respinse per mancanza di presupposti il ricorso in revocazione di una sua pronuncia, per avere essa Comm. giudicato soltanto sull’appello dell’Ufficio ed in assenza del contribuente, mentre questi aveva a sua volta prodotto rituale contrappello con ri­ chiesta di audizione personale, contrappello che per errore dell’Ufficio non era stato portato in discussione; e ciò perchè i motivi dedotti a legittimazione del gravame straordinario, pure indubbia essendone la gravità, potevano soltanto dar materia di ricorso alla C. C. per vio­ lazione di legge. In altro caso, invece, rappresentante la identica situa­ zione giuridico-processuale, la C. Prov. di Milano, con decisione 20 aprile 1951, n. 100 ( D i r . e p r a t. t r i b ., 1951, II, 229, con nota G. Buz­ zurri) statuì che se l’Ufficio appellante abbia omesso di trasmettere alla competente Comm. Prov. col proprio gravame anche il contrappello ritualmente proposto dal contribuente e la decisione sia intervenuta quindi e soltanto sull’appello dell’Ufficio, ben può la Commissione sulla istanza della stessa parte vittoriosa (in concreto l’Ufficio) e non di quella soccombente, procedere al giudizio d i r e v i s i o n e della propria pro­ nunzia, come si verifica normalmente nel processo comune e come può verificarsi in quello tributario.

Come è facile rilevare, tale decisione senza alcun giudizio fonda- mentale ha voluto introdurre addirittura un nuovo rimedio straordi­ nario — la r e v i s io n e del giudicato — là dove non era possibile la revo­ cazione dello stesso.

zione perchè la Oomm. dopo avere convenuto con esatto criterio giu­ ridico che in concreto esistendo già un giudicato pubblicato ai sensi dell’ art. 34 R. D. 8 luglio 1937, n. 1536, era omninamente pre­ cluso il riesame della fattispecie deciso; e dopo avere per dippiù rico­ nosciuto che nel caso in esame non ricorrevano nè in fatto nè in diritto i presupposti della revocazione e neppure quelli della revisione secondo lo schema proprio del diritto processuale civile, ciò non di meno (citia­ mo testualmente) « r i t i e n e ch e n e lla s p e c ie s i v e r s a s s e p r o p r i o in u n a i p o t e s i d i r e v i s io n e ad is t a n z a d e lla p a r t e v i t t o r i o s a a n z ic h é d ella s o c ­

c o m b e n te ».

Di contro a tale guazzabuglio che non rispetta neppure le più ele­ mentari regole della logica nel raziocinio, di contro a tale mortificante deviazione dai principi basilari del processo, si rimane male. Altro che riforma delle leggi sul processo: come osservava acutamente il Ca r n e- l u t t i in un breve e recente articolo comparso sul giornale I I T e m p o a proposito del processo Egidi celebratosi alle Assise di Roma e con­ clusosi con una sentenza di assoluzione per non provata reità, sarebbe tempo di dire un b a s ta in materia di riforme legislative e di provve­ dere invece alla riforma degli uomini... Ma, tornando alla decisione della C. prov. di Milano e volendola analizzare sotto l’esclusivo pro­ filo del diritto, a prescindere da ogni altro considerando, è da notare anzitutto, che la r e v i s i o n e non è istituto normale del processo civile ordinario, bensì è soltanto un tipico ed eccezionale rimedio apprestato per le controversie collettive di lavoro, e disciplinato dall’art. 428 c. proc. civ. e che nulla ha a che fare coi normali rimedi ordinari e stra­ ordinari di impugnativa. La r e v i s i o n e , come è disciplinata dal Cod. di proc. civ., ha per presupposto un notevole mutamento nello stato di fatto che la Magistratura del lavoro pose o presuppose a base della sua decisione; ed è proponibile sia dal P. M. che dalla parte che vi ha interesse (l’associazione). Come vedesi, tale rimedio non trova alcun riscontro in altre norme di diritto positivo, perchè anche la procedura per la riduzione od aumento di assegni alimentari da parte dell’Auto­ rità giudiziaria che già ebbe a fissarli in somma determinata, trova la sua ovvia giustificazione nel fatto che le sentenze in materia non sono per loro natura definitive (art. 440 C. Civ.) e così dicasi per le sen­ tenze in materia di interdizione o di inabilitazione soggette a revoca (art. 820 c. p. civ.): in dette ipotesi non trattasi di r e v i s i o n e della pre­ cedente sentenza, ma di n u o v a sentenza che ha per presupposto di fatto e di diritto determinate circostanze stabilite a priori dalla legge. Par­ lare quindi di un processo di revisione come di istituto normale nel processo civile è un assurdo, e va altretttanto escluso qualsiasi ipote- tetico accertamento con l’istituto della revisione di cui all’art. 553 e segg. C. pr. pen..

Per quanto attiene poi al contenuto della istanza in revocazione vogliamo ricordare la decisione C. C., Sezione Speciale pr. reg. del 4 marzo 1950, n. 10859 (D i r. e p r a t. t r i b . 1951, II, 132), secondo la quale

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è intuitivo clie nella istanza di revocazione, quale nesso di impugna­ zione straordinario, diretta a modificare una decisione irrevocabile, il motivo deve essere specificatamente enunciato onde non può bastare nel caso previsto dal n. 4 dell’art. 395 c.p.c. la generica indicazione di’ un errore di fatto o sulPammontare dei lavori. Tale corretta decisione conferma la prevalente giurisprudenza in materia' della stessa C. C. la quale per altro ed anche in data recente ha avuto qualche ingiustifi­ cata resipiscenza (v. per la critica di dette decisioni, davvero disorien- tatrici, in questa R i v i s t a 1951, la nostra R a s s e g n a d i d i r itto p r o c . t r i ­

b u ta r io , fase. 3, pag. 288-291). Riguardo al rimedio della revocazione

nessun dubbio è comunque possibile circa l’obbligo della motivazione del ricorso a pena di inammissibilità, e ciò per il tassativo disposto dell art. 398 c. p. civ., capov., applicabile in materia, per difetto di norme particolari, nel quale si dice appunto che la citazione deve indi care a pena di inammissibilità il motivo della revocazione e le prove ì elative alla dimostrazione dei fatti di cui ai numeri 1, 2, 3 e C art. 395.

Ad eguale conclusione si dovrà pervenire anche per quanto riguarda il ricorso alla Commissione Centrale (del quale tratteremo nella pros­ sima Rassegna) argomentandosi ex art. 366 c. proc. civ.

R E C E N S I O N I

Giuseppe Ugo Papi - Nel ventennio della Banca dei Regolamenti Internazio­ nali - Con appendice bibliografica compilata sulla base di informazioni fornite dalla B. I. R.. Roma, Bancaria, 1951, 289.

In tale studio l’A. ha ritenuto opportuno di inquadrare l’attività di questa Banca nella serie degli eventi svoltisi dalla fine dell’ultima guerra mondiale, fino ai nostri giorni; e da questa indagine, storica e teorica ad un tempo, ha tratto alcune conclusioni nell’indirizzo di una più accentuata liberalizzazione degli scambi e di una integrazione delle economie dei vari Paesi, contraria­ mente all’avviso di taluni scrittori — più specialmente l’Arndt ed il Lewis — che dagli eventi evocati avevano tratto invece insegnamenti di indirizzi prote­ zionistici, di chiusura e di controllo dei singoli mercati.

Egli ha anche auspicato talune linee di una più intima collaborazione fra le principali Banche centrali, a mezzo di Organismi internazionali meglio effi­ cienti di quelli stessi creati dagli Accordi di Bretton Woods, dopo un’analisi delle trasformazioni seguite nelle operazioni di una moderna Banca centrale.

Ottima è stata questa celebrazione —• compiuta dall’illustre economista dell’Ateneo di Roma — di un Istituto Internazionale, che per la rivalità delle nazioni non potè svolgersi secondo i piani, che per la fortuna dei popoli erano stati formulati dai promotori di esso e dagli studiosi e il quale, non ostante il sorgere di più cospicui enti internazionali negli U.S.A. ha saputo resistere e progredire nella sua forza finanziaria e nella serietà del suo ordinamento.

La ricchissima bibliografia completa il pregio del volume.

B. Griziotti

Epicakmo Cobbino, Il crepuscolo del liberismo (5* ed.), Milano, Giuffrè, 1951.

Corso di Politica Economica e Finanziaria, voi. II (5» ed.), Milano, Giuf­ frè, 1952.

Esce in quinta edizione la prima parte del « Corso » in veste autonoma per corrispondere all’« ansia di chi guarda l’avvenire di un’umanità inquieta e sempre più tentennante nella ricerca di nuove formule di convivenza sociale », dice 1 A. nella Prefazione, l’ansia di conoscere i rapporti che intercedono fra lo Stato e l’individuo nella struttura sociale nel mondo contemporaneo.

La trattazione si occupa in primo luogo dei problemi dello Stato liberale del secolo scorso, del crepuscolo del liberalismo dopo la prima guerra mon­ diale, per passare a discutere dei problemi che si sono presentati durante e dopo la seconda guerra mondiale. Quest’ultima parte è tratta da una lezione tenuta a Napoli il 26 febbraio 1948 e costituisce la parte nuova di questa edizione.

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delle popolazioni civili e in dispregio dei diritti comuni, l’A. mostra che la guerra ha pienamente confermata l’azione delle leggi economiche nel campo della produzione e in quello della distribuzione, il che prova la fondatezza delle assunzioni dei classici dell’economia e la caducità di alcune teorie nuove, che non tengono conto della realtà.

L’ adattabilità alle ristrettezze economiche e ai disagi psicologici e mo­ rali ha mostrato la forza di resistenza delle popolazioni e anche la loro sot­ tomissione alle continue e sempre più vaste ingerenze dello Stato nella rego­ lamentazione della vita economica.

L’evoluzione dello statalismo non ha però infranto il principio della pro­ prietà privata e dell’iniziativa privata, pur limitandone l’esercizio per neces­ sità di guerra.

L’A. vorrebbe, ma non può, per mancanza di dati precisi, fare il confronto fra il rendimento produttivo delle forze nei due sistemi, americano e russo, ma trova tuttavia che anche le attività coordinate non sulla base dell’inizia- tiva privata, hanno dato dei brillanti risultati, se si prescinde dal calcolo esatto del costo economico e, aggiungiamo, pure di quello sociale.

Il contrasto fra il vecchio mondo liberista e capitalista e il nuovo stato collettivista ha prodotto quella rottura dell’equilibrio che ha sconvolto l’assetto dell’economia europea e le singole economie nazionali. Appare quindi sempre più acuto il contrasto fra l’economia libera basata sull’iniziativa privata e l’e­ conomia controllata o pianificata, dove l’intervento regolatore delio Stato ò per lo più guidato da direttive politiche.

Al posto dell’economia liberale, che è al suo crepuscolo, vi è da una parte un’economia di Stato, caratterizzata dall’inevitabile perdita della libertà po­ litica degli individui e dall’altra un’economia quasi socializzata, che riesce a mantenere nella sostanza, ma con forme nuove e con limitazioni, la libertà politica.

Per il momento, dice l’A., per concludere, i continui progressi tecnici rie­ scono a compensare gli eifetti del disordine del sistema attuale e dell’aumento della popolazione, ma se i progressi dovessero subire una sosta e la popola­ zione dovesse aumentare in misura maggiore dell’attuale, gli assurdi dell’at­ tuale ordinamento, che ha tutti i difetti dei due sistemi, senza averne i van­ taggi, apparirebbe evidente e non rimarrebbe che di adottarne uno dei due. Ma al tramonto del vecchio liberismo seguirà l’alba di un domani in cui la genialità degli uomini saprà trovare nuove forme di libertà economica meglio adatte alla mutata tecnica produttiva.

E con questa speranza l’A. conclude questo studio sempre brillante ed effi­ cace nell’esposizione delle sue idee e sempre di piacevole lettura allo studioso e al profano.

La quinta edizione del « Corso » lascia presso che immutata la sostanza delle precedenti edizioni, salvo qualche ritocco e aggiornamento riguardo alle ultime vicende monetarie e alla politica commerciale dopo la seconda guerra mondiale.

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Aliomar Baleeiro, Limitagoes Constitucionais al Poder de Tributar, Rio de Janeiro, Edigao de Revista Forense, 1951, pag. X - f 340, s. i. p.

I principi finanziari della Costituzione brasiliana del 1946 hanno, secon­ do l’a., natura essenzialmente politica, ma anche efficacia giuridica fonda- mentale così da meritare una autonomia dogmatica come Diritto Finanziario Costituzionale. Tali norme hanno grande importanza in un paese a Costituzione