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Plavina et al. hanno analizzato campioni sierici/plasmatici di 71 pazienti con diagnosi di PML associata a Natalizumab (prelevati > 6 mesi prima della diagnosi) e di 2,522 pazienti non-PML anti-JCV positivi. I risultati ottenuti hanno dimostrato come nei pazienti positivi agli anticorpi anti-JCV e non esposti a precedenti terapia immunosoppressive, il livello di risposta anticorpale anti-JCV (Index) è in grado di definire ulteriormente il rischio di PML. In questo studio l’Index è risultato significativamente più alto nei pazienti con PML rispetto a quelli che non hanno sviluppato PML (P<0.0001), tuttavia, l’Index sembra predire il rischio con elevata

61 sensibilità ma bassa specificità, dal momento che alcuni pazienti che non hanno sviluppato PML avevano comunque un elevato Index (il 57.1% dei pazienti non- PML aveva un Index >1.5). In caso di precedente utilizzo di immunosoppressori non si è osservata associazione tra un elevato Index ed il rischio di PML, l’ipotesi è che in questi casi tali terapie compromettano la capacità del paziente di montare una risposta anticorpale (perlomeno per quanto riguarda i livelli anticorpali) efficace nei confronti del virus JC. Questo studio, inoltre, ha evidenziato come dopo un periodo di 18 mesi (con dosaggio anticorpale ripetuto ogni sei mesi) l’87% dei pazienti negativi al baseline rimane negativo e solo il 3% sieroconverte con un Index >1.5.

La stratificazione del rischio riduce il rischio di PML associato a

Natalizumab?

Nel 2010 la disponibilità di un test ELISA per rilevare la presenza di anticorpi anti- JCV suggerì che i pazienti con SM, in terapia con Natalizumab, qualora JCV sieropositivi presentavano un rischio maggiore di sviluppare la PML. Nel 2012 la FDA approvò l'utilizzo nella pratica clinica di un test più sensibile per il dosaggio degli anticorpi anti-JCV e, nello stesso anno, fu elaborato un algoritmo per la stratificazione del rischio successivamente ridefinito con l'introduzione dell'Index. Nonostante ciò i casi di PML sono costantemente aumentati nel tempo, passando da 42 nel marzo 2010, a 372 nel giugno 2013, a 566 nel giugno 2015 e 638 a marzo 2016. Le cause di questo fallimento sono sconosciute, tuttavia, sono state considerate alcune possibili spiegazioni (Cutter and Stüve, 2014):

-difficoltà dei neurologi nell'interpretazione dell'algoritmo di stratificazione del rischio, inoltre, il fatto che la sospensione del Natalizumab sia associata ad una riattivazione della SM può, soprattutto in alcune circostanze, rendere la valutazione del rischio di PML verso quello di SM piuttosto complessa;

-qualsiasi test di rilevazione delle proteine ha un limite inferiore e ci sono diversi casi di PML associati a Natalizumab risultati negativi al test ELISA per il JCV, rappresentando delle infezioni de-novo oppure dei falsi negativi;

-i neurologi potrebbero trascurare altri fattori di rischio come la pregressa esposizione a terapie immunosoppressive che aumenta notevolmente il rischio di PML nei pazienti sieronegativi all'inizio della terapia ma che successivamente sieroconvertono;

62 -semplicemente potrebbe essere ancora troppo presto per registrare un possibile impatto della stratificazione del rischio poiché molti dei pazienti sono valutati durante il primo anno di esposizione durante il quale i potenziali cambiamenti rischi sono più difficili da rilevare per la loro bassa incidenza;

-i pazienti potrebbero essere disposti a tollerare il rischio, anche se eccessivo, data l'elevata efficacia del farmaco.

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Effetti del Natalizumab sul circolo periferico

Vi sono diverse evidenze che il Natalizumab (NTZ) influenzi in maniera differente i vari sottotipi linfocitari, il che potrebbe rendere ragione della suscettibilità individuale allo sviluppo di PML.

Nel liquor dei pazienti in terapia con NTZ sono stati riscontrati livelli più bassi di linfociti T CD4+, linfociti T CD8+, così come cellule B CD19+, plasmacellule CD138+ a confronto con pazienti SM non trattati o controlli sani, che persistono per sei mesi dopo l'interruzione della terapia per ritornare a valori normali dopo circa 14 mesi indipendentemente dalla comparsa o meno di rebound clinico o radiologico (Stuve et al., 2006). Nel SNC il rapporto linfociti T CD4+/CD8+ è ridotto durante la terapia (Schwab et al, 2012). Nel sangue periferico, invece, il rapporto linfociti T CD4+/CD8+ durante terapia con NTZ è risultato variabile a seconda degli studi, in alcuni casi è risultato stabile o non significativamente ridotto nonostante l'aumento percentuale dei linfociti T (1,3 volte) (Planas et al, 2012), in altri ridotto.

Il NTZ, tuttavia, non si limita esclusivamente ad impedire il passaggio attraverso la BEE dei linfociti T attivati, ma agisce su vari giocatori dell'immunità innata e acquisita come APC e NK.

Per essere presentate alle cellule T gli antigeni devono essere esposti da APC, come cellule dendritiche (CD), linfociti B e macrofagi. Il NTZ sembra agire principalmente su linfociti B e CD. Il numero di cellule CD209+ risulta diminuito, come pure ridotta risulta l'espressione sulla loro superficie di MHC II negli spazi perivascolari cerebrali, inoltre, in vitro sembra ridotta la loro capacità di stimolare i linfociti TCD4+ come pure i CD8+ (del Pilar et al., 2008) e, in conclusione, compromettere la risposta al virus JC.

L’utilizzo di NTZ, pertanto, modifica la composizione cellulare nel circolo periferico sin dai primi mesi di terapia (Putzki et al, 2010). Bisogna premettere che i vari sottotipi linfocitari sono influenzati in vario modo perché diversa è l’espressione di α4β1-integrina che è maggiore sui linfociti B rispetto ai linfociti T, sui linfociti TCD8+ rispetto ai linfociti T CD4+ e sulle cellule memoria rispetto alle cellule naive (Krumbholz et al., 2008). Più in generale l’aumento delle cellule in periferia è il risultato di due processi, alterata attivazione dei linfociti che esprimono VLA-4 sulla

64 loro superficie e ridotta migrazione transendoteliale delle cellule negli organi linfoidi secondari a causa dell’inibizione del legame α4-integrina-VCAM1/MADCAM1. Linfociti T. Marousi et al, hanno mostrato come in 44 pazienti trattati con NTZ (media di 30 infusioni) tutti mostravano un significativo incremento di GB, linfociti totali, monociti, eosinofili, basofili, CD4+, CD8+, cellule T NK e linfociti B (ma non di neutrofili o cellule dendritiche) rispetto ai controlli SM RR NTZ-free); il rapporto CD4/CD8, che in studi precedenti (Stuve et al, 2006; Frisullo et al, 2011) si è ridotto gradualmente durante i primi sei mesi di terapia, pur rimanendo entro limiti normali, è risultato significativamente più basso nei pazienti trattati rispetto ai controlli, senza mostrare correlazione con il numero di infusioni di NTZ. Analizzando separatamente pazienti NTZ responder e non responder, si è visto che il rapporto CD4+/CD8+ rimane significativamente ridotto rispetto ai controlli, solo nel primo gruppo. Il ridotto rapporto CD4+/CD8+ è l’epifenomeno di uno squilibrio nell’inibizione della migrazione dei linfociti T CD4+ e CD8+ da parte del NTZ e riflette una compromissione della sorveglianza immunitaria T-helper. Questo basso rapporto da un lato coincide con una prolungata risposta alla terapia e, dall’altro, comporta un rischio maggiore di infezioni opportunistiche del SNC.

Koudriavtseva et al., hanno studiato 23 pazienti trattati con NTZ per almeno 24-48 mesi, responsivi alla terapia, osservando già alle prime misurazioni e per tutto il periodo di osservazione un incremento significativo dei linfociti rispetto ai globuli banchi totali, un incremento significativo dei linfociti B rispetto alle cellule T e NK, mentre il rapporto lifociti T CD4+/CD8+, a differenza di altri studi che mostravano una significativa riduzione (Mellergård et al, 2013; ), è rimasto costante. In conclusione l’efficacia della terapia con NTZ è associata alla persistenza degli effetti biologici sulla circolazione periferica esercitati dal farmaco.

Le alterazioni determinate dal NTZ permangono sia a livello liquorale che nel circolo periferico per almeno sei mesi dopo la sospensione del farmaco per scomparire del tutto dopo 14 mesi.

Le cellule T CD4+ mostrano, sulla loro superficie, una espressione significativamente ridotta di α4-integrina (CD 49+) libera, sia prima che dopo terapia con NTZ, rispetto alle cellule T CD8+ (Stüve et al., 2006). Il NTZ stesso quindi potrebbe influenzare in maniera diversa i vari sottotipi linfocitari, per quanto riguarda l’espressione di VLA-4. Supponendo che sia necessaria una soglia assoluta di α4integrina libera, disponibile sulla superficie dei leucociti, per l’adesione

65 cellulare e quindi per il passaggio attraverso le barriere biologiche anche dei tessuti periferici, la differente influenza esercitata dal NTZ sull’espressione di CD49+ potrebbe spiegare la differenza, esistente tra linfociti T CD4+ e CD8+, da un lato nell’entità del passaggio attraverso la BEE e, dall'altro, la diversa quota delle due sottopopolazioni linfocitarie a livello del circolo periferico, quale conseguenza di una ridotta attivazione e differenziazione dei CD4+ negli organi linfoidi secondari.

Per quanto riguarda gli effetti sui linfociti B: NTZ mobilizza le cellule progenitrici CD34+ dal midollo osseo nel sangue periferico, aumenta in maniera persistente i livelli circolanti di cellule B CD19+, modifica le sottopopolazioni di linfociti B riducendo le cellule B naive ed aumentando le cellule B memoria (Frohman et al, 2014) che, necessitando dell'interazione VLA-4/VCAM-1 per essere contenute nella zona marginale della milza, in presenza del farmaco vengono rilasciate (Jing et al, 2010). L'infezione delle cellule pre-B da parte dell'archetipo virale, inoltre, potrebbe apportare dei cambianti nella regione regolatoria durante lo sviluppo e la maturazione delle cellule B. Dal 1992 si è posta l'attenzione sulla capacità delle cellule CD34+ di essere infettate dal virus consentendo poi il trasferimento dello stesso nei linfociti. Il rilascio di cellule pre-B e cellule staminali CD34+ dal midollo osseo nel circolo periferico potrebbe essere uno dei meccanismi che incrementa la viremia da JC che poi promuove la PML (Putzki et al, 2010). Sebbene ancora dibattuto si ritiene che le cellule B ed i progenitori CD34+ che comunque in piccola quantità attraversano la BEE, possano giocare un ruolo nella fisiopatologia della PML, in quanto cellule reservoir del virus JC.

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