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Analisi statistica

T 0 T uno T due p-value

PASAT 3” 37,6±12,3 36,6±11,2 38,8±11,2 PASAT 2” 27,5±7,9 29±10,7 29,8±10,1 Figura di Rey copia 32±2,1 30,5±4,8 31,5±3 Figura di Rey differito 15,3±5,3 16,1±9,1 18,1±8,2 Figura di Rey 20 minuti 14,5±4,2 15,2±9,5 16,3±6,5 STROOP eff.interf. 22,7±13,1 30,4±25,4 18,2±4,1 STROOP eff.errori 1,6±2,5 0,4±0,9 0,5±0,9 TMT A 55,8±13,4 46,3±9,2 44,6±8,9 TMT B 117,8±19,7 100,5±22,7 79,5±21,2 <0,05 TMT B-A 72±17,8 54,2±24,6 46±17,3 FAB 16,1±0,5 15,5±0,6 16,4±1

Tab. 7 Valutazione neuropsicologica in un sottogruppo di pazienti (N 6) all’inizio (T0) e rispettivamente dopo un anno (Tuno) e 5,7±0,5 anni (Tdue) di terapia con Natalizumab.

Per quanto riguarda i dati di laboratorio, nessuno dei pazienti ha sviluppato anticorpi anti-Natalizumab.

86 Sei mesi dopo l’avvio della terapia immunosoppressiva, è risultato significativamente aumentato il numero dei leucociti circolanti (7,75±1,45) (p <0,05) ed in particolare dei linfociti (3,03±0,60) (p <0,01) pari rispettivamente a 6,73±1,51 e 2,15±0,65 al baseline; non sostanziali modificazioni dei neutrofili circolanti. A confronto con i valori ottenuti ripetendo il dosaggio dopo 24 infusioni non sono state rilevate significative variazioni rispetto a quelli rilevati a sei mesi, eccetto che per un ulteriore aumento dei leucociti totali circolanti (8,60±1,45) (p<0,05) ( Fig. 10). Confrontando i valori, espressi in percentuale, delle sottopopolazioni linfocitarie ottenuti preliminarmente all’avvio della terapia con Natalizumab con quelli registrati alcuni mesi dopo, si è osservato una significativa (p <0,01) riduzione dei linfociti T CD4+% (da 49,1±7,6 a 42,1±7,1) oltre che del rapporto tra linfociti T CD4+/CD8+ (da 2,03±0,91 a 1,65±0,61) (Tab. 8)

Non è stata osservata correlazione tra il rapporto dei linfociti T CD4+/CD8+ ed il numero delle infusioni di Natalizumab (rho=-0,003; p >0,05) (Fig. 11).

T₀ T₁ (6 mesi) p-value (T₀-T₁) T₂ (24 mesi) p-value (T₁-T₂) Leucociti *10^3/uL (m±DS) 6,73±1,51 7,75±1,45 <0,05 8,60±1,45 <0,05 Linfociti *10^3/uL (m±DS) 2,15±0,65 3,03±0,60 <0,01 3,34±0,95 >0,05 Neutrofili *10^3/uL (m±DS) 3,85±1,20 3,81±1,16 >0,05 4,27±1,30 >0,05

PRE-Natalizumab POST-Natalizumab p-value

Linfociti T CD4+ % (m±DS) 49,1±7,6 42,1±7,1 <0,01 Linfociti T CD8+ % (m±DS) 26,9±7,4 27,05±6,2 >0,05 Rapporto CD4+/CD8+(m±DS) 2,03±0,91 1,65±0,61 <0,01

Tab. 8 Variazioni nel numero degli elementi circolanti in periferia prima e dopo terapia con Natalizumab.

87 Fig. 10 Variazione dei livelli degli elementi circolanti nel sangue periferico durante terpia con Natalizumab.

Fig. 11 Relazione tra numero di infusioni e rapporto linfociti T CD4+/CD8+ in periferia.

Considerando l’intero periodo di osservazione, sono risultati positivi al dosaggio degli anticorpi anti-JCV 11 pazienti (73,3%), dopo una mediana di infusioni pari a 24 (range 5-60), cosicché il 54,5% dei pazienti si è sieroconvertito entro i primi due anni di terapia.

Basale 6 mesi 24 mesi

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 6,73 7,75 8,6 2,15 3,03 3,34 3,85 3,81 4,27

leucociti linfociti neutrofili

va lo re m e d io (* 1 0 ^3 /u L ) 10 15 20 25 30 35 40 45 50 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5 4 CD4+/CD8+

88 Più della metà dei pazienti che hanno proseguito la terapia presentavano, pertanto, entrambi i fattori di rischio per lo sviluppo di PML, con un rischio stimato (senza disporre della attuale ulteriore stratificazione ottenuta con l'Index), in assenza di precedente esposizione a terapia immunosoppressiva, pari a 5/1000. Allo stato attuale, sulla base della ulteriore stratificazione del rischio, degli 11 pazienti (una paziente ha recentemente sospeso per gravidanza) in terapia, 4 (con un range di infusioni 24-100) sono rimasti negativi al dosaggio degli anticorpi anti-JCV conservando un rischio di PML pari a 0,1/1000, un paziente attualmente a 24 infusioni ed Index <0,9 ha un rischio di 0,1/1000 (che diventerà 0,2/1000 alla prossima infusione), un paziente con un numero di infusioni <72 ed un Index <0,9 ha un rischio di 0,6/1000, un paziente con un Index ancora <0,9 ma con un numero di infusioni >72 avrà un rischio >0,6/1000, un ulteriore paziente con un Index >1,5 ed un numero di infusioni ancora compreso tra 61 e 72, avrà un rischio di 10/1000, infine ulteriori tre pazienti con un Index >1,5 ed un numero di infusioni >72 hanno un rischio >10/1000 (Tab.9).

Non è stata trovata correlazione significativa tra l'Index anticorpale ed il numero delle infusioni di Natalizumab (rho= -0,1454, p >0,05) (Fig. 12).

Anticorpi anti-JCV Index Infusioni (range) Rischio PML (su 1000) POSITIVI 7 pazienti <0,9 24 0,1 65-75 ≥ 0,6 >1,5 68-83 (4 pazienti) ≥ 10 NEGATIVI 4 pazienti 24-100 0,1

Tab. 9 Profilo di rischio nei pazienti attualmente in terapia.

Due pazienti hanno sospeso la terapia a causa di un aumentato rischio di PML (> 24 infusioni, positività per anticorpi anti-JCV) e sono passati a terapia con Fingolimod, dopo un washout di 4 e 5 mesi rispettivamente e, nel primo caso, con l’assunzione di terapia corticosteroidea in boli durante l’intervallo libero da farmaci senza presentare ricaduta in questa fase ma solo successivamente (in un caso).

Un paziente risultato positivo agli anticorpi anti-JCV, dopo il terzo anno di terapia ha proseguito la cura effettuando le infusioni ogni sei settimane, anziché ogni quattro.

89 Fig. 12 Relazione tra il numero delle infusioni di Natalizumab e l’ Index anti-JCV.

Gli eventi avversi riscontrati sono stati i seguenti: acne rosacea/reazione orticarioide (2 pazienti), incremento degli enzimi epatici/pancreatici (3 pazienti), infezioni urinarie ricorrenti (4 pazienti), infezioni delle alte vie respiratorie (3 pazienti), otite media (1 paziente) e, in assoluto, l'evento avverso più grave, la comparsa di PML in un paziente.

La paziente che ha sviluppato la PML, per la durata della terapia (45 infusioni) e la positività anti-JCV con elevato Index (4,010), presentava un rischio stimato di PML pari a 7/1000. Al momento del sospetto neuroradiologico (puntiformi areole di accentuazione di segnale della sostanza bianca fronto-parietale sinistra a prevalente distribuzione sottocorticale alcune captanti mdc) era completamente asintomatica. La ricerca del genoma virale su liquor è risultata negativa al primo dosaggio e, in occasione del secondo prelievo, è stato possibile dimostrare una positività a basso titolo (31 copie/mL) solo inviando in analisi il campione presso il National Institute of Health. Circa tre settimane dopo sono comparse alterazioni cognitive (rallentamento ideomotorio, discalculia, afasia, disturbi esecutivi, difficoltà nella scrittura), modesto deficit di forza all’arto superiore destro ed accentuazione del quadro neuroradiologico (aspetto confluente delle lesioni a livello parietale sinistro con coinvolgimento dello strato corticale limitrofo; comparsa di lesioni a livello del

0 10 20 30 40 50 60 70 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5 4 4,5 Index

90 centro-semiovale e della sostanza bianca sottocorticale fronto-parietale destra) per cui è stata sottoposta a plasmaferesi (due sedute) ed impostata terapia con Meflochina e Mirtazapina. Dopo ulteriori tre settimane la paziente ha presentato un peggioramento del quadro cognitivo (afasia non fluente: anomie e parafasie fonemiche, utilizzo frequente di parole passpartout, rallentamento ideo-motorio e aprassia ideo-motoria all’arto superiore destro)- comportamentale (note disforiche) e dell'emisindrome deficitaria sensitivo-motoria destra, crisi comiziale con secondaria generalizzazione, nel contesto di un quadro RMN compatibile con IRIS (estensione numerica e dimensionale delle lesioni, con confluenza delle stesse e captazione di Gd; edema ed aspetto rigonfio delle circonvoluzioni). Trattata con steroidi ad alte dosi, già a partire dal mese successivo c’è stato un progressivo miglioramento clinico e radiologico (sette mesi dopo il quadro neuroradiologico di IRIS, alla RMN: assenza di lesioni Gd+, evoluzione in senso atrofico delle lesioni). A quasi due anni dall’esordio della PML la paziente ha completamente recuperato il deficit sensitivo- motorio mentre, sebbene in continuo miglioramento grazie anche alla riabilitazione logopedica, permane la compromissione cognitiva (ai test neuropsicologici: compromesse le prove per le funzioni esecutivo/frontali, la copia di una configurazione complessa e la rievocazione immediata della prova di apprendimento di materiale verbale strutturato, difficoltà di shifting attentivo) che ha comportato una modifica delle mansioni lavorative nonché una riduzione dell’autonomia. Ad un recente controllo di RMN encefalo: comparsa di due lesioni focali della sostanza bianca con captazione marginale del mdc, compatibili con riattivazione di SM, per cui da circa un mese è in terapia con Teriflunomide.

91

Discussione e Conclusioni

L’efficacia del farmaco, è stata confermata nel breve termine, infatti, dopo due anni di terapia si è osservata una riduzione del 90% dell’ARR oltre che dell’83% e del 93% rispettivamente per quanto riguarda la comparsa di nuove lesioni e di lesioni captanti il mezzo di contrasto alla RMN. La risposta terapeutica, inoltre, si è mantenuta, anche nel lungo termine, talora addirittura con una ulteriore accentuazione del beneficio clinico e neuroradiologico. Per quanto riguarda la progressione della disabilità valutata mediante EDSS, sebbene non significativi, i risultati sono stati buoni dopo i primi due anni di terapia, mentre, nel successivo periodo di osservazione una più alta percentuale di pazienti ha mostrato un incremento del punteggio EDSS, tuttavia, non superiore a 1.5 punti. L’ulteriore periodo di follow-up (successivo alla 24esima infusione), inoltre, corrisponde ad una durata mediana di 44 mesi, quindi molto maggiore di 24 mesi e pertanto con un rischio probabilistico più alto di registrare una progressione dell’EDSS proprio in relazione alla sua durata.

La valutazione neuropsicologica è stata eseguita in un sottogruppo di pazienti, più che come parametro di efficacia clinica, per testarne un eventuale ruolo nella valutazione della tollerabilità al farmaco, ovvero la sensibilità nella individuazione di un disturbo cognitivo spia di una PML incipiente. I risultati ottenuti da questo studio evidenziano un modesto miglioramento delle prestazioni cognitive, significativo soltanto per quanto riguarda lo shifting attenzionale, che comunque concorda con i dati della letteratura. Sarebbe quindi comunque ipotizzabile l'utilizzo dei test neuropsicologici, quale strumento di monitoraggio della PML, sebbene la somministrazione mensile non sia sempre di facile esecuzione per questioni di tempo.

Nessuno dei pazienti in studio ha sviluppato anticorpi anti-Natalizumab. Sebbene umanizzato, infatti, il Natalizumab rimane immunogeno con una produzione di anticorpi almeno transitoria nel 9-12% dei casi. Di questi il 6% sono persistentemente positivi (presenza di anticorpi in almeno due dosaggi successivi eseguiti a ≥ 42 giorni). Nel 98% dei casi compaiono entro le 24 prime settimane (4-6 infusione) fino a circa la nona infusione (Calabresi et al, 2007). La loro presenza comporta una riduzione dell'efficacia del farmaco con conseguenti ricadute,

92 progressione neuroradiologica e disabilità oltre ad una maggiore propensione a sviluppare reazioni allergiche da infusione.

Nella nostra casistica, a sei mesi dall’inizio della terapia con NTZ, si è osservata una leucocitosi con prevalenza linfocitaria e una riduzione, sebbene entro i limiti della normalità, del rapporto linfociti T CD4+/CD8+. I valori sono poi rimasti sostanzialmente invariati senza mostrare relazione con il numero delle infusioni, pertanto, potrebbe non essere completamente da escludere l'ipotesi di considerare il rapporto linfociti T CD4+/CD8+ in periferia, quale parametro aggiuntivo per stratificare ulteriormente il rischio di PML.

A livello periferico, durante la terapia con NTZ si osserva una modesta leucocitosi e linfocitosi che rappresenta un buon marker dell’efficacia dell’antagonismo VLA-4, tuttavia, il rapporto CD4+/CD8+ a livello del circolo periferico, a differenza di quanto avviene nei pazienti HIV+, si riduce ma rimane entro limiti normali.

Il farmaco, inoltre, altera la risposta immunitaria in maniera ancora più rilevante a livello del SNC, infatti, il numero di linfociti T CD4+ e CD8+, cellule B CD19+ e plasmacellule CD138+ nel liquido cerebrospinale dei pazienti con SM risulta ridotto, in particolare la riduzione dei linfociti T CD4+ è dieci volte maggiore rispetto a quella dei CD8+. È stato pertanto ipotizzato che NTZ non solo blocchi l’ingresso delle cellule T effettrici nel SNC ma comprometta anche la riattivazione delle cellule T a livello del SNC stesso. In particolare è stato dimostrato che NTZ riduce il numero di APC (cellule dendritiche, macrofagi e linfociti B) nonché l’espressione sulla loro superficie di molecole MHC II a livello degli spazi perivascolari cerebrali (spazi di Virchow-Robin) che rappresentano la sede principale di riattivazione delle cellule T CD4+ nel SNC; in aggiunta nessuna cellula CD4+ è stata riscontrata in questo compartimento nei pazienti che hanno sviluppato PML in corso di terapia con NTZ.

Gli studi hanno dimostrato come il rapporto CD4+/CD8+ nel liquor di pazienti con malattie neurologiche non infiammatorie così come di pazienti SM non in terapia con NTZ rimane entro limiti normali e paragonabile ai controlli sani. Lo stesso rapporto nel liquor in caso di pazienti SM trattati con NTZ, invece, si inverte e non differisce in maniera statisticamente significativa rispetto a quello riscontrato in pazienti HIV+ (Stuve et al., 2006).

93 Nessuno dei due pazienti che ha sospeso ha presentato ricadute di malattia durante il wash-out; in linea con quanto riportato in letteratura, l’utilizzo di terapia steroidea durante il washout è discutibile, dal momento che alcuni autori hanno ottenuto buoni risultati dalla somministrazione mensile di corticosteroidi nei pazienti in attesa di iniziare Fingolimod (Laroni et al. 2013), al contrario di altri (Sempere et al. 2013). Solitamente il rischio di ricadute alla sospensione del Natalizumab è maggiore nei pazienti con una elevata attività di malattia prima di intraprendere la terapia di seconda linea (O’Connor et al., 2011), al contrario, tra le due pazienti della nostra casistica, quella che, nei due anni precedenti alla terapia con Natalizumab, aveva presentato una maggiore attività di malattia sia dal punto di vista clinico (tre ricadute vs due ricadute) che neuroradiologico (16 nuove lesioni di cui 9 captanti vs 3 nuove lesioni di cui una captante), durante la terapia con Fingolimod (follow-up di circa 34 mesi per entrambe le pazienti) ha avuto una migliore risposta (una singola nuova lesione captante mdc alla RMN vs incremento del carico lesionale in due controlli RMN; no riesacerbazioni vs importante ricaduta motoria all’emisoma destro).

Uno dei pazienti ha proseguito la terapia, dopo i primi tre anni, estendendo l’intervallo tra le dosi a sei settimane, rimanendo completamente libero da malattia per ulteriori cinque anni. Evidenze in questo senso sono suggerite dalla letteratura, infatti, al termine di uno studio condotto su un totale di 361 pazienti con SM trattati con NTZ per 22 ± 13 mesi, 96 dei quali hanno assunto il farmaco con un intervallo maggiore (6-8 settimane) tra una somministrazione e l’altra, per un periodo di circa 20 ± 11 mesi, la percentuale di ricadute (13%) è risultata la stessa in entrambi i gruppi (Bomprezzi and Pawate, 2014). Questo studio, così come uno più recente (Zhovtis Ryerson et al., 2016), sembrano dimostrare che l’estensione dell’intervallo tra le dosi, sebbene comporti una ridotta esposizione al farmaco, non riduce l’efficacia dello stesso, tuttavia, sono necessari ulteriori dati per concludere che questa può essere una buona strategia anche per ridurre il rischio di PML, anche considerando che è stato riportato un caso di PML proprio in un paziente trattato con NTZ ogni sei settimane (Hervas et al., 2015).

Il farmaco ha mostrato un buon profilo di tollerabilità, con una bassa incidenza di eventi avversi non gravi (in particolare infezioni) in accordo con quanto riportato nel riassunto delle caratteristiche del prodotto, secondo il quale con una probabilità inferiore ad 1/100, possono verificarsi: faringiti, infezioni vie urinarie, orticaria, cefalea, vertigini, nausea, vomito, artralgia, febbre e rigidità.

94 Il caso di PML riportato in questo studio ha molti punti in comune con quelli descritti in letteratura, in termini di esordio, diagnosi, decorso clinico e neuroradiologico. Un punto aperto di discussione rimane la gestione terapeutica sia durante che dopo la PML. Non ci sono linee guida chiare su quale sia la terapia migliore da adottare dopo la sospensione del Natalizumab, specialmente se l’interruzione avviene a causa di una PML. Qualche dato ci arriva dalla letteratura: Maillart et al. descrivono due pazienti con severa ripresa della SM, 4 e 5 mesi dopo l’interruzione del NTZ a causa di una PML. Entrambi i pazienti dopo il fallimento della terapia con IFN sono stati trattati con Fingolimod con una buona risposta clinica e neuroradiologica e senza un peggioramento della PML.

La nostra casistica, seppure con ovvie limitazioni, prima fra tutte la ridotta casistica, poi la mancata rilevazione di parametri RMN aggiuntivi (lesioni a carico della sostanza grigia, atrofia cerebrale globale e corticale), ci ha fornito risultati in gran parte sovrapponibili agli studi della letteratura e, soprattutto, ci ha messo di fronte alle problematiche più rilevanti che una terapia immunosoppressiva della portata del Natalizumab può comportare.

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