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Indirizzi per il restauro

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claudio varagnoli, clara verazzo

Indirizzi per il restauro

I criteri per gli interventi di restauro nei Comuni terremotati si rivolgono esplicitamen- te alle aree perimetrate, che coincidono nella maggior parte dei casi con i centri storici, ma sono virtualmente estensibili all’intera compagine urbana. Pertanto, si astrae in questa sede da ogni considerazione sul tracciamento delle suddette perimetrazioni, per concentrare l’attenzione sul tema della ricostruzione dei nuclei originari e storica- mente stratiicati dei Comuni colpiti dal terremoto del 2009.

I temi che caratterizzano tale operazione sono molteplici. Si tratta di nuclei urbani contrassegnati da un’edilizia povera, sia dal punto di vista materiale, sia formale, privi, tranne che nei casi di Popoli e Bussi, di autentiche emergenze architettoniche. Non per questo si tratta di testimonianze meno interessanti, poiché attestano una continuità edilizia ininterrotta, almeno dalla ine del medioevo alla prima metà del XX secolo. Costituiscono inoltre altrettanti capisaldi di un’armatura regionale che trova strette integrazioni con il paesaggio e con l’organizzazione del territorio nei secoli.

Altra caratteristica da cui partire è la condizione di abbandono che questi centri hanno subito ben prima del terremoto, almeno in dalle grandi ondate migratorie degli anni cinquanta e sessanta, seguite dallo spopolamento a vantaggio dei centri costieri o di altre Regioni. Quindi il terremoto ha inierito su aree già degradate, con lacune e crolli nei tessuti urbani dovuti a mancanza di manutenzione, secondo un fenome- no ben noto nelle aree appenniniche centro-meridionali. Perdere i nuclei storici dei Comuni interessati equivale quindi a perdere i punti fermi della rete territoriale che innerva la Regione e preziose testimonianze di cultura materiale, stratiicate nel corso del tempo, che veicolano storia, costumi, identità, insieme a un equilibrio tra presenza umana e territorio ormai smarrito nei moderni insediamenti.

I Piani di ricostruzione costituiscono l’occasione per restituire forza a questa costel- lazione identitaria, e implicitamente riconoscono valore trainante proprio alle azioni di ripresa all’interno dei nuclei storici. Pertanto, uno degli obiettivi prioritari dovrà essere la restituzione di centri urbani “continui” dal punto di vista edilizio, e compatti, secondo la loro logica insediativa e la condizione di vita precedente al terremoto, cercando di avvia- re i meccanismi di una rinascita di qualità non solo all’interno dei centri storici.

L’operazione è resa fattibile dalle condizioni di danno, che sono certo diffuse e in molti casi incisive, ma mai giunte a cancellare intere porzioni del tessuto edilizio storico. I centri dell’area omogenea 5, infatti, appaiono fra quelli colpiti con minore incidenza dal terremoto del 2009, e certamente lo scenario di danno non contempla crolli tali da mettere in crisi gli assetti urbani. Ed è anche da tenere presente che l’ediicato storico presenta un’intrinseca debolezza che non lo rende adatto a sperimentazioni formali che inirebbero per ricacciare in un ruolo subalterno proprio quelle testimonianze che si vorrebbero salvare. Pertanto una strategia di interventi mirati, gradualmente applicati nel tempo, fondati su approfondite analisi del costruito, attraverso indagini documentarie, tipologiche, stratigraiche, strutturali, appare adatta al contesto costruito di riferimento più di interventi segnati da grande visibilità e da altrettanta episodicità. Inoltre, appare

fondamentale non usare la ricostruzione come l’occasione per una malintesa moder- nizzazione delle tracce della civiltà rurale o semi-urbana che domina nei centri interes- sati. Compatibilmente con le esigenze statiche – che restano quelle dominanti, ma che devono essere correttamente intese e opportunamente calate nel contesto reale – è necessario mantenere i tratti fondamentali della cultura materiale. La sua cancellazione porterebbe infatti a una banalizzazione del costruito storico, uniformato all’edilizia delle periferie, come è già accaduto dopo le scosse sismiche del 1984. Da questo punto di vista, non è inutile ricordare la necessità di conservare mostre di porte e inestre, tegole, travi maestre, nonché ovviamente elementi decorativi e simili, ino al recupero di laterizi e conci lapidei variamente sbozzati e tagliati, in modo da innescare processi di rimontag- gio simili, per quanto possibile, al metodo scientiico dell’anastilosi.

Sono piuttosto rari i casi di vere e proprie lacune causate dal terremoto del 2009, di cui si prevede una ricostruzione in sagoma, cioè nelle volumetrie e se possibile nelle tipologie, preferibilmente con materiali tradizionali e tecniche antisismiche, o co- munque con una progettazione contemporanea capace di restituire la continuità per- duta. Una buona conoscenza delle tecniche tradizionali e parallelamente del cantiere moderno possono portare ad accettabili ricostruzioni anche degli apparecchi murari e delle initure, recuperando se possibile i materiali precedenti. Nel caso, invece fre- quente, di lacune precedenti il sisma o di lotti non più ediicabili per cause geologiche (fronti franosi, paleofrane ecc.) si possono studiare soluzioni che permettano una frui- zione dei ruderi che ne risultano, garantendo la sicurezza, ma cercando di mantenere la continuità delle cortine ediicate o del tessuto tipo-morfologico.

Più complesso si rivela l’intervento sulle alterazioni al tessuto edilizio storico, che devono essere rispettate anche in aderenza ai desideri della committenza e alla strati- icazione del contesto urbano. In questa sede non si possono fornire indicazioni vinco- lanti, ma è evidente che nel caso di aggiunte deturpanti, addizioni abusive o simili sarà necessario cercare di restituire l’ediicio rispettandone innanzitutto la logica struttura- le, così come la sua naturale evoluzione storica. In questo orientamento andrà ridotta l’incidenza di materiali e sistemi moderni non per un malinteso ritorno al pristino, ma per arginare banali fenomeni di abusivismo edilizio e incrementare, come dovrebbe essere attuato anche nelle periferie, la qualità architettonica complessiva.

È necessario ribadire che gli interventi sono condizionati dai danni del terremoto e dai differenti esiti di agibilità che gli ediici hanno riportato, per cui si propone una pri- ma individuazione degli interventi possibili, a una scala più ravvicinata, tenendo conto delle prescrizioni di legge. Si ripropone quindi la necessità di affrontare i temi della ricostruzione dalla parte dell’ediicato storico, colto nella sua organicità e nella sua complessità storica, attraverso opportune indagini conoscitive e attraverso un monito- raggio continuo degli interventi edilizi e dei progetti, veriicati negli aspetti strutturali, ma anche nel loro impatto sul contesto.

Alla luce di quanto sopra esposto, l’obiettivo generale della ricostruzione dovrà essere il riassetto edilizio dei centri, cioè la ricomposizione funzionale, formale e strut- turale delle cellule edilizie danneggiate, nel rispetto della compagine complessiva nata dalla stretta relazione tra pieni e vuoti, tra ambiente urbano e paesaggio. Gli interventi di riassetto edilizio dovranno naturalmente tener conto delle indicazioni contenute nelle leggi nazionali e regionali (in particolare la legge della Regione Abruzzo n. 18 del 1983), oltre che delle disposizioni dei Piani e dei regolamenti comunali, con le precisa- zioni e gli adeguamenti richiesti dalle singole realtà locali.

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inerente gli interventi di consolidamento. Per questi è da escludere l’approccio pesante all’intervento, a favore del miglioramento delle strutture più che del loro adeguamento con tecniche lontane dalla tradizione e di fatto incompatibili con le strutture murarie storiche. A sostegno di tale possibilità ci sono gli studi di Antonino Giuffrè, nonché le normative che a partire dal 1986 hanno, appunto, introdotto la categoria degli inter- venti di “miglioramento”, e che sono state riviste e aggiornate successivamente con le “Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche” del 1996, le “Istruzioni generali per la redazione di progetti di restauro nei beni architettonici in zona sismica” del 1997, e inine con le “Linee guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale”, pubblicate nel 2008 come direttiva del Consiglio dei Ministri.

In linea di massima, si è scelto di partire dagli esiti di agibilità degli ediici, ribaden- do la necessità in ogni caso di veriicare puntualmente i danni occorsi e gli interventi congruenti.

Negli ediici contrassegnati da esito A1 possono essere presi in considerazione gli

interventi contemplati dalle leggi nella categoria dell’ordinaria manutenzione, indican- dosi con essa le operazioni di “riparazione, rinnovamento, e sostituzione senza modi- ica di inissi esterni, grondaie, pluviali, recinzioni, manti di copertura, pavimentazioni esterne; riparazione e rifacimento di inissi interni, pavimentazioni interne, intonaci e rivestimenti interni; riparazione, integrazione e ammodernamento di impianti che non comportino la costruzione e la destinazione ex novo di locali per servizi igienici e tecnologici”, sempre secondo la legge 18/1983.

Per gli ediici catalogati con esito B, C e D2, si può fare riferimento a opere, da ve-

riicare puntualmente, contemplate nella categoria della straordinaria manutenzione, intesa come operazione non solo di “tinteggiatura, pulitura esterna e rifacimento into- naci o altri rivestimenti esterni”, ma anche di “parziali interventi di sostituzione, con- solidamento e risanamento delle strutture verticali esterne e interne; parziali interventi di sostituzione, consolidamento e risanamento delle strutture orizzontali-architravi, solai, coperture, senza che ciò comporti variazioni delle quote superiori e inferiori delle strutture stesse; demolizioni con spostamenti di tramezzi divisori non portanti; destinazione o riadattamento di locali interni esistenti a servizi igienici e impianti tec- nici; rifacimento degli elementi architettonici esterni – inferriate, cornici, zoccolature, inissi, pavimentazioni, vetrine ecc. – purché senza cambiamenti di dimensioni e di- segno. È comunque esclusa dagli interventi di straordinaria manutenzione qualsiasi modiica: della forma e della posizione delle aperture esterne; della posizione, dimen- sione e pendenza delle scale e delle rampe; del tipo e della pendenza delle coperture”. Indipendentemente dall’articolato della legge, nel ventaglio degli esiti B/C/D possono ricadere tanti interventi in termini di:

– rifacimento anche totale degli intonaci, purché secondo le tradizioni costruttive locali di riferimento;

– rifacimenti di coperture, pavimentazioni, recinzioni, con tecniche e materiali del- la tradizione;

– consolidamento di strutture orizzontali e verticali con tecniche storiche o co- munque compatibili;

– sostituzione, qualora espressamente necessario, di elementi degli orizzonta- menti (solai, volte, coperture ecc.) secondo il disegno, la forma e le tecniche della tradizione;

– realizzazione di servizi igienici e di impianti tecnologici dentro l’ediicio e senza modiica del suo aspetto interno;

– riapertura inestre tamponate;

– rifacimento scale e rampe, elementi architettonici e decorativi;

– consolidamento ed eventuale rifacimento di strutture in elevazione (comprese quelle fondali), anche in chiave antisismica.

Va ribadito che anche in questo caso gli interventi devono essere studiati rispet- to a un progetto organico dell’ediicio, comprensivo dei suoi caratteri di forma e di struttura, e nel rispetto della sua organizzazione compositiva, stilistica, materiale e cromatica.

Per gli ediici di esito E e F3, frequenti fra quelli ricadenti entro le perimetrazio-

ni – che, si ribadisce, si trovano dentro i centri storici o appartengono a zone a essi assimilabili – si propone la categoria del restauro conservativo, cioè l’insieme delle operazioni che – sempre secondo il dettato della legge 18/1983 – comprendono: “con- solidamento e risanamento delle strutture portanti verticali e orizzontali fatiscenti o instabili, senza alterazione delle quote e delle dimensioni originarie e, solo in caso di provata necessità, con l’aggiunta entro tali limiti di elementi di rinforzo, con materiali diversi; consolidamento e risanamento di scale e rampe senza alterazione delle pen- denze, delle quote, delle dimensioni originarie, dei materiali dei gradini e sottogradini e, solo in caso di provata necessità con l’aggiunta entro tali limiti di elementi di rinfor- zo con materiali diversi, sottofondazioni, iniezioni nelle murature, rifacimento di tetti e coperture – grande e piccola armatura – con quote e materiali identici a quelli origina- ri; demolizioni di superfetazioni, sopraelevazioni, ampliamenti, aggiunte provvisorie e permanenti che alterino le caratteristiche dimensionali e tipologiche del fabbricato; riparazione di elementi architettonici, scultorei, decorativi esterni e interni con mate- riali, forme e tecniche di lavorazione originari e senza modiiche della forma e della posizione delle aperture esterne; demolizione di tramezzi divisori interni non portanti; realizzazione di servizi igienici, di impianti tecnici e delle relative canalizzazioni, di pic- cole modiiche distributive interne che non alterino o che ripristinino l’organizzazione tipologica originaria”.

È chiaro che questa categoria, valida in generale per tutto il centro storico, diventa condizione indispensabile e irrinunciabile nel caso in cui gli ediici presentino caratteri monumentali riconosciuti da provvedimenti di vincolo – per i quali dunque vale l’ap- plicazione della disciplina vigente sulla tutela delle cose d’interesse artistico o storico (Codice dei Beni Culturali del 2004 e successive varianti e integrazioni) – o siano di pregio storico-artistico, tali cioè da partecipare dell’identità del luogo e costituirne parte fondante. A tale proposito vale l’Ordinanza 3917 del 2010, che all’art. 21 parla ap- punto degli ediici “con particolare pregio storico-artistico”, di fatto equiparati a quelli vincolati. È questa del restauro la categoria più rigorosa, che non ammette aumenti di volumetria e supericie, ma che può contemplare un insieme sistematico di opere che va dal restauro degli aspetti architettonici, con eventuale ripristino delle parti alte- rate, al consolidamento, con sostituzione delle parti irrecuperabili, senza modiiche di quote e posizioni, all’eliminazione di superfetazioni come parti incongrue all’impianto originario, all’inserimento di impianti tecnologici, igienici ecc.

Solo in caso di provata necessità, sempre per gli ediici di esito E, si ritiene poter derogare dal rigore conservativo che sottende il restauro delle cosiddette emergenze, nelle speciicazioni sopra ricordate, a favore della categoria, pure prevista dalla legge, della ristrutturazione edilizia, intendendo con questa tutti quegli “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che pos- sano portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”. Tali

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interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’ediicio, l’eliminazione, la modiica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti, purché, come si è detto e ribadito, nel rispetto di tecniche e materiali tradizionali.

Nel caso in cui sia necessario creare all’interno degli ediici ristrutturati standard igienici ed edilizi adeguati alle attuali esigenze, la stessa categoria della ristruttura- zione potrà speciicarsi come risanamento igienico ed edilizio, indicando con questo “lavori occorrenti per adeguare il fabbricato agli standard igienici ed edilizi corren- ti, conservando la organizzazione tipologica, la supericie utile, il volume, le facciate principali e le relative aperture. Per facciate principali si intendono quelle prospettanti su pubbliche vie o su spazi pubblici, con esclusione di quelle su corsi o su spazi in- terni anche se comuni a più proprietà. Nell’ambito degli interventi di risanamento è compresa la demolizione di superfetazioni, sopraelevazioni, ampliamenti, aggiunte provvisorie e permanenti, anche se a suo tempo autorizzate, che alterino il fabbricato e contribuiscano al suo degrado edilizio, igienico, sociale; è compresa, inoltre, la siste- mazione delle aree libere al servizio della unità immobiliare”. È ovvio che in un centro storico dove il terremoto ha alterato le volumetrie è fondamentale ripristinarle a van- taggio di quel rapporto tra pieni e vuoti, tra spazi ediicati e non che ne costituiscono i valori principali di godimento.

Com’è noto, la legge 18/1983 contempla fra gli interventi sul patrimonio edilizio esistente anche la categoria della demolizione, intendendo con questa sia “quella i- nalizzata alla ricostruzione secondo gli indici previsti dagli strumenti urbanistici co- munali, sia quella inalizzata alla disponibilità dell’area per ricomposizione particellare e per servizi pubblici in funzione della ristrutturazione urbanistica”. A giustiicarla, in alcuni casi, può essere l’alterazione delle volumetrie portata dal terremoto ai centri storici e alla necessità dunque di ripristinarle a vantaggio di quel rapporto tra pieni e vuoti, tra spazi ediicati e non che ne costituiscono i valori principali di godimento. Singolare il caso di Ofena, dove la presenza di una zona di avanzato degrado e abban- dono dentro il perimetro del centro storico impone scelte alternative a quelle del risa- namento edilizio previsto dall’attuale strumento urbanistico (PR in corso di approva- zione). Questo infatti non potrebbe che passare attraverso operazioni di demolizione, parziale o totale, visto l’avanzato degrado. La situazione di lunga data dell’abbandono ha da tempo provocato crolli a parte delle murature, provocando il diradamento del tessuto esistente, che può essere ripreso e valorizzato con l’allargamento dei vuoti già presenti tra le case e l’opportuna trasformazione in spazio pubblico.

Il ricorso alla demolizione, da considerarsi sempre come eccezionale, potrebbe anche legarsi a casi di grave inagibilità delle cellule edilizie, e a costi di recupero ec- cessivi rispetto a quelli di una totale ricostruzione. Ciò potrebbe portare a una delo- calizzazione delle abitazioni del centro storico a vantaggio delle periferie, secondo un processo già praticato in Abruzzo dopo terremoti e guerre, che ha portato a esiti di sfrangiamento di centri storici e territori, assolutamente da non ripetere in questa fase della storia regionale.

Si ritiene quindi di escludere la ristrutturazione urbanistica, rivolta, secondo il p. 2 dell’art. 30 della legge 18/1983, “a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modiicazione del disegno dei lotti degli isolati e della rete stradale”: possono fare eccezione urgenti e provati motivi di sicurezza, soprattutto per la creazione di vie di fuga, ma secondo un progetto complessivo che studi possibili alternative e comprovi l’effettivo grado di sicurezza raggiunto.

note

1 Ediicio A: agibile: l’ediicio può essere utilizzato in tutte le sue parti senza pericolo per la vita dei resi- denti, anche senza effettuare alcun provvedimento di pronto intervento. Ciò non implica che l’ediicio non abbia subito danni, ma solo che la riparazione degli stessi non è un elemento necessario per il mantenimento dell’esercizio in tutto l’ediicio. Nel caso di ediicio agibile non si hanno unità immobiliari inagibili e nuclei familiari e/o persone da evacuare).

2 Ediicio B: l’ediicio, nello stato in cui si trova, è almeno in parte inagibile, ma è suficiente eseguire alcuni provvedimenti di pronto intervento per poterlo utilizzare in tutte le sue parti, senza pericolo per i residenti. È necessario, in questo caso, che il rilevatore proponga gli interventi ritenuti necessari per continuare a utilizzare l’ediicio e che tali provvedimenti siano portati a conoscenza del Comune. Non è, invece, compito del rilevatore controllare che i provvedimenti consigliati vengano effettivamente realizzati. Da tenere presente che i provvedimenti cui ci si riferisce devono effettivamente essere di pronto intervento, cioè realizzabili in breve tempo, con spesa modesta e senza un mirato intervento progettuale. Nel caso contrario, l’ediicio deve essere considerato inagibile in tutto o in parte. Ediicio C: parzialmente inagibile. Lo stato di porzioni limitate dell’ediicio può essere giudicato tale da comportare elevato rischio per i loro occupanti e quindi da indirizzare verso un giudizio di inagibilità. Nel caso in cui si possa ritenere che ulteriori danni nella zona dichiarata inagibile non compromettano la stabilità della parte restante dell’ediicio né delle sue vie di accesso e non costituiscano pericolo per l’incolumità dei residenti, si può emettere un giudizio di inagibilità parziale. Può accadere che l’inagibilità parziale comporti unità immobiliari inagibili e nuclei familiari e/o persone da evacuare. Ediicio D: temporane- amente inagibile, e da rivedere con approfondimento. L’ediicio presenta caratteristiche tali da rendere incerto il giudizio di agibilità da parte del rilevatore. Fino al momento del nuovo sopralluogo l’ediicio viene considerato inagibile. Questo tipo di esito va adottato solo in casi di effettiva necessità poiché la sua gestione comporta un notevole aggravio delle attività di rilievo.

3 Ediicio E, inagibile: la schedatura AEDES distingue il caso di inagibilità effettiva dell’ediicio per rischio strutturale, non strutturale o geotecnico (E), dall’inagibilità per grave rischio esterno (F), in assenza di danni consistenti all’ediicio. Nel caso E, l’ediicio non può essere utilizzato in alcuna delle sue parti neanche a seguito di provvedimenti di pronto intervento. Questo non vuol dire che i danni non siano riparabili, ma che la riparazione richiede un intervento tale che, per i tempi dell’attività progettuale e rea- lizzativa e per i relativi costi, è opportuno sia ricondotto alla fase della ricostruzione. Nelle osservazioni inali va indicato se la condizione di inagibilità è presumibilmente antecedente all’evento. Come già si è detto nell’esito B, anche negli altri casi è necessario che il rilevatore indichi quali provvedimenti ritiene opportuni per garantire la pubblica incolumità, anche se non hanno conseguenze sull’esito di agibilità dell’ediicio in oggetto. Ad esempio, un ediicio dichiarato inagibile per danni strutturali può generare rischio su una strada a causa della caduta di tegole dalla copertura. L’ediicio resta inagibile anche a seguito della rimozione delle tegole pericolanti, però l’incolumità dei passanti potrebbe essere garantita,