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L’indirizzo interpretativo in tema di costituzionalità delle norme nazionali relative al processo in absentia intrapreso dalla

L’ISTITUTO DELLA CONTUMACIA ED IL PROCESSO REO ABSENTE TRA NORMATIVA INTERNA ED

2.4 L’indirizzo interpretativo in tema di costituzionalità delle norme nazionali relative al processo in absentia intrapreso dalla

Corte Costituzionale nelle sentenze n. 399 del 1998 e n. 117 del 2007

La possibilita‟ di procedere nei confronti dell‟imputato risultato irreperibile ancora prima che fosse possibile, ai sensi dell‟art. 161 c.p.p., invitarlo a dichiarare o ad eleggere domicilio, poteva comportare evidenti disparità di trattamento tra imputato ed imputato e notevole pregiudizio per il diritto di difesa nel suo significato più essenziale di possibilita‟ per l‟imputato di essere presente al processo; inoltre, non sarebbe stato adeguatamente garantito il diritto, riconosciuto all‟imputato dall‟art. 6 par. 2 Cedu, di essere informato dell‟esistenza di un processo a suo carico e di disporre del tempo e della possibilita‟ di approntare un‟adeguata difesa. Visto era, quindi, lo scollamento rispetto agli ordinamenti penali dei paesi nei quali

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vigeva l‟opposto principio della necessaria conoscenza effettiva del procedimento da parte dell‟imputato, con ciò che ne seguiva in termini di difficoltà nei rapporti tra l‟Italia e gli altri Stati in materia di assistenza giudiziaria e di estradizione, già manifestatesi a causa della riconosciuta legittimità nel nostro ordinamento delle sentenze contumaciali. Così, da parte di autorevoli voci si chiedeva47 che la Corte Costituzionale dichiarasse incostituzionali gli artt. 159 e 160 c.p.p. per contrasto con gli artt. 3, 10 e 24 Cost., con la conseguente sospensione de facto dei processi nei quali non fosse stato possibile eseguire una regolare notifica ai sensi degli artt. 157 e 158 c.p.p.

Nel dichiarare infondata la questione, la Corte Costituzionale48 aveva fatto notare, in primo luogo, come il legislatore del 1988 avesse cercato quanto meno di ridimensionare il problema, sia introducendo accorgimenti normativi volti a ridurre il numero delle declaratorie d‟irreperibilità (da questo punto di vista, l‟accento veniva posto sulla ridotta efficacia temporale del decreto d‟irreperibilità ex art. 160 c.p.p. e sull‟indicazione non tassativa dei luoghi di ricerca, segnalata dall‟uso dell‟avverbio <<particolarmente>> nell‟art.159 co. 1 c.p.p.), sia predisponendo <<mezzi riparatori da attivarsi nelle ipotesi nelle quali, nonostante gli accorgimenti di cui si è detto, l‟imputato non abbia avuto conoscenza del procedimento>>. Giunta al nocciolo della questione, la Corte aveva, tuttavia, sostanzialmente ammesso il contrasto tra la disciplina censurata ed i principi desumibili dagli artt.

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Il giudice remittente era il Tribunale di Reggio Calabria con ordinanza n. 526 emessa in data 2 giugno 1997.

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3, 10 e 24 Cost. ma, rilevato come non esistesse un percorso normativo obbligato per sanare il dissidio, era stata costretta ad arrestarsi sulla soglia di valutazioni che, per sua stessa ammissione, avrebbero assunto <<il carattere di un giudizio d‟opportunità>>, conducendola <<oltre i confini di un‟eccezione, anche la più espansiva, del ruolo della giustizia costituzionale>>49.

In particolare, secondo la Corte Costituzionale sarebbe spettato al legislatore effettuare la scelta tra due diverse opzioni normative: l‟una di tipo preventivo/inibitorio (il processo va sempre sospeso se vi è la prova o risulta probabile che l‟imputato ne ignori lo svolgimento), l‟altra di tipo successivo/riparatorio (ricorrendo le suddette condizioni, il processo può essere celebrato; l‟imputato che apprenda a posteriori di essere stato giudicato, però, <<deve poter ottenere che un organo giurisdizionale si pronunci di nuovo, dopo averlo ascoltato, sulla fondatezza dell‟accusa>>). Scegliere tra l‟una e l‟altra soluzione (cioè, a monte, interrogarsi sulla legittimità del rito degli irreperibili in quanto tale) non sarebbe stato di competenza del Giudice delle Leggi, anche perché la soluzione più radicale, cioè la sospensione del processo, avrebbe coinvolto <<istituti del diritto penale sostanziale e del processo penale, quali la prescrizione dei reati e l‟interruzione e la sospensione del processo, che andrebbero ripensati in un nuovo quadro sistematico nel quale la mancanza del rito degli irreperibili fosse divenuta elemento caratterizzante>>. La Corte, dopo aver preso atto delle soluzioni in concreto adottate dal legislatore (nella specie,

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Di quest‟avviso Caprioli F., “Giusto processo” e rito degli irreperibili, in Legisl. pen., 2004, pag. 586 e ss.

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soluzioni di tipo reintegrativo), avrebbe potuto al più decidere su questioni di legittimità costituzionale concernenti le singole disposizioni di legge <<che non consentono all‟imputato l‟esercizio di un diritto o di una facoltà di cui avrebbe dovuto fruire>>: questioni di legittimità costituzionale <<il cui esito resta impregiudicato>>.

La conclusione della Corte suonava come un invito a denunciare la parzialità e l‟insufficienza dei singoli rimedi di carattere riparatorio allestiti dal legislatore50: rimedi la cui inadeguatezza appariva evidente sia in astratto51, sia in concreto52.

E‟ ancora valida l‟impostazione della Corte Costituzionale, dato che i principi del giusto processo sono ormai da tempo stati recepiti dall‟art. 111 Cost.? Secondo alcuni autorevoli autori non del tutto53; vediamo il perché.

Nelle sue argomentazioni, la sentenza 399/1998 risultava fortemente condizionata da un vecchio e celebre precedente della Corte europea dei diritti dell‟uomo54

, nel quale, come abbiamo visto nel corso della trattazione del primo capitolo, i giudici di Strasburgo mostravano, appunto, di ritenere sufficiente, in chiave di tutela dell‟imputato non

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Di quest‟avviso Caprioli F., “Giusto processo” e rito degli irreperibili, in Legisl. pen., 2004, pag. 586 e ss.

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Vedi Tamietti A., Processo contumaciale e rimedi a garanzia del diritto di difesa dell‟imputato assente: la Corte Europea “boccia” la restituzione nel termine ex art. 175 c.p.p., in Cass. pen., 2004, pag. 1393 e ss.

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Per un severo giudizio sulla reale efficacia del rimedio della restituzione nel termine per impugnare previsto dall‟art. 175 c.p.p. vedi C. eur. Dir. Uomo, 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia.

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E‟ di quest‟avviso Caprioli F., “Giusto processo” e rito degli irreperibili, in Legisl. pen., 2004, pag. 586 e ss.

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comparso perché ignaro dello svolgimento di un processo a suo carico, la predisposizione di strumenti riparatori. Quando una legislazione nazionale autorizza lo svolgimento di un processo nei confronti di un soggetto che <<non risulta dall‟esame dei fatti abbia avuto sentore dell‟apertura di un procedimento contro di lui, l‟interessato deve, una volta al corrente del procedimento, poter ottenere che un organo giudiziale si pronunci di nuovo, dopo averlo ascoltato, sulla fondatezza dell‟accusa portata contro di lui>>55

. Si tratta di un indirizzo che la Corte europea ha successivamente ribadito56.

Occorre tuttavia rilevare che la Cedu tutela il diritto dell‟imputato di presenziare al processo e, quindi, il diritto di quest‟ultimo di essere messo nelle condizioni di scegliere preventivamente se presenziare o meno al processo, esclusivamente nella sua veste di garanzia soggettiva. Per la Corte di Strasburgo, come abbiamo visto nel precedente capitolo, la facoltà dell‟accusato di partecipare all‟udienza, <<sebbene non menzionata in termini espressi dall‟art. 6 Cedu>> (a differenza di quanto accade, ad esempio, nell‟art. 14 par. 3 lett. d del Patto internaz. dir. civ. pol.), <<si ricava dall‟oggetto e dallo scopo dell‟intero articolo>>, dal momento che quest‟ultimo riconosce all‟imputato diritti che <<non si concepiscono affatto senza la sua presenza>>, quali il diritto a <<difendersi da se‟>>, <<interrogare o far interrogare i testimoni>> e <<farsi assistere gratuitamente da un

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Vedi C. eur. Dir. Uomo, 12 febbraio 1985, Colozza v. Italia.

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interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nell‟udienza>>57

.

Nella logica complessiva dell‟art. 111 Cost., la presenza dell‟imputato al processo rappresenta invece qualcosa di più del semplice esercizio di un diritto soggettivo. Nel caso in cui all‟accusato non venga concessa l‟opportunità d‟intervenire in giudizio, non può dirsi rispettato il principio del contraddittorio: ne‟ nel senso “debole” cui allude l‟art. 111 co. 2 Cost., ne‟, tanto meno, nel senso “forte” cui allude, con specifico riferimento al processo penale, il comma 4 della stessa disposizione costituzionale. Il contraddittorio, però, cioè la potenziale strutturazione del procedimento in forma dialettica, anche nel momento di formazione della prova, costituisce un indefettibile connotato strutturale della giurisdizione penale, un suo elemento costitutivo. Una procedura non dialettica d‟accertamento dei fatti di reato non è più, per la nostra Costituzione, un “processo”: non costituisce più esercizio della giurisdizione penale.

Ecco che da parte di questi autori58 si afferma che, delle due soluzioni normative astrattamente prospettate per tutelare il diritto dell‟imputato d‟intervenire in giudizio (inibire la celebrazione del processo fino al momento della conoscenza effettiva dell‟atto di citazione da parte dell‟imputato o prevedere che l‟irreperibile abbia diritto ad essere nuovamente giudicato nel momento in cui viene a conoscenza della

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Vedi C. eur. Dir. Uomo, 12 febbraio 1985, Colozza v. Italia e C. eur. Dir. Uomo, 18 maggio 2004, Somojyi c. Italia.

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Di quest‟avviso Caprioli F., “Giusto processo” e rito degli irreperibili, in Legisl. pen., 2004, pag. 586 e ss.

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già avvenuta celebrazione, totale o parziale, di un processo a suo carico), solo la prima possa dirsi compatibile con la “nuova” nozione costituzionale di processo e di giurisdizione penale. Sembrerebbe, cioè, che non avesse senso consentire, neppure con caratteri di precarietà e sotto la condizione risolutiva della successiva comparsa dell‟imputato ignaro, la celebrazione di un processo che non possiede neppure i connotati minimi per potersi definire tale ed i cui esiti cognitivi la Costituzione considera non attendibili. Dall‟angolo visuale esclusivamente garantistico nel quale si colloca la giurisprudenza della Corte di Strasburgo possono, quindi, risultare appaganti soluzioni di tipo “riparatorio”, nella prospettiva recepita dall‟art. 111 Cost., invece, soluzioni siffatte passerebbero attraverso la celebrazione di un inconcepibile non – processo dagli esiti tendenzialmente stabili.

Da questo punto di vista, non è forse un caso che l‟alto “testo sacro” di matrice sovranazionale che viene normalmente richiamato, insieme alla sentenza Colozza, in ogni dibattito sulla disciplina della contumacia, cioè la Risoluzione n. 11/1975 del Consiglio d‟Europa <<sui criteri da seguire nel giudizio in assenza dell‟imputato>>, sembri anch‟esso propendere per la soluzione più radicale nella parte in cui afferma che <<nessuno può essere sottoposto a giudizio se non è stato in precedenza raggiunto effettivamente da una citazione, trasmessagli in tempo utile per consentirgli di comparire e di preparare la sua difesa>> (mentre in diritto di essere nuovamente giudicati spetta soltanto a chi, regolarmente citato, e dunque, nell‟ottica della Risoluzione, raggiunto effettivamente dalla citazione, non sia

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comparso, laddove <<provi che la sua assenza ed il fatto di non aver potuto avvertire tempestivamente il giudice sono dovuti a cause indipendenti dalla sua volontà>>). Nel preambolo della Risoluzione, la presenza dell‟imputato all‟udienza viene, infatti, definita di <<fondamentale importanza sia in ragione del diritto di lui ad essere sentito, sia in ragione della necessità d‟accertamento dei fatti>>: l‟intervento dell‟imputato viene, cioè, valutato, oltre che come fattore di garanzia, anche nella sua valenza di presupposto di un contraddittorio integrale e, quindi, di un esito processuale attendibile. Logico, quindi, che, sulla base di simili premesse, venga scartata la soluzione di tipo esclusivamente reintegrativo propugnata dalla Corte europea.

La scelta di non celebrare il processo a carico dell‟irreperibile sembrerebbe, quindi, l‟unica in grado di garantire il pieno rispetto del principio del contraddittorio. Veniva fatta salva l‟ipotesi nella quale risultasse che l‟imputato si fosse deliberatamente sottratto alla conoscenza degli atti del procedimento59: in un simile caso nulla sembrava opporsi alla celebrazione del processo, perché, nella sostanza, l‟imputato aveva scelto di non presentarsi in giudizio e di non esercitare il contraddittorio. Anche la Risoluzione del Consiglio dei Ministri d‟Europa precedentemente richiamata, del resto, subordinava espressamente l‟osservanza della regola per la quale <<nessuno può essere sottoposto a giudizio se non è stato in precedenza raggiunto effettivamente da una citazione>> alla

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Non deve essere, però, l‟accusato a darne prova: vedi C. eur. Dir. Uomo, 12 febbraio 1985, Colozza v. Italia.

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condizione che non <<si sia accertato che egli si è sottratto volontariamente alla giustizia>>.

Tutto questo non significa60 che la Corte Costituzionale dovrebbe necessariamente accogliere un‟eventuale questione di legittimità costituzionale analoga a quella già scrutinata nel 199861: nessuna differente regolamentazione della materia appariva così “a rime obbligate” da consentire un intervento additivo del Giudice delle Leggi (anche se una strada da seguire poteva essere quella di denunciare la disparità di trattamento normativo tra l‟imputato irreperibile e quello infermo di mente, dal momento che quest‟ultimo non poteva essere sottoposto a processo quando non si trovasse nella condizione di parteciparvi coscientemente, mentre il primo poteva essere sottoposto a processo pur non essendo nelle condizioni di parteciparvi tout court); si affermava, semplicemente, che un intervento novellistico avrebbe dovuto privilegiare i rimedi di tipo preventivo rispetto a quelli di tipo riparatorio.

La sentenza della Corte Cost. n. 117 del 21 marzo – 5 aprile 2007, che ha affermato la compatibilità del “rito degli irreperibili” con le garanzie processuali espresse dall‟art. 111 Cost., si poneva in netta controtendenza rispetto ad una consolidata prassi internazionale62 che, come abbiamo vito, censurava la celebrazione dei processi in absentia a carico di contumaci “inconsapevoli”.

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Di quest‟avviso Caprioli F., “Giusto processo” e rito degli irreperibili, in Legisl. pen., 2004, pag. 586 e ss.

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Corte Cost., sent. n. 399 del 12 dicembre 1998

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Vedi C. eur. Dir. Uomo, 18 maggio 2004, Somojyi c. Italia e C. eur. Dir. Uomo, 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia.

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Parte della dottrina processualpenalistica63 già da tempo aveva evidenziato la necessità di una profonda rivisitazione della disciplina della contumacia, contribuendo ad individuare le soluzioni idonee a rimuovere o sanare le gravi incongruenze dell‟istituto con le garanzie costituzionali ed internazionali dell‟equo processo. Le istanze riformistiche, sollecitate soprattutto dalla novella dell‟art. 111 Cost. e dalle ripetute condanne emesse dalla Corte di Strasburgo64, si ponevano nel solco del tracciato dalle esperienze maturate in altri ordinamenti di civil law, che muovono nella direzione della progressiva abolizione dei giudizi in absentia. Sul piano internazionale, esse rispondevano agli stimoli che provengono dalla giurisprudenza europea e s‟inquadravano in una prassi diffusa, sempre più orientata ad affermare il divieto di procedere in contumacia quale espressione di un principio generale di diritto processuale che andava affermandosi in subiecta materia.

In questo contesto di particolare complessità va inquadrata la sentenza costituzionale sopra citata, che sembrava rimanere impermeabile65 al fermento normativo e giurisprudenziale caratterizzante l‟evoluzione dell‟istituto della contumacia.

63

Vedi Caprioli F., “Giusto processo” e rito degli irreperibili, in Legisl. pen., 2004, pag. 586 e ss.; Lattanzi G., Spunti critici sulla disciplina del processo contumaciale, in Legisl. pen., 2004, pag. 595 e ss.; Marzaduri E., Sulla necessità di una riforma del giudizio in contumacia, in Legisl. pen., 2004, pag. 611 e ss.

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Vedi C. eur. Dir. Uomo, 18 maggio 2004, Somojyi c. Italia e C. eur. Dir. Uomo, 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia.

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Di quest‟avviso Negri S., Giudizio in absentia e garanzie processuali internazionali: note a margine della sentenza della Corte Cost. n. 111/2007, in Dir. pen. proc., 2008, pag. 665 e ss.

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Adita in via incidentale con ordinanza del 31 gennaio 200666, la Corte Costituzionale si è pronunciata con sentenza n. 117 del 21 marzo 2007 sulla legittimità costituzionale degli artt. 159, 160, 420quater e 484 c.p.p., dichiarando non fondata la questione sollevata dal giudice a

quo in riferimento agli artt. 3, 10 co. 1, 97 co. 1 e 111 co. 2 e 4 Cost.

Il giudizio di legittimità sollecitato alla Consulta aveva tratto origine dal procedimento penale pendente dinanzi al tribunale di Pinerolo a carico di un‟imputata straniera irreperibile, citata in giudizio con decreto di citazione diretta emesso dal pubblico ministero e notificato

ex artt. 159 e 160 c.p.p. al difensore d‟ufficio designato. A seguito

della dichiarazione di contumacia dell‟imputata, non comparsa all‟udienza dibattimentale, il giudice aveva preferito sospendere il processo e sollevare la questione di legittimità costituzionale delle norme processuali rilevanti, mosso dal convincimento che la prosecuzione del giudizio in contumacia ex artt. 420quater e 484 c.p.p. si sarebbe posta in contrasto con i parametri costituzionali evocati.

Nel promuovere il sindacato di costituzionalità sulle disposizioni impugnate, il Tribunale di Pinerolo invitava la Corte a rivedere l‟orientamento espresso nella sentenza n. 399 del 10 - 12 dicembre 1998, con la quale, come abbiamo visto, aveva già sottoposto a scrutinio gli artt. 159 e 160 c.p.p. ed aveva dichiarato infondato il dubbio di costituzionalità all‟epoca sollevato. Il giudice rimettente

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Ordinanza n. 135 emessa il 31 gennaio 2006 dal tribunale di Pinerolo. La medesima questione è stata riproposta dallo stesso tribunale con ordinanza n. 145 emessa il 14 marzo 2006.

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riteneva necessario riproporre la medesima questione alla luce dei profondi mutamenti intervenuti nel <<quadro costituzionale di riferimento>> a seguito dell‟adozione della l. cost. n. 2 del 23 novembre 1999, modificativa dell‟art. 111 Cost. Già nell‟ordinanza di rimessione del 2 giugno 199767 che aveva promosso il giudizio di legittimità conclusosi con la sentenza n. 399 del 1998, il Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria aveva ritenuto oggettivamente rilevante la questione di costituzionalità dell‟intera disciplina processualpenalistica dell‟irreperibilità in riferimento agli artt. 3, 10 e 24 Cost. In particolare, il giudice a quo aveva censurato la legittimità degli artt. 159 e 160 c.p.p. nella misura in cui il rito degli irreperibili rendeva possibile l‟instaurazione e la definizione di un giudizio penale all‟insaputa dell‟interessato, con evidente ed ingiustificata disparità di trattamento tra imputati ed inaccettabile vulnus al diritto di difesa. Al pari del Tribunale di Pinerolo, il rimettente aveva all‟epoca affermato l‟opportunità di prevedere, nelle more di un intervento legislativo riformatore, la sospensione obbligatoria dei processi nei quali non fosse stato possibile eseguire una notifica regolare all‟imputato ne‟ garantirgli la conoscenza effettiva dell‟accusa e del procedimento in corso. A supporto delle censure formulate, il giudice a quo aveva anche richiamato le garanzie previste dall‟art. 6 par. 3 Cedu, la nota sentenza della Corte di Strasburgo relativa al caso Colozza68 e, in una prospettiva comparatistica, le regole adottate in taluni ordinamenti

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Ordinanza n. 526 emessa il 2 giugno 1997 dal Gip presso il tribunale di Reggio Calabria.

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penali, ed in generale nei paesi di common law, che sanciscono il principio della conoscenza effettiva ed il divieto di procedere in

absentia.

A queste argomentazioni la Consulta aveva risposto che la disciplina del processo contumaciale e del rito degli irreperibili, come riformata dal codice Vassalli e dalla l. n. 22 del 23 gennaio 1989, aveva già dimostrato come il legislatore italiano non era rimasto affatto insensibile ai richiami proveniente da diverse sedi europee. Aveva aggiunto, al riguardo, che la scelta del legislatore si era orientata lungo due <<direttrici convergenti>>, intese a rispettare gli obblighi internazionali incombenti sullo Stato in materia di diritti della difesa: da un lato, assicurando la conoscenza effettiva del procedimento attraverso la predisposizione di una serie di accorgimenti finalizzati a realizzare una piena informazione preventiva, dall‟altro, garantendo sufficienti rimedi riparatori esperibili anche dal contumace irreperibile. Per confutare la tesi del giudice rimettente, secondo la quale tali rimedi apparivano sostanzialmente inadeguati alla luce dell‟art. 6 Cedu e della sentenza Colozza, la Corte aveva eccepito che nella sentenza appena richiamata non era in gioco la conformità alla Convenzione del rito degli irreperibili in se‟, ma si discuteva solo dell‟esigenza che l‟ordinamento italiano garantisse i rimedi ritenuti doverosi affinché l‟imputato inconsapevole, condannato in contumacia, potesse ottenere che un organo giurisdizionale si pronunciasse nuovamente, dopo averlo ascoltato, sulla fondatezza dell‟accusa. Secondo l‟interpretazione della Consulta, dalla sentenza

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Colozza non si ricavava alcuna intenzione della Corte di Strasburgo d‟imporre un modello processuale unico ed infungibile, risultando anzi confermata l‟ampia libertà degli Stati contraenti di disporre i mezzi più idonei ad evitare possibili violazioni della Convenzione. Così argomentando, la Corte Costituzionale aveva rigettato le censure mosse dal Gip di Reggio Calabria.

In tali conclusioni si leggeva chiaramente, come abbiamo visto, la volontà del giudice delle leggi non solo di ricondurre alla competenza esclusiva del legislatore statale la scelta tra rimedi preventivi/inibitori