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Il ruolo della conoscenza reale degli atti del processo

L’ISTITUTO DELLA CONTUMACIA ED IL PROCESSO REO ABSENTE TRA NORMATIVA INTERNA ED

2.1 Il ruolo della conoscenza reale degli atti del processo

E‟ di fondamentale importanza fare una breve riflessione sul tema, strettamente connesso con la contumacia, della conoscenza degli atti del procedimento penale. L‟imputato deve essere posto in grado di poter scegliere tra il consentire che il processo penale si svolga in sua

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assenza ed il partecipare all‟udienza esercitando un diritto riconducibile all‟art. 6 Cedu.

Perché l‟imputato possa scegliere liberamente, però, è necessario che sia preventivamente informato, che sia messo, cioè, a conoscenza del processo penale a suo carico.

Il non comparire in giudizio può anche essere ritenuta una garanzia ulteriore, rientrante nella previsione di cui all‟art. 24 co. 2 Cost.1

, ma ciò non può esimere dall‟osservare come, per essere considerata tale, dovrebbe assumere i crismi di una scelta consapevole2. Diversamente, sarebbe un mero comportamento processuale inconsapevole che l‟imputato, presumibilmente, non avrebbe tenuto se fosse stato adeguatamente informato del procedimento attivato a suo carico. Un soggetto “informato”, infatti, è un soggetto libero di poter assumere il comportamento che ritiene più confacente ai propri interessi all‟interno del processo, con la consapevolezza di non essere “in balia” dell‟autorità procedente. Senza considerare che una partecipazione attiva, cioè pienamente consapevole, in ordine ai propri diritti e doveri si rifletterebbe in senso positivo anche sull‟economia del processo, il cui apparato informativo va inteso come strumento idoneo ad attuare quel sistema di garanzie di cui il processo è la naturale sedes materiae.

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L‟art. 24 co. 2 Cost. recita: <<La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.>>.

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Di questo avviso Lattanzi G, Costretti dalla Corte di Strasburgo, in Cass. pen., 2005, pag. 1125 e ss.

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Come ha messo in evidenza la Corte Costituzionale3, la tematica della conoscenza del processo da parte dell‟imputato è stata risolta dal legislatore percorrendo “due direttrici convergenti”: da una parte, la predisposizione di una serie di strumenti volti ad assicurare, per quanto possibile, la conoscenza del processo; dall‟altra, nel caso in cui con l‟impiego di tali strumenti non si sia comunque riuscita a garantire la conoscenza del processo, l‟allestimento di rimedi successivi intesi alla salvaguardia della posizione dell‟imputato e del suo diritto di difendersi. Per la Corte Costituzionale, la combinazione di questi due sistemi, l‟uno preventivo e l‟altro successivo, è sufficiente per garantire le prerogative dell‟accusato al quale non si è riuscita a garantire la consegna personale dell‟atto di vocatio in iudicium.

Non sempre è detto, però, che l‟atto venga notificato tramite consegna di copia alla persona interessata. In questo caso, una perfetta corrispondenza tra la conoscenza legale e quella reale, avremmo il massimo della garanzia d‟informazione per l‟imputato. Non sempre è così, tuttavia: nel caso in cui la consegna personale non sia possibile, resta per l‟autorità giudiziaria il ricorso agli strumenti che consentono

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Corte Cost., sent. n. 399 del 12 dicembre 1998, con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli art. 3, 10 e 24 Cost., degli artt. 159 e 160 c.p.p., nella parte in cui, prevedendo che in caso d‟irreperibilità dell‟imputato, le notificazioni siano eseguite mediante consegna di copia al difensore, consentirebbero l‟instaurazione e la definizione di un processo penale nei confronti di un soggetto che non avrebbe avuto notizia del giudizio a suo carico. A parere della Corte Costituzionale, l‟adozione del rito degli irreperibili costituisce parte integrante della scelta legislativa di prevedere, da una parte, molteplici strumenti volti a fare si che la conoscenza del processo sia assicurata; dall‟altra, per le ipotesi estreme nelle quali, nonostante l‟impiego dei mezzi apprestati, non sia stato possibile assicurare preventivamente tale conoscenza, l‟allestimento dei rimedi successivi intesi comunque alla salvaguardia della posizione dell‟imputato e del suo diritto di difendersi.

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di perfezionare la conoscenza formale dell‟atto processuale, quanto basta affinché l‟ordinamento giuridico possa ritenere che una notifica sia andata a buon fine. Ciò, però, non è sufficiente per ritenere che il soggetto interessato sia venuto effettivamente a conoscenza dell‟atto medesimo.

La soluzione più radicale vorrebbe che, alla stessa stregua di quanto avviene nei paesi anglosassoni, il processo penale si celebri senza l‟intervento dell‟imputato solo qualora questi, in maniera inequivoca, abbia rinunciato ad avvalersi del proprio diritto di presenziare, riconducendo la disciplina della contumacia alla disposizione di cui all‟art. 420quater c.p.p.4

Una soluzione più “accettabile” potrebbe essere rappresentata da un drastico ridimensionamento dei meccanismi di conoscenza formale del processo e dalla limitazione delle notifiche con il rito di cui all‟art. 161 c.p.p.5, ma questo potrebbe rappresentare un ostacolo, praticamente insormontabile, nei procedimenti contro gli irreperibili, per la realizzazione della ragionevole durata del processo penale.

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In questi termini Ubertis G., Come rendere giusto il processo senza imputato, in Legisl. pen., 2004, pag. 606 e ss., il quale rileva come, a questo punto, si dovrebbe provvedere ad una rimodulazione di altri istituti quali la prescrizione dei reati e la sospensione del processo, nonché ad un ampliamento del novero delle eccezioni cui si riferisce l‟art. 75 co. 3 c.p.p., il quale regola i rapporti tra azione civile ed azione penale.

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Vedi Lazzarone F., Processo in absentia: dall‟Europa una spinta per la riforma?, in Legisl. pen., 2004, pag. 601 e ss. L‟autore propone una soluzione differenziata, individuando gli atti suscettibili di notifica ex art. 161 c.p.p., quelli relativi alla fase introduttiva del processo, riservando alla <<sentenza di primo grado delle previe ricerche come per gli irreperibili, anche se ciò significherebbe un aumento dei compiti per l‟amministrazione della giustizia ed un allungamento dei tempi.>>.

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Vero è, d‟altra parte, che la conoscenza non è che una modificazione interiore non percepibile all‟esterno, un modo di essere intersoggettivo il quale sfugge, come tale, ad ogni verifica umana, compresa, ovviamente, quella che può attuarsi in sede giudiziaria; ragione per la quale si verificherebbe una conseguenza aberrante: il giudice sarebbe sempre tenuto a verificare pro casu se l‟imputato sia stato o meno consapevole dell‟atto, così che il primo risulterebbe onerato da una vera e propria probatio diabolica.

Non può non rilevarsi come la conoscenza effettiva del processo penale, da parte dell‟imputato, rappresenti il “requisito minimo” per esercitare le prerogative che l‟ordinamento giuridico riconosce allo stesso. Occorre, quindi, che le situazioni nelle quali l‟ordinamento accetta un margine di rischio consistente, consentendo che sia sufficiente il perfezionamento della conoscenza formale dell‟atto processuale, rappresentato dalla possibilita‟ che l‟imputato non sia venuto a conoscenza del processo penale, siano ridotte al minimo indispensabile6. Non è sufficiente, quindi, che l‟atto sia pervenuto nella sfera di conoscibilita‟ del destinatario, ma è necessario che questa sfera sia ristretta al punto da ritenere ragionevole che, una volta entrato, l‟atto processuale sia conosciuto dal suo destinatario.

In questo senso, le notificazioni che rappresentano lo strumento processuale per portare a conoscenza delle parti e, in particolare,

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Si pensi all‟ipotesi nella quale l‟atto processuale sia depositato nella casa comunale e non ritirato dall‟imputato assente o del ricevimento dello stesso da persona che non lo consegna al destinatario (art. 157 c.p.p. in tema di prima notificazione all‟imputato non detenuto). In dottrina, vedi Marzaduri E., Sulla necessità di una riforma del giudizio in contumacia, in Legisl. pen. 2004, pag. 611 e ss.

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dell‟imputato atti processuali devono disporre di una disciplina che consenta l‟effettiva conoscenza dell‟atto; inoltre, è principio giurisprudenziale consolidato che nel caso in cui la notificazione sia stata effettuata mediante consegna dell‟atto personalmente al destinatario, l‟eventuale inosservanza delle regole non può comportarne la nullità7.

Al di là di questo principio consolidato, il sistema delle notifiche per assicurare la piena conoscenza degli atti del procedimento da parte dell‟imputato traccia un duplice percorso, come si desume dal combinato disposto degli artt. 157 e 161 c.p.p.

La prima notifica destinata all‟imputato delinea <<un percorso unitario, cumulativo ed a formazione progressiva, con la conseguenza che la procedura s‟interrompe non appena una sua fase è giunta a buon fine, ma l‟omissione di un solo passaggio tra quelli previsti dai commi da 1 a 8 dell‟art. 157 c.p.p. determina una nullità assoluta della notifica.>>8.

Nel caso in cui non sia possibile la consegna a mani proprie, per la prima notifica all‟imputato si deve procedere secondo le formalità previste dall‟art. 157 commi da 1 a 8 c.p.p., dove s‟individua una serie di soggetti cui consegnare l‟atto ed una correlata elencazione di luoghi

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Cass. pen., Sez. II, 23 marzo 2004, ric. Iezzi, in C.E.D. Cass., n. 228638. E‟ stato affermato, in questa occasione, che <<la notifica di atti e avvisi eseguita a mani proprie dell‟imputato anche se in presenza di un‟elezione di domicilio, è valida dovunque essa avvenga, in quanto è la forma più sicura per portare l‟atto a conoscenza del destinatario.>>.

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nei quali effettuare le notifiche9. Ne risulta una successione di forme di notificazione caratterizzate (in ragione della diversità dei consegnatari e dei luoghi) dal fatto di garantire in misura progressivamente decrescente la possibilita‟ di effettiva conoscenza dell‟atto, sebbene non si possa trascurare un orientamento giurisprudenziale diverso10, per il quale l‟art. 157 c.p.p. dispone in maniera alternativa per la validità della notifica, senza indicare alcun ordine di precedenza, la casa di abitazione ed il luogo di abituale esercizio dell‟attività lavorativa dell‟imputato.

Una volta effettuata regolarmente questa notifica, a fronte di una nomina fiduciaria ex art. 96 c.p.p., si attiva la modalità mediante consegna al difensore a norma dell‟art. 157 co. 8bis c.p.p.11

Ecco, quindi, che rispondere all‟interrogativo se l‟imputato sia stato posto in grado di conoscere effettivamente l‟atto che realizza la

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L‟art. 157 c.p.p. prevede, nell‟ordine, le seguenti forme di prima notificazione all‟imputato non detenuto: al comma 1 la consegna di copia alla persona e la <<notificazione nella casa di abitazione o nel luogo in cui l‟imputato esercita abitualmente l‟attività lavorativa, mediante consegna ad una persona che conviva anche temporaneamente o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci.>>. Al comma 2 la notificazione <<nel luogo dove l‟imputato ha temporanea dimora o recapito>>. Al comma 3 la notificazione a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento al portiere o a chi ne fa le veci. Al comma 5 la notificazione mediante consegna della copia dell‟atto alla persona offesa dal reato. Al comma 8 la notificazione mediante deposito <<nella casa del comune dove l‟imputato ha l‟abitazione o, in mancanza di questa, del comune dove egli esercita abitualmente la sua attività lavorativa.>>; in quest‟ultimo caso, <<avviso del deposito stesso è affisso alla porta della casa di abitazione dell‟imputato ovvero alla porta del luogo dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa.>>.

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Vedi Cass. pen., Sez. I, 15 novembre 2000, ric. Perego, in C.E.D. Cass., n. 217349 e Cass. pen., Sez. V, 2 marzo 1993, ric. Ferrara, in C.E.D. Cass., n. 195024.

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Comma introdotto dall‟art. 2 del d.l. 21 febbraio 2005, n. 17 recante “Disposizioni urgenti in materia d‟impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna” convertito, con modificazioni, dalla l. 22 aprile 2005, n. 60.

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vocatio in iudicium (sia esso qualificato come avviso di fissazione

dell‟udienza preliminare o decreto che dispone il giudizio o decreto di citazione diretta a giudizio o decreto di giudizio immediato o direttissimo), strumento volto ad informare l‟interessato del prossimo svolgersi del giudizio e, allo stesso tempo, a porlo nelle condizioni di conoscere con esattezza l‟addebito contestato, così da consentirgli di svolgere in modo consapevole la propria difesa, si rivela essere un momento fondamentale del processo. La citazione, infatti, deve contenere l‟indicazione <<in forma chiara e precisa>>12

, il che vale ad escludere formule vaghe, dei fatti, degli elementi temporali (luogo e ora) e spaziali (ubicazione dell‟ufficio giudiziario davanti al quale deve comparire), nonché l‟informazione che, in caso di mancata comparizione, si procederà al giudizio in contumacia. La mancanza, nel decreto di citazione a giudizio, di tale ultimo elemento, pur non incidendo sulla funzionalità del provvedimento in questione ai fini della convocazione per il giudizio, può determinare una situazione d‟ignoranza circa le conseguenze della propria non comparizione (indipendentemente dagli obblighi informativi a carico del difensore) in contrasto con il principio che, come abbiamo visto, esige che la contumacia sia il risultato di una scelta maturata consapevolmente: da qui il configurarsi di un‟espressa sanzione di nullità del relativo atto da ricondurre tra quelle a regime intermedio per lesione del diritto

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L‟art. 18 commi 1 e 2 l. 479/1999 ha inserito questa locuzione rispettivamente alla lett.

b dell‟art. 417 c.p.p., avente ad oggetto i requisiti della richiesta di rinvio a giudizio, e alla

lett. c dell‟art. 429 c.p.p., in tema di decreto che dispone il giudizio, prevedendo, peraltro, in quest‟ultimo caso, la sanzione della nullità nell‟ipotesi d‟insufficiente indicazione di tale requisito.

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dell‟imputato all‟intervento (art. 178 co. 1 lett. c c.p.p.), in vista dell‟esercizio dei poteri che la legge gli riserva. Sotto questo profilo la normativa italiana si pone in linea con la giurisprudenza della Corte europea13, secondo la quale la conoscenza del processo deve realizzarsi mediante un atto che, in quanto destinato ad incidere in modo sostanziale sui diritti dell‟imputato, risponda a condizioni di forma e di sostanza ben precise; mentre non può ritenersi adeguata una conoscenza del procedimento vaga e non ufficiale, derivante, ad esempio, dalle notizie dei familiari o della stampa.

Diretta conseguenza di tutto ciò che è stato detto fino ad ora è che il primo punctum dolens della disciplina normativa ruoti proprio attorno all‟accertamento, da parte del giudice, in ordine all‟“effettiva conoscenza”, provata o probabile, dell‟atto, funzionale a realizzare la

vocatio in iudicium; tema, questo, particolarmente complesso, perché

si sovrappone a quello delle notificazioni, il cui sistema mira a realizzare non già l‟avvenuta percezione dell‟oggetto notificato, ma la percepibilità dello stesso, intesa, questa, come possibilita‟ concreta per il destinatario di entrare in contatto con l‟atto e, quindi, conoscerne il contenuto.

L‟attenzione della disciplina sulla contumacia nei riguardi della

vocatio in iudicium emerge con tutta evidenza dal disposto di cui

all‟art. 420bis co. 1 c.p.p., là dove, innovando rispetto alla disciplina del codice di rito del 1930 (per la quale non importava che l‟atto, <<notificato bene, recasse un‟effettiva conoscenza al destinatario>>)

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più volte censurata in sede europea14, prevede l‟obbligo della rinnovazione dell‟avviso anche quando, pur risultando integrata la conoscenza legale dell‟atto, in quanto è stato regolare il procedimento di notificazione, risulti provato o appaia probabile la mancanza di una conoscenza reale del medesimo.

La valutazione demandata al giudice in ordine all‟effettività della conoscenza risponde, chiaramente, all‟esigenza di fornire una sorta di “clausola di salvaguardia” a fronte del rischio che la sequenza di meccanismi formali riconducibili allo schema delle notificazioni, atti a rendere possibile o probabile il conseguimento della conoscenza dell‟atto, fuoriesca dalla probabilità statistica, determinando un divario tra conoscenza effettiva e conoscenza legale; garanzia, questa, funzionale ad assicurare la partecipazione dell‟imputato al processo in quanto momento essenziale per la realizzazione del contraddittorio. Il legislatore esige, conseguentemente, che si tenga conto di situazioni, apprezzabili anche d‟ufficio dal giudice, atte a dimostrare che l‟imputato non abbia avuto effettiva conoscenza della citazione a giudizio. La circostanza che, accanto alla prova, il legislatore del 1988 abbia collocato la probabilità è, infatti, indice del riconoscimento in favore dell‟imputato e della sua difesa, più che di un onere probatorio in ordine alla mancata conoscenza, di un obbligo di allegazione delle circostanze e delle situazioni che giustificano l‟affermazione della mancata conoscenza.

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L‟apprezzamento in chiave probabilistica compiuto dall‟organo giurisdizionale, tuttavia, acquista dei tratti di ambiguità, affidando alla sensibilità del giudice sia la delibazione della natura e del peso degli elementi probatori disponibili, sia la determinazione del quantum di prova necessario ad integrare il requisito della probabilità. Nel caso in cui il giudice si dovesse accontentare di un livello di conoscenza soltanto probabile, inoltre, si poteva porre il rischio, avendo riguardo alla disciplina vigente fino al 2014 in tema di restituzione in termini per impugnare la sentenza contumaciale (là dove si valorizza l‟elemento della conoscenza effettiva dell‟atto di citazione), di una tardiva apertura del giudizio d‟impugnazione.

Altra ambiguità normativa è quella per la quale la valutazione giurisdizionale non potrà essere sottoposta ad un nuovo esame nel merito. La spinta “garantista” che ha portato alla previsione normativa della probabilità, infatti, non è stata portata a termine da parte del legislatore, rischiando, al contrario, di essere neutralizzata da quella parte dell‟art. 420bis co. 2 c.p.p. che, riproducendo il testo del precedente art. 485 co. 2 codice di procedura penale del 1930, continuava ad affermare che <<la probabilità che l‟imputato non abbia avuto conoscenza della citazione è liberamente valutata dal giudice e tale valutazione non può formare oggetto di discussione successiva ne‟ motivo d‟impugnazione.>>15

.

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Nella prospettiva del mantenimento del giudizio contumaciale, ritenere che la libertà di valutazione andasse <trasformata nel dovere per il giudice di provvedere ad idonea verifica dei fatti incerti>> Ubertis G., Come rendere giusto il processo senza imputato, in Legisl. pen., 2004, pag. 606 e ss.

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In siffatto costrutto sembra prospettarsi, in contrasto con l‟art. 3 Cost.16, una differenziazione di disciplina tra prova e probabilità che non appare supportata da alcuna ratio giustificativa, in quanto entrambe concorrono a determinare allo stesso modo la situazione d‟ignoranza della citazione in cui versa l‟imputato. Tale differenza di trattamento potrebbe non sottrarsi agli accennati profili d‟illegittimità costituzionale neppure ammettendo la possibilita‟ di censurare l‟ordinanza in questione, sotto il profilo dell‟illegittimità della medesima, per mancanza dell‟apparato motivazionale o per illogicità in ordine all‟apprezzamento della probabilità; ciò in quanto, di fatto, la stessa finisce per essere sottratta al più agevole controllo di merito possibile, invece, per l‟apprezzamento riguardante la prova della medesima circostanza.

Le perplessità in ordine alla compatibilità della disciplina in esame si presentano anche con riferimento alle norme convenzionali, se ci si sofferma ad esaminare la seconda parte dell‟art. 420bis c.p.p., dove venivano indicate alcune situazioni reputate idonee ad esonerare il giudice dall‟obbligo di rinnovazione dell‟avviso di fissazione dell‟udienza: pensiamo all‟”assenza di colpa” dell‟imputato in ordine alla mancata effettiva conoscenza della vocatio in iudicium.

Tale elemento, infatti, non è richiamato nella Risoluzione n. 11 del Comitato dei Ministri del 21 maggio 1975, dove sono elencate le

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E‟ di quest‟avviso Mangiaracina A, Garanzie partecipative e giudizio in absentia, Giappichelli, 2010, pag. 74.

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regole minime17 che dovrebbero essere osservate nell‟ambito di quegli ordinamenti giuridici che ammettono la celebrazione di un giudizio contumaciale. Questa, piuttosto, nella regola n. 1 manifesta l‟esigenza che nessuno venga sottoposto a giudizio se non risulta effettivamente raggiunto da una tempestiva notifica della citazione, la quale gli consenta di comparire e di apprestare la sua difesa, <<a meno che non risulti che egli si sia intenzionalmente sottratto alla giustizia>>; inoltre, la stessa pronuncia resa dalla Corte europea per i diritti dell‟uomo nel noto caso Colozza18

ha concluso, come abbiamo già visto, nel senso che nel processo interno si era realizzata una

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<<1. Nessuno può essere sottoposto a giudizio se non è stato in precedenza raggiunto effettivamente da una citazione, trasmessagli in tempo utile per consentirgli di comparire e di preparare la sua difesa, salvo che si sia accertato che egli si è sottratto volontariamente alla giustizia; 2. La citazione deve precisare le conseguenze dell‟eventuale assenza dell‟imputato nella procedura del giudizio; 3. Quando il giudice constata che l‟imputato, non comparso all‟udienza, è stato raggiunto dalla citazione, ordina il rinvio se ritiene che la comparizione personale dell‟imputato è indispensabile