La struttura del settore. A fine 2010 sono risultate attive in Emilia-Romagna 75.231 imprese, di cui 60.619 artigiane, con un’occupazione pari a circa 133.000 addetti. Secondo i dati di Prometeia, nel 2010 l’industria edile ha prodotto valore aggiunto pari a 7 miliardi e 453 milioni di euro equivalenti al 6,1 per cento del totale regionale. La stessa quota è stata registrata nel Paese.
In termini di fatturato, nel 2007, secondo l’indagine Istat sulle imprese, sono stati raggiunti i 36 miliardi e 611 milioni di euro, mentre gli investimenti sono ammontati a circa 3 miliardi e 272 milioni di euro. Il fatturato per addetto si è aggirato sui 223.650 euro, collocando la regione al primo posto della graduatoria nazionale.
Una delle peculiarità del settore è costituita dal forte sbilanciamento della compagine produttiva verso la piccola dimensione, in gran parte rappresentata da imprese artigiane. Le relative 61.619 imprese attive iscritte all’Albo hanno costituito l’80,6 per cento del totale di settore (70,2 per cento in Italia), rispetto alla media del 74,4 per cento dell’industria emiliano - romagnola.
L’evoluzione del reddito. L'industria delle costruzioni e installazioni impianti ha registrato nel 2010, secondo le stime contenute nello scenario redatto a fine maggio 2011 da Unioncamere Emilia-Romagna - Prometeia, una diminuzione reale del valore aggiunto, pari al 3,8 per cento, che si aggiunta alla straordinaria flessione del 9,3 per cento maturata nel 2009.
Siamo di fronte a un andamento che è apparso in linea con le risultanze emerse, come vedremo diffusamente in seguito, dalle indagini congiunturali del sistema camerale che hanno riguardato, occorre sottolineare, le imprese fino a 500 dipendenti, trascurando di fatto l’attività dei grandi gruppi, i quali hanno, per ovvi motivi, un grosso peso nella formazione del valore aggiunto dell’edilizia.
Tavola 8.1 – Volume d’affari delle imprese edili. Emilia-Romagna e Italia. Variazioni percentuali sull’anno precedente.
Emilia-Romagna Italia
Totale Imprese Imprese Imprese Imprese Imprese Imprese Imprese
imprese da 1 a 9 da 10 a 49 da 50 a 500 Totale da 1 a 9 da 1 a 49 da 10 a 49 da 50 a 500 edili dipendenti dipendenti dipendenti imprese edili dipendenti dipendenti dipendenti dipendenti
2003 -0,9 -1,0 -1,5 0,8 -1,6 -1,7 …. -2,4 1,0
2004 -1,7 -2,3 -2,5 2,5 -1,8 -2,1 …. -2,4 0,9
2005 -0,3 -0,7 0,1 0,3 -1,9 -2,9 …. -0,6 -0,4
2006 1,3 0,1 3,8 0,5 -0,8 -2,1 …. 0,9 0,3
2007 0,2 -0,3 1,1 0,8 -2,0 …. -2,5 …. 1,4
2008 -0,9 -1,3 -0,5 -0,2 -2,9 …. -3,3 …. 0,0
2009 -3,9 -4,3 -3,6 -3,6 -7,2 …. -7,6 …. -5,7
2010 -2,7 -3,1 -2,3 -1,9 -5,1 …. -5,7 …. -1,9
(.…) Dati non disponibili.
Fonte: Sistema camerale dell’Emilia-Romagna e Unione italiana delle Camere di commercio.
L’andamento congiunturale. L’indagine trimestrale avviata dal 2003 dal sistema camerale dell’Emilia-Romagna, in collaborazione con l’Unione italiana delle camere di commercio, ha registrato nelle imprese fino a 500 dipendenti un andamento di basso profilo, in sintonia con quanto evidenziato dalle stime sul valore aggiunto di Unioncamere Emilia – Romagna - Prometeia. La crisi economica ha continuato a produrre effetti negativi, anche se in misura più attenuata rispetto a quanto emerso nel 2009, con ripercussioni, come vedremo diffusamente in seguito, su volume d’affari, produzione, occupazione e consistenza delle imprese.
Nel 2010 il volume di affari delle imprese edili dell’Emilia-Romagna è diminuito mediamente del 2,7 per cento rispetto al 2009, consolidando la fase negativa avviata nel 2008.
Il punto più basso del ciclo è stato toccato in apertura d’anno, quando è stata registrata una diminuzione tendenziale del 5,2 per cento. Nei trimestri successivi i decrementi sono apparsi un po’
altalenanti, oscillando tra l’1 e il 4 per cento. In Italia è stata rilevata una diminuzione annuale più elevata (-5,1 per cento), ma in questo caso siamo di fronte ad una tendenza negativa che è in atto dal 2003, vale a dire dal primo anno nel quale è stata avviata l’indagine congiunturale del sistema camerale. In Italia il punto più basso del ciclo, rappresentato da una flessione tendenziale del 7,0 per cento, è coinciso con il terzo trimestre. Negli altri trimestri sono emersi cali comunque consistenti compresi tra il 4-6 per cento.
Ogni classe dimensionale ha concorso alla diminuzione del volume di affari. In quella da 1 a 9 dipendenti, che è quella più soggetta al decentramento delle attività da parte delle grandi imprese e dove è maggiore la presenza dell’artigianato, è stato registrato il calo percentuale più sostenuto (-3,1 per cento), che ha consolidato la fase negativa in atto dal 2007. Nella classe intermedia, da 10 a 49 dipendenti, il fatturato è diminuito su base annua del 2,3 per cento, nella scia degli andamenti negativi riscontrati nel biennio 2008-2009. Nella fascia più strutturata da 50 a 500 dipendenti, più orientata all’acquisizione di grandi commesse pubbliche, è stato rilevato un calo prossimo al 2 per cento e anche in questo caso c’è stata una prosecuzione dei magri risultati conseguiti nei due anni precedenti. Il basso profilo delle imprese medio-grandi si è associato alla buona ripresa del settore delle opere pubbliche sia dal lato dei bandi che delle aggiudicazioni. Il 76 per cento degli importi di queste ultime è stato acquisito da imprese operanti in regione.
Il basso profilo delle piccole imprese da 1 a 9 dipendenti descritto dall’indagine camerale ha trovato conferma nell’indagine dell’Osservatorio congiunturale delle micro e piccole imprese, che analizza la congiuntura delle imprese da 1 a 19 addetti. In questo ambito, non omogeneo con la classe delle piccole imprese analizzata dall’indagine camerale, è stata rilevata una flessione reale del fatturato totale prossima al 2 per cento. Il punto più basso del ciclo è stato toccato nella seconda metà dell’anno, segnata da un calo del 2,7 per cento rispetto all’analogo periodo del 2009, a fronte della più contenuta diminuzione dello 0,9 per cento rilevata nella prima parte del 2009.
Per quanto concerne la produzione (non sono disponibili dati di variazione percentuale), l’indagine del sistema camerale ha registrato una situazione che ha replicato il deludente risultato del volume di affari. Per tutto il corso del 2010 c’è stata una prevalenza delle imprese che hanno accusato diminuzioni rispetto a quelle apparse in crescita, facendo registrare su base annua un saldo negativo pari a 18 punti percentuali, tuttavia più contenuto rispetto ai -32 del 2009. Nei primi tre mesi del 2010, in linea con quanto registrato per il volume d’affari, è stato rilevato il picco più negativo, rappresentato da -41 punti percentuali.
In estrema sintesi, il settore delle costruzioni non ha evidenziato alcuna ripresa, a differenza di quanto avvenuto nell’industria in senso stretto. Le difficoltà si sono distribuite per tutto il corso dell’anno, sia pure con diversa intensità.
L’indagine della Banca d’Italia condotta su un campione di imprese regionali del settore delle costruzioni con almeno 20 addetti, ha confermato il basso profilo emerso dalle indagini congiunturali del sistema camerale. Nel 2010 quasi il 60 per cento delle unità produttive ha registrato una perdita (il 40 per cento nel 2009), a fronte del 20 per cento che ha chiuso l’esercizio in pareggio. Il valore della produzione è diminuito di oltre il 7 per cento (-4 per cento nel 2009). Il tasso di natalità netto è stato pari al -1,1 per cento; era del -2,1 nel 2009.
Gli investimenti. Secondo l’indagine del sistema camerale, il 2010 ha registrato una situazione meno intonata rispetto a quella registrata nel 2009.
Solo il 12 per cento delle aziende ha effettuato investimenti, a fronte della media generale del 27 per cento. Nel 2009 era stata registrata una percentuale del 32 per cento, di poco inferiore al valore medio del 37 per cento. C’è stata in sostanza una brusca frenata della propensione ad investire, anch’essa indice del momento di difficoltà vissuto dal settore. Nella esigua percentuale di imprese che hanno investito nel 2010, il 27 per cento ha effettuato spese superiori a quelle sostenute nel 2009, a fronte del 13 per cento che le ha invece ridotte. Il saldo positivo di 14 punti percentuali è tuttavia risultato inferiore a quello di 33 punti percentuali riscontrato nel 2009.
La destinazione maggiore degli investimenti effettuati nel 2010 è stata rappresentata dall’acquisto di impianti e/o macchinari uguali a quelli esistenti (52 per cento), confermando quanto emerso nell’anno precedente (66 per cento), sia pure con una intensità minore. Segue l’apertura di nuova sede o rinnovo della stessa (26 per cento), davanti all’acquisto di computer e software (18 per cento). L’introduzione di nuovi impianti e/o macchinari innovativi si è attestata al 17 per cento, in sostanziale linea con quanto emerso nel 2009 (18 per cento).
Anche le stime dell’Ance, contenute nel tradizionale rapporto congiunturale, hanno evidenziato una situazione di basso profilo. Nel 2010 gli investimenti in costruzioni dell’Emilia-Romagna hanno accusato una flessione in termini reali prossima al 6 per cento, che ha consolidato la fase negativa emersa nel biennio 2008-2009, rappresentata da decrementi rispettivamente pari al 2,9 e 12,8 per cento. Il calo reale degli investimenti in costruzioni è stato determinato dalla quasi totalità dei comparti, con l’unica eccezione della voce delle “manutenzioni straordinarie e recupero”, il cui aumento dell’1,5 per cento, ha tuttavia recuperato solo parte della diminuzione del 2,2 per cento registrata nel 2009. A tale proposito le domande di agevolazioni fiscali per l’attività di ristrutturazione edilizia presentate all’Agenzia delle Entrate fino a novembre sono aumentate del 12,5 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il comparto abitativo, che ha rappresentato il 53,9 per cento degli investimenti in costruzioni, ha fatto registrare una diminuzione del 5,9 per cento, che si è sommata al pronunciato calo del 12,5 per cento del 2009. Sul riflusso delle abitazioni ha pesato soprattutto la flessione del 13,4 per cento accusata dalle nuove costruzioni, a fronte del moderato aumento, come descritto precedentemente, dell’1,5 per cento evidenziato dagli interventi destinati a manutenzioni straordinarie e riqualificazione del patrimonio abitativo. Nell’ambito delle costruzioni non residenziali private la diminuzione quantitativa si è attestata al 9,0 per cento, e anche in questo caso dobbiamo annotare la prosecuzione della fase negativa emersa nel 2009 (-14,3 per cento). Un analogo andamento ha riguardato le costruzioni non residenziali pubbliche che sono apparse in diminuzione del 4,0 per cento, consolidando l’andamento di basso profilo emerso nel biennio 2008-2009. In sintesi c’è stato in Emilia-Romagna un nuovo e pressoché generale ridimensionamento degli investimenti in costruzioni, che si protrarrà anche nel 2011, sia pure in misura più attenuata (-1,5 per cento). Secondo l’Ance, nel 2011 gli investimenti dei Comuni dell’Emilia-Romagna subiranno un calo valutato in circa 324 milioni di euro e ciò a causa del forte irrigidimento del Patto di stabilità interno.
L’andamento dell’Emilia-Romagna si è collocato un quadro nazionale dello stesso segno. Secondo le elaborazioni di Ance su dati Istat, il 2010 si è chiuso per l’Italia con un decremento reale del 6,4 per cento, destinato a protrarsi, anche se in misura più attenuata, nel 2011 (-2,4 per cento). In linea con quanto osservato per l’Emilia-Romagna, è stato il comparto delle nuove abitazioni a subire la riduzione reale più accentuata (-12,4 per cento), mentre l’unico segno positivo ha riguardato la manutenzione straordinaria delle abitazioni (+0,5 per cento), che ha fatto seguito alla crescita zero riscontrata nel 2009.
Nel quadriennio 2008-2011 il settore delle costruzioni avrà perduto il 17,8 per cento degli investimenti. I risultati più negativi riguarderanno soprattutto il comparto delle nuove abitazioni, che avrà perso in quattro anni il 34,2 per cento del volume degli investimenti. Per le opere pubbliche la riduzione è in atto da sette anni e nel 2011 si prevede una flessione superiore al 6 per cento rispetto al 2010. Alla base di questa situazione ci sono le politiche mirate al contenimento della spesa pubblica dovute alla cosiddetta “manovra d’estate 2010” e al forte irrigidimento, come accennato precedentemente, del Patto di stabilità interna. Per l’Ance il peggioramento delle condizioni del Patto provocherà nel 2011 una riduzione di circa 3,3 miliardi di euro degli investimenti nazionali (pagamenti e nuove infrastrutture) dei Comuni, con una conseguente flessione dei relativi investimenti in opere pubbliche pari al 30 per cento.
Un ulteriore, anche se ristretto, contributo all’analisi degli investimenti del settore edile proviene dall’indagine dell’Osservatorio congiunturale sulla micro e piccola impresa (da 1 a 19 addetti). In questo ambito è stata rilevata una situazione di sostanziale appiattimento, in quanto gli investimenti totali sono aumentati di appena lo 0,9 per cento rispetto al 2009, dopo cinque anni caratterizzati da
una flessione media prossima al 15 per cento. Nell’ambito delle immobilizzazioni materiali non vi è stata alcuna variazione significativa (+0,2 per cento), dopo un quinquennio segnato da un calo medio superiore al 14 per cento. La piccola impresa ha in sostanza segnato il passo, evidenziando un livello degli investimenti largamente inferiore ai volumi del passato. Una certa cautela deve tuttavia sussistere poiché l’indagine sulla micro e piccola impresa si basa su dati raccolti per fini contabili. Per questo motivo, in taluni casi, una corretta registrazione contabile potrebbe non riflettere l’andamento reale. Nel caso degli investimenti, possono presentarsi scritture di rettifica, che in alcuni casi possono determinare valori negativi.
L’occupazione.
L’indagine sulle forze di lavoro. La diminuzione del volume di affari evidenziata dall’indagine del Sistema camerale si è associata al calo dell’occupazione. Secondo l’indagine continua sulle forze lavoro, nel 2010 è stata registrata in Emilia-Romagna una flessione degli occupati del 7,1 per cento rispetto al 2009, equivalente in termini assoluti a circa 10.000 addetti, largamente superiore a quella registrata sia nel Nord-Est (-1,7 per cento), che in Italia (-0,7 per cento). Siamo di fronte a numeri spiccatamente negativi, testimoni del perdurare della crisi economica.
A far pendere la bilancia del mercato del lavoro in senso negativo sono state entrambe le posizioni professionali: per i dipendenti il calo è stato del 2,2 per cento, per gli autonomi del 12,5 per cento.
La diminuzione di questi ultimi si è associata alla flessione dell’1,7 per cento accusata dalle imprese attive artigiane. Nel Paese è stato registrato un andamento simile a quello regionale, ma in termini molto più sfumati. Al calo dell’1,1 per cento dell’occupazione dipendente si è associata la lieve diminuzione degli autonomi (-0,1 per cento). Nel Nord-Est è emerso un andamento in linea con la tendenza emersa in EmiliaRomagna, ma anche in questo caso in misura meno accentuata: -0,8 per cento i dipendenti; -2,9 per cento gli autonomi.
La forbice tra dipendenti e indipendenti si è pertanto ristretta, interrompendo la tendenza di lungo periodo che vedeva il lavoro autonomo accrescere il proprio peso sul totale dell’occupazione. In Emilia-Romagna nel 1993 i dipendenti rappresentavano il 62,5 per cento degli addetti. Nel 2000 la percentuale scende al 55,1 per cento, per arrivare al 52,1 per cento del 2009. Resta da chiedersi quanto possa avere inciso sul fenomeno del maggiore peso del lavoro autonomo il processo di destrutturazione in atto nel mercato del lavoro edile. Talune imprese incoraggiano i propri dipendenti ad assumere la partita Iva, in quanto trovano più conveniente avere rapporti con soggetti autonomi, anziché alle dipendenze. Di fatto, si tratta di rapporti di dipendenza mascherati da lavoro autonomo. In questo modo si hanno vantaggi fiscali, aumentando nel contempo la flessibilità del lavoro, con conseguenti risparmi sui compensi a causa dell’aumentata concorrenza. Questa pratica sembra particolarmente diffusa nell’ambito della manodopera extracomunitaria. In sostanza è come che sia avvenuto un travaso fittizio da una posizione professionale all’altra.
La diminuzione del 2,2 per cento dell’occupazione alle dipendenze registrata in Emilia-Romagna è stata determinata dai soli occupati a tempo indeterminato, che sono scesi del 3,5 per cento (da circa 65.000 a circa 63.000 persone), a fronte della crescita del 6,7 per cento dei precari, ovvero con contratto a tempo determinato. L’aumento percentuale di quest’ultima condizione contrattuale appare significativo, ma occorre sottolineare che è derivato da una crescita assoluta pari a circa mille unità. In Italia è stato registrato un andamento analogo: -1,1 per cento l’occupazione a tempo indeterminato; +4,2 per cento quella a tempo determinato.
Se valutiamo l’andamento dell’occupazione complessiva dal lato dell’orario, possiamo notare che l’occupazione a tempo pieno ha accusato una flessione del 7,9 per cento, equivalente a un totale di circa 11.000 addetti, a fronte dell’incremento del 5,5 per cento riscontrato negli occupati a tempo parziale. Il peso di quest’ultima componente è così salito al 6,6 per cento del totale degli occupati, rispetto al 5,8 per cento registrato nel 2009 e 5,5 per cento relativo al 2004. In sintesi il perdurare della crisi ha pesato sull’occupazione a tempo pieno e con contratti stabili, mentre precariato e occupazioni a tempo parziale hanno mostrato una buona tenuta. L’impressione che si può ricavare da questo andamento è che al minore volume di lavoro disponibile, causa la crisi, sia corrisposto un proporzionale adeguamento dell’impiego di manodopera e non è da escludere che alcuni contratti a
tempo pieno siano stati trasformati a tempo parziale, in attesa di tempi migliori, prefigurando una situazione già emersa nel 2009, come evidenziato da un’analisi della Banca d’Italia sulle statistiche delle forze di lavoro.
Sotto l’aspetto delle unità di lavoro che misurano l’intensità del volume di lavoro effettivamente svolto, lo scenario predisposto a fine maggio da Unioncamere Emilia-Romagna e Prometeia ha registrato una situazione in linea con quella evidenziata dalle indagini sulle forze di lavoro. Nel 2010 è stata stimata una flessione del 7,6 per cento, che si è aggiunta al calo del 3,8 per cento rilevato nel 2009. A pesare sul decremento è stata soprattutto la scarsa intonazione dell’occupazione alle dipendenze, che è stata stimata in calo dell’8,3 per cento.
L’indagine Smail. L’indagine condotta dal Sistema di monitoraggio annuale delle imprese e del lavoro relativa alla situazione in essere a fine giugno 2010 nelle unità locali situate in Emilia-Romagna, ha registrato una diminuzione della consistenza dell’occupazione (sono esclusi gli interinali) pari all’1,0 per cento rispetto all’analogo periodo del 2009, equivalente a oltre 1.500 addetti. L’indagine Istat sulle forze di lavoro relativa alla prima metà del 2010 ha registrato una analoga tendenza rappresentata da una diminuzione media rispetto allo stesso periodo del 2009 pari al 2,8 per cento.
Il prezzo più alto, secondo quanto emerso dall’indagine Smail, è stato pagato dalla componente alle dipendenze (-1,9 per cento), a fronte della stabilità degli imprenditori, che hanno rappresentato il 48,1 per cento del totale degli occupati. Più segnatamente il calo complessivo dell’occupazione edile è stato determinato dal comparto della costruzione di edifici (-3,7 per cento), con una punta del 5,3 per cento relativa ai dipendenti. Nell’ambito dell’ingegneria civile è stato rilevato un incremento del 3,1 per cento, mentre è apparso sostanzialmente stabile il comparto dei lavori di costruzione specializzati (+0,1 per cento), nel quale sono preponderanti le attività artigianali. La diminuzione dello 0,5 per cento dei relativi dipendenti è stata bilanciata dalla crescita dello 0,6 per cento degli imprenditori.
L’indagine Excelsior. Tale indagine, che viene svolta tradizionalmente nei primi mesi dell’anno, valuta le intenzioni di assunzione delle imprese edili con almeno un dipendente. Si tratta di previsioni che sono ovviamente influenzate dal clima congiunturale del momento nel quale cade l’intervista. Possono pertanto essere suscettibili, in un secondo tempo, di cambiamenti in positivo o in negativo. Nel settore edile, l’acquisizione di una grossa commessa, magari inaspettata, può mutare in positivo il quadro di previsioni prima improntate al pessimismo. Al di là di questa doverosa precisazione, possiamo comunque affermare che tra i dati previsionali Excelsior e quelli consuntivi delle forze di lavoro vi è quasi sempre stata una sostanziale coerenza.
Il movimento occupazionale. Per il 2010 l’indagine Excelsior ha registrato una tendenza analoga a quella negativa emersa dalle rilevazioni sulle forze di lavoro. Il fatto che le interviste siano avvenute in un periodo piuttosto negativo – il fatturato del primo trimestre è diminuito tendenzialmente del 5,2 per cento – non ha certo favorito le intenzioni di assunzione.
Secondo quanto dichiarato dalle imprese, il settore delle costruzioni avrebbe dovuto chiudere il 2010 con una flessione degli occupati alle dipendenze pari al 3,3 per cento, in termini più accentuati rispetto a quanto preventivato per l’industria in senso stretto (-1,7 per cento) e i servizi (-0,9 per cento). Il settore edile si è pertanto distinto per un pessimismo più accentuato rispetto ad altre attività. Nel 2009 il clima era apparso ugualmente negativo, anche se in misura relativamente più attenuata (-2,8 per cento).
A 4.530 assunzioni, compresi gli stagionali, dovrebbero corrispondere 7.190 uscite, per un saldo negativo di 2.670 unità, superiore a quello di 2.270 prospettato per il 2009. In Italia è stata prevista una diminuzione del 3,3 per cento, la stessa prevista per l’Emilia-Romagna, che è equivalsa a un saldo negativo di 37.410 dipendenti. E’ da sottolineare che la percentuale di imprese edili che in Emilia-Romagna non assumerebbero comunque personale è ammontata all’81,4 per cento, rispetto alla media industriale del 78,2 per cento e complessiva del 76,9 per cento. Anche questa è una dimostrazione di aspettative poco brillanti sull’evoluzione del mercato edile.
Dal lato della dimensione, sono state nuovamente le imprese più piccole, fino a 9 dipendenti, dove è preponderante l’artigianato, a manifestare le peggiori aspettative, prevedendo una flessione dell’occupazione pari al 5,0 per cento, equivalente ad un saldo negativo prossimo ai 2.000 dipendenti. Nelle altre classi dimensionali è emersa una situazione ugualmente negativa, ma in termini relativamente più contenuti, con previsioni di calo comprese tra il -0,8 per cento delle
Dal lato della dimensione, sono state nuovamente le imprese più piccole, fino a 9 dipendenti, dove è preponderante l’artigianato, a manifestare le peggiori aspettative, prevedendo una flessione dell’occupazione pari al 5,0 per cento, equivalente ad un saldo negativo prossimo ai 2.000 dipendenti. Nelle altre classi dimensionali è emersa una situazione ugualmente negativa, ma in termini relativamente più contenuti, con previsioni di calo comprese tra il -0,8 per cento delle