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MERCATO DEL LAVORO

Nel documento Consuntivo 2010 (1.2mb) (pagine 33-64)

Considerazioni sulla metodologia dell’indagine delle forze di lavoro. L’andamento del mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna viene prevalentemente analizzato sulla base della nuova rilevazione Istat delle forze di lavoro. Rispetto al passato, siamo in presenza di un’indagine definita

“continua” in quanto le informazioni sono rilevate con riferimento a tutte le settimane dell’anno, tenuto conto di una opportuna distribuzione a livello trimestrale del campione complessivo.

I cambiamenti non hanno riguardato le sole modalità di rilevazione, ma anche alcune definizioni delle varie condizioni, arricchendo nel contempo le informazioni sull’occupazione, facendo emergere il lavoro coordinato e continuativo e interinale. Nell’ambito della disoccupazione è stato accresciuto il campionario di possibilità e la precisione dell’individuazione delle azioni di ricerca effettuate. Tra le motivazioni che spingono ad uscire dal mercato del lavoro sono state introdotte la cura della famiglia per assenza di servizi adeguati - la mancanza di asili è tra queste - e la indisponibilità di impieghi part-time.

Per quanto concerne la figura di occupato, nella vecchia rilevazione veniva considerato tale chi dichiarava di esserlo, sottintendendo un criterio soggettivo basato sulla percezione di essere in questa condizione. Con la nuova rilevazione è considerato occupato colui che nella settimana precedente l’intervista ha svolto almeno un’ora di lavoro remunerato, o anche non remunerato se l’attività è svolta in un’azienda di famiglia. Siamo pertanto di fronte ad un criterio di sapore più oggettivo, che prescinde dalla percezione soggettiva della persona intervistata. Per le persone in cerca di occupazione, che devono essere comprese tra i 15 e i 74 anni, siamo di fronte a parametri sostanzialmente uguali a quelli in vigore precedentemente. Si deve essere disponibili a lavorare nelle due settimane successive all’intervista e si deve avere effettuato almeno una ricerca attiva di lavoro nelle quattro settimane precedenti. Non tutte le informazioni sopra riportate sono state divulgate a livello regionale, come ad esempio, nel caso delle collaborazioni continuative a progetto.

I confronti con il passato vanno sempre effettuati con la dovuta cautela in quanto occorre tenere conto dei flussi delle regolarizzazioni di cittadini stranieri. A tale proposito giova ricordare che la prima regolarizzazione di stranieri attuata in Italia venne disposta con le circolari del Ministero del Lavoro del 2 marzo e 9 settembre 1982, che riguardò tuttavia un limitato numero di stranieri. Nel 1986 ne seguì un’altra che comportò 105.000 richieste di regolarizzazione, in gran parte provenienti da stranieri disoccupati. All'inizio degli anni '90 il flusso delle immigrazioni crebbe ulteriormente e venne così emanato un altro provvedimento legislativo di sanatoria con il d. l. n. 416 del 1989, poi modificato e previsto nella legge n. 39/1990, la cosiddetta Legge Martelli. All'art. 9 fu prevista una ulteriore sanatoria per coloro che potevano attestare di essere entrati in Italia entro il 31-12-1989 a prescindere da ogni altra condizione, che comportò 225.000 domande di regolarizzazione. Nel 1995 segue un altro provvedimento di regolarizzazione conosciuto come sanatoria 'Dini' (decreto legge n.489) che si esplica in 244.000 domande accolte. Un’altra sanatoria viene varata il 16 ottobre 1998, a seguito dell’approvazione della Legge del 6 marzo 40/1998, la cosiddetta “Turco-Napolitano”, che comporta l’accoglimento di 215.000 domande di regolarizzazione. Il processo di riforma della materia dell'immigrazione contenuto nel Testo Unico giunge a termine con il D. P. R.

31 agosto 1999 n. 394, con il Regolamento di attuazione del Testo Unico. La materia sull’immigrazione trova tuttavia una nuova disciplina, che sostituisce il Testo Unico, con la Legge 189/2002, meglio nota come “Bossi-Fini”. In questo caso segue la sanatoria dalle proporzioni più massicce, di cui beneficiano circa 700.000 persone.

Negli anni successivi si hanno altri provvedimenti di regolarizzazione, come ad esempio nel 2009 quando oggetto della sanatoria sono in particolare le badanti. Tra inizio e fine settembre si contano circa 294.000 domande.

L’ impatto delle sanatorie sulla popolazione delle varie regioni risulta importante.

Le persone regolarizzate, dopo avere ottenuto il permesso di soggiorno, vanno di norma a iscriversi nei registri anagrafici, accrescendo la popolazione residente e modificando di conseguenza l’universo a cui rapportare i dati campionari. In Emilia-Romagna, al primo gennaio 2010, la popolazione straniera residente è ammontata a 461.321 unità, contro le 421.482 di inizio 2009 e 210.397 di inizio 2003. Tra inizio 2003 e inizio 2010 c’è stato un aumento percentuale del 119,3 per cento, a fronte della crescita nazionale del 112,8 per cento. Nello stesso arco di tempo l’incidenza della popolazione straniera sul totale è salita in Emilia-Romagna dal 5,2 al 10,5 per cento, in Italia dal 3,4 al 7,0 per cento. La popolazione complessiva dell’Emilia-Romagna tra il primo gennaio 2003e il primo gennaio 2010 è cresciuta da 4.030.220 a 4.377.435 unità, vale a dire l’8,6 per cento in più. Come di può ricavare da queste cifre, l’Emilia-Romagna ha avuto un impatto della popolazione straniera sulle proprie anagrafi decisamente importante e tale da alterare significativamente l’universo della popolazione al quale fare riferimento. Le regolarizzazioni attuate negli anni scorsi oltre ad aumentare la popolazione ufficiale, hanno fatto emergere posizioni lavorative prima sconosciute. Ne consegue, e ci ripetiamo, che l’analisi dell’andamento occupazionale degli ultimi anni deve essere effettuata con una certa cautela.

L’evoluzione generale. Nel 2010 il mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna si è chiuso con un bilancio negativo. La ripresa del ciclo congiunturale si è rivelata troppo debole per influire positivamente sul mercato del lavoro.

Secondo un’indagine condotta tra ottobre e novembre 2010 da Unioncamere Emilia-Romagna e Istituto Guglielmo Tagliacarne in un campione di 1.500 imprese industriali, commerciali e dei servizi alle imprese, la crisi ha indotto il 7,8 per cento delle imprese a riduzioni di personale, con punte superiori all’11,0 per cento nei settori della moda e metalmeccanico. Quasi il 20 per cento delle imprese ha osservato un esubero di personale in rapporto alla produzione, con un picco prossimo al 30 per cento relativamente all’industria metalmeccanica. Per fare fronte a questa situazione le imprese hanno provveduto in primo luogo ad utilizzare ammortizzatori sociali (46,1 per cento), poi licenziamenti (29,7 per cento) e riduzione delle ore lavorate (18,4 per cento).

Tavola 3.1 – Indagine sulle forze di lavoro. Emilia-Romagna. Occupati per posizione nella professione e settore di attività economica. Periodo 1997-2010 (a).

Settori di attività 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Agricoltura Dipend. 38 36 44 42 44 43 21 24 25 26 27 25 24 26

Indipend. 74 75 76 66 61 62 69 66 58 56 50 54 56 53

Totale 112 111 120 108 105 105 91 89 83 82 77 79 80 79

Totale industria Dipend. 511 514 524 536 526 537 545 517 524 529 544 537 531 531

Indipend. 120 123 119 119 130 122 135 134 139 146 149 140 133 121

Totale 631 637 643 655 656 659 680 651 663 675 693 677 664 652

Di cui: Costruzioni Dipend. 58 52 50 59 62 64 61 68 72 70 75 79 74 73

Indipend. 46 47 48 48 52 51 59 61 63 66 73 72 68 60

Totale 104 99 99 106 114 115 119 129 136 137 148 151 143 133

Di cui: Industria Dipend. 453 462 474 478 464 473 485 449 452 458 469 458 457 458

in senso stretto Indipend. 74 76 71 71 78 71 76 73 75 80 77 68 64 61

Totale 527 538 544 549 542 544 561 521 528 538 546 526 521 519

Servizi Dipend. 639 648 669 684 710 741 720 748 783 827 839 877 883 887

Indipend. 338 330 341 352 350 347 379 358 343 334 344 346 329 318

Totale 977 978 1.010 1.036 1.059 1.088 1.099 1.106 1.127 1.161 1.183 1.223 1.212 1.205 Totale occupati Dipend. 1.188 1.198 1.237 1.262 1.279 1.320 1.286 1.288 1.333 1.382 1.410 1.439 1.438 1.444

Indipend. 531 529 536 537 541 531 583 558 540 536 543 540 518 492

Totale 1.720 1.726 1.773 1.799 1.820 1.851 1.870 1.846 1.872 1.918 1.953 1.980 1.956 1.936

(a) Dati ricostruiti dal 1997 al 2003.

Fonte: Istat.

Come vedremo diffusamente in seguito, a pagare il prezzo più alto è stata l’occupazione per lo più indipendente o con contratti a tempo indeterminato, con conseguente riduzione dell’occupazione a tempo pieno e contemporaneo incremento del part-time. Sotto l’aspetto dell’età sono state le classi

più giovani fino a 34 anni a determinare il calo complessivo dell’occupazione. Se nel 2009 le imprese avevano cercato di mantenere la componente “core” dell’occupazione, sacrificando l’occupazione precaria, nel 2010 sembra emergere una tendenza opposta, quasi che la diminuzione del livello delle attività imposto dalla crisi abbia imposto assunzioni non “impegnative” sotto l’aspetto della durata oppure, in taluni casi, la trasformazione dei rapporti di lavoro da full a part time, come per altro già avvenuto nel 2009.

Nel 2010 le rilevazioni Istat sulle forze di lavoro hanno stimato mediamente in Emilia-Romagna circa 1.936.000 occupati, vale a dire l’1,0 per cento in meno rispetto alla media del 2009, equivalente, in termini assoluti, a circa 20.000 persone. Il calo si aggiunge a quello dell’1,2 per cento riscontrato nel 2009, dopo quattro anni all’insegna della crescita.

L’andamento dell’Emilia-Romagna è risultato più negativo rispetto a quanto riscontrato sia nel Nord-est (-0,3 per cento) che nel Paese (-0,7 per cento). In ambito regionale è emersa una situazione abbastanza diversificata e meno netta rispetto al 2009 quando solo il Trentino-Alto Adige aveva evidenziato un aumento degli occupati, pari allo 0,8 per cento. Nel 2010 la situazione è apparsa meglio intonata, nel senso che sono state cinque le regioni che hanno accresciuto l’occupazione, in un arco compreso tra il +0,2 per cento di Marche e Sardegna e il +1,2 per cento della Valle d’Aosta. L’Emilia-Romagna, con il calo dell’1,0 per cento, si è collocata a ridosso della fascia più “critica” segnata da diminuzioni dell’occupazione superiori all’1 per cento. In questa situazione si sono venute a trovare sette regioni, in gran parte del Meridione, in un arco compreso tra il -1,2 per cento di Puglia e Liguria e il -2,8 per cento della Basilicata.

Se analizziamo l’evoluzione trimestrale, possiamo vedere che l’occupazione dell’Emilia-Romagna ha vissuto il momento più difficile nella prima metà dell’anno, segnata da una flessione del 2,2 per cento rispetto all’analogo periodo del 2009. Nel semestre successivo la situazione è apparsa meno negativa. Al moderato calo dello 0,4 per cento registrato nel periodo estivo è seguito l’aumento dello 0,7 per cento degli ultimi tre mesi, che ha consentito di chiudere il secondo semestre del 2010 con una crescita dello 0,2 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nella fase di graduale recupero dell’attività produttiva che ha caratterizzato il 2010, l’input di lavoro totale ha continuato a diminuire, ma con un ritmo meno intenso sino a mostrare un primo segnale, sia pure debole, di inversione di tendenza alla fine del 2010. Tale dinamica rappresenta la prosecuzione del meccanismo di aggiustamento del fattore lavoro alla riduzione dei volumi di produzione cominciata intorno alla metà del 2008 quando, a fronte di una repentina caduta dell’output, le imprese avevano ridotto con gradualità l’input di lavoro. Gli effetti della recessione sull’occupazione hanno continuato a dispiegarsi nella fase successiva, con un’intensità comunque limitata, considerando il recupero ancora parziale dei livelli dell’attività produttiva.

Una ulteriore conferma del bilancio annuale negativo dell’occupazione è venuta anche dallo scenario economico proposto nello scorso maggio da Unioncamere Emilia-Romagna - Prometeia, relativamente alle unità di lavoro, che misurano il volume di lavoro effettivamente svolto (vedi nota 3). Nel 2010, secondo le stime del sistema camerale e di Prometeia, le unità di lavoro sono diminuite dell’1,1 per cento rispetto al 2009, che a sua volta era apparso in calo del 2,6 per cento.

Anche i dati Smail (Sistema di monitoraggio annuale delle imprese e del lavoro) aggiornati al 30 giugno 2010 hanno illustrato una situazione di basso profilo, in linea con l’andamento negativo della prima metà dell’anno evidenziato dalle indagini sulle forze di lavoro. Nei confronti dell’analogo periodo dell’anno precedente è stata registrata una diminuzione, sia pure moderata (-0,1 per cento) che è equivalsa a circa 1.000 addetti in meno. Il calo è stato determinato dall’occupazione alle dipendenze, a fronte della leggera crescita registrata per gli imprenditori (+0,1 per cento).

L’occupazione per genere. Per quanto concerne il genere - siamo tornati alla rilevazione sulle forze di lavoro – entrambe le componenti sono apparse in calo, con una maggiore intensità per le femmine (-1,3 per cento) rispetto agli uomini (-0,8 per cento). In Italia le donne sono invece rimaste stabili, a fronte della diminuzione rilevata per gli uomini (-1,1 per cento). Un andamento analogo a quello dell’Emilia-Romagna ha riguardato la circoscrizione nord-orientale, che ha registrato per

uomini e donne diminuzioni rispettivamente pari allo 0,3 e 0,4 per cento. Il peso della componente femminile sul totale dell’occupazione dell’Emilia-Romagna si è conseguentemente un po’

ridimensionato, passando dal 44,2 per cento del 2009 al 44,1 del 2010. Nel 1993, ultimo anno oggetto della ricostruzione sulla base dei nuovi criteri della rilevazione, si aveva un rapporto superiore al 41 per cento.

L’occupazione per classe d’età. Sotto l’aspetto delle varie classi di età, in Emilia-Romagna, come nel resto del Paese, è nuovamente quella intermedia da 35 a 44 anni a registrare il tasso di occupazione più elevato pari all’87,4 per cento, davanti alle fasce da 45 a 54 anni (83,1 per cento) e 25-34 anni (77,7 per cento). I tassi si riducono notevolmente, e non può essere altrimenti, nella classe da 15 a 24 anni, che comprende larga parte della popolazione studentesca (26,1 per cento), e in quella da 65 anni e oltre, che è largamente costituita da pensionati (4,0 per cento).

Rispetto alla situazione del 2009, sono state le classi estreme, ovvero più giovani e più anziane, a determinare il calo complessivo dell’occupazione. Nelle classi giovanili da 15 a 24 anni e 25-34 anni sono state rilevate flessioni rispettivamente pari al 5,9 e 6,8 per cento, che si sono aggiunte a quelle registrate nel 2009, con conseguenti riduzioni dei relativi tassi di occupazione rispettivamente pari a 2,0 e 3,2 punti percentuali, rispetto ai -1,1 punti della media generale. Nella classe da 65 anni e oltre, la cui consistenza è tuttavia limitata a circa 39.000 occupati, il decremento è stato dell’11,0 per cento, con conseguente riduzione del relativo tasso di occupazione di 0,5 punti percentuali.

La perdita di occupazione giovanile, al di là dei fattori legati all’invecchiamento, rappresenta la nota più dolente di tutto l’andamento del mercato del lavoro, in linea con quanto emerso in Italia.

L’adeguamento dell’input di lavoro ai ridotti volumi produttivi imposti dalla crisi è stato pagato soprattutto dai giovani, che sono poi quelli che sottintendono una minore esperienza lavorativa rispetto alle altre classi e che quindi vengono “sacrificati” dalle imprese per primi, non essendo parte del “core” dell’occupazione.

Con il salire dell’età la situazione cambia di segno. L’occupazione della classe da 35 a 44 anni cresce dell’1,0 per cento e ancora più ampio appare il progresso della fascia di occupati da 45 a 54 anni (+2,7 per cento). In quella da 55 a 64 anni la crescita si ridimensiona allo 0,5 per cento.

La nuova riduzione dell’occupazione giovanile non si è tuttavia coniugata ad un analogo andamento per quanto concerne l’occupazione precaria, i cui contratti sono spesso applicati ai giovani che si affacciano sul mercato del lavoro, che è invece apparsa in crescita, a fronte della diminuzione subita dagli occupati a tempo pieno.

Questa situazione traspare anche in termini di tasso di occupazione. Secondo dati sulle forze di lavoro divulgati dalla Banca d’Italia, nel 2009 la riduzione del tasso specifico di occupazione calcolato sulla popolazione in età 15-64 anni ha colpito soprattutto i figli conviventi con i propri genitori, in ragione di un punto percentuale, a fronte della diminuzione di 0,7 punti percentuali rilevata per i genitori. Come annotato dalla Banca d’Italia, poiché gli effetti della crisi si sono concentrati sui giovani, le conseguenze derivanti dalla perdita del posto di lavoro sarebbero state almeno parzialmente ammortizzate dalla redistribuzione delle risorse nell’ambito famigliare.

L’occupazione per titolo di studio. Se analizziamo i tassi di occupazione calcolati sulla popolazione in età di 15 anni e oltre dal lato del titolo di studio, possiamo vedere che i valori più elevati hanno nuovamente riguardato i possessori di laurea breve, laurea e dottorato (75,3 per cento) e di diploma 2-3 anni (70,7 per cento), vale a dire un titolo che può sottintendere delle qualifiche professionali. Nell’ambito del diploma 4-5 anni il rapporto scende al 69,4 per cento. In ambito nazionale troviamo una situazione analoga, ma articolata su tassi generalmente più contenuti rispetto a quelli proposti dall’Emilia-Romagna. I tassi di occupazione tendono a ridursi per i possessori di licenza media e licenza elementare. In Emilia-Romagna quello relativo alla licenza media si è attestato nel 2010 al 50,9 per cento, per scendere al 12,2 per cento nell’ambito della licenza elementare. In Italia i rispettivi tassi sono ammontati al 42,6 e 10,6 per cento.

Rispetto alla situazione del 2009, le riduzioni più consistenti degli occupati hanno colpito i possessori dei titoli estremi, vale a dire licenza elementare 10,9 per cento) e laurea e dottorato

(-3,6 per cento). Gli unici incrementi hanno riguardato i possessori di diploma, soprattutto 4-5 anni (+2,7 per cento).

Il tasso di occupazione. La diminuzione della consistenza degli occupati ha un po’ ridimensionato i fondamentali del mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna, senza tuttavia comprometterne la posizione di preminenza in ambito nazionale. In termini di tasso specifico di occupazione, pari al 67,4 per cento, lo stesso della Valle d’Aosta, l’Emilia-Romagna ha lasciato la prima posizione al Trentino Alto Adige (68,5 per cento), precedendo Lombardia (65,1 per cento) e Veneto (64,5 per cento). I tassi più contenuti, a fronte della media nazionale del 56,9 per cento, hanno nuovamente riguardato le regioni del Sud, con le ultime posizioni occupate da Campania (39,9 per cento), Calabria (42,2 per cento), Sicilia (42,6 per cento) e Puglia (44,4 per cento). Rispetto al 2009, la maggioranza delle regioni italiane ha peggiorato il proprio tasso di occupazione in un arco compreso tra i -0,1 punti percentuali delle Marche e i -1,3 della Basilicata. L’Emilia-Romagna si è trovata a ridosso della fascia più elevata di riduzione, con un calo del proprio tasso di occupazione pari a 1,1 punti percentuali, a fronte della diminuzione nazionale di 0,6 punti percentuali. Solo tre regioni, vale a dire Valle d’Aosta, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia, sono riuscite a migliorare il proprio tasso di occupazione in misura comunque relativamente contenuta, se si considera che gli aumenti sono rimasti sotto la soglia di 0,5 punti percentuali. Al di là del peggioramento, che ha riguardato, come descritto, la maggioranza delle regioni italiane, è da rimarcare che nessuna di esse è riuscita ad arrivare all’obiettivo del 70 per cento previsto per il 2010 dall’Unione europea nel consiglio straordinario di Lisbona. In ambito provinciale solo Bolzano ha superato tale soglia, con un rapporto pari al 71,1. Appena al di sotto si sono collocate Bologna (69,0 per cento), Ravenna (68,9 per cento), Cuneo (68,5 per cento) e Parma (68,5 per cento). E’ comunque da sottolineare che nelle prime cinque posizioni si sono collocate tre province dell’Emilia-Romagna. Se poi ci si spinge fino alla decima posizione, si trovano altre due province emiliano-romagnole, quali Forlì-Cesena (67,9 per cento) e Reggio Emilia (67,1 per cento).

L’elevata incidenza degli occupati sulla popolazione dell’Emilia-Romagna deriva in particolare dall’elevato tasso di occupazione femminile. Nel 2010 si è attestato al 59,9 per cento e solo due regioni hanno registrato una percentuale più elevata, vale a dire Trentino Alto Adige (60,1 per cento) e Valle d’Aosta (60,3 per cento). Alle spalle dell’Emilia-Romagna troviamo Lombardia (55,8 per cento), Piemonte (55,8 per cento) e Friuli-Venezia Giulia (55,5 per cento). La regione vanta nella sostanza un grado di emancipazione femminile piuttosto elevato, che sottintende nuclei famigliari con più di un reddito, con conseguente relativa maggiore ricchezza rispetto ad altre aree del Paese. Non è un caso che alcune delle regioni a più elevato reddito per abitante siano anche quelle che registrano i migliori tassi di occupazione femminili. Se si scende la penisola i tassi di occupazione femminili tendono a ridursi fino ad arrivare ai minimi di Campania (25,7 per cento), Sicilia (28,7 per cento), Puglia (29,5 per cento) e Calabria (30,2 per cento), vale a dire la fascia di regioni tra quelle a minore reddito pro capite del Paese.

L’evoluzione dell’occupazione per rami di attività economica. L’occupazione del settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca è tornata a calare (-1,1 per cento), dopo la moderata crescita registrata nel 2009 (+0,5 per cento). Una analoga tendenza è emersa dai dati Smail aggiornati a fine giugno 2010 che hanno registrato un calo degli addetti dell’1,0 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009.

L’incidenza sul totale dell’occupazione si è attestata al 4,1 per cento, confermando la percentuale del 2009. Al di là delle oscillazioni avvenute nel tempo, il settore primario ha contato circa 11.000 addetti in meno rispetto alla situazione del 2004, quando si registrava una incidenza sul totale dell’occupazione pari al 4,8 per cento. La tendenza riduttiva della consistenza degli addetti è ormai una costante del settore primario, emersa in tutta la sua evidenza anche dalle vecchie indagini sulle forze di lavoro. Le cause sono per lo più rappresentate dalla mancata sostituzione di chi abbandona l’attività, vuoi per raggiunti limiti di età, vuoi per motivi economici, e dal processo di razionalizzazione che vede sempre meno aziende, ma più ampie sotto l’aspetto della superficie utilizzata.

Tavola 3.2 – Indagine sulla forze di lavoro. Occupati maschi e femmine per settore di attività economica, posizione nella professione e tipologia d’orario. Emilia-Romagna. Periodo 2004-2010.

Valori assoluti in migliaia.

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Occupati

Agricoltura 89 83 82 77 79 80 79

- Tempo pieno 78 74 74 70 71 70 70

- Tempo parziale 11 9 8 6 8 10 8

Industria 651 663 675 693 677 664 652

- Tempo pieno 612 620 630 645 635 622 611

- Tempo parziale 39 43 45 48 43 42 41

Di cui: costruzioni 129 136 137 148 151 143 133

- Tempo pieno 122 127 128 140 144 135 124

- Tempo parziale 7 9 9 8 7 8 9

Di cui: indus. in senso stretto 521 528 538 546 526 521 519

- Tempo pieno 490 493 502 506 490 487 487

- Tempo parziale 32 34 36 40 36 34 32

Servizi 1.106 1.127 1.161 1.183 1.223 1.212 1.205

- Tempo pieno 929 942 966 986 1.020 1.003 985

- Tempo parziale 177 184 195 197 204 209 220

Totale occupati 1.846 1.872 1.918 1.953 1.980 1.956 1.936

- Tempo pieno 1.619 1.636 1.670 1.701 1.725 1.695 1.666

- Tempo parziale 227 236 248 252 255 261 269

Occupati dipendenti

Agricoltura 24 25 26 27 25 24 26

- Tempo indeterminato 13 13 16 18 17 11 13

- Tempo determinato 10 12 10 9 8 13 13

Industria 517 524 529 544 537 531 531

- Tempo indeterminato 467 479 481 487 487 490 481

- Tempo determinato 49 46 48 57 51 42 50

Di cui: costruzioni 68 72 70 75 79 74 73

- Tempo indeterminato 59 66 62 66 71 65 63

- Tempo determinato 9 6 8 9 9 9 10

Di cui: indus. in senso stretto 449 452 458 469 458 457 458

- Tempo indeterminato 408 412 418 421 416 424 418

- Tempo determinato 40 40 40 48 42 32 40

Servizi 748 783 827 839 877 883 887

- Tempo indeterminato 663 684 722 726 759 773 763

- Tempo determinato 85 99 105 113 119 110 124

Totale occupati 1.288 1.333 1.382 1.410 1.439 1.438 1.444

- Tempo indeterminato 1.144 1.176 1.218 1.231 1.262 1.274 1.257

- Tempo determinato 145 157 163 179 177 164 187

Fonte: Istat (indagine continua sulle forze di lavoro. Media annua).

Sotto l’aspetto dell’invecchiamento, giova richiamare le rilevazioni dell’Inps sui lavoratori autonomi, che costituiscono la maggioranza degli occupati. Nel 2009 il peso dei coltivatori diretti - rappresentano la forma più diffusa di conduzione dei fondi - con almeno 60 anni di età ha inciso per il 34,8 per cento del totale, a fronte della quota del 29,6 per cento registrata nel 2000. I soli 70enni e

Sotto l’aspetto dell’invecchiamento, giova richiamare le rilevazioni dell’Inps sui lavoratori autonomi, che costituiscono la maggioranza degli occupati. Nel 2009 il peso dei coltivatori diretti - rappresentano la forma più diffusa di conduzione dei fondi - con almeno 60 anni di età ha inciso per il 34,8 per cento del totale, a fronte della quota del 29,6 per cento registrata nel 2000. I soli 70enni e

Nel documento Consuntivo 2010 (1.2mb) (pagine 33-64)