EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE IN MATERIA DI INFEZIONI OSPEDALIERE
3.2 LE INFEZIONI NOSOCOMIALI NELL'EVOLUZIONE DEL SOTTO SISTEMA DELLA RESPONSABILITÀ MEDICA
La giurisprudenza ha inquadrato la fattispecie delle IO all'interno delle regole generali del cosiddetto “sotto-sistema” della responsabilità civile medica.
La mancata emersione, anche a livello classificatorio, di una sotto-categoria relativa alle IO, all'interno di quella generale della responsabilità medica o sanitaria, si accompagna ad una relativa esiguità di contributi dottrinali specificamente dedicati a tale argomento. Peraltro, le peculiarità della fattispecie in questione hanno imposto un ulteriore e più incisivo sviluppo delle regole giurisprudenziali nella direzione di una tutela rafforzata del paziente danneggiato.
Tale tendenza è già evidente nei precedenti più datati, che hanno rappresentato, fino a tempi piuttosto recenti, le uniche decisioni edite e segnalate, aventi ad oggetto casi di IO. Il leading case in materia è rappresentato da Cass. civ. 18 aprile 1966, n. 972.
Tale sentenza - nel cassare con rinvio, in parziale accoglimento delle doglianze dei ricorrenti, la decisione di merito di assoluzione dei nosocomi convenuti per alcuni
episodi mortali di infezione tetanica postoperatoria - formulava una duplice argomentazione, interessante sia sotto il profilo dei rilievi effettuati in relazione all'ambito ed alle modalità di apprezzamento della condotta colposa, sia sotto quello delle regole di inquadramento generale della fattispecie. Sotto il primo profilo, la Suprema Corte - dopo avere proclamato l'incensurabilità dell'apprezzamento effettuato dal giudice di merito, che aveva ascritto l'evento in questione a “fatalità”, avendo gli accertamenti peritali escluso la possibilità di una completa ed efficace sterilizzazione degli strumenti operatori utilizzati ha, tuttavia, rinvenuto un vizio di insufficiente motivazione nell' omissione delle dovute indagini circa la “prevedibilità dell'evento in rapporto alla possibilità di una preventiva immunizzazione del paziente, al lume dei sussidi tecnici della scienza moderna”. Per quanto riguarda, inoltre, l'inquadramento normativo della fattispecie, la Corte ha ritenuto viziata la pronuncia del giudice di merito che, dopo aver escluso la qualificazione dell'azione proposta dai ricorrenti, come contrattuale, aveva, tuttavia, omesso di esaminare la possibilità che un'analoga presunzione di responsabilità ed inversione dell'onere probatorio, potesse configurarsi in relazione all'applicabilità degli artt. 2050 (Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose. “Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato le misure idonee a evitare il danno”) e 2051 (Danno cagionato da cosa in custodia. “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”) c.c., posti dagli attori a fondamento della loro domanda.
La tendenza verso una marcata tutela del paziente, nel caso di IO, veniva comprovata da una pronuncia di poco successiva, resa dal Tribunale di Casale Monferrato, 6 luglio 1966 e confermata dalla Corte di appello di Torino del 12 gennaio 1968, n. 35, relativa ad un altro caso di infezione tetanica postoperatoria.
Entrambe le pronunce in questione, pur nel formale rispetto dei principi tradizionali di allocazione dell'onere probatorio derivanti dall'inquadramento della responsabilità medica nell'alveo delle obbligazioni di mezzi, giungevano, tuttavia, alla declaratoria di
responsabilità nei confronti del nosocomio convenuto, anche in assenza della prova positiva del fattore infettivo, sulla base di un ampio ricorso alla prova presuntiva, costituita, nel caso in esame, dalla constatazione del verificarsi di altri due casi di infezione tetanica nel medesimo periodo, che avevano condotto, a seguito di accertamenti amministrativi, all' emanazione di un provvedimento di chiusura del nosocomio convenuto.
Le due pronunce di merito citate si caratterizzano, ulteriormente, sotto il profilo della valutazione della condotta colposa della clinica, per l'affermazione dell'inapplicabilità dell'art. 2236 c.c. (Responsabilità del prestatore d’opera. “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”) al caso oggetto della decisione, stante “il carattere del tutto normale del procedimento di asepsi della sala operatoria e degli strumenti”, nonché per la richiesta, a fronte della presunzione di responsabilità del nosocomio convenuto, di una prova liberatoria rigorosa, ricondotta alla prova positiva di una causa esterna, tale da determinare l'impossibilità della prestazione ex art. 1218 c.c., non ritenendosi sufficiente quella della diligente predisposizione di tutte le misure precauzionali idonee ad evitare il danno.
Successivamente alle pronunce sopra esaminate, non si registrano, sino a tempi più vicini, sentenze edite relative a fattispecie di IO, a dispetto della rilevante quantitativa delle stesse.
La spiegazione di tale fenomeno può essere ricondotta da una parte al fatto che solo in tempi più recenti il dibattito sullo stato epidemiologico dei nostri ospedali ha iniziato a segnare passi in avanti, con la conseguente emersione per avvocati e pazienti, di nuovi scenari di danno alla salute, dall'altra ad una probabile tendenza da parte delle strutture a risolvere in via stragiudiziale le richieste risarcitorie relative alle infezioni nosocomiali. Con il progressivo approdo della responsabilità medica a modelli ricostruttivi funzionali a garantire una tutela rafforzata del paziente danneggiato, si è assistito ad un incremento anche delle pronunce in materia di IO, non più circoscritte solo a casi eclatanti di gravi
inadempienze da parte delle strutture, quali quelli oggetto delle sentenze sopra esaminate. La dottrina che si è occupata della materia tende, oggigiorno, a ricondurre la questione della responsabilità da IO all'interno di quella più generale del rischio organizzativo della struttura, attraverso il ricorso a categorie di matrice comparatistica, quali quelle dei cosiddetti obblighi strumentali, delle “obligations de sécurité” e dei doveri di protezione, considerate accedenti al rapporto contrattuale stipulato.
Più raramente, invece, la responsabilità per infezioni viene accostata alla figura del medico, nel qual caso viene ricondotta agli obblighi generici di tutela della salute e a quelli specifici previsti dalla normativa pubblicistica.
Peraltro, anche qualora si ravvisi, in via ipotetica, la responsabilità del medico per le IO, la dottrina sottolinea la configurabilità del concorso della responsabilità indiretta della struttura ex art. 2049 (Responsabilità dei padroni e dei committenti. “I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”) o 1228 (Responsabilità per fatto degli ausiliari. “Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro”) c.c..
A prescindere dalle specificità dei modelli di volta in volta proposti, si deve osservare che le elaborazioni dottrinali di cui sopra sono funzionali all'allargamento dell'area della responsabilità, da un lato tramite l'imputazione, anche autonoma, a soggetti diversi (struttura o ente), dall'altro attraverso l'agevolazione sul piano probatorio del paziente danneggiato, conseguente all'inquadramento della fattispecie nell'alveo della responsabilità contrattuale.
La tendenza all'inquadramento della responsabilità (della struttura e/o del medico), in materia di IO, all'interno di quella contrattuale, è confermata dalla giurisprudenza più recente, che suole ricondurre in tale ambito le fattispecie in esame, facendo unicamente riferimento a precedenti giurisprudenziali conformi in materia di responsabilità medica e limitandosi in alcuni casi ad esplicitare la nota regola probatoria, enunciata dalla Corte di
cassazione, Sezioni Unite, 30 ottobre 2001, n. 13533, che vuole attribuito in capo all'attore il solo onere di provare la sussistenza del «contratto», il nesso di causa ed il danno (consistente nell'aggravamento delle condizioni di salute), ma non la negligenza del convenuto, gravando, viceversa, su quest'ultimo l'onere di provare la non imputabilità dell'inadempimento.
Non mancano tuttavia ricostruzioni in cui la riconduzione della responsabilità in ambito contrattuale si avvale di argomentazioni “erudite”, nelle quali trovano esplicito riferimento le teorie e gli schemi elaborati dalla dottrina che hanno ormai ricevuto un'applicazione consolidata, anche in relazione ad altre fattispecie di responsabilità medica.
Come già detto, alcune pronunce, di legittimità e di merito, al fine di giustificare, nel caso di danno da IO, una responsabilità autonoma della struttura ex art. 1218 c.c., accanto a quella eventuale ex art. 1228 c.c., discendente dall'inadempimento delle prestazioni da parte del personale medico ausiliario, ricorrono alla nota teoria (avallata dalle Sezioni Unite) del “contratto atipico di spedalità”, caratterizzato dalla presenza di obbligazioni accessorie, tra le quali, appunto, una corretta organizzazione dei servizi necessari alla cura del paziente.
La responsabilità contrattuale del medico per le IO suole, invece, per lo più essere ricondotta alla teoria dell'obbligazione da “contatto sociale”, che riceve ormai un diffuso e consolidato accoglimento da parte dei giudici di merito e di legittimità.