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INFEZIONI OSPEDALIERE E RESPONSABILITÁ PROFESSIONALE IN AMBITO PENALE

EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE IN MATERIA DI INFEZIONI OSPEDALIERE

3.8 INFEZIONI OSPEDALIERE E RESPONSABILITÁ PROFESSIONALE IN AMBITO PENALE

In ambito penale, i riferimenti normativi del Codice sono i seguenti:

- art. 40 C.P.: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è

conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

- art. 41 C.P.: “Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento.


Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita. Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui”.

- art. 589 C.P.: omicidio colposo: “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a 5 anni …”

- art. 590 C.P.: lesioni personali colpose: “Chiunque cagioni ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a …”.

- art. 43 C.P.: Elemento psicologico del reato. “Il delitto: e' doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che e' il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, e' dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; e' preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente; e' colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non e' voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico”.

Il medico può rispondere per colpa generica (rappresentata da negligenza, imprudenza ed imperizia) o specifica (inosservanza di leggi, regolamenti, ordini, discipline). L’onere della prova spetta all’accusa, poiché per l’indagato vige la presunzione di non colpevolezza.

Anche in ambito penale, accanto a quelli che sono i riferimenti normativi sopra elencati, negli anni la giurisprudenza ha imposto notevoli cambiamenti su vari aspetti, esprimendosi in particolare modo sulle modalità di accertamento del nesso di causalità, attraverso sentenze talora anche fortemente contrastanti, passando dalla sostituzione del “criterio della certezza” (quale requisito indispensabile per stabilire il nesso di causa tra atto medico e danno al paziente) con quello della “probabilità” o addirittura della “semplice possibilità”. Negli anni si è assistito ad un ribaltamento di tali concetti, di cui certamente la sentenza più esemplificativa è la n. 30328/2002 (sentenza Franzese) delle Sezioni Unite, in cui si afferma che, in caso di omissione di un atto medico, il sanitario deve essere ritenuto colpevole (in questo caso di omicidio colposo) soltanto nei casi in cui vi sia la certezza o una probabilità molto vicina ad essa che, qualora fosse stato compiuto quell’atto, il danno al paziente non si sarebbe verificato; in altre parole si profila una colpa ogni volta in cui si ha una probabilità vicinissima alla certezza che un comportamento diverso avrebbe evitato l’evoluzione sfavorevole del fatto: “il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza, o di una legge scientifica – universale e/o statistica – si accerti che ipotizzandosi come realizzatasi dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore e con minore intensità lesiva”. In altre parole, la stessa Corte ha spiegato il giudizio controfattuale nel seguente modo: “la condotta umana è condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti, l’evento non si sarebbe verificato” ed al contrario “la condotta umana non è condizione necessaria dell’evento se, eliminata

mentalmente mediante il medesimo procedimento, l’evento si sarebbe ugualmente verificato”.

In conclusione in questa sentenza si afferma il principio che, in ambito di causalità omissiva, la conditio sine qua non affinché sussistano profili di colpa da parte del medico è che la condotta omissiva del medico sia stata condizione necessaria dell’evento lesivo, “con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica”; qualsiasi ragionevole dubbio (derivante da insufficienza, contraddittorietà e incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale) sulla reale efficacia condizionante della condotta del medico a cagionare l’evento lesivo esclude la colpa, dando luogo ad un giudizio assolutorio.

Tale concetto è stato successivamente ribadito nella sentenza della Cass. Pen. n. 46586/2004, secondo cui il compimento di quanto non attuato avrebbe con quella “probabilità ogni ulteriore ragionevole dubbio” determinato un diverso evento.

Attualmente comunque il criterio generalmente adottato dalla Cassazione si è assestato sul concetto della necessità di un “alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica” basato su leggi scientifiche universalmente riconosciute, investendo così la consulenza medico-legale di un più alto significato probatorio in quanto fondata su evidenze medico-forensi dotate di alto rigore scientifico. La Cassazione Penale ha poi confermato i concetti precedentemente espressi, soffermandosi sul valore delle leggi statistiche:

- n. 4177/2007: la sussistenza o meno del nesso eziologico non può essere, “esaustivamente e semplicisticamente trovata, sempre e comunque, nelle leggi statistiche”, in precedenza considerate decisive, in quanto “sono solo uno degli elementi che il giudice può e deve considerare, unitamente a tutte le altre emergenze del caso concreto”.

- n. 35115/2007: “Nel reato colposo omissivo improprio, il nesso di causalità tra omissione ed evento non può essere affermato sulla base di un coefficiente di mera probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta

probabilità logica, che deve a sua volta essere fondato sulle particolarità del caso concreto”.

- n. 36162/2007: nell'individuazione del nesso causale, non si può far riferimento “esclusivamente o prevalentemente a dati statistici o a criteri a struttura probabilistica” e dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica non può, dunque, trarsi la conferma, o meno, della sussistenza del nesso di causalità, con la conseguenza che il giudice, “pur partendo dalle leggi scientifiche, e statistiche in particolare, è tenuto a verificarne l'adattabilità al caso concreto, prendendo in esame tutte le circostanze di fatto disponibili sì che, nella complessiva valutazione della vicenda e, tenuto conto della eventuale interferenza di fattori estranei, possa, o meno, ritenersi processualmente certo che la condotta omissiva del sanitario sia stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica”.

Da quanto detto sin’ora emerge chiaramente che con il passare del tempo si è creata una diversità di atteggiamento valutativo tra il settore penale, che fa registrare decisioni ispirate al principio della presunzione di non colpevolezza, ed il settore civile, all’interno del quale viceversa si è venuto delineando un approccio decisamente svantaggioso e sfavorevole alla posizione del medico.

Tale orientamento della giurisprudenza in ambito penalistico si riflette anche sul tema delle IO. A tal proposito si riporta, a scopo esemplificativo, la sentenza n. 22347 dell’8/06/2012 della Cassazione Penale, Sezione IV, relativa alla morte di tre neonati per sepsi tardiva, rispettivamente da Pseudomonas aeruginosa, da germe sconosciuto e da Staphylococcus aureus. Ai sanitari venivano contestati vari profili di colpa omissiva e commissiva individuati nella omissione di procedure per la promozione volte all’informazione del personale infermieristico, per la programmazione ed applicazione dei protocolli operativi e delle misure precauzionali per la prevenzione delle infezioni ospedaliere, nonché nella effettuazione incompleta e non sistematica delle dovute indagini colturali microbiologiche di routine, con la conseguente omissione dei dovuti controlli per il contenimento della contaminazione ambientale e l’attivazione di una

specifica indagine epidemiologica, che portava alla morte dei neonati. Il giudicante, all’esito di una perizia collegiale, riteneva che gli elementi non consentivano di comprovare la responsabilità degli imputati in ordine al decesso, mancando la prova, in termini di ragionevole certezza, del nesso causale tra la condotta contestata ed i decessi dei neonati. Avverso tale decisione ricorreva il PM ma la Cassazione confermava la correttezza del ragionamento sul nesso causale affermando che l’ubiquità dei germi responsabili delle sepsi, l’impossibilità di garantire ambienti privi di patogeni, la debolezza degli ospiti determinano “in modo convincente l’impossibilità di formulare un giudizio di ragionevole certezza circa l’esistenza del nesso causale fondato sulle pretese omissioni delle precauzioni universali atte a prevenire il diffondersi dei germi patogeni, riconducibili in ipotesi agli imputati”.

3.9 LA RESPONSABILITÁ MEDICA ALLA LUCE DELLA “LEGGE