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EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE IN MATERIA DI INFEZIONI OSPEDALIERE

3.6 PROFILI DI RESPONSABILITÀ ORGANIZZATIVA

In relazione alla responsabilità organizzativa, non si può omettere di tenere nel dovuto conto sia le rilevazioni sul campo da parte degli addetti ai lavori, sia le indicazioni normative nazionali, di cui alle Circolari Ministeriali n. 52/1985 e n. 8/1988 , più volte ricordate, nonché degli obiettivi previsti dai Piani Sanitari Nazionali già dalla fine degli anni 90, oltre che di quanto stabilito da diverse esperienze maturate a livello regionale. A titolo esemplificativo si ricorda che la Regione Lombardia, a partire dal 1987, ha istituito una "Commissione Regionale per la Lotta contro le Infezioni Ospedaliere" e, nel 1994, ha deliberato che " ... il controllo delle infezioni nosocomiali ... richiede ... l'assunzione di precise responsabilità ... da parte di ogni Direzione Sanitaria". Inoltre, dal 1999 ha attivato corsi di formazione e un organo di coordinamento regionale dei comitati di controllo delle infezioni ospedaliere. La Regione Friuli Venezia Giulia ha attivato, dal 1996, un programma di sorveglianza delle infezioni ospedaliere, che richiama l'attenzione delle direzioni generali e sanitarie degli ospedali sul problema delle infezioni ospedaliere, valorizzando il Comitato e attribuendo specifici compiti in materia agli infermieri, per la formazione dei quali ha predisposto corsi e linee guida ad hoc.

Dal 2002 la Regione Toscana ha avviato un progetto per lo sviluppo e l'applicazione di indicatori di qualità in tema di infezioni ospedaliere.

L'ovvia necessità di fondo che il governo di questo problema risieda in specifiche iniziative dei responsabili amministrativi e sanitari dei servizi sanitari regionali, ivi compresi gli addetti al clinical-risk management, autorizza a prospettare che, ove costoro

non si siano adeguatamente attivati, siano passibili di addebiti per responsabilità omissiva.

In proposito si ricorda che l'attività del Comitato delle Infezioni Ospedaliere si deve concretizzare in:

- sorveglianza attraverso studi epidemiologici di prevalenza e incidenza, al fine di stimare le dimensioni del problema (studi locali e partecipazione a studi multicentrici nazionali);

- sorveglianza continua a partenza dai dati di laboratorio ("alert organism");

- identificazione di specifiche tecniche di prevenzione per i dispositivi medici notoriamente a rischio di contaminazione;

- istituzione di equipe multidisciplinari per l'implementazione di misure scientificamente riconosciute efficaci per prevenire le infezioni ospedaliere (dal lavaggio delle mani, ai monitoraggi documentati dei processi di sterilizzazione, all'impiego di cateterismi vescicali a circuito chiuso sterile, ecc.) e per l'elaborazione di linee guida, protocolli e manuali operativi;

- specifica formazione in materia di infezioni ospedaliere attraverso corsi di aggiornamento settorialmente orientati, con specifico riferimento ai diversi comparti clinici (dall'urologia alla rianimazione, dall'ortopedia-traumatologia all'oculistica, etc.); - didattica mirata nei corsi per infermieri e personale di supporto assistenziale;

- istituzione di audit per la verifica dell'attuazione delle procedure conoscitive e preventive;

- tracciabilità documentale di tutte le iniziative intraprese.

In buona sostanza, a livello aziendale devono essere istituiti, applicati, documentati e periodicamente verificati tutti gli interventi finalizzati alla prevenzione delle IO, senza trascurare l'effettuazione di indagini infettivologiche sugli operatori sanitari, ben potendo rappresentare loro stessi pericolose fonti di contagio per i pazienti, come dimostrato dall’esperienza dell'ospedale Bambin Gesù di Roma, nel quale diversi bambini hanno

contratto la TBC attraverso il "semplice" contatto assistenziale con un'infermiera portatrice dell'infezione.

A tal proposito, si deve pure dedicare la massima attenzione preventiva anche alle forme assistenziali ambulatoriali e all'accesso dei visitatori, che deve essere specificamente regolamentato, non soltanto nelle rianimazioni, per quanto riguarda percorsi, orari e contatti con i ricoverati, dovendosi prevedere particolari restrizioni ove si tratti di bambini e di soggetti di per sè a rischio sul piano immunologico.

La dimostrazione - del tutto necessaria in ragione del noto criterio giuridico dell'inversione dell'onere della prova, correntemente applicato alla responsabilità sanitaria - di aver adottato le misure utili alla prevenzione delle IO deve passare attraverso le seguenti procedure, sulle quali non può mancare di soffermarsi, ove richiesta, una corretta epicrisi peritale medicolegale:

- attuazione di protocolli relativi a disinfezione, disinfestazione, sterilizzazione di ambienti e materiali;

- modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria; - sistema di smaltimento dei rifiuti solidi;

- smaltimento dei liquami e pulizia di padelle e simili; - mensa/strumenti di distribuzione di cibi e bevande;

- modalità di preparazione, conservazione e uso dei disinfettanti; - qualità dell'aria e degli impianti di condizionamento;

- istituzione di un sistema di sorveglianza e di notifica;

- costruzione di ospedali, o ristrutturazione di quelli esistenti, secondo criteri atti a facilitare il controllo delle IO;

- riduzione della durata della degenza ed eliminazione delle degenze ingiustificate; - controllo e limitazione sull'accesso dei visitatori;

- controllo degli infortuni e delle malattie del personale e profilassi vaccinali; - adeguato rapporto numerico fra degenti e personale.

Sul piano strettamente microbiologico, le procedure positivamente qualificanti sono essenzialmente rappresentate da:

- sorveglianza basata sui dati microbiologici di laboratorio; - sorveglianza basata sul monitoraggio ambientale;

- sorveglianza delle malattie infettive diffusibili;

- sorveglianza attraverso il controllo dei processi di sterilizzazione dei dispositivi medici riutilizzabili e dei processi di disinfezione di alto livello degli endoscopi flessibili.

È inoltre necessario, sul piano della prova dell'adozione delle misure utili all'abbattimento del rischio, che le direzioni dei reparti/divisioni provvedano, almeno due volte l'anno, alla redazione di un report da comunicare, per conoscenza, alle Direzioni Sanitarie, anche al fine di monitorare i germi patogeni sentinella sui quali, come su ogni altro germe nosocomiale tipico, devono costantemente effettuare specifiche epicrisi statistiche i Laboratori di Microbiologia e Virologia, in aggiunta agli obblighi di legge concernenti le notifiche di Malattia Infettiva Diffusiva.

Secondo quanto sinteticamente esplicitato in tema di obblighi organizzativi, soltanto attraverso le richiamate, indubbiamente onerose, procedure documentate e certificate, i responsabili amministrativi e sanitari, così come i medici con funzioni apicali/ dirigenziali, possono difendersi dagli eventuali addebiti di negligenza e di imprudenza che compaiono nelle sentenze di merito e di cassazione.

A titolo esemplificativo, ricordiamo la sentenza 827 del 10 marzo 2009 del giudice monocratico del Tribunale di Bari che - a proposito di un'infezione da Pseudomonas aeruginosa conseguente a intervento di cataratta e produttiva di perdita di un occhio - ha formulato le seguenti critiche all'operato sanitario, con specifico riferimento alle procedure documentali: "La diligente sterilizzazione dell'ambiente ospedaliero, della sala operatoria, dei luoghi di degenza e delle attrezzature, costituisce obbligo precipuo della struttura, obbligata, in virtù del riferito contratto di spedalità, ad offrire ambienti salubri e attrezzature conformi ai parametri della scienza e tecnica medica ... ". Fatte queste

premesse, ha aggiunto che " ... secondo principi di legittimità incombe alla struttura la prova dell'inesistenza dell'inadempimento, ovvero di aver disinfettato e sterilizzato con successo la sala o le apparecchiature, od in alternativa la prova dell'inesistenza del rapporto di causalità fra l'inadempimento ed il danno per la preesistenza dell'infezione (Cfr Cass. S.U. n. 577/2008). Tale onere probatorio non è stato adeguatamente assolto, posto che la comprovata prassi di disinfestazione e sterilizzazione non dimostra di per sé l'efficace conseguimento del risultato di cui la struttura ha offerto solo verifiche a campione … ". Ne ha infine dedotto che "L'esclusione del batterio incriminato nel campionamento dell'area del giorno ... documento peraltro meramente assertivo, non implica l'inesistenza di diverse fonti di contaminazioni, atteso che il batterio Pseudomonas aeruginosa, prediligendo substrati umidi può essere veicolato da acqua, lavandini, zone umide della cute, saliva, o da strumenti ed apparecchiature ospedaliere e l'effettiva bontà delle sterilizzazioni delle attrezzature non è stata in alcun modo documentata".

Da tale sentenze si evince che la diligente sterilizzazione dell’ambiente ospedaliero, della sala operatoria, dei luoghi di degenza e delle attrezzature, costituisce obbligo precipuo della casa di cura che, in virtù del contratto di spedalità, è tenuta ad offrire ambienti salubri ed attrezzature conformi ai parametri della scienza e tecnica medica. Le conseguenze dannose non possono attribuirsi al medico esecutore dell’intervento che si sia avvalso sia di strumenti chirurgici monouso e sia di ulteriore strumentazione custodita presso la struttura, essendo l’evento derivato, nel caso specifico, dalla violazione di obblighi gravanti in linea principale proprio sulla struttura. La casa di cura, pur avendo dimostrato di aver seguito di consueto la disinfestazione e sterilizzazione delle sale operatorie nel giorno precedente ed in quello successivo ad ogni seduta operatoria; l' esecuzione in sale operatorie separate degli interventi a rischio di inquinamento batterico; il campionamento dell'aria delle sale operatorie; la sterilizzazione delle attrezzature chirurgiche mediante autoclavi; la sostituzione delle parti intercambiabili delle attrezzature; la sterilizzazione dei set di intervento e il posizionamento di idonei terreni di

coltura, si riteneva non avesse comunque provato di aver disinfettato e sterilizzato con successo la sala e le apparecchiature medesime, o provata, in alternativa, l'inesistenza del rapporto di causalità fra l'inadempimento ed il danno, per la preesistenza dell'infezione. Oltre ai predetti presupposti valutativi, chiaramente uniformati al principio di inversione dell'onere della prova, in materia di IO è stato utilizzato pure un criterio inferenziale, in base al quale il giudice monocratico del Tribunale di Rovereto, con la sentenza dell’11 settembre 2009, previa acquisizione di una CTU medico legale finalizzata a valutare la responsabilità della struttura per un intervento di riduzione e sintesi con placca e viti di una frattura scomposta di gamba, complicato dall'insorgenza di un'infezione, dopo aver "apprezzato" la CTU come " ... immune da vizi logici o di motivazione e in tutto congruente con la documentazione clinica in atti e che va, pertanto, interamente condivisa", ha stabilito che, pur essendo "a) ... difficile individuare la causa precisa dell'infezione in parola, dall'esperienza di casi consimili portati in letteratura, essa può essere derivata da una non corretta preparazione pre-operatoria della cute, ovvero da una contaminazione della strumentazione utilizzata, ivi compresi i mezzi di sintesi impiantati, ovvero, ancora da condizioni non perfettamente adeguate della sala operatoria; b) si può concludere che si sia trattato di un'infezione post-chirurgica riconducibile in termini di certezza a un'infezione da Streptococco viridans, secondaria, in via di elevatissima probabilità, a comportamenti non perfettamente adeguati relativi alle condizioni di asepsi posti in essere nel corso dell'intervento chirurgico, ancorché non sia possibile individuare con esattezza le modalità del contagio". Del resto, nel contesto assistenziale di specie, l'ospedale convenuto non aveva fornito alcuna prova dell'adempimento delle procedure utili alla prevenzione delle IO. Di analogo tenore un caso per il quale alla consulenza medico legale si era chiesto di appurare: a) se l'handicap neurologico di una neonata fosse riconducibile ad un'emorragia cerebrale, b) se la patologia emorragica fosse stata prodotta da sepsi da Klebsiella, c) se l'infezione fosse stata contratta perché erano state violate le norme di igiene ospedaliera. In questo caso, sottoposto al vaglio della Cassazione Civile, previo attento riesame delle CTU versate in

atti, i giudici, con la sentenza 24401 del 2010, hanno affermato che "In definitiva la responsabilità delle lesioni subite dalla bambina andava ascritta esclusivamente all'Ente Ospedaliero, posto che l'emorragia era stata provocata dalla sepsi di Klebsiella, infezione nosocomiale determinata da non adeguata igiene della struttura. Sarebbe dunque spettato al suddetto istituto dimostrare di aver fatto tutto il possibile per scongiurare l'insorgere della patologia, ma tale prova non è stata dedotta".

3.7 L’ASSICURAZIONE SOCIALE COME SOLUZIONE DEL