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3.1 Sé privato

3.1.2 Influenza e riflessi nella vita privata: relazioni e competenze

Quale è l'influenza del lavoro sulla vita privata, sul rapporto con se stessi e con le persone incluse nella sfera di intimità, considerando maggiori o minori gradi di coinvolgimento personale - emotivo nel mestiere? Quali sono gli effetti provocati dalla stretta vicinanza con i beneficiari - con vicissitudini personali travagliate e esperienze traumatiche -sulla sfera più intima degli operatori, quella del rapporto con se stessi? Nel corso delle interviste, questa domanda è stata più o meno resa esplicita. A tal proposito si riportano le risposte date da 3 operatori, che sottolineano il difficile ma gratificante ed arricchente contesto lavorativo, in termini di relazioni umane:

"Negli anni ho imparato a gestire meglio lo stress, a gestire meglio le situazioni caotiche, cambiamenti continui, emergenze. Sicuramente ho trovato più modi differenti per comunicare con l'altro, con le persone..un po' per forza di cose, per via delle molte provenienze, ti incontri con dei codici linguistici completamente diversi dai tuoi, ho lavorato tanto su questi codici (...); un po' i ragazzi si confidano. Ho imparato anche a gestire meglio il

riflesso del lavoro sulla mia vita privata. All'inizio ero convinta che sta cosa non mi stressasse per niente, non la riconoscevo. All'inizio tornavo a casa e piangevo non capendo il perché, non avendole dato una forma. In un certo senso sì, ho ridimensionato i miei problemi, a volte si fanno drammi su problemi che visti con la giusta prospettiva non sono così gravi..c'è stato anche un momento in cui non capivo quali fossero le priorità della vita, mi sembrava tutto molto futile (Operatore Sprar).

"Ho imparato a sopravvivere (risata), dal mio punto di vista personale è un lavoro che richiede tanto dal punto di vista umano, psicologico, comunque vedi tante situazioni differenti. Ti da anche tanto perché ti apre un mondo, però ti chiede tanto. Nello specifico qui c'è pochissima tutela come operatori, anche dal punto di vista della nostra stabilità psicologica.

Probabilmente chi dirige questo posto non ha la minima idea di quello che facciamo noi. Tendenzialmente impari a sopravvivere. Noi, ad esempio, non abbiamo uno psicologo o riunioni di gruppo [..]. E' un lavoro che chiede tanto, ma da tanto. La potrei definire una passione, ne senti tante e inevitabilmente te ne porti a casa, arrivi a casa e ci pensi, poi trovi il tuo equilibrio..si è sempre vicini a realtà di sofferenza, a volte vittime di tratta e di tortura. Egoisticamente non è facilissimo dal punto di vista dell'educatore dormire sonni tranquilli dopo l'orario di lavoro..tra cambiamenti e nuova direzione sopravviviamo, non abbiamo un equipe (Operatrice Cas)".

"Mi aiuta ad essere più consapevole rispetto ai miei problemi, mi fa capire che spesso li verso sugli altri, pongo le mie aspettative sugli altri ed è veramente la cosa su cui penso sempre..la realtà è alla fine una costruzione ed è una narrazione, noi ce la raccontiamo come vogliamo (...) mi fa rendere conto che alla fine è un'opportunità di aiuto anche per me, io faccio un servizio, cerco di accompagnare le persone con l'idea che la creazione di relazione avrà a prescindere una ricaduta tra qualche anno, questa è una presunzione, un pregiudizio..di solito è così, l'idea che entrando con una relazione significativa e umana, a me piace parlare di incontro di dialogo, dia logos, logos come due anime, due persone, due mondi, se entri in modo significativo ed autentico rimane poi l'essenza, questo lavoro qua ti da questa grandissima opportunità, poi a volte riesci a coglierla, a volte meno,

quando non riesco a coglierla è quando poi sto male e mi sento frustrato, la relazione al di là dell'aiuto (Operatore Cas)".

Quanto dichiarato, stimola tre riflessioni in merito ai riflessi del lavoro sulla sfera personale, riscontrabili nella costruzione delle relazioni di aiuto. La prima, riguarda l'attivazione e l'acquisizione di una serie di abilità, competenze e capacità esercitate in misura variabile nel lavoro con i richiedenti asilo e i rifugiati. La seconda ha a che fare con l'ambivalenza della relazione di aiuto, che aiuta l'utente ma anche l'operatore. Il soggetto in quanto operatore avverte un senso di appagamento in ciò che fa, richiamando il bisogno e la necessità di aiutare degli aiutanti. La terza, riguarda le tensioni quotidianamente e talvolta pesantemente percepite, spesso subite, e solo a volte fronteggiate, dagli operatori impegnati nel sistema di accoglienza27.

Data la numerosità delle attività svolte dagli operatori, molteplici sono le risorse impiegate nello svolgimento della professione. Capacità comunicative, relazionali ed

«emotive» (Scognamiglio 2017), propriamente alimentate, influiscono positivamente sulla capacità di fronteggiare le difficoltà in contesti di elevata emotività. La «carica emozionale» (Tarsia 2018, 114) si ritrova nelle narrazioni delle azioni concrete di problem solving e di influenza sui percorsi di vita dei beneficiari. Ciascun operatore utilizza tali competenze in misura variabile, proporzionalmente alle esperienze personali, formative e professionali. Tuttavia, il lavoro svolto contribuisce ad incrementare tali competenze in misura più o meno consapevole. Differenti capacità saranno acquisite, in relazione alle dinamiche di apprendimento condiviso e riflessivo generate dalle strutture di accoglienza. «Un apprendimento consapevole si ha soltanto quando una persona è attivamente impegnata a cercare le difficoltà, o a metterle in scena (Sennet 2004, 235)».

Dalle interviste e dall'osservazione sul campo emerge come sia vitale per gli operatori mantenere un approccio riflessivo e consapevole delle varie competenze attivate nelle diverse situazioni. La consapevolezza di tali competenze e capacità, permette di trasformare tutto ciò che accade nella relazione di aiuto da limite in opportunità di conoscenza ed apprendimento. Le esperienze vissute in ambiente lavorativo aprono spazi di crescita personale nel privato, esportando le capacità apprese

27Si rimanda al successivo sottocapitolo relativo al sé professionale la discussione delle tensioni percepite e vissute dagli operatori, per via delle implicazioni professionali considerate.

nello svolgimento del mestiere.. Emerge maggior capacità di gestione dello stress, dei cambiamenti. Si approfondiscono le capacità relazionali e comunicative. «La relazione tra vita professionale e privata può essere vantaggio di entrambe (Dubois 2018, 162)», avendo una vita quotidiana soddisfacente, si è in grado di mettere nel lavoro una serenità sociale propizia alla resistenza di fronte ai drammi degli utenti.

La conversazione avuta con una operatrice Cas - attiva contemporaneamente in due strutture d'accoglienza, in una delle quali specificamente con le persone vittime di tratta - evidenzia come l'esperienza sociale acquisita attraverso la pratica professionale permette di riconsiderare le vicissitudini personali proprie, dandole giusto peso:

Operatrice Cas: "Sono portata a considerare costantemente i miei stati interiori, a porre attenzione sulla mia esperienza emozionale..grazie ad una giusta dose di empatia risulta più facile capire i rapporti umani e le relazioni sociali..la comunicazione e l'ascolto sono capacità che ho coltivato durante lo svolgimento del mio mestiere, e che sono replicabili nella vita di tutti i giorni ".

NM: "Sei portata a pensare meno ai problemi personali?"

Operatrice Cas: "No, ci penso ma in modo diverso..ancora di più con le vittime di tratta, li c'è un complesso che mi stimola a conoscere sempre di più, non ho esempi per cui mi potrei lamentare..di mio non sono lamentosa, sono forse anche 7 anni in Africa mi sento di avere tutto qui..in Italia potenzialmente puoi avere tutto, ed è assurdo lamentarsi..la trovo una mancanza di rispetto per le vite degli altri. Penso ai miei problemi, perché tutti li abbiamo, ma molto lievemente".

Osservando i progetti di accoglienza in termini di «spazio sociale giocato»

(Bourdieu 1980,26) in cui si concretizzano meccanismi di «esteriorizzazione, oggettivazione e interiorizzazione» (Berger & Luckmann 1997, 91-92) della realtà sociale dell'accoglienza, si innesca un rapporto dialettico tra gli operatori sociali che contribuiscono a produrre la realtà dei progetti ed il servizio stesso, che ne diviene il prodotto.

In parallelo alle opportunità di crescita personali, emergono le tensioni derivanti dalle pressioni subite dagli operatori, rispettivamente dalle aspettative nei loro

confronti, dalla confusione e dai dilemmi etici del mestiere. Soffermandosi sulla componente individuale di ciascun operatore intervistato ed osservato, si discuterà delle tecniche e strategie personali utilizzate nella gestione della relazione e dei rischi connessi ad una inappropriata ed incosciente considerazione.