• Non ci sono risultati.

3.3 Sé politico

3.3.1 Iperpoliticizzazione: una gestione politica e morale

Il tema migratorio sconta un'elevata politicizzazione ed un limitato pragmatismo.

Le procedure di ingresso in Europa, la militarizzazione dei soccorsi in mare, le difficoltà logistiche degli attraversamenti e degli sbarchi, la spettacolarizzazione mediatica degli arrivi hanno reso la gestione dell’accoglienza un meccanismo politico difficile da analizzare a sangue freddo, proprio perché la percezione di emergenza e la gestione straordinaria dell’accoglienza sono cresciute assieme (Altin&Sanò 2017, 9).

La grammatica della meritevolezza e del controllo sociale entrano a far parte delle politiche migratorie e del discorso pubblico, creando una grande narrazione volta alla

«precarizzazione delle appartenenze», rendendo altamente instabili le modalità con cui i non cittadini sono riconosciuti come membri della società italiana (Gargiulo 2018, 68).

La narrazione delle migrazioni forzate in chiave «securitaria» (Rinaldini 2010, 109) diventa una sorta di mantra continuamente ripetuto per legittimare comportamenti restrittivi verso i diritti dei non cittadini, attraverso la violenza simbolica dei discorsi e delle narrazioni, diffondendo stereotipi xenofobi e razzisti, ma anche visioni umanitarie che sottostanno a logiche compassionevoli, creando un'unica «politica morale di gestione» (Mellino 2018, 27).

Parlare di insicurezza come di una realtà significa partecipare alla sua realizzazione come sentimento (Fassin 2015, 45). L'ideologia repressiva, securitaria e disciplinare individua nella marginalità sociale, nella povertà, nella non conformità dei soggetti richiedenti protezione internazionale, l'oggetto da sorvegliare, selezionare, criminalizzare ed espellere35 (Spena&Carbone 2018, 123). La politica di controllo delle migrazioni assume le caratteristiche di un dispositivo selettivo frutto della combinazione di due diverse tecnologie, di governo delle migrazioni e di produzione delle popolazioni (Mellino 2018, 26). Da un lato, ha come obiettivo la costruzione di un

35 Ci si riferisce particolarmente al recente Decreto Sicurezza convertito in legge in data 1 dicembre 2018, allo stesso modo della legge n. 48/2017 Minniti-Orlando e della legge n. 30 luglio 2002, n. 189, meglio nota come legge Bossi-Fini, la quale resta il nodo centrale della politica su ingressi e permessi di soggiorno in Italia. In merito, il cittadino straniero che vuole entrare o è già presente in Italia, può risiedervi solo se in possesso di un contratto di lavoro. In assenza (o presenza scarsa rispetto ai flussi) di misure alternative di ingresso legali in Italia, la soluzione maggiormente adottata, rimane la richiesta di protezione internazionale, dalla quale di fatto si sviluppa la strumentalizzazione politica e mediatica rispetto alla differenziazione tra rifugiati "veri" e migranti "economici".

ordine sociale stratificato e selettivo, al cui interno i non cittadini occupano posizioni di svantaggio, essendo inclusi in maniera parziale e differenziale (Carbone et al. 2018, 17). Dall'altro, erge come caposaldo dell'identità36 nazionale una presunta cultura37 autoctona, legata al luogo di nascita ed alla comunanza delle tradizioni, come naturalizzazione di fatti culturali resi politicamente ineluttabili (Aime 2016). Senza entrare in merito a questioni approfondite circa i national - identity studies, l'appello a un'identità nazionale, religiosa o etnica non è di per sé ne razzista, né violento, tuttavia quando lo diviene, la sua peculiarità è di essere soprattutto differenzialista e può sfociare in una violenza senza limiti (Aime 2016). Le narrazioni, le pratiche, le retoriche costruite attorno all'arrivo e alla presenza di soggetti non cittadini tramite canali illegali, pongono nella condizione di interrogarsi sul significato attribuito all'appartenere ad una determinata comunità politica, alla cittadinanza, al «diritto di avere diritti» (Ronchetti 2018, 5-13; Arendt 2004, 385), definite dalle possibilità di ingresso e permanenza sul suolo italiano in maniera regolare. Si avverte il tentativo di ridurre il diritto d'asilo quantitativamente e qualitativamente, cercando di ridurre i flussi in ingresso e degradando l'immagine del rifugiato, sempre più spesso assimilato ad un

"clandestino" (Fassin 2010, 164).

Il presunto paradigma umanitario, inteso come tecnologia complementare alle logiche securitarie della «politica morale unica di gestione» (Mellino, ib) costituisce la figura del richiedente asilo e del rifugiato come soggetto «meramente umano» e

«meramente vittima» (Malkki 2015, 199). Le persone etichettate (Manocchi 2011, 7) vengono rappresentate come esistenze umane oggetto di compassione, depoliticizzate e

36 Le considerazioni in merito alle questioni identitarie sono state approfondite attraverso la lettura di alcune opere di Francesco Remotti. In particolare Contro l'identità, pubblicato la prima volta nel 1996, dove definiva l'identità come irrinunciabile, e L'ossessione identitaria, in cui sostiene che di identità di può fare a meno, per far posto ad un mondo di somiglianze. Al di là della discussione teorica ed epistemologica, interessa osservare come l'identità non sia un soggetto storico, tuttavia un oggetto mentale, un'invenzione, che può avere conseguenze storiche reali.

37 Meriterebbe un approfondimento del concetto di cultura ed identità che non sarà qui trattato. Ci si limita ad accennare l'opera di Adriano Favole dal titolo Vie di fuga. Otto passi per uscire dalla propria cultura. L'autore si chiede cosa sia la cultura e dà una definizione pienamente antropologica del concetto.

«Col termine cultura intendiamo l'insieme di idee, simboli, comportamenti e disposizioni - conoscenze e abilità non già scritte nella dotazione biologica, ma acquisite nel contesto dell'agire sociale - che sono tramandati, acquisiti, selezionati, dunque condivisi da una pluralità di individui che definiscono il gruppo di appartenenza con cui ci si accosta al mondo».

destoricizzate (Malkki, ib.): in qualità di esistenze umane semplificate. La morale umanitaria agisce in termini di compassione e dominio, «naturalizzando e culturalizzando la sofferenza38», senza approfondire le cause delle diseguaglianze sociali nei paesi cosiddetti del Nord, e le disparità globali sempre più profonde nei paesi del Sud (Fassin 2010, 18).

«Rispetto al tema “migrazioni” assistiamo, su tutti i livelli (senso comune, opinione pubblica ecc.), ad un’iper politicizzazione. Qualunque cittadino si sente assolutamente legittimato a prendere posizione: “è giusto lasciare entrare i migranti”,

“bisogna selezionare chi entra”, “bisogna chiudere i confini” e così via. L’ordine discorsivo neoliberale avanza per spoliticizzazione di alcuni settori (per esempio del lavoro) e iper politicizzazione di altri (il caso delle migrazioni è paradigmatico), secondo parametri interni alla specificità della propria ragione di governo, cioè secondo un particolare modo di definire i costi e i benefici (Di Stasio 2017, 6)». Il governo umanitario del sistema di accoglienza si concretizza nella tensione tra la rappresentazione di «trattamenti di massa» nei confronti dei rifugiati, ed il particolarismo con cui si esaminano i racconti dei richiedenti asilo, decidendo «chi può beneficiare di una protezione convenzionale e chi no» (Fassin 2010, 278-279). Si considera tale impostazione come chiave di lettura all'agire politico degli operatori sociali.

«Il lavoro sociale con i migranti diviene un campo di esperienza comune per gli operatori, nel quale si giocano le proprie scelte lavorative, di impegno politico e sociale.[..] Il lavoro con i migranti, e la mobilitazione al loro fianco, sono un catalizzatore in grado di attrarre motivazioni solidaristiche e militanti, risorse economiche di provenienza pubblica, percorsi di iniziazione lavorativa intrapresi dagli operatori con maggiore o minore spirito d'iniziativa e libertà di scelta(...). Se da un lato i migranti forzati, ospiti in Italia loro malgrado, devono integrarsi in un sistema di accoglienza per loro incomprensibile e di fatto pieno di ambivalenze, dall'altro gli operatori che lavorano in questi servizi provano ad inventarsi una identità professionale

38 Fassin cita Pierre Bordieu che, ne La miseria del mondo, indica la sofferenza come l'espressione contemporanea di «un ordine sociale che ha senza dubbio fatto arretrare la grande miseria (anche se meno spesso di quanto si dica) ma che, differenziandosi, ha anche moltiplicato gli spazi sociali che hanno creato le condizioni favorevoli per uno sviluppo senza precedenti di tutte le forme della piccola miseria (Bordieu 1993, p. 41)».

che, a grandi linee, inizia ad essere disegnata, in termini di ruolo, funzioni, competenze e abilità, dal sistema stesso, ma si negozia nell'esperienza del quotidiano e nella relazione con i beneficiari e con gli altri attori (Tarsia 2018, 107)».

Il lavoro degli operatori deve considerarsi in maniera più amplia della sua dimensione tecnica, per evitare di limitare ostacolare la consapevolezza delle diseguaglianze di potere e dei meccanismi oppressivi insiti in esse. In un contesto nazionale di regolazione debole, con linee guida e standard nazionali limitati (Barberis 2010, 45), gli operatori sociali hanno una responsabilità nel fare politica di inclusione per gli immigrati (Barberis&Boccagni 2017, 29). Al di là delle pratiche compiute in ambito lavorativo direttamente con i richiedenti asilo, il lavoro di comunità può rappresentare un allargamento dell'ambito prevalente del lavoro sociale, sollecitando il mandato ed il ruolo della professione. Fare efficacemente lavoro di comunità significa interagire con le forme di aggregazione, socialità e rappresentanza informale presenti sul territorio: dalle parrocchie ai gruppi di vicinato, dai comitati di quartiere ai gruppi giovanili, favorendo l'incontro e mediando le tensioni. «Gli operatori sociali sono pienamente attori politici de facto, nella misura in cui gestiscono ed offrono l'accesso a determinati servizi con un certo margine di discrezionalità professionale ed assumono, a livello individuale o corporativo, un ruolo più o meno incisivo nel dibattito pubblico sull'immigrazione, richiamando l'accesso ai diritto sociali, l'uguaglianza e l'inclusione sociale (Barberis&Boccagni 2017, 156)».