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3.1 Sé privato

3.1.5 Influenze tra privato e professionale: una necessaria partizione

Gli aspetti critici emersi dalle interviste riguardano il grado di coinvolgimento nella relazione con l'utente. Una "giusta distanza", un grado di coinvolgimento appropriato nelle storie personali degli utenti, ne determina la qualità del lavoro. Se la

29 Non si vuole intendere che coloro che non conoscono la teoria e le implicazioni pratiche della relazione di aiuto nel lavoro sociale risultino meno capaci rispetto agli altri, tuttavia la conoscenza favorisce le possibilità di controllo e di riflessione in merito.

stretta vicinanza con persone vittime delle loro esperienze di vita può logorare emotivamente l'operatore, portandolo al burnout, le interferenze dei problemi e/o degli eventi personali degli operatori nella pratica professionale, influenzano allo stesso modo la qualità del lavoro, condizionando la relazione con i beneficiari del servizio, ovvero con i colleghi e le figure professionali con cui sono chiamati ad interagire. «Gli operatori devono soddisfare due esigenze contrapposte: essere impegnati personalmente e allo stesso tempo proteggere la propria persona (Dubois 2018, 179)». Questa contraddizione comporta rischi e difficoltà. Da una lato, si è costretti ad adottare la

«postura dell'impegno personale», per generare quel grado di fiducia ed onestà indispensabile in questo mestiere. Dall'altro vanno prevenuti i sentimenti di impotenza e fallimento, i cui possono depositarsi nella personalità degli operatori:

"Bisogna saper dire basta, anche noi esistiamo in quanto persone, non dobbiamo mai dimenticarci che noi abbiamo una vita privata..non finiamo ad "essere" la nostra professione, non potremmo funzionare a dovere.

Tantomeno dobbiamo colpevolizzarci per quanto di negativo accade ai ragazzi con cui lavoriamo, diventeremmo matte (Operatrice Cas)".

Questa contrapposizione di esigenze, si manifesta come dialettica tra l'impegno e il distacco, e viene risolta dagli operatori attraverso la personalizzazione delle relazioni30. «Da un lato, la personalizzazione delle relazioni, facilita il rapporto con gli utenti, dall'altro, se strettamente controllata dagli operatori, offre loro una risorsa utile per il controllo delle interazioni e per l'ottenimento del consenso, [..] la conoscenza personale permette di sviluppare la dimensione umana della relazione (Dubois 2018, 180)». Tale processo, definito da Dubois come «partizione del sé», diviene una risorsa utile al controllo del coinvolgimento emotivo personale. Gli operatori dichiarano l'importanza di stabilire - almeno parzialmente - un rapporto equilibrato e costruttivo con la sofferenza degli altri. Tale forma di protezione impone di porre dei limiti al coinvolgimento personale nelle interazioni. Tuttavia, l'anzianità nel mestiere non si traduce automaticamente in maggior capacità di limitare il coinvolgimento personale, se non è accompagnata da un adeguato livello di riflessività. Tale incapacità di gestione delle relazioni, diviene fonte di frustrazione e determina una frequenza elevata di turn

30 E' tratto strutturale delle interazioni personali ed obbedisce a logiche che vanno al di là del semplice quadro dell'interazione Si rimanda all'opera di Erving Gofmann, in Modelli d'Interazione, per un approfondimento.

over. Gli operatori incontrati hanno spesso evidenziato la giovane età media degli stessi, ed i frequenti avvicendamenti:

Operatore Sprar: "Naturalmente ci sono operatori che si vedono tra 10 anni ancora qui e altri un po' meno. Ci sono operatori che dicono "lo sto facendo e lo farò finché ci arrivo", altri dicono "finché campo". Sono approcci diversi: secondo me chi lo pensa che lo farà finché campa ha imparato anche a darsi dei limiti in più, l'entusiasmo dei primi 3 anni porta spesso gente a dovere cambiare lavoro.

NM: "Momento limite i 3 anni?"

Operatore Sprar: "Dipende, talvolta diviene il momento per fare un passo indietro rispetto a quello che stai facendo perché è un impegno quotidiano: il sabato, la domenica, la sera mentre ceni. Ovvio che puoi decidere di non rispondere, di spegnere telefono, però comunque gestendo un appartamento con il vicinato, in un contesto politico ostile, hai sempre il pensiero di dire speriamo non succeda niente in casa..quindi fatichi un po' a staccare sicuramente".

Un coinvolgimento personale eccessivo rende la situazione ingestibile. Saper gestirlo significa controllare se stessi rispetto all'azione degli utenti. La continuità tra la vita esterna ed il lavoro diviene insopportabile, e rende gli operatori incapaci di dare il giusto peso a una relazione interpersonale difficile, vedendo in loro esclusivamente la loro sofferenza.

Oltre alle capacità e competenze attivate durante l'attività lavorativa, la vita personale privata offre condizioni che permettono più o meno di reggere sul piano professionale. Periodi difficili e/o impegnativi influiscono sul lavoro degli operatori.

Questo quanto emerso durante le interviste. Già di per sé, l'influenza tra la sfera privata e quella lavorativa favorisce o danneggia lo svolgimento del lavoro. Nel lavoro sociale rischia di compromettere la qualità del servizio offerto, quindi altre persone:

"L'equilibrio interiore nostro è fondamentale, i primi 2 anni dal rientro in Italia non stavo bene io, loro erano la mia ancora, ma non doveva essere cosi, quando tu sei centrato riesci ad esserlo coi ragazzi e loro sentono

questa centratura e sanno fino a che punto possono arrivare e dove no (Operatrice Cas)".

"Io mi sono accorto facendo la tesi, ora che stavo per laurearmi in magistrale, quanto comunque comporti un impegno, e che quando hai di mezzo cose nella tua vita privata che richiedono impegno arranchi un po', fai fatica perché ti accorgi che a volte delle richieste quando magari sei sul pezzo solo sul tuo lavoro e ti occupano del tempo fuori dal lavoro - tipo il messaggio non c'è la luce, "si c'è, devi tirare su il quadro elettrico" - le fai ridendo, quando non hai nulla da fare..ti infastidiscono molto altre volte (Operatore Sprar)".

La gestione del coinvolgimento personale è di fondamentale importanza per il controllo delle interazioni tra operatori ed utenti, anche per marcare i limiti del ruolo professionale. Lo si vede prima di tutto quando gli operatori precisano i propri limiti ai richiedenti asilo in termini di impegno contrattuale, oppure quando viene fatto notare loro se una cosa viene detta o fatta al di fuori del proprio ruolo. Queste precauzioni rispondono all'esigenza degli operatori di tutelarsi. Essi infatti corrono il rischio di essere considerati personalmente responsabili e direttamente coinvolti negli eventi avversi ai richiedenti asilo e rifugiati, un esito negativo in Commissione per esempio, la mancata consegna di un codice fiscale alfanumerico, oppure la mancata assunzione a seguito di un colloquio di lavoro.

"Devo mantenere sempre un rapporto diretto con i richiedenti asilo, che rifletta la durezza del linguaggio presente nel contesto che si trovano a vivere. Se il giudizio in Commissione sarà negativo, deve essere chiaro fin da subito che non sono io che decido per la loro protezione, ci sono tantissime figure che operano nel settore dell'accoglienza, io posso se proprio mostrare chi sono gli avvocati, dove si trova il tribunale (Operatore Sprar)".

Accade anche che gli operatori influenzino e siano influenzati da familiari e amici, condizionando il punto di vista delle persone più vicine agli operatori. Tra le interviste condotte, vi è chi dichiara la mancata accettazione iniziale della famiglia o degli amici, per via dell'ignoranza pervadente in materia; altri hanno ricevuto pieno appoggio. Si riportano a tal proposito alcune delle risposte rilasciate dagli intervistati:

"Ho sempre avuto opinioni divergenti con la mia famiglia a prescindere, un po' per la mia adolescenza un po' perché soprattutto con mio padre il tipo di relazione che si può instaurare è conflittuale a prescindere, ed ho imparato a prenderla come divertente così. Però devo dire che questo lavoro ha sensibilizzato molto anche i miei genitori sul tema, cosa che prima era più difficile, anche perché a volte quando ti devi sfogare racconti storie di vita vissute talmente vivide che risultano che toccano anche loro. Coi miei amici, in un contesto di vita sociale che affronto tutti i giorni, in alcuni casi si. Se prima mi chiamavano comunista in senso dispregiativo adesso dicono che lavoro coi negri. Non tutti sono sensibili o disposti a cambiare opinione (Operatore Sprar)".

"Le relazioni con gli altri non sono cambiate, perché sono sempre stata molto selettiva, ho sempre portato avanti relazioni che mi facevano bene quindi non è che prima frequentavo dei leghisti e adesso che faccio questo lavoro non li frequento più. Non li ho mai frequentati, ho sempre frequentato gente vicina a me, nella vita di relazione non mi è cambiato.

Mio marito inoltre è senegalese (Operatrice Cas)".

"Il rapporto con i miei è cambiato in positivo, conoscono il progetto, mia mamma viene spesso a vederlo. Poi c'è sempre la componente di mediazione anche con la propria famiglia non solo con le famiglie degli utenti. Porti lavoro a casa perché quello che fai con le famiglie, lo fai anche sulla propria, però va beh, i problemi che ha la mia famiglia nascono a prescindere dal mio lavoro (...); i miei amici o il mio ragazzo sanno del mio lavoro e mi supportano.. non ho mai avuto grandi scontri dal punto di vista di pregiudizi (Operatrice Cas)".

"In generale la mia famiglia, è di orientamento politico diverso rispetto al mio. All'inizio ha fatto fatica ad accettare il mio lavoro, ma hanno comunque rispettato la mia decisione. Ora è accettata. Io spesso ne parlo con la mia famiglia del lavoro, per cercare di inviare il messaggio che sono comunque persone, sono ragazzi giovani. Da parte loro è sempre lo stesso discorso, se si parla del personale, di una persona nello specifico, la si riconosce come persona quindi si va al di là degli stereotipi, delle idee.

Quando si parla di un gruppo si colloca lo straniero in un etere pieno di stereotipi. Andando nel particolare, parlando di storie, di età, racconti cosa accade loro nelle situazioni quotidiane, della polizia che lo ferma in bici con auricolari e dà 160 euro di multa (...); Le amicizie sono sempre quelle, poi io sono un caso perso ormai, sono tanti anni che sono orientata verso questo lavoro. Diciamo che la cerchia di amici più ristretta, partecipe alle varie attività serali guarda a questi temi con la mia stessa prospettiva. Le persone più lontane da me dal punto di vista politico hanno accettato comunque sta cosa, ognuno poi resta della sua idea. Diciamo che un po' il percorso di studi, poi il master in diritto degli stranieri e politiche migratorie, mi hanno sempre fatto passare sempre molto tempo a contatto con persone del filone pro-stranieri (Operatrice Sprar)".

Nella maggior parte dei casi, non sono emersi cambiamenti rilevanti nelle frequentazioni degli operatori fuori dall'orario di lavoro. In alcuni casi è emersa la capacità di influenza che essi esercitano in famiglia o sugli amici. La testimonianza della partecipazione degli operatori alle storie di vita personali dei migranti in accoglienza disfa alcuni pregiudizi nei loro confronti. Si potrebbe suggerire a tal proposito un approfondimento del cambiamento generato dagli operatori nella sfera intima della famiglia e delle amicizie, che tuttavia non sarà ulteriormente approfondito in tal sede.

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In conclusione, per osservare ed analizzare il sé privato degli operatori, si sono considerate le motivazioni che spingono le persone verso tale impiego. Quelle principali hanno riguardato l'interesse per l'ambito migratorio, che frequentemente assume le caratteristiche di una vera e propria passione, testimoniata dal desiderio di avvalersi di una formazione continua. Inoltre, sempre tra le motivazioni, vanno evidenziate la solidarietà verso i richiedenti asilo e rifugiati, l'internazionalismo come valore cui aspirare, in qualità di «cittadini del mondo», il desiderio di «giustizia socioeconomica» (Malkki 2015, 51), e la necessità di sentirsi appagati personalmente dal proprio lavoro. Gli operatori giustificano il loro operato in termini di «attitudine»

come compimento di una «missione sociale» (Dubois 2018, 192). Essi devono rappresentare un'immagine di loro stessi compatibile con gli obiettivi dei progetti di

accoglienza, che sostenga la loro capacità di soddisfare quegli stessi obiettivi. Gli operatori intervistati narrano la scelta del lavoro sociale con i migranti come impegno politico e sociale, prima che lavorativo (Tarsia 2018, 107). Si è poi analizzata l'influenza che il lavoro ha sulla vita privata degli operatori, dettata dalla vicinanza a persone con storie di vita travagliate e all'acquisizione di competenze replicabili al di fuori del contesto lavorativo. Proprio per le caratteristiche del lavoro sociale con i migranti forzati, gli operatori sono portati ad arricchire la propria intelligenza emotiva, la quale permette l'ascolto attivo, l'approccio empatico, l'aumento di riflessività ed autocritica; ma rimane presente il rischio di burnout, del logoramento del professionista, qualora non vi sia una appropriata elaborazione e definizione delle emozioni scaturite a seguito della vicinanza con la sofferenza altrui, per «il fatto di essere presi, in pratica e in maniera non necessariamente consapevole, dal senso di responsabilità nei confronti delle situazioni di difficoltà altrui, nei confronti di una persona e nella prossimità dei corpi (Courcuff 1996, 31)». Infine si è discusso della tensione che la relazione di aiuto genera tra gli operatori e dell'influenza reciproca tra l'attività lavorativa e le persone che si trovano all'interno della sfera intima degli stessi, famiglia e amici.

Si prosegue analizzando la sfera del sé professionale degli operatori, considerando la reciproca influenza tra personale e professionale. Verranno tenuti presenti i condizionamenti tra le esperienze lavorative e gli eventi personali, di quanto possono risultare connessi, del tentativo di separarli.