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informis: il poeta all’aggettivo e al prefisso in affida il compito d

Testo e traduzione.

25 informis: il poeta all’aggettivo e al prefisso in affida il compito d

sottolineare la fragilità e la precarietà del corpo, che dopo la morte perde la sua consistenza vitale e diviene sgradevole, sfigurato. È un termine particolarmente caro a Virgilio (10 occorrenze) e Stazio (9), e nella stessa accezione lo si ritrova per esempio in VERG. ecl. 2, 25 nec sum adeo informis: nuper me in litore vidi.

fluitatio:i primi significati del termine sono fluctuatio, vacillatio nel ThlL VI 1, (954). L’uso della parola in questa sede è “ad rem exprimendam accommodatissimum” secondo le parole dell’Arevalo, in quanto esprime il movimento dinamico delle membra, “di un corpo che ondeggia sfaldandosi nelle sue parti e aggiunge un tocco di efficacia espressiva al virtuosismo linguistico che impreziosisce il carme” (Salzano 2001, p.61).

dissociatis: la disgregazione del corpo dopo la morte è espressa tramite il

prefisso verbale -dis, che dimostra l’evidente condizione di ciò che esisteva e ciò che ormai non esiste più.

Specialmente nell’ultima parte del verso si coglie un’atmosfera atomistica (tipicamente epicurea, come si vede nei paragrafi 39-45 della Lettera ad

Erodoto, e poi ripresa da Lucrezio, per esempio quando nel De rerum natura

espone la teoria del clinàmen in 2, 216-224 e 243-260) che esplicita il concetto di dissociazione degli atomi, mediante la quale viene determinata la morte degli esseri viventi.

26immensum dictu: il verso comincia con due spondei di grande potenza ed espressività (necessari per introdurre una miracolosa esperienza), che possono essere definiti un hapax nella poesia latina.

vita peracta est: mentre Peiper 1890, p.107 vede in vita peracta un ablativo

assoluto e omette est (“Der Ablativ vita erscheint mit gekürztem a, wie später, beim gallischen Dicter Cyprian, unzählig oft; wäre diese Kürzung noch nicht zulässig in der ersten Hälfte des vierten Jahrhunderts und müsste man peracta

est nach der Hs. beibehalten, so müsste man et hinter sociae einschieben”); Van

Der Weijden 1967, p.82 ritiene che l’ipotesi migliore sia concepire vita come un nominativo, peracta est come un verbo: “het lijkt ons echter onwaarschijnlijk, dat de ablat. vita gebruikt zou zijn door onze dichter, die de

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metrische vrijheden van Cyprianus Gallus mist. Het is dan ook beter vita op te vatten als nominativus, peracta est als verbum finitum en vers 27 bij het voorafgaande te laten aansluiten door invoeging van et achter sociae”.

La combinazione tra vitam e peragere è frequente (OV. trist. 4, 8, 41; SIL. 15, 462; PRUD. c. Symm. 2, 1059; AVIAN. fab. 34, 20), ma solo in un caso il nesso si trova in posizione finale di verso: PAUL. NOL. carm. 31, 559 quod quibus

in Christo fuerit modo vita peracta.

27 sociae: si veda il commento al v.12 socium.

prospecta sede: è il luogo predeterminato, dove in precedenza era stata eretta una grande tomba, in modo tale che in essa sia il corpo della donna che quello dell’uomo potevano trovare un ultimo riposo. L’espressione forma un efficace collegamento con i vv.15-16, largo iubet ore cavari…saxa e con i vv.17-20,

susciper<e> et veniens aeternaque foedera iungens / ut, quos viventes tenuisset lectulus idem / post praecepta dei bustum commune levaret.

Sedes, che generalmente indica il posto in cui stare, ottiene qui il significato più

strettamente collegato alla morte: è il cimitero, la tomba. Cfr. VERG. Aen. 6, 152 sedibus hunc refer ante suis et conde sepulcro; 6, 371 sedibus ut saltem

placisis in morte quiescam; TAC. ann. 1, 8, 6 monuit ne…Augustum in foro potius quam in campo Martis sede destinata cremari vellent (dove destinata ha

lo stesso significato di prospecta).

28 ianua leti: è una metonimia per sepulcrum. Come ricorda Mastandrea 2015,

p.61, tale giuntura appare per la prima volta in LUCR. 1,1112 dove viene riferita alla totalità della materia: haec rebus erit pars ianua leti. Successivamente l’espressione ricorre in VERG. Aen. 2, 661 patet isti ianua

leto; OV. met. 1, 662 sed nocet esse deum, praeclusaque ianua leti; VAL. FL.

3, 386 edocuere necem, patet ollis ianua leti; 4, 231 praemia sed manes

reclusaque ianua leti; STAT. Theb. 3, 68: atropos atque olim non haec data ianua leti, la maggior parte delle volte accompagnata da un verbo che attesta lo

schiudersi della porta. Si tratta di una formula epica, come ricorda Murgatroyd 2009, p.131: “ianua leti was a Lucretian phrase, subsequently found in epic”. Concettualmente, la clausola si avvicina a VERG. Aen. 6, 127 patet atri ianua

Ditis e STAT. silv. 5, 3, 257 sed nec leti tibi ianua tristis, anche queste

espressioni utilizzate per designare la discesa nei recessi più scuri del regno dei morti.

Per quanto riguarda la letteratura cristiana, si veda anzitutto PRUD. psych. 89

tu princeps ad mortis iter, tu ianua leti; nella Bibbia, i loci in cui si trova

l’espressione “porta della morte” riguardano sempre la discesa agli Inferi: Iob.

38, 17 numquid apertae sunt tibi portae mortis, et ostia tenebrosa vidisti?; Sap.

16, 13 tu enim vitae et mortis habes potestatem, et deducis ad portas mortis et

reducis; Matth. 16, 18 et ego dico tibi: Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam; et portae inferi non praevalebunt adversum eam.

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Domini (psalm. 118, 20), proprio come ianua leti è agli antipodi rispetto a ianua caeli, la porta che garantisce l’ascesa al cielo (sulla questione, si veda

Mastandrea 2015, pp.60-63). La sua prima attestazione ricorre in un epigramma di papa Damaso, dove egli accenna ai poteri e agli incarichi del primo dei suoi predecesori: DAMAS. carm. 5, 3-4 sed praestante Petro, cui tradita ianua

caeli est / antistes Christi conposuit Damasus. Dal modello discendono nuovi

versi e litanie, tra cui si segnalano MARC. CASIN. Bened. 27 de qua stelligeri

pulsatur ianua caeli e ANTH. 379, 7 virtutum genetrix, fons vitae, ianua caeli.

28-29: i versi richiamano, specialmente per l’uso del verbo reserari, VERG.

Aen. 8, 243-246 non secus ac si qua penitus ui terra dehiscens / infernas reseret sedes et regna recludat / pallida, dis invisa, superque immane barathrum / cernatur, trepident immisso lumine Manes. La parola Manes acquista

all’interno dell’Aeneis significati diversi; qui designa gli abitanti dell’Oltretomba, l’insieme delle anime che trema di fronte alla comparsa della luce. Nonostante questo sia l’unico passo del poema ad avere tale significato, il collegamento tra i Mani e le tenebre è abbastanza frequente, in base al topos letterario riguardante il connubio vita / luce e morte / oscurità. Alla luce di ciò, l’associazione tra il passo dell’Aeneis e il verso delle Laudes Domini risulta ancora più evidente se si compara il rifiuto della luce da parte degli esseri dell’Oltretomba e la lux ingrata che ha reso visibile la sacra dimora dei due coniugi.