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manare: il verbo conserva il significato classico di abundare: cfr HOR.

Testo e traduzione.

46 manare: il verbo conserva il significato classico di abundare: cfr HOR.

epist. 1, 15, 19-20 quod cum spe diuite manet /in venas animumque meum. iubes: Salzano 2001, p.77 sottolinea la climax ascendente vade > iubes > duce:

Dio è il responsabile (te vade) della prosperità della terra e per questo ordina (iubes) che la Natura partecipi alla vita dell’uomo, donando i frutti vitali. Con questo suo disegno, egli si prefigura come guida (dux) di tutti gli esseri viventi. Nella Vulgata il verbo iubeo è presente solo tre volte, di cui due si riferisce a Dio per ricordare come egli abbia deciso di santificare il settimo giorno (exod. 35, 1-2 haec sunt, quae iussit Dominus fieri: sex diebus facietis opus, septimus

dies erit vobis sanctus, sabbatum et requies Domino; qui fecerit opus in eo, occidetur; 2 Macc. 15, 4 est Dominus vivus ipse in caelo potens, qui iussit colere septimam diem) e una a Cristo, durante la sua camminata con Pietro sulle

acque (Matth. 14, 28 respondens autem ei Petrus dixit: “Domine, si tu es, iube

me venire ad te super aquas”).

Della costruzione del primo emistichio si percepisce l’influsso in alcuni versi di papa Damaso, sempre riferiti a Cristo: carm. 19-21 tu… / …vitam remeare

iubes. Tu….

fecundo: anche l’aggettivo mantiene il significato tipicamente classico di

copioso, abundanti, pleno: cfr. VERG. georg. 2, 325-326 tum pater omnipotens fecundis imbribus Aether / coniugis in gremium laetae descendit; HOR. epist.

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enim pecori fecundior ullo / herba loco est; PLIN. nat. 2, 95, 207 metallorum opulentia tam varia, tam dives, tam fecunda; 11, 146 quis ille est umor in dolore tam fecundus?

nectare vites: la clausola si ritrova in SIL. 7, 164 largitor laticis, gravidae cui

nectare vites.

La vite nella simbologia cristiana ha grande valore per rappresentare la fecondità, il benessere, la tradizione; per l’apostolo Giovanni arriva addirittura ad indicare lo stesso Gesù, il quale definendosi “vite vera” risulta essere la fonte principale e sicura della vita: cfr. Ioh. 15, 1-6 Ego sum vitis vera, et Pater meus

agricola est. Omnem palmitem in me non ferentem fructum tollit eum; et omnem, qui fert fructum, purgat eum, ut fructum plus afferat. Iam vos mundi estis propter sermonem, quem locutus sum vobis. Manete in me, et ego in vobis. Sicut palmes non potest ferre fructum a semetipso, nisi manserit in vite, sic nec vos, nisi in me manseritis. Ego sum vitis, vos palmites. Qui manet in me, et ego in eo, hic fert fructum multum, quia sine me nihil potestis facere. Si quis in me non manserit, missus est foras sicut palmes et aruit; et colligunt eos et in ignem mittunt, et ardent. L’immagine proposta dall’apostolo suggerisce che i credenti

siano come i tralci, connessi al Signore proprio come il tralcio vive dalla linfa della vite, e pertanto sono portati a godere appieno della vita e dei suoi frutti, ad assimilarne profondamente l’essenza; ma se si staccano dalla vite, essi si seccano e vengono distrutti. La stessa azione persecutoria è presente anche nelle parole di Ezechiele, quando il profeta esorta gli abitanti di Gerusalemme ad avere fiducia nel Signore e a credere in lui, per non rischiare di essere bruciati: quomodo lignum vitis inter ligna silvarum, quod dedi igni ad devorandum, sic tradam habitatores Ierusalem (15, 6).

La vite è un segno che garantisce sicurezza: si veda 1 reg. 5, 5, dove Giuda ed Israele sono ritenute al sicuro proprio perché ognuna stava sub vite sua. Cfr. anche Mich. 4, 4 et sedebit unusquisque subtus vitem suam et subtus ficum

suam, et non erit qui deterreat; quia os Domini exercituum locutum est e Zach.

3, 10 in die illa, oraculum Domini exercituum, vocabit vir amicum suum subter

vitem et subter ficum.

Nel libro dei Numeri, gli esploratori inviati da Mosè ad indagare sulla Terra Promessa ne mostrano l’abbondanza e la ricchezza attraverso un tralcio di vite con un grande grappolo d’uva (13, 25-33), mentre la fertilità di questo simbolo è espressa in psalm. 128, 3 uxor tua sicut vitis fructifera, dove la donna viene paragonata a tale simbolo.

In sostanza, la vite viene considerata come uno dei beni più preziosi per l’uomo (2 reg. 21 1-27).

La vite, che simboleggia il popolo eletto e benedetto da Dio, trapassa nell’immagine della vigna con le parole di Osea: vitis frondosa Israel, fructum

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producens sibi; secundum multitudinem fructus sui multiplicavit altaria, iuxta ubertatem terrae suae decoravit simulacra (10, 1); Israele stessa, che viene

sopracitata dal profeta Osea, giudica la vite (insieme all’olivo) un albero sacro, messianico: cfr. Mich. 4, 4 e Zach. 3, 10. Non vi è differenza tra i due simboli, come dimostra la parabola evangelica dei vignaioli omicidi raccontata da

Matth. 21, 33-46: un uomo decise di piantare una vigna e, dopo averla

circondata con una siepe, la affidò alle cure di alcuni vignaioli e se ne andò. Giunto il periodo del raccolto, mandò i suoi servi a ritirare i frutti della vigna; ma i vignaioli, infedeli e malvagi, li lapidarono. Allora il padrone decise di inviare suo figlio, ma questi ottenne lo stesso trattamento riservato ai servitori, e venne ucciso. La figura del figlio del padrone, mandato presso la vigna a raccoglierne i frutti, coincide con la scelta di Dio di diffondere il suo messaggio attraverso le parole del Figlio, crocifisso sulla terra perché considerato calunnioso dal popolo. Sia la vite che la vigna vengono dunque insignite del prestigioso incarico di rappresentare Gesù Cristo.

Come si può osservare, dunque, l’immagine della vite / vigna ricorre frequentemente nella Bibbia: altri passi in cui si ritrova l’immagine sono gen. 40, 9 (nella descrizione del sogno di Giuseppe) e 49, 11 (quando si parla delle benedizioni di Giacobbe); deut. 8, 8 (il richiamo alle viti della Terra Promessa);

Is. 5, 1-7 (nel canto della vigna); iud. 9, 12 (le viti dell’apologo di Iotam).

Connessa all’immagine della vite è quella del vino. Il termine nectar denuncia palesemente l’influenza della poesia pagana, dove il sostantivo veniva utilizzato soprattutto per indicare la bevanda degli dei, oltre che il vino. In questa sezione relativa alla descrizione della creazione compiuta da Dio, l’anonimo poeta si avvale dell’uso metonimico di nectare per designare il frutto della vite, il vinum appunto. Che il termine provenga dalla tradizione classica può essere confermato dai seguenti esempi: VERG. ecl. 5, 71 vina novum

fundam calathis Ariusia nectar e georg. 4, 384 ter liquido ardentem perfundit nectare Vestam; OV. met. 1, 111 flumina iam lactis, iam flumina nectaris ibant;

STAT. silv. 2, 299 madidas Baccheo nectare rupes.

Nella tradizione biblica, il vino, assieme al latte ed al miele, è un segno di grande valenza e importanza, che simboleggia la gioia di vivere (psalm. 104, 15 et vinum, quod laetificat cor hominis) e in generale tutti i doni che Dio concede all’uomo, come l’abbondanza e il benessere (gen. 27, 28 det tibi Deus

de rore caeli, et de pinguedine terrae, abundantiam frumenti et vini). Anche

l’olio è un prodotto che in genere viene affiancato al vino, poiché essi “non solo hanno un’azione risanatrice in senso terreno, ma guidano alla salvezza anche in senso soprannaturale” (Lurker 1990, p.233): ecco perché al cavaliere apocalittico sul cavallo nero, inviato da Dio come tormento sulla terra, viene gridato: et oleum et vinum ne laeseris! (6, 6).

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Come ricorda Lupi 2007, pp.25-26 il vino è una bevanda essenziale per il sostentamento degli uomini (exod. 29, 40) e, insieme al pane, è stato scelto da Gesù quale simbolo principale per istituire il sacramento dell’eucarestia.

Come avviene in tutte le religioni, così anche nella tradizione giudaico-cristiana il vino è un dono che Dio concede agli uomini, per allietare le loro vite: Sirach. 31, 32 quasi vita hominibus vinum; Is. 55, 1 Heu! Omnes sitientes, venite ad

aquas; et, qui non habetis argentum, properate, emite et comedite, venite, emite absque argento et absque ulla commutatione vinum et lac; tuttavia, se non

bevuto con moderazione, il vino può portare alla rovina e coloro che ne abusano perdono non solo il loro controllo, ma anche la dignità: Sirach. 31, 39-40

amaritudo animae vinum multum potatum in irritatione et ruina. Ebrietas multiplicat animositatem imprudentis in offensionem, minorans virtutem et faciens vulnera. Esso deve dunque esser consumato con regolatezza per portare

all’estasi più intensa e gradevole. Si vedano gen. 9, 21-27 e 19, 35; prov. 23, 20-21; Ef. 5, 18.

L’immagine del vino dunque ha una rilevanza importantissima: non a caso, nel Nuovo Testamento, il primo miracolo che compie Gesù è il mutamento dell’acqua in vino durante le nozze di Cana (Ioh. 2, 1-11), una forte allusione all’imminente gioia e pienezza della grazia che risiede nel regno di Dio. Ma il culmine della potenza del simbolismo del vino avviene durante l’ultima cena, quando Gesù, spezzando il pane e versando il vino, li dona ai discepoli come suo corpo e suo sangue, volendo che essi compiano lo stesso gesto in suo nome: Marc. 14, 22-24 et manducantibus illis, accepit panem et benedicens

fregit et dedit eis et ait: sumite: hoc est corpus meum. Et accepto calice, gratias agens dedit eis; et biberunt ex illo omnes. Et ait illis: hic est sanguis meus novi testamenti, qui pro multis effunditur. Nel passo si attua il procedimento della

transustanzazione, cioè il passaggio da pane e vino a corpo e sangue di Gesù.