Testo e traduzione.
6 testatur: il verbo occupa la posizione centrale nella struttura del verso,
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sua collocazione non è casuale, ma sottolinea la solennità della testimonianza divina e in generale la grandezza delle azioni del Signore.
In metrica, la giuntura composta da un verbo in terza persona con diatesi passiva e dal sostantivo gloria è tradizionale, e si ritrova a partire da OV. trist. 5, 1, 75 denique nulla mihi captatur gloria…; in seguito, viene utilizzata anche in SIL. 5, 169 nam cur haec alia pariatur gloria dextra? e in MART. 8, 15, 1
dum nova Pannonici numeratur gloria belli. Successive alle Laudes Domini
sono altre dieci occorrenze, attestate soprattutto in Giovenco (2, 470 sed finem
fidei comitatur gloria vitae; 2, 685 alternae in vobis captatur gloria famae) e
in Paolino di Nola (carm. 18, 439 turba locum et muto celebratur gloria Christi; 25, 55 namque ubi corporeae curatur gloria pompae).
gloria facto: l’espressione a fine verso si ritrova anche in VAL. FL. 2, 564
serus ades, quam parva tuis iam gloria factis! e IUVENC. 2, 242 splendeat ut claris virtutis gloria factis. Cfr. anche STAT. Theb. 10, 614 viperei, datur hoc tantum victoria pacto. Segnalo anche una successiva assonanza con DRAC. laud. dei 1, 361 et miseratus ait: demus adiutoria facto, verso ripreso parimenti
da EUG. TOLET. hex. 245 et miseratus ait: demus adiutoria facto.
Secondo il parere di Salzano, il sostantivo gloria corrisponde al greco biblico δὸξα, che a sua volta si rifà al termine ebraico kâbod, utilizzato per indicare la “ricchezza, bellezza, potenza di Dio” (per un ulteriore approfondimento, si consulti W. Eichrodt, Theologie des Alten Testaments I, Leipzig 1933, p.43). La sua manifestazione si può riscontrare in episodi molto rilevanti nei Vangeli, come per esempio il momento della trasfigurazione di Gesù. A questo proposito si veda Luc. 9, 32Petrus vero et qui cum illo gravati erant somno; et evigilantes viderunt gloriam eius et duos viros, qui stabant cum illo.
7 nam…ripas: i modelli del verso sembrano essere VERG. Aen. 2, 781-782
et terram Hesperiam venies, ubi Lydius arva / inter opima virum leni fluit agmine Thybris; LUCR. 5, 271 convenit, inde super terras fluit agmine dulci e
6, 637 confluit, inde super terras redit agmine dulci; IUVENC. 3, 460-461:
Iudaeamque petit qua pinguia rura silenter / agmine Iordanes viridis perrumpit amoeno.
agmine ripas: l’espressione, a fine verso, è attestata per la prima volta in poesia
in Virgilio quando, durante l’episodio dell’incontro tra Enea ed Anchise, il padre mostra al figlio le anime destinate ad un destino glorioso nella storia di Roma: Aen. 6, 712 quive viri tanto complerint agmine ripas. Successivamente, oltre alle Laudes Domini, l’espressione è presente solo in Cipriano Gallo, in un passo in cui viene descritto il passaggio di Giosué nel Giordano e le sue conquiste future, fino all’Eufrate: iud. 9 usque tuas, prono qui laberis agmine,
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8 tardus…amnem: i primi otto versi delle Laudes Domini sono caratterizzati
da uno sviluppo lento dell’azione, reso dal poeta attraverso una selezionata gamma di termini ed espressioni: sera dote (v.1), lento passu (v.2), iudicis
perpetui (vv.3-4), tardum, saecula (v.4), stagnanti agmine praelabitur (v.7). Al
verso 8 si trovano addirittura quattro termini, riferiti al fiume Arar, che abbracciano la stessa sfera semantica relativa al concetto di lentezza: tardus,
pigrum, diu, vix.
tardus Arar: l’Arar, nonostante rivesta il ruolo di confine simbolico, viene
etichettato come un classico esempio di inerzia, in quanto molti scrittori antichi lo citano nelle loro opere per la sua bassa portata: oltre al già citato passo del
De bello Gallico di Cesare (per il quale si rimanda alla nota 54), anche nei Punica di Silio Italico (15, 501 serpit Arar per rura pigerrimus undae) e nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (3, 4, 33 segnem Ararem) viene citato il
fiume. Per questa descrizione, l’autore prende ispirazione anche da VERG.
Aen. 2, 782 e LUCR. 5, 271 (per il testo, si veda la nota 7 nam…ripas). Le
caratteristiche del fiume vengono ricordate anche da Claudiano, che ne ricorda la lentezza in un verso del Panegirico per il consolato di Manlio Teodoro, sempre all’interno del primo emistichio: 53 lentus Arar Rhodanusque ferox et
diues Hiberus.
9 qua fraterna…Aedua pubes: il verso è di rilevante importanza non solo a
livello tematico (in cui è evidente il forte richiamo al classicismo), ma anche per quanto riguarda il patriottismo connaturato nel poeta.
Remo: Remus nella letteratura classica viene utilizzato per designare l’antenato
e il rappresentante del popolo romano insieme a suo fratello Romolo: cfr. VERG. Aen. 1, 292-293…Remo cum fratre Quirinus / iura dabunt; HOR. epist. 7, 17-20…acerba fata Romanos agunt / scelusque fraternae necis / ut
inmerentis fluxit in terram Remi / sacer nepotibus cruor; PROP. 4, 19 domus ista Remi; MART. 12, 2 (3), 6 domus alta Remi.
Per quanto riguarda questo termine, concordo con la tesi di Brandes (1887, p.11), Wan der Weijden (1967. pp.59-60) e Salzano (2001, p.54), secondo la quale la prima mano nel codice offre la lettura proposta, che è corretta, mentre la manus tertia (dunque Morel) ha corretto Remo in Rheno (mutilazione molto probabilmente avvenuta per ragioni di incomprensione della parola Remo). Van der Weijden e Salzano ben sintetizzano i motivi per cui il nome del fiume non è una buona scelta: in primis il Reno scorre lontano dalla regione degli Edui, passando attraverso la zona a sud del confine tra la Germania e la Francia e scorrendo verso ovest dopo Magonza (cfr. TAC. Germ. 1, 1); in secundis, la stragrande maggioranza dei poeti che vengono ripresi nelle Laudes Domini fa riferimento a Remo come il capostipite, assieme al fratello, di Roma, quindi è molto probabile che l’autore qui voglia citare un personaggio che attesti ancora
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una volta la sua formazione culturale classica. Per rafforzare la correttezza della lettura di fraterna Remo, in cui Remus agisce appunto come rappresentante del popolo romano, si veda CAES. Gall. 1, 33 in primis quod Aeduos fratres
consaguineosque saepenumero a senatu appellatos (nota 48). Tra i sostenitori
invece dell’ipotesi Rheno troviamo il Fabricius (il quale, a causa della quantità della e lunga di Rheno ha cambiato fraterna in fratrum per motivi metrici), il Rivinus e l’Arevalo.
progignitur: il verbo si riscontra solo dieci volte nella poesia latina, di cui quasi
la metà delle sue attestazioni si ritrovano in Lucrezio (LUCR. 2, 8; 2, 545; 2, 566; 4, 670).
fraterna…Aedua: scrive Jullian 1908, p.28: “Le sénat romain...attacha à ses
intérêts, par des contrats ou par un traitement flatteur, les peuples qui pouvaient lui être le plus utiles, ou qui déstaient le plus la nation de Bituit. Les Eduens reçurent le titre de “frères et consanguins du peuple romain”: un cérémonie publique ou des décrets solennels, à Rome ou à Bibracte, affirmèrent cette alliance devant les dieux, et la présentèrent aux hommes sous la forme d’une éternelle et mystériouse fraternité”.
Vengono qui presentati i rapporti di grande amicizia e fratellanza che i Romani avevano intrecciato con la popolazione degli Edui. Sia autori greci che latini trattano questo argomento. Plutarco li chiama “fratelli” in Caes. 26 (ἀδελφοί), mentre Strabone e Diodoro Siculo si soffermano anche sul concetto di συγγένεια, termine con il quale si indicavano appunto le più strette relazioni di parentela tra i vari popoli: STRAB. 4, 3, 2 οἱ δὲ Αἴδουοι καὶ συγγενεῖς Ῥωμαίων ὠνομάζοντο καὶ πρῶτοι τῶν ταύτῃ προσῆλθον πρὸς τὴν φιλίαν καὶ συμμαχίαν; DIOD. 5, 25, 1 τὰ δ' ἐλάχιστα πέντε μυριάδας, ὧν ἕν ἐστι πρὸς Ῥωμαίους ἔχον συγγένειαν παλαιὰν καὶ φιλίαν τὴν μέχρι τῶν καθ' ἡμᾶς χρόνων διαμένουσαν. Cicerone li chiama per tre volte “fratelli”: in fam. 7, 10, 4 (fratres), nel frammento 45c dell’orazione pro Scauro (fratres populi Romani) e nell’epistola Ad Att. 1, 19, 2 (fratres nostri), mentre, oltre al già citato passo di Cesare (Gall. 1, 33, 2: per il testo, si veda la nota 48), Tacito ne fa menzione in
Ann. 11, 25, 1 quia (Haedui) soli Gallorum fraternitatis nomen cum populo Romano usurpant.
Infine, come ricorda Salzano 2001, p.55, “fraterna è uno di quegli aggettivi (come caelestis, divinus, propheticus, dominicus, etc.) che costellano le opere degli scrittori cristiani che utilizzano fraternus soprattutto in senso religioso”; a questo proposito, si veda anche J. Marouzeau, Quelques aspects de la
formation du latin littèraire, Paris 1949, p.220.
Dal punto di vista metrico, Aedua in penultima posizione ha solo un’altra occorrenza poetica, in AUSON. praef. 1, 5 vasates patria est patri, gens Aedua matri.
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pubes: se Van Der Weijden 1967, p.62 pensa che il sostantivo abbia il
significato di homines, populus, plebs (“we moeten pubes hier nemen in de verruimde betekenis homines, populus, plebs”), Salzano 2001, p.55 ritiene che il termine sia sinonimo di iuventus, iuvenes e che l’anonimo poeta abbia qui richiamato i numerosi accostamenti del termine con aggettivi etnici presenti in VERG. Aen. 2, 477 Scyria pubes; 5, 119 e 7, 219 Dardana pubes; 5, 599 e 7, 521 Troia pubes; 6, 580 Titania pubes; 7, 105 Laomedontia pubes (ma anche in TRAG. inc. 33 Attica pubes). L’autore infatti crede che l’Aedua pubes, come la gioventù troiana, sia il simbolo del coraggio, del valore, della virilità e che il futuro politico e sociale dipenda da essa: “il poeta, rimandando in particolare a queste doti, in un contesto permeato di suggestione religiosa e di arcaica solennità che connota il valore etnico degli Edui, intende sottolineare che le nuove leve della società, combattive e gagliarde, getteranno le basi per la costruzione di un solido e luminoso futuro sociale e politico degli Edui e di Roma, cui sono appunto legati da un vincolo di fraterna alleanza”. A suo parere, le traduzioni proposte dal Van Der Weijden sembrano avere una valenza “poco pregnante, scolorita, anonima”, dal momento che la connessione tra la gioventù edua e il popolo romano permetterebbe all’anonimo di far fuoriuscire ancora una volta il suo spirito patriottico, esaltando la sua Gallia e rivestendola di uno strato classicista. Il significato proposto da Salzano inoltre ben si adatta all’elegante e fortunatissimo epicismo non solo virgiliano, ma anche presente nella Pharsalia (2, 473), nell’Ilias Latina (684, 704, 789, 837, 905), negli
Argonautica (5, 40; 5, 385; 5, 560; 6, 38; 8, 310; 8, 415), nella Thebais (1, 619;
6, 663; 7, 271; 7, 621; 8, 363; 9, 9; 12, 722) e nei Punica (1, 291; 3, 231; 3, 612; 4, 445; 5, 631; 6, 242; 6, 351; 8, 395; 8, 495; 8, 519; 8, 569; 8, 583; 9, 571; 9, 621; 11, 106; 11, 196; 11, 298; 12, 587; 12, 650; 14, 409; 15, 568; 16, 524), attraverso il quale si celebrano diverse stirpi prestigiose. Tra le varie occorrenze riportate occorre segnalare SIL. 9, 571 mole fera, et monstris componitur Itala
pubes: il verbo alla terza persona singolare con diatesi passiva, l’aggettivo
etnico Itala e il sostantivo pubes ricalcano strettamente il verso delle Laudes
Domini.
Nella successiva letteratura latina cristiana il termine continuerà ad essere associato a nomi di popolazioni, come per esempio in AVIEN. Arat. 501
vuificet; rigat hac animas et Thespia pubes; PAUL. NOL. carm. 14,55: Lucani coeunt populi, coit Apula pubes; CYPR. GALL. iud. 156: quamque simul
Iebusa colit Evaeaque pubes.