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Insicurezza e controllo nella società globale

Nel documento Caratteri del processo migratorio: (pagine 46-51)

STRANIERI IN CASA NOSTRA

2.6 Insicurezza e controllo nella società globale

Il sentimento diffuso di insicurezza prodotto dall’assenza di lavoro, assenza di politiche pubbliche, crisi del welfare che le nostre società stanno vivendo, viene travisato, trasformato e strumentalizzato nel senso di insicurezza urbana e di una richiesta di controllo di polizia. Politici e media in questo senso possono produrre effetti dannosi e diviene sempre più evidente che la politica, di sinistra o di destra, (e le politiche migratorie che si sono sviluppate nell’ultimo decennio ne sono la dimostrazione), risponde ad una prospettiva, a breve termine, di consenso elettorale. Ecco allora che si cercano di volta in volta i capri espiatori la cui “eliminazione” o controllo deve servire da una parte a distrarre gli stessi cittadini impauriti dalle reali cause delle loro insicurezze, dall’altra ad aumentare il controllo sociale, in nome dell’ideologia della tolleranza zero, su coloro che esprimono più di ogni altro la condizione di marginalità sociale che la stessa società produce.

La crisi del welfare non è cosa nuova; essa esprime una crisi generale delle politiche pubbliche, le difficoltà da parte dei governi di continuare a garantire ai propri cittadini quella base minima di garanzie che la società fordista era riuscita ad assicurare bene o male per molti anni. A questa crisi delle politiche di welfare alcuni autori, fra cui Loic Wacquant, sostengono che si sia accompagnato un progressivo spostamento dell’asse

Gonnella nel suo articolo “Le periferie militarizzate” fa riferimento ad alcune riflessioni dello stesso Wacquant in merito alle politiche dei governi europei di questi anni [Gonnella, 2002]. Egli descrive quella che oggi sembra essere la condizione della città neoliberale nell’Europa continentale, non risparmiando nessun governo, ciascuno <<preso e vinto dalla morsa della sicurezza>>. Il quadro che ci offre Wacquant è sostanzialmente questo: da un lato il mercato globale, la deregulation economica, le politiche del laissez faire, dall’altro il trattamento penale delle marginalità sociali. Per l’autore sono proprio le politiche neoliberiste della parte ricca della città ad alimentare la povertà, gli homeless, la disoccupazione, le condizioni di frustrazione di chi vive nell’altra città, quella periferica, dove quello stesso stato ispirato a politiche neoliberali promuove nuove forme di controllo e di repressione penale per contenere e

rendere meno visibile i danni che esso stesso ha prodotto. I soggetti che

devono diventare invisibili sono di volta in volta gli homeless, le prostitute, addirittura i giovani che saltano la scuola (come è successo in Francia, dove si è proposto di multare le famiglie se i loro figli saltano la scuola più di quattro volte al mese, senza pensare minimamente agli effetti di tali politiche sul rapporto fra genitori e figli e al rischio di mandare sul lastrico le famiglie non benestanti). Ormai non vi è paese in cui la questione della sicurezza non sia al centro dei dibattiti politici, delle campagne elettorali, ed il successo di molti esponenti politici si è fondato sul continuo richiamo, durante le loro campagne elettorali, alla necessità di contrastare l’insicurezza, quasi sempre individuata in qualche tipo di disturbatore, interno o esterno. Questa insicurezza è stata al centro di molte riflessioni e vi sono molti indicatori della sua diffusione, primo fra tutti la reazione sociale all’immigrazione. Autori che hanno dedicato molte delle loro riflessioni alle trasformazioni delle società moderne, alle caratteristiche e alle conseguenze dei processi di globalizzazione sulle

persone, hanno evidenziato come l’insicurezza, l’incertezza, il rischio, siano caratteristiche dei nostri tempi. Beck parla di società del rischio, ovvero di <<produzione sociale del rischio>> che si accompagna alla produzione sociale di ricchezza, evidenziando come lo sviluppo economico si fa sempre più riflessivo: alla nozione di pericolo, proveniente dall’esterno, da cui difendersi, va sostituita quella di rischio, come esito del manifestarsi stesso della modernità [Beck 2000]. Anche per Bauman la crescita dell’insicurezza risponde a logiche simili a quelle evidenziate da Beck. Egli opera una distinzione fra mancanza di sicurezza esistenziale (security), legata al liberismo economico che ci rende tutti dei precari, potenziali “esuberati”, mancanza di sicurezza cognitiva, cioè incertezza (certainty), legata alla crescente perdita di intellegibilità del sistema sociale in cui è sempre più difficile interpretare sintomi e cause, prevedere esiti, e mancanza di sicurezza personale o incolumità (safety) [Bauman 2000]. Queste tre facce dell’insicurezza sono tutte legate fra loro ma vi è la tendenza da parte degli attori a riversare solo sull’ultima le ansie dovute alle prime due, impossibili da affrontare sia per gli individui che per le istituzioni sempre più limitate nella sfera di competenza [Maneri 2001].

I governi si possono sentire sollevati […]. Costruire nuove prigioni, scrivere nuove norme che moltiplicano il numero di infrazioni da punire con la prigione, e imporre l’obbligo di allungare la durata delle pene…sono tutte misure che […] servono a dimostrare che (i governi) sono duri, pieni di risorse e determinati, e soprattutto che stanno <<facendo qualcosa>> […] [Bauman 2001, p.130].

La sensazione di insicurezza diffusa si accentra sulle paure relative alle condizioni di sicurezza che vengono garantite alla propria persona; che a sua volta si appunta sulla figura ambivalente, imprevedibile, dell’estraneo [ivi, p.134].

L’insicurezza col passare degli anni è divenuta il frame principale entro cui svariati fenomeni sociali sono affrontati nel dibattito politico, a partire dall’immigrazione. Molto interessanti risultano le considerazioni di Marcello Maneri a proposito dell’insicurezza, nel saggio intitolato “Panico morale come dispositivo di trasformazione dell’insicurezza” [Maneri 2001]. L’autore si sofferma sul ruolo che hanno giocato i media nel determinare un mutamento semantico del termine insicurezza che, se fino al 1997 su alcuni giornali era sinonimo di pericolosità di strade, di edifici, di problemi di sessualità, a partire dal 1998 comincia a riferirsi all’incolumità personale o dei propri beni. Lo stesso “slittamento semantico” si è registrato, continua l’autore, nell’uso del termine “degrado” che, se per parecchio tempo si riferiva all’abbandono di edifici, di luoghi pubblici, a partire dal 1995-1996 ha assunto il significato di deterioramento del paesaggio urbano dovuto alla presenza di homeless, di immigrati, prostitute, tossicodipendenti, microcriminalità, con tutti i disagi e l’insicurezza che questa presenza comporta. L’autore sostiene che i media esercitano un ruolo di primo piano nel fornire le parole e le categorie per esprimere le ansie dei cittadini (svolgendo la funzione di

sorgenti), e dunque le emergenze del discorso pubblico sulla criminalità e

l’insicurezza non sono semplicemente il riflesso delle insicurezze delle persone.

In altre parole, sembra plausibile che l’affermarsi del discorso sicuritario (certo anche attraverso la raccolta di umori, disagi, problemi espressi da settori della società civile attivi nella scena pubblica) possa avere influenzato, propagato, legittimato le categorie attraverso le quali la sicurezza si esprime, in connessione con l’inevitabile accompagnamento di pratiche sistematiche di esclusione con cui le istituzioni trasformano il discorso sulla sicurezza nella realtà della prevenzione dell’insicurezza [ivi, p.11]

Queste conclusioni si accordano benissimo con quanto abbiamo detto prima riferendoci a Bauman, poichè esse ci permettono di comprendere meglio il discorso sull’insicurezza, la cui funzione è di tipo trasformativo: il rischio, l’insicurezza esistenziale e l’incertezza cognitiva vengono ritradotte nel discorso pubblico in incolumità (safety) a rischio, cioè nell’unico genere di insicurezza che può essere affrontato da un sistema politico con una capacità di azione sempre più ridotta in seguito ai processi di globalizzazione (alcuni autori parlano di crisi dello Stato-nazione). L’altra funzione del discorso sull’insicurezza è quella di restituire ai cittadini la sicurezza minacciata dalla criminalità (che viene ricondotta spesso alla presenza degli immigrati, i “clandestini”, a chi offende il decoro della città, alla marginalità sociale) e per i rappresentanti politici questo impegno fa parte di una precisa strategia elettorale.

Dice ancora l’autore:

Attraverso rimedi altamente emblematici (di volta in volta il braccialetto elettronico, i freni all’immigrazione, l’aumento degli organici delle polizie) i primi (politici) si prendono cura, come da mandato, dei secondi (cittadini) [ivi, p.12].

Nel documento Caratteri del processo migratorio: (pagine 46-51)